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Se l’aureola sia dovuta ai martiri
Supplemento
Questione 96
Articolo 6
SEMBRA che l'aureola non sia dovuta ai martiri. Infatti:
1. L'aureola è un premio dato alle opere supererogatorie; cosicché S. Beda, a commento di quel testo dell'esodo, "farai un'altra corona, ecc.", afferma: "Ciò si può applicare al premio di coloro che ai precetti comuni per tutti aggiungono spontaneamente le pratiche di una vita più perfetta". Ora, morire per confessare la fede spesso è opera necessaria e non supererogatoria, come risulta da quelle parole di S. Paolo: "Col cuore si crede alla giustizia, ma è la confessione che si fa con la bocca a raggiungere la salvezza". Dunque per il martirio non sempre è dovuta l'aureola.
2. Secondo S. Gregorio, "i servizi quanto più sono liberi, tanto più sono graditi". Ora, il martirio presenta il minimo di libertà, essendo una pena inflitta da altri. Perciò l'aureola, che viene corrisposta per un merito eccellente, non è dovuta al martirio.
3. Il martirio si ha non soltanto nell'esterna accettazione della morte, ma anche nell'atto interiore della volontà. Infatti S. Bernardo distingue tre generi di martiri: martiri di volontà ma non di morte, come S. Giovanni; di volontà e di morte, come S. Stefano; di morte ma non di volontà, come i Santi Innocenti. Perciò se per il martirio fosse dovuta l'aureola, spetterebbe soprattutto al martirio di volontà, poiché il merito procede dalla volontà. Ma questo nessuno lo sostiene. Dunque l'aureola non è dovuta al martirio.
4. L'afflizione del corpo è meno grave di quella dello spirito, provocata dalle, sofferenze ulteriori e dalle passioni dell'anima. Ma l'afflizione interiore è anch'essa un martirio, come accenna S. Girolamo nel discorso sull'Assunzione [di Maria]: "Io posso dire con ragione che la Vergine madre di Dio è stata martire, sebbene abbia finito in pace la sua vita. Poiché "La sua anima fu trapassata da una spada"", ossia dal dolore per la morte del Figlio. Perciò siccome l'aureola non viene corrisposta per il dolore interiore, non va corrisposta neppure per quello esterno.
5. Anche la penitenza è una specie di martirio, stando a quelle parole di S. Gregorio: "Sebbene manchi l'occasione della persecuzione, anche la nostra pace ha il suo martirio: infatti senza offrire il collo alla spada, noi uccidiamo nella nostra anima con la spada dello spirito i desideri della carne". Ora, alla penitenza che si concreta in atti esterni non è dovuta l'aureola. Quindi questa non è dovuta neppure al martirio esteriore.
6. L'aureola non può esser dovuta a un atto illecito. Ora, come spiega S. Agostino, a nessuno è lecito suicidarsi. E tuttavia nella Chiesa sono stati esaltati dei martiri, che si sono dati la morte, per sfuggire alla crudeltà dei tiranni, come risulta dalla Storia Ecclesiastica a proposito di alcune donne di Alessandria. Perciò non sempre al martirio è dovuta l'aureola.
7. Talora capita che uno venga ferito per la fede, ma che sopravviva per un certo tempo. È evidente però che costui è un martire. Tuttavia non sembra che gli spetti l'aureola, perché il suo combattimento non è durato fino alla morte. Dunque al martirio non sempre è dovuta l'aureola.
8. Alcuni soffrono di più per la perdita dei beni temporali, che per le sofferenze del proprio corpo: e lo dimostra il fatto che affrontano tanti disagi por l'acquisto delle ricchezze. Perciò se costoro perdono per Cristo i beni temporali, sono evidentemente dei martiri. E tuttavia non sembra che loro sia dovuta l'aureola. Di qui la conclusione precedente.
9. Martire sembra essere soltanto colui che viene ucciso per la fede. Di qui le parole di S. Isidoro; "Il termine greco martiri in latino suona testimoni, perché costoro hanno sofferto per dare testimonianza a Cristo, e hanno combattuto per la verità fino alla morte". Ma ci sono delle virtù che sono superiori alla fede; p. es., la giustizia e la carità, le quali non possono sussistere senza la grazia. Eppure a queste non è dovuta l'aureola. Perciò l'aureola non è dovuta al martirio.
10. Viene da Dio non solo la verità della fede, ma ogni altra verità; poiché, come dice S. Ambrogio, "ogni verità, da chiunque sia affermata, viene dallo Spirito Santo". Se quindi a chi affronta la morte per una verità di fede è dovuta l'aureola, analogamente è dovuta a coloro che l'affrontano per qualsiasi verità. Ma questo non sembra ammissibile.
11. Il bene comune è superiore al bene particolare. Ma se uno muore in una guerra giusta per la difesa dello stato non ha diritto all'aureola. Quindi non ha diritto ad essa neppure se viene ucciso per la conservazione della fede in se stesso. Di qui la conclusione come sopra.
12. Qualsiasi merito deriva dal libero arbitrio. Ebbene, la Chiesa celebra il martirio di alcuni i quali non avevano il libero arbitrio. Dunque costoro non hanno meritato l'aureola. Quindi l'aureola non è dovuta a tutti i martiri.
IN CONTRARIO: 1. S. Agostino afferma: "Per quanto io sappia nessuno ha osato preferire la verginità al martirio". Ma alla verginità è dovuta l'aureola. Dunque anche al martirio.
2. La corona è dovuta a chi combatte. Ora, nel martirio c'è un combattimento di particolare difficoltà. Quindi spetta ad esso una speciale aureola.
RISPONDO: Come lo spirito lotta contro le concupiscenze inferiori, così l'uomo deve lottare contro le passioni che premono dall'esterno. Perciò come alla vittoria più perfetta con la quale si trionfa delle concupiscenze carnali è dovuta una speciale corona chiamata aureola; così questa è dovuta alla più perfetta vittoria contro le impugnazioni dall'esterno. Ora, per determinare la vittoria più perfetta sulle passioni esteriori si devono considerare due cose. Primo, la gravità della passione. Ebbene, tra tutte le passioni che affliggono dall'esterno occupa il primo posto la morte, come tra le passioni inferiori l'occupa la concupiscenza dei piaceri venerei. Perciò quando uno riporta vittoria sulla morte o sui supplizi che la preparano, si ottiene una vittoria perfettissima.
Secondo, questa perfezione della vittoria dipende dal motivo del combattimento; e cioè dal fatto che si combatte per la causa più onesta, che è Cristo medesimo. Ebbene, queste due cose si riscontrano nel martirio, cioè la morte e la sua accettazione per Cristo: "infatti non è la pena che fa il martire, bensì il motivo di essa". Perciò al martirio è dovuta l'aureola come alla verginità.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Subire la morte per Cristo di suo è un'opera supererogatoria: non tutti infatti sono tenuti a confessare la fede dinanzi al persecutore. Ma in qualche caso ciò è necessario per la salvezza; quando cioè uno è catturato dal persecutore e richiesto della sua fede, è tenuto a confessarla. Ma in tal caso non segue che non meriti l'aureola. Poiché questa è dovuta all'opera non in quanto supererogatoria, ma in quanto singolarmente perfetta. Perciò restando codesta perfezione, anche se cessa l'aspetto supererogatorio, uno merita l'aureola.
2. Al martirio è dovuto un premio non in quanto è inflitto dall'esterno, ma in quanto viene subito volontariamente; poiché noi non possiamo meritare se non con gli atti che sono in noi. E più la cosa subita volontariamente è difficile, e quindi più ripugnante alla volontà, tanto maggiormente la volontà che la subisce per amore di Cristo si mostra più ferma nell'adesione a Cristo, e quindi a lei in modo più eccellente è dovuto un premio.
3. Ci sono degli atti esterni che proprio in quanto tali presentano una particolare violenza nel piacere o nella difficoltà. Ebbene, in codesti casi l'atto esterno aumenta sempre o il merito o il demerito, in quanto nell'atto la volontà subisce una variazione, per la violenza dell'atto. Perciò a parità di condizioni commette un peccato più grave chi compie un atto di lussuria, che colui il quale vi consente solo con la volontà, perché nell'atto stesso la volontà aumenta. Parimente, poiché l'atto esterno del martirio presenta la più grave difficoltà, volere il martirio non raggiunge il merito di esso, dovuto all'atto per la sua difficoltà. Sebbene codesto volere possa raggiungere un premio più alto, considerata la radice del merito; perché uno potrebbe desiderare di subire il martirio con una carità più grande di uno che lo subisce. Perciò chi è martire di volontà o di desiderio col suo volere può meritare un premio essenziale uguale o maggiore a quello dovuto a un martire. Ma l'aureola è dovuta alla difficoltà che si sperimenta nell'agone stesso del martirio. Ecco perché l'aureola non è dovuta a coloro che sono martiri solo di desiderio.
4. Come i piaceri del tatto, oggetto della temperanza occupano il primo posto tra tutti i piaceri sia interni che esterni, così i dolori del tatto superano tutti gli altri dolori. Ecco perché alla difficoltà che s'incontra nel sopportare i dolori del tatto, p. es., le percosse e altre pene consimili, è dovuta l'aureola a preferenza della difficoltà che si prova nel sopportare i dolori interiori. Per questi ultimi uno non può essere denominato martire in senso proprio, ma secondo una certa somiglianza. Ed è in, tal senso che si esprime S. Girolamo.
6. Le afflizioni della penitenza propriamente parlando non sono un martirio, poiché non si tratta di tormenti ordinati a dare la morte, ma solo di mortificazioni ordinate a domare la carne; cosicché se uno passa questa misura le sue penitenze sono colpevoli. Ma si dicono martirio per un certa somiglianza. Ora, codesta penitenza supera il martirio per la durata, ma da esso è superata nell'intensità.
6. Come spiega S. Agostino, a nessuno è lecito suicidarsi per nessun motivo; a meno che ciò non si compia per ispirazione divina quale esempio di fortezza, fino al disprezzo della morte. Ebbene, nei casi accennati dall'obbiezione si crede che il suicidio di quei santi sia stato compiuto per ispirazione divina. Ecco perché la Chiesa commemora il loro martirio.
7. Se uno, ricevuta per fede una ferita mortale, non muore subito, non c'è dubbio che merita l'aureola, com'è evidente nel caso di S. Cecilia, la quale sopravvisse tre giorni, e di molti martiri, che morirono in carcere. — Ma anche se la ferita non è mortale e tuttavia per essa uno incorra la morte, c'è da credere che meriti l'aureola, sebbene alcuni dicano che non la meriti, qualora la morte dipenda dalla propria incuria, o negligenza. Infatti codesta negligenza non l'avrebbe portato alla morte, senza la ferita precedente, ricevuta per la fede; cosicché la ferita suddetta rimane l'occasione prima della morte. Ecco perché non sembra che uno perda l'aureola, a meno che la negligenza sia tanto grave da costituire un peccato mortale, che toglie insieme e la corona e l'aureola. — Se invece in seguito alla ferita mortale uno non muore, o per un caso, oppure perché le ferite non sono mortali, però muore in carcere, merita ancora l'aureola. Ecco perché nella Chiesa viene celebrato il martirio di alcuni santi, i quali morirono in carcere, pur avendo ricevuto delle ferite molto tempo prima, come nel caso di S. Marcello papa.
Perciò comunque la sofferenza per Cristo venga continuata fino alla morte, sia che essa segua o no immediatamente, uno è costituito martire e merita l'aureola. Se invece la violenza non dura sino alla morte, per questo uno non può dirsi martire, come nel caso di S. Silvestro, che la Chiesa non celebra come martire, perché finì la vita tranquillamente, pur avendo in precedenza sofferto dei tormenti.
8. Come la temperanza non riguarda i piaceri procurati dalle ricchezze, dagli onori, e da altre cose del genere ma solo i piaceri del tatto, che sono i principali, così la fortezza riguarda i pericoli di morte, che sono appunto i principali, come si legge in Aristotele. Perciò l'aureola è dovuta solo alle ingiurie che colpiscono il proprio corpo, e a cui è solita seguire la morte. Se uno quindi viene a perdere per Cristo i beni temporali, o la fama, o altre cose del genere, non per questo diventa propriamente un martire, né merita l'aureola.
D'altra parte uno onestamente non può amare i beni esterni più del proprio corpo. E l'amore disordinato non contribuisce al merito dell'aureola. Né il dolore per la perdita dei beni materiali è paragonabile al dolore causato dall'uccisione del corpo e da analoghe sofferenze.
9. Causa adeguata del martirio non è soltanto la confessione della fede, ma qualsiasi altra virtù non politica, ma infusa che abbia Cristo come fine. Infatti uno può diventare testimone di qualsiasi atto di virtù, poiché le opere che Cristo compie in noi sono la testimonianza della sua bontà. È così che alcune vergini furono uccise per la verginità, che esse volevano conservare; p. es., S. Agnese e alcune altre di cui la Chiesa celebra il martirio.
10. La verità della fede ha Cristo come fine e come oggetto. Ecco perché la confessione di essa merita l'aureola, qualora ne segua un castigo, non solo da parte del fine, ma anche da parte della materia. La confessione invece di qualunque altra verità non può essere causa sufficiente per il martirio a motivo della materia, ma solo a motivo del fine: qualora uno, cioè, preferisse essere ucciso per Cristo, piuttosto che peccare contro di lui dicendo una menzogna.
11. Il bene increato sorpassa tutto il bene creato. Quindi qualsiasi fine creato, sia che si tratti del bene comune, sia di quello privato, non può offrire all'altro tanta bontà quanto il fine increato, come quando uno agisce per Dio. Perciò quando uno subisce la morte per il bene comune, senza riferimento a Cristo, non merita l'aureola. Se invece egli lo riferisce a Cristo merita l'aureola ed è martire, qualora cioè subisce la morte nel difendere lo stato dall'assalto di nemici, i quali si propongono di distruggere la fede di Cristo.
12. Alcuni hanno affermato che nei bambini innocenti uccisi per Cristo, per virtù divina fu anticipato l'uso di ragione, come sarebbe avvenuto in S. Giovanni Battista, mentre era ancora nel seno materno. E in tal modo essi sarebbero stati veri martiri, sia con l'atto esterno, che con la volontà, e avrebbero quindi l'aureola.
Altri però affermano che essi furono martiri solo per l'atto esterno, non per la volontà: e questa sembra l'opinione di S. Bernardo, il quale distingue tre generi di martirio, come abbiamo già notato. Stando a questo, gli innocenti come non raggiungono la perfezione del vero martirio, ma ne partecipano qualche aspetto per il fatto che hanno sofferto per Cristo, così sono in possesso dell'aureola, non in modo perfetto, ma per una certa partecipazione; cioè in quanto godono di essere stati uccisi in ossequio a Cristo, analogamente a quanto sopra abbiamo detto per i bambini battezzati, i quali godono della propria innocenza e della propria integrità.
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