II-II, 40

Seconda parte > Le azioni umane > La carità > La guerra


Secunda pars secundae partis
Quaestio 40
Prooemium

[40635] IIª-IIae q. 40 pr.
Deinde considerandum est de bello. Et circa hoc quaeruntur quatuor.
Primo, utrum aliquod bellum sit licitum.
Secundo, utrum clericis sit licitum bellare.
Tertio, utrum liceat bellantibus uti insidiis.
Quarto, utrum liceat in diebus festis bellare.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 40
Proemio

[40635] IIª-IIae q. 40 pr.
Passiamo così a considerare la guerra.
Sull'argomento si pongono quattro quesiti:

1. Se ci sia una guerra lecita;
2. Se ai chierici sia lecito combattere;
3. Se sia lecito ai belligeranti usare imboscate;
4. Se sia lecito combattere nei giorni festivi.




Seconda parte > Le azioni umane > La carità > La guerra > Se fare la guerra sia sempre peccato


Secunda pars secundae partis
Quaestio 40
Articulus 1

[40636] IIª-IIae q. 40 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod bellare semper sit peccatum. Poena enim non infligitur nisi pro peccato. Sed bellantibus a domino indicitur poena, secundum illud Matth. XXVI, omnis qui acceperit gladium gladio peribit. Ergo omne bellum est illicitum.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 40
Articolo 1

[40636] IIª-IIae q. 40 a. 1 arg. 1
SEMBRA che fare la guerra sia sempre peccato. Infatti:
1. Il castigo è inflitto solo per un peccato. Ora, il Signore minaccia un castigo a chi combatte: "Tutti coloro che prenderanno la spada periranno di spada". Dunque qualsiasi guerra è illecita.

[40637] IIª-IIae q. 40 a. 1 arg. 2
Praeterea, quidquid contrariatur divino praecepto est peccatum. Sed bellare contrariatur divino praecepto, dicitur enim Matth. V, ego dico vobis non resistere malo; et Rom. XII dicitur, non vos defendentes, carissimi, sed date locum irae. Ergo bellare semper est peccatum.

 

[40637] IIª-IIae q. 40 a. 1 arg. 2
2. Quanto si oppone ai precetti di Dio è peccato. Ma combattere è contrario al precetto di Dio; poiché sta scritto: "Io invece vi dico di non fare resistenza al malvagio"; e altrove: "Non vendicatevi da voi stessi, o carissimi, ma date luogo all'ira". Perciò far guerra è sempre peccato.

[40638] IIª-IIae q. 40 a. 1 arg. 3
Praeterea, nihil contrariatur actui virtutis nisi peccatum. Sed bellum contrariatur paci. Ergo bellum semper est peccatum.

 

[40638] IIª-IIae q. 40 a. 1 arg. 3
3. Niente all'infuori del peccato è incompatibile con una virtù. Ma la guerra è incompatibile con la pace. Dunque la guerra è sempre peccato.

[40639] IIª-IIae q. 40 a. 1 arg. 4
Praeterea, omne exercitium ad rem licitam licitum est, sicut patet in exercitiis scientiarum. Sed exercitia bellorum, quae fiunt in torneamentis, prohibentur ab Ecclesia, quia morientes in huiusmodi tyrociniis ecclesiastica sepultura privantur. Ergo bellum videtur esse simpliciter peccatum.

 

[40639] IIª-IIae q. 40 a. 1 arg. 4
4. L'esercitarsi in qualsiasi cosa lecita è sempre lecito: il che è evidente nelle esercitazioni scientifiche. Invece gli esercizi bellici, che si fanno nei tornei, sono proibiti dalla Chiesa: poiché chi muore in codesti esercizi viene privato della sepoltura ecclesiastica. Quindi la guerra è peccato in senso assoluto.

[40640] IIª-IIae q. 40 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in sermone de puero centurionis, si Christiana disciplina omnino bella culparet, hoc potius consilium salutis petentibus in Evangelio daretur, ut abiicerent arma, seque militiae omnino subtraherent. Dictum est autem eis, neminem concutiatis; estote contenti stipendiis vestris. Quibus proprium stipendium sufficere praecepit, militare non prohibuit.

 

[40640] IIª-IIae q. 40 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Scrive S. Agostino: "Se la religione cristiana condannasse totalmente le guerre, nel Vangelo, ai soldati che chiedevano un consiglio di salvezza, si sarebbe dato quello di abbandonare le armi, e di fuggire la milizia. Invece fu loro detto: "Non fate violenze a nessuno; contentatevi della vostra paga". Perciò non viene proibito il mestiere del soldato a coloro che viene comandato di contentarsi della paga".

[40641] IIª-IIae q. 40 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod ad hoc quod aliquod bellum sit iustum, tria requiruntur. Primo quidem, auctoritas principis, cuius mandato bellum est gerendum. Non enim pertinet ad personam privatam bellum movere, quia potest ius suum in iudicio superioris prosequi. Similiter etiam quia convocare multitudinem, quod in bellis oportet fieri, non pertinet ad privatam personam. Cum autem cura reipublicae commissa sit principibus, ad eos pertinet rem publicam civitatis vel regni seu provinciae sibi subditae tueri. Et sicut licite defendunt eam materiali gladio contra interiores quidem perturbatores, dum malefactores puniunt, secundum illud apostoli, ad Rom. XIII, non sine causa gladium portat, minister enim Dei est, vindex in iram ei qui male agit; ita etiam gladio bellico ad eos pertinet rempublicam tueri ab exterioribus hostibus. Unde et principibus dicitur in Psalm., eripite pauperem, et egenum de manu peccatoris liberate. Unde Augustinus dicit, contra Faust., ordo naturalis, mortalium paci accommodatus, hoc poscit, ut suscipiendi belli auctoritas atque consilium penes principes sit. Secundo, requiritur causa iusta, ut scilicet illi qui impugnantur propter aliquam culpam impugnationem mereantur. Unde Augustinus dicit, in libro quaest., iusta bella solent definiri quae ulciscuntur iniurias, si gens vel civitas plectenda est quae vel vindicare neglexerit quod a suis improbe factum est, vel reddere quod per iniuriam ablatum est. Tertio, requiritur ut sit intentio bellantium recta, qua scilicet intenditur vel ut bonum promoveatur, vel ut malum vitetur. Unde Augustinus, in libro de verbis Dom., apud veros Dei cultores etiam illa bella pacata sunt quae non cupiditate aut crudelitate, sed pacis studio geruntur, ut mali coerceantur et boni subleventur. Potest autem contingere quod etiam si sit legitima auctoritas indicentis bellum et causa iusta, nihilominus propter pravam intentionem bellum reddatur illicitum. Dicit enim Augustinus, in libro contra Faust., nocendi cupiditas, ulciscendi crudelitas, implacatus et implacabilis animus, feritas rebellandi, libido dominandi, et si qua sunt similia, haec sunt quae in bellis iure culpantur.

 

[40641] IIª-IIae q. 40 a. 1 co.
RISPONDO: Perché una guerra sia giusta si richiedono tre cose. Primo, l'autorità del principe, per ordine del quale deve essere proclamata. Infatti una persona privata non ha il potere di fare la guerra: poiché essa può difendere il proprio diritto ricorrendo al giudizio del suo superiore. E anche perché non appartiene ad una persona privata raccogliere la moltitudine, cosa che è indispensabile nelle guerre. E siccome la cura della cosa pubblica è riservata ai principi, spetta ad essi difendere lo stato della città, del regno o della provincia cui presiedono. E come lo difendono lecitamente con la spada contro i perturbatori interni, col punire i malfattori, secondo le parole dell'Apostolo: "Non porta la spada inutilmente: ché è ministro di Dio e vindice nell'ira divina per chi fa il male"; così spetta ad essi difendere lo stato dai nemici esterni con la spada di guerra. Ecco perché ai principi vien detto nei Salmi: "Salvate il poverello, e il mendico dalle mani dell'empio liberate". E S. Agostino scrive: "L'ordine naturale, indicato per la pace dei mortali, esige che risieda presso i principi l'autorità e la deliberazione di ricorrere alla guerra".
Secondo, si richiede una causa giusta: e cioè una colpa da parte di coloro contro cui si fa la guerra. Scrive perciò S. Agostino: "Si sogliono definire giuste le guerre che vendicano delle ingiustizie: e cioè nel caso che si tratti di debellare un popolo, o una città, che han trascurato di punire le malefatte dei loro sudditi, o di rendere ciò che era stato tolto ingiustamente".
Terzo, si richiede che l'intenzione di chi combatte sia retta: e cioè che si miri a promuovere il bene e ad evitare il male. Ecco perciò quanto scrive S. Agostino: "Presso i veri adoratori di Dio son pacifiche anche le guerre, le quali non si fanno per cupidigia o per crudeltà, ma per amore della pace, ossia per reprimere i malvagi e per soccorrere i buoni". Infatti può capitare che, pur essendo giusta la causa e legittima l'autorità di chi dichiara la guerra, tuttavia la guerra sia resa illecita da una cattiva intenzione. Dice perciò S. Agostino: "La brama di nuocere, la crudeltà nel vendicarsi, lo sdegno implacabile, la ferocia nel guerreggiare, la smania di sopraffare, e altre cose del genere sono giustamente riprovate nella guerra".

[40642] IIª-IIae q. 40 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut Augustinus dicit, in II Lib. contra Manich., ille accipit gladium qui, nulla superiori aut legitima potestate aut iubente vel concedente, in sanguinem alicuius armatur. Qui vero ex auctoritate principis vel iudicis, si sit persona privata; vel ex zelo iustitiae, quasi ex auctoritate Dei, si sit persona publica, gladio utitur, non ipse accipit gladium, sed ab alio sibi commisso utitur. Unde ei poena non debetur. Nec tamen illi etiam qui cum peccato gladio utuntur semper gladio occiduntur. Sed ipso suo gladio semper pereunt, quia pro peccato gladii aeternaliter puniuntur, nisi poeniteant.

 

[40642] IIª-IIae q. 40 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come dice S. Agostino; "prende la spada colui che si arma contro il sangue di qualcuno, senza il comando o il permesso di nessun potere legittimo e superiore". Chi invece usa la spada con l'autorità del principe o del giudice, se è una persona privata, oppure per zelo della giustizia, e quindi con l'autorità di Dio, se è una persona pubblica, non prende da se stesso la spada, ma ne usa per incarico di altri. E quindi, non merita una pena. - Tuttavia anche quelli che usano la spada in modo peccaminoso non sempre sono uccisi di spada. Essi però periscono sempre con la loro spada; perché se non si pentono sono puniti del peccato di spada per tutta l'eternità.

[40643] IIª-IIae q. 40 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod huiusmodi praecepta, sicut Augustinus dicit, in libro de Serm. Dom. in monte, semper sunt servanda in praeparatione animi, ut scilicet semper homo sit paratus non resistere vel non se defendere si opus fuerit. Sed quandoque est aliter agendum propter commune bonum, et etiam illorum cum quibus pugnatur. Unde Augustinus dicit, in Epist. ad Marcellinum, agenda sunt multa etiam cum invitis benigna quadam asperitate plectendis. Nam cui licentia iniquitatis eripitur, utiliter vincitur, quoniam nihil est infelicius felicitate peccantium, qua poenalis nutritur impunitas, et mala voluntas, velut hostis interior, roboratur.

 

[40643] IIª-IIae q. 40 a. 1 ad 2
2. Come nota S. Agostino, tali precetti devono essere osservati sempre con le disposizioni interne: in modo cioè, che uno sia sempre disposto a non resistere, o a non difendersi, quando ciò fosse doveroso. Ma talora bisogna agire diversamente per il bene comune, e per il bene stesso di quelli contro cui si combatte. S. Agostino infatti scriveva: "Spesso bisogna adoperarsi non poco presso gli avversari per piegarli con benevola asprezza. Infatti per colui al quale viene tolta la libertà di peccare è un bene essere sconfitto: poiché niente è più infelice della felicità di chi pecca, la quale accresce un'iniquità degna di pena, mentre la cattiva volontà si rafforza come un nemico domestico".

[40644] IIª-IIae q. 40 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod etiam illi qui iusta bella gerunt pacem intendunt. Et ita paci non contrariantur nisi malae, quam dominus non venit mittere in terram, ut dicitur Matth. X. Unde Augustinus dicit, ad Bonifacium, non quaeritur pax ut bellum exerceatur, sed bellum geritur ut pax acquiratur. Esto ergo bellando pacificus, ut eos quos expugnas ad pacis utilitatem vincendo perducas.

 

[40644] IIª-IIae q. 40 a. 1 ad 3
3. Quelli che fanno delle guerre giuste hanno di mira la pace. Perciò essi sono contrari solo alla pace cattiva, che il Signore "non è venuto a portare sulla terra", come dice il Vangelo. Scriveva S. Agostino a Bonifacio: "Non si cerca la pace per fare la guerra; ma si fa la guerra per avere la pace. Sii dunque pacifico nel guerreggiare, per indurre con la vittoria al bene della pace coloro che devi combattere".

[40645] IIª-IIae q. 40 a. 1 ad 4
Ad quartum dicendum quod exercitia hominum ad res bellicas non sunt universaliter prohibita, sed inordinata exercitia et periculosa, ex quibus occisiones et depraedationes proveniunt. Apud antiquos autem exercitationes ad bella sine huiusmodi periculis erant, et ideo vocabantur meditationes armorum, vel bella sine sanguine, ut per Hieronymum patet, in quadam epistola.

 

[40645] IIª-IIae q. 40 a. 1 ad 4
4. Gli esercizi di guerra non sono proibiti tutti, ma solo quelli disordinati e pericolosi, che portano ad uccidere e a depredare. Invece presso gli antichi le esercitazioni di guerra erano scevre di codesti pericoli: perciò esse venivano chiamate "preparazioni di armi", oppure "guerre incruente", come risulta da una lettera di San Girolamo.




Seconda parte > Le azioni umane > La carità > La guerra > Se ai chierici e ai vescovi sia lecito combattere


Secunda pars secundae partis
Quaestio 40
Articulus 2

[40646] IIª-IIae q. 40 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod clericis et episcopis liceat pugnare. Bella enim intantum sunt licita et iusta, sicut dictum est, inquantum tuentur pauperes et totam rempublicam ab hostium iniuriis. Sed hoc maxime videtur ad praelatos pertinere, dicit enim Gregorius, in quadam homilia, lupus super oves venit, cum quilibet iniustus et raptor fideles quosque atque humiles opprimit. Sed is qui pastor videbatur esse et non erat, relinquit oves et fugit, quia dum sibi ab eo periculum metuit, resistere eius iniustitiae non praesumit. Ergo praelatis et clericis licitum est pugnare.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 40
Articolo 2

[40646] IIª-IIae q. 40 a. 2 arg. 1
SEMBRA che ai chierici e ai vescovi sia lecito combattere. Infatti:
1. Le guerre, come abbiamo detto, in tanto sono lecite e giuste, in quanto difendono i poveri e tutto lo stato dai soprusi dei nemici. Ma questo sembra essere compito speciale dei prelati, come dice San Gregorio in un'omelia: "Le pecore sono visitate dal lupo, quando un iniquo e un rapinatore qualsiasi opprime alcuni dei fedeli e degli umili. Ma colui che sembrava pastore, e non lo era, abbandona le pecore e fugge: perché temendone un pericolo per sé, non osa resistere alla sua ingiustizia". Dunque ai prelati e ai chierici è lecito combattere.

[40647] IIª-IIae q. 40 a. 2 arg. 2
Praeterea, XXIII, qu. VIII, Leo Papa scribit, cum saepe adversa a Saracenorum partibus pervenerint nuntia, quidam in Romanorum portum Saracenos clam furtiveque venturos esse dicebant. Pro quo nostrum congregari praecepimus populum, maritimumque ad littus descendere decrevimus. Ergo episcopis licet ad bella procedere.

 

[40647] IIª-IIae q. 40 a. 2 arg. 2
2. Il Papa Leone (IV) scriveva: "Arrivando spesso dalle parti dei Saraceni notizie allarmanti, alcuni affermavano che i Saraceni sarebbero sbarcati di nascosto al porto di Roma, per questo comandammo di adunare il nostro popolo, e di scendere sul lido del mare". Perciò ai vescovi è lecito partecipare alle guerre.

[40648] IIª-IIae q. 40 a. 2 arg. 3
Praeterea, eiusdem rationis esse videtur quod homo aliquid faciat, et quod facienti consentiat, secundum illud Rom. I, non solum digni sunt morte qui faciunt, sed et qui consentiunt facientibus. Maxime autem consentit qui ad aliquid faciendum alios inducit. Licitum autem est episcopis et clericis inducere alios ad bellandum, dicitur enim XXIII, qu. VIII, quod hortatu et precibus Adriani Romanae urbis episcopi, Carolus bellum contra Longobardos suscepit. Ergo etiam eis licet pugnare.

 

[40648] IIª-IIae q. 40 a. 2 arg. 3
3. Ha lo stesso valore morale fare una cosa e approvare chi la fa; poiché sta scritto: "È degno di morte non solo chi fa tali cose, ma anche chi approva quelli che le fanno". Ora, la massima approvazione consiste nell'indurre gli altri a farle. Ma ai vescovi e ai chierici è lecito indurre gli altri a combattere, poiché si legge nei canoni che, "dietro le esortazioni e le preghiere di Adriano, Vescovo della città di Roma, Carlo intraprese la guerra contro i Longobardi". Dunque ad essi è lecito combattere.

[40649] IIª-IIae q. 40 a. 2 arg. 4
Praeterea, illud quod est secundum se honestum et meritorium non est illicitum praelatis et clericis. Sed bellare est quandoque et honestum et meritorium, dicitur enim XXIII, qu. VIII, quod si aliquis pro veritate fidei et salvatione patriae ac defensione Christianorum mortuus fuerit, a Deo caeleste praemium consequetur. Ergo licitum est episcopis et clericis bellare.

 

[40649] IIª-IIae q. 40 a. 2 arg. 4
4. Ciò che in se stesso è onesto e meritorio non può essere illecito ai prelati e ai chierici. Ora, combattere può essere onesto e meritorio: nei canoni infatti si legge, che "se uno muore per la salvezza della patria e per la difesa dei Cristiani avrà da Dio il premio celeste". Perciò ai vescovi e ai chierici è lecito combattere.

[40650] IIª-IIae q. 40 a. 2 s. c.
Sed contra est quod Petro, in persona episcoporum et clericorum, dicitur Matth. XXVI, converte gladium tuum in vaginam. Non ergo licet eis pugnare.

 

[40650] IIª-IIae q. 40 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: A Pietro, che rappresentava i vescovi e i chierici, il Signore disse: "Riponi la tua spada nel fodero". Dunque ad essi non è lecito combattere.

[40651] IIª-IIae q. 40 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod ad bonum societatis humanae plura sunt necessaria. Diversa autem a diversis melius et expeditius aguntur quam ab uno; ut patet per philosophum, in sua politica. Et quaedam negotia sunt adeo sibi repugnantia ut convenienter simul exerceri non possint. Et ideo illis qui maioribus deputantur prohibentur minora, sicut secundum leges humanas militibus, qui deputantur ad exercitia bellica, negotiationes interdicuntur. Bellica autem exercitia maxime repugnant illis officiis quibus episcopi et clerici deputantur, propter duo. Primo quidem, generali ratione, quia bellica exercitia maximas inquietudines habent; unde multum impediunt animum a contemplatione divinorum et laude Dei et oratione pro populo, quae ad officium pertinent clericorum. Et ideo sicut negotiationes, propter hoc quod nimis implicant animum, interdicuntur clericis, ita et bellica exercitia, secundum illud II ad Tim. II, nemo militans Deo implicat se saecularibus negotiis. Secundo, propter specialem rationem. Nam omnes clericorum ordines ordinantur ad altaris ministerium, in quo sub sacramento repraesentatur passio Christi, secundum illud I ad Cor. XI, quotiescumque manducabitis panem hunc et calicem bibetis, mortem domini annuntiabitis, donec veniat. Et ideo non competit eis occidere vel effundere sanguinem, sed magis esse paratos ad propriam sanguinis effusionem pro Christo, ut imitentur opere quod gerunt ministerio. Et propter hoc est institutum ut effundentes sanguinem, etiam sine peccato, sint irregulares. Nulli autem qui est deputatus ad aliquod officium licet id per quod suo officio incongruus redditur. Unde clericis omnino non licet bella gerere, quae ordinantur ad sanguinis effusionem.

 

[40651] IIª-IIae q. 40 a. 2 co.
RISPONDO: Il bene dell'umana società richiede molte cose. Ora, mansioni diverse sono esercitate meglio e più agevolmente da persone diverse che da una sola, come spiega il Filosofo nella sua Politica. E alcune mansioni sono così incompatibili fra loro, da non potersi esercitare come si conviene simultaneamente. Perciò a coloro che sono incaricati di quelle più alte vengono proibite le mansioni più umili: secondo le leggi umane, p. es., ai soldati, che sono destinati agli esercizi guerreschi, viene proibita la mercatura. Ma gli esercizi guerreschi per due motivi sono quanto mai incompatibili con gli uffici dei vescovi e dei chierici. Primo, per un motivo generale: perché gli esercizi guerreschi implicano gravissimi turbamenti; e quindi distolgono troppo l'animo dalla contemplazione delle cose divine, dalla lode di Dio e dalla preghiera per il popolo, che sono uffici propri dei chierici. Perciò, come è proibita ai chierici la mercatura, perché assorbe troppo l'animo, così è loro interdetto l'esercizio delle armi, in base all'ammonimento di S. Paolo: "Nessuno che militi per Dio s'immischia nei negozi del secolo".
Secondo, per un motivo speciale. Tutti gli ordini sacri infatti sono ordinati al servizio dell'altare, in cui si rappresenta sacramentalmente la passione di Cristo, come dice S. Paolo: "Quante volte voi mangiate questo pane e bevete questo calice, voi rammenterete l'annunzio della morte del Signore, fino a che egli venga". Perciò ai chierici non si addice uccidere, o spargere sangue; ma essere pronti piuttosto a spargere il proprio sangue per Cristo, onde imitare con i fatti ciò che compiono nel sacro ministero. Ecco perché fu stabilito che coloro i quali, anche senza peccato, spargono il sangue contraggano irregolarità. Ora, a chiunque abbia un ufficio è illecito ciò che lo rende incapace di esercitarlo. Perciò ai chierici è assolutamente illecito prender parte alla guerra, che è ordinata allo spargimento del sangue.

[40652] IIª-IIae q. 40 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod praelati debent resistere non solum lupis qui spiritualiter interficiunt gregem, sed etiam raptoribus et tyrannis qui corporaliter vexant, non autem materialibus armis in propria persona utendo, sed spiritualibus; secundum illud apostoli, II ad Cor. X, arma militiae nostrae non sunt carnalia, sed spiritualia. Quae quidem sunt salubres admonitiones, devotae orationes, contra pertinaces excommunicationis sententia.

 

[40652] IIª-IIae q. 40 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. I prelati devono resistere non soltanto ai lupi che uccidono il gregge spiritualmente, ma anche ai rapinatori e ai tiranni che l'opprimono materialmente: però non con le armi materiali usandone personalmente, ma con quelle spirituali, secondo le parole dell'Apostolo: "Le armi della nostra milizia non sono carnali, ma spirituali". Esse cioè consistono in salutari ammonizioni, devote preghiere, e, contro gli ostinati, in sentenze di scomunica.

[40653] IIª-IIae q. 40 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod praelati et clerici, ex auctoritate superioris, possunt interesse bellis, non quidem ut ipsi propria manu pugnent, sed ut iuste pugnantibus spiritualiter subveniant suis exhortationibus et absolutionibus et aliis huiusmodi spiritualibus subventionibus. Sicut et in veteri lege mandabatur, Ios. VI, quod sacerdotes sacris tubis in bellis clangerent. Et ad hoc primo fuit concessum quod episcopi vel clerici ad bella procederent. Quod autem aliqui propria manu pugnent, abusionis est.

 

[40653] IIª-IIae q. 40 a. 2 ad 2
2. I prelati e i chierici possono partecipare alle guerre, col permesso dei superiori, non per combattere con le proprie mani, ma per assistere spiritualmente con le esortazioni, le assoluzioni e altri soccorsi spirituali i combattenti. Del resto anche nell'antica legge era prescritto che i sacerdoti nella battaglia suonassero le trombe. E per questo fu concesso originariamente ai vescovi e ai chierici di prendere parte alla guerra. Il fatto che poi alcuni combattano personalmente è un abuso.

[40654] IIª-IIae q. 40 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut supra habitum est, omnis potentia vel ars vel virtus ad quam pertinet finis habet disponere de his quae sunt ad finem. Bella autem carnalia in populo fideli sunt referenda, sicut ad finem, ad bonum spirituale divinum, cui clerici deputantur. Et ideo ad clericos pertinet disponere et inducere alios ad bellandum bella iusta. Non enim interdicitur eis bellare quia peccatum sit, sed quia tale exercitium eorum personae non congruit.

 

[40654] IIª-IIae q. 40 a. 2 ad 3
3. Come già si disse, qualsiasi potenza, arte, o virtù che abbia per oggetto il fine, deve regolare i mezzi ad esso ordinati. Ora, le guerre nel popolo cristiano devono avere come fine il bene spirituale e divino al quale i chierici sono deputati. Perciò spetta ai chierici disporre ed esortare gli altri a combattere le guerre giuste. Infatti è loro proibito di combattere, non perché è peccato; ma perché codesta funzione non si addice alla loro persona.

[40655] IIª-IIae q. 40 a. 2 ad 4
Ad quartum dicendum quod, licet exercere bella iusta sit meritorium, tamen illicitum redditur clericis propter hoc quod sunt ad opera magis meritoria deputati. Sicut matrimonialis actus potest esse meritorius, et tamen virginitatem voventibus damnabilis redditur, propter obligationem eorum ad maius bonum.

 

[40655] IIª-IIae q. 40 a. 2 ad 4
4. Sebbene combattere una guerra giusta sia meritorio; non è permesso ai chierici perché essi sono incaricati di opere ancora più meritorie. L'atto del matrimonio, p. es., può essere meritorio, e tuttavia esso è riprovevole in coloro che hanno fatto voto di verginità, dato che essi si sono obbligati a un bene maggiore.




Seconda parte > Le azioni umane > La carità > La guerra > Se nelle guerre si possano usare le imboscate


Secunda pars secundae partis
Quaestio 40
Articulus 3

[40656] IIª-IIae q. 40 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod non sit licitum in bellis uti insidiis. Dicitur enim Deut. XVI, iuste quod iustum est exequeris. Sed insidiae, cum sint fraudes quaedam, videntur ad iniustitiam pertinere. Ergo non est utendum insidiis etiam in bellis iustis.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 40
Articolo 3

[40656] IIª-IIae q. 40 a. 3 arg. 1
SEMBRA che nelle guerre non si possano usare imboscate. Infatti:
1. Nel Deuteronomio si legge: "Tu compirai con giustizia ciò che è giusto". Ma le imboscate, essendo delle frodi, sembra che appartengano all'ingiustizia. Perciò nelle guerre, anche se giuste, non si devono usare imboscate.

[40657] IIª-IIae q. 40 a. 3 arg. 2
Praeterea, insidiae et fraudes fidelitati videntur opponi, sicut et mendacia. Sed quia ad omnes fidem debemus servare, nulli homini est mentiendum; ut patet per Augustinum, in libro contra mendacium. Cum ergo fides hosti servanda sit, ut Augustinus dicit, ad Bonifacium, videtur quod non sit contra hostes insidiis utendum.

 

[40657] IIª-IIae q. 40 a. 3 arg. 2
2. Imboscate e frodi si contrappongono, come le bugie alla fedeltà. Ora, siccome siamo tenuti a non mancare di fedeltà a nessuno, non dobbiamo dir bugie a nessuno, come insegna S. Agostino. E poiché, a detta dello stesso Santo, anche "ai nemici si deve fedeltà", sembra che non si debbano usare imboscate contro i nemici.

[40658] IIª-IIae q. 40 a. 3 arg. 3
Praeterea, Matth. VII dicitur, quae vultis ut faciant vobis homines, et vos facite illis, et hoc est observandum ad omnes proximos. Inimici autem sunt proximi. Cum ergo nullus sibi velit insidias vel fraudes parari, videtur quod nullus ex insidiis debeat gerere bella.

 

[40658] IIª-IIae q. 40 a. 3 arg. 3
3. Sta scritto: "Fate agli altri tutto ciò che volete che gli altri facciano a voi"; e questo si deve osservare verso tutti i prossimi. Ora, anche i nemici sono i nostri prossimi. Perciò, siccome nessuno desidera che gli si prepari un'imboscata, o un inganno, è chiaro che nessuno deve fare la guerra ricorrendo alle imboscate.

[40659] IIª-IIae q. 40 a. 3 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro quaest., cum iustum bellum suscipitur, utrum aperte pugnet aliquis an ex insidiis, nihil ad iustitiam interest. Et hoc probat auctoritate domini, qui mandavit Iosue ut insidias poneret habitatoribus civitatis hai, ut habetur Ios. VIII.

 

[40659] IIª-IIae q. 40 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino afferma: "Quando s'intraprende una guerra giusta, non interessa nulla per la giustizia, che uno combatta apertamente o con imboscate". E lo dimostra con l'autorità del Signore, il quale comandò a Giosuè di preparare un'imboscata agli abitanti di Ai.

[40660] IIª-IIae q. 40 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod insidiae ordinantur ad fallendum hostes. Dupliciter autem aliquis potest falli ex facto vel dicto alterius uno modo, ex eo quod ei dicitur falsum, vel non servatur promissum. Et istud semper est illicitum. Et hoc modo nullus debet hostes fallere, sunt enim quaedam iura bellorum et foedera etiam inter ipsos hostes servanda, ut Ambrosius dicit, in libro de officiis. Alio modo potest aliquis falli ex dicto vel facto nostro, quia ei propositum aut intellectum non aperimus. Hoc autem semper facere non tenemur, quia etiam in doctrina sacra multa sunt occultanda, maxime infidelibus, ne irrideant, secundum illud Matth. VII, nolite sanctum dare canibus. Unde multo magis ea quae ad impugnandum inimicos paramus sunt eis occultanda. Unde inter cetera documenta rei militaris hoc praecipue ponitur de occultandis consiliis ne ad hostes perveniant; ut patet in libro stratagematum Frontini. Et talis occultatio pertinet ad rationem insidiarum quibus licitum est uti in bellis iustis. Nec proprie huiusmodi insidiae vocantur fraudes; nec iustitiae repugnant; nec ordinatae voluntati, esset enim inordinata voluntas si aliquis vellet nihil sibi ab aliis occultari.

 

[40660] IIª-IIae q. 40 a. 3 co.
RISPONDO: Un'imboscata è ordinata ad ingannare i nemici. Ora, uno può essere ingannato dal comportamento delle parole di un altro in due maniere. Primo, per il fatto che gli viene detto il falso, oppure si manca alla promessa. E questo è sempre illecito. Quindi nessuno deve ingannare i nemici in questo modo: infatti, come dice S. Ambrogio, anche tra nemici si devono rispettare i patti e certe norme di guerra. Secondo, uno può essere ingannato dal nostro parlare, o dal nostro agire, perché noi non gli mostriamo il nostro proposito e le nostre idee. Ora, non sempre siamo tenuti a questo: poiché anche nell'insegnamento sacro diverse cose si devono nascondere, specialmente agli increduli, perché non se ne ridano, come dice il Vangelo: "Non vogliate dar le cose sante ai cani". Perciò a maggior ragione si devono nascondere al nemico i preparativi per combatterlo. Quindi tra tutte le altre norme dell'arte militare si mette al primo posto la precauzione di tener segrete le decisioni perché non arrivino al nemico, come si rileva dal libro di Frontino. E codesta segretezza costituisce le imboscate, di cui è lecito servirsi nelle guerre giuste. - E propriamente queste imboscate non possono chiamarsi inganni; non sono in contrasto con la giustizia; e neppure col retto volere: infatti sarebbe disordinato il volere di uno il quale pretendesse che gli altri non gli nascondessero nulla.

[40661] IIª-IIae q. 40 a. 3 ad arg.
Et per hoc patet responsio ad obiecta.

 

[40661] IIª-IIae q. 40 a. 3 ad arg.
Sono così risolte anche le difficoltà.




Seconda parte > Le azioni umane > La carità > La guerra > Se sia lecito combattere nei giorni festivi


Secunda pars secundae partis
Quaestio 40
Articulus 4

[40662] IIª-IIae q. 40 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod in diebus festis non liceat bellare. Festa enim sunt ordinata ad vacandum divinis, unde intelliguntur per observationem sabbati, quae praecipitur Exod. XX; sabbatum enim interpretatur requies. Sed bella maximam inquietudinem habent. Ergo nullo modo est in diebus festis pugnandum.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 40
Articolo 4

[40662] IIª-IIae q. 40 a. 4 arg. 1
SEMBRA che non sia lecito combattere nei giorni festivi. Infatti:
1. Le feste sono destinate ad occuparsi delle cose di Dio: ecco perché sono incluse nell'osservanza del riposo sabbatico, imposta da Dio nell'Esodo; sabato infatti significa riposo. Ora, le guerre implicano le più gravi agitazioni. Dunque in nessun modo si può combattere nei giorni di festa.

[40663] IIª-IIae q. 40 a. 4 arg. 2
Praeterea, Isaiae LVIII reprehenduntur quidam quod in diebus ieiunii repetunt debita et committunt lites, pugno percutientes. Ergo multo magis in diebus festis illicitum est bellare.

 

[40663] IIª-IIae q. 40 a. 4 arg. 2
2. In Isaia vengono ripresi alcuni, perché nei giorni di digiuno "esigevano i debiti dai debitori, si davano alle liti, e venivano ai pugni". A maggior ragione, quindi, nei giorni festivi è proibito combattere.

[40664] IIª-IIae q. 40 a. 4 arg. 3
Praeterea, nihil est inordinate agendum ad vitandum incommodum temporale. Sed bellare in die festo, hoc videtur esse secundum se inordinatum. Ergo pro nulla necessitate temporalis incommodi vitandi debet aliquis in die festo bellare.

 

[40664] IIª-IIae q. 40 a. 4 arg. 3
3. Non si deve mai fare un'azione disordinata, per evitare un danno temporale. Ora, combattere in giorno di festa di suo è un'azione disordinata. Quindi uno non deve combattere in un giorno di festa, per la necessità di evitare un danno temporale.

[40665] IIª-IIae q. 40 a. 4 s. c.
Sed contra est quod I Machab. II dicitur, cogitaverunt laudabiliter Iudaei, dicentes, omnis homo quicumque venerit ad nos in bello in die sabbatorum, pugnemus adversus eum.

 

[40665] IIª-IIae q. 40 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Nel Libro dei Maccabei si legge, che i "Giudei a ragione fecero questo proposito dicendo: "Venga chiunque ad assalirci in giorno di sabato, e noi combatteremo con lui"".

[40666] IIª-IIae q. 40 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod observatio festorum non impedit ea quae ordinantur ad hominis salutem etiam corporalem. Unde dominus arguit Iudaeos, dicens, Ioan. VII, mihi indignamini quia totum hominem salvum feci in sabbato? Et inde est quod medici licite possunt medicari homines in die festo. Multo autem magis est conservanda salus reipublicae, per quam impediuntur occisiones plurimorum et innumera mala et temporalia et spiritualia, quam salus corporalis unius hominis. Et ideo pro tuitione reipublicae fidelium licitum est iusta bella exercere in diebus festis, si tamen hoc necessitas exposcat, hoc enim esset tentare Deum, si quis, imminente tali necessitate, a bello vellet abstinere. Sed necessitate cessante, non est licitum bellare in diebus festis, propter rationes inductas.

 

[40666] IIª-IIae q. 40 a. 4 co.
RISPONDO: L'osservanza delle feste non impedisce le cose che sono ordinate alla salvezza anche fisica dell'uomo. Tanto è vero che il Signore rimproverava i Giudei col dire: "Come fate a sdegnarvi contro di me, perché di sabato ho guarito tutto intero un uomo?". Ecco perché i medici possono curare la gente in giorno di festa. Ora, con maggiore impegno si deve promuovere la salvezza della patria, con la quale si impediscono uccisioni molteplici e innumerevoli danni temporali e spirituali, che la salute corporale di un uomo. Perciò per la salvezza della patria è lecito ai fedeli combattere le guerre giuste nei giorni di festa, se però la necessità lo richiede: infatti, trovandosi in tale necessità, sarebbe un tentare Dio astenersi dal combattere. Ma se la necessità viene a mancare, non è lecito combattere nei giorni festivi, per i motivi indicati.

[40667] IIª-IIae q. 40 a. 4 ad arg.
Et per hoc patet responsio ad obiecta.

 

[40667] IIª-IIae q. 40 a. 4 ad arg.
Sono così risolte anche le difficoltà.

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