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Se sia conveniente ammettere che tre sono le doti dell'anima: visione, dilezione e fruizione
Supplemento
Questione 95
Articolo 5
SEMBRA che non sia conveniente ammettere che tre sono le doti dell'anima, cioè visione, dilezione e fruizione. Infatti:
1. L'anima si unisce a Dio con lo spirito, o mente, in cui c'è l'immagine della Trinità, secondo la memoria, l'intelligenza e la volontà. Ora, la dilezione spetta alla volontà e la visione all'intelligenza. Dunque si deve assegnare qualche cosa che corrisponda alla memoria: poiché la fruizione non appartiene alla memoria, ma piuttosto alla volontà.
2. Le doti della beatitudine si dice che corrispondono alle virtù con le quali ci uniamo a Dio in questa vita, ossia alla fede, alla speranza e alla carità, che hanno Dio stesso per oggetto. Ebbene, la dilezione corrisponde alla carità e la visione alla fede. Perciò si deve ammettere qualche cosa che corrisponda alla speranza: poiché la fruizione spetta piuttosto alla carità.
3. Di Dio non possiamo fruire se non con la dilezione e la visione: diciamo infatti che noi abbiamo la fruizione di quelle cose che amiamo per se stesse, come spiega S. Agostino. Dunque la fruizione come dote non va distinta dalla dilezione.
4. Per la perfezione della beatitudine si richiede la comprensione, come accennano le parole di S. Paolo: "Correte in modo da poter comprendere, o conseguire". Quindi si deve aggiungere una quarta dote.
5. S. Anselmo a scrive che alla beatitudine dell'anima appartengono: "sapienza, amicizia, concordia, potere, onore, sicurezza e godimento". Da ciò risulta che le doti predette non sono elencate a dovere.
6. S. Agostino afferma, che Dio in quella beatitudine "sarà veduto senza fine, sarà amato senza sazietà, sarà lodato senza stanchezza". Dunque alle doti suddette deve aggiungersi la lode.
7. Boezio elenca cinque requisiti per la beatitudine: la sufficienza, che è promessa dalle ricchezze; la contentezza, che è promessa dal piacere; la celebrità, promessa dalla fama; la sicurezza, promessa dalla potenza, il rispetto, promesso dalla dignità. Sembra quindi che siano queste le doti da elencare e non quelle sopra ricordate.
RISPONDO: Tutti ammettono comunemente che tre sono le doti dell'anima, però esse vengono elencate diversamente. Alcuni infatti affermano che le tre doti dell'anima sono la visione, la dilezione e la fruizione; altri che sono invece la visione, la comprensione, e la fruizione; e finalmente, secondo altri, esse sarebbero la visione, il godimento e la comprensione. Però tutti questi elenchi ai riducono alle stesse cose, e identico è il numero assegnato.
Sopra infatti abbiamo detto che la dote è qualcosa di inerente all'anima, per cui essa è ordinata a quell'operazione nella quale consiste la beatitudine. Ebbene, in quest'ultima operazione si richiedono due cose: la sostanza dell'atto stesso, che è la visione, e la perfezione di esso che è il godimento. Infatti la beatitudine dev'essere "un'operazione perfetta". Ora, una visione può essere gradevole per due motivi: primo, da parte dell'oggetto, in quanto ciò che si vede è piacevole; secondo, da parte della visione stessa, in quanto il vedere medesimo è piacevole, cosicché proviamo piacere persino nel conoscere il male, sebbene il male non ci piaccia.
E poiché l'atto finale, in cui consiste l'ultima beatitudine, deve essere perfettissimo, si richiede che quella visione sia gradevole in tutti e due i sensi. E affinché la visione stessa sia piacevole da parte della visione, si richiede che mediante un abito sia diventata connaturale a chi vede; mentre affinché sia piacevole da parte dell'oggetto si richiedono due cose, che l'oggetto sia conforme o conveniente, e che sia unito a chi vede.
Perciò perché la visione sia piacevole in quanto visione, si richiede l'abito che eserciti la funzione del vedere. E così abbiamo la prima dote, che tutti chiamano visione. - Invece da parte dell'oggetto visibile si richiedono due cose. Innanzi tutto la convenienza o conformità, che si ha mediante l'affetto: e per questo alcuni assegnano come dote la dilezione e altri la fruizione, in quanto la fruizione appartiene all'affetto: poiché quanto prediligiamo o amiamo al sommo lo riteniamo convenientissimo. – Inoltre da parte dell'oggetto si richiede l'unione [col soggetto]. E per questo alcuni parlano di comprensione, la quale altro non è che possedere Dio come presente in se stessi: altri invece parlano di fruizione; in quanto la fruizione non è frutto della speranza, come nella vita presente, ma della realtà posseduta, come nella patria beata.
In tal modo le tre doti corrispondono alle tre virtù teologali: la visione alla fede; la comprensione, o la fruizione, secondo una delle spiegazioni, alla speranza; il godimento, o la fruizione secondo l'altra spiegazione, alla carità. Infatti la fruizione perfetta, come si avrà in patria, include sia il godimento che la comprensione. Ecco perché alcuni stanno per l'una e altri stanno per l'altra.
Alcuni poi attribuiscono queste tre doti alle tre potenze dell'anima: la visione alla ragione; la dilezione al concupiscibile; e la fruizione all'irascibile, in quanto tale fruizione è conquistata mediante una vittoria. - Ma questo è un parlare improprio. Perché irascibile e concupiscibile non sono nella parte intellettiva, bensì in quella sensitiva; invece le doti dell'anima sono nella mente [o spirito].
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Memoria e intelligenza non hanno che un'unica operazione: o perché l'intelligenza stessa è l'operazione della memoria; oppure, se per intelligenza s'intende una facoltà, la memoria non si produce in un atto se non mediante l'intelligenza, perché alla memoria spetta solo di conservare le nozioni. Infatti alla memoria e all'intelligenza non corrisponde che un abito, cioè il sapere [notizia]. Perciò all'una e all'altra corrisponde una dote soltanto, cioè la visione.
2. Alla speranza corrisponde la fruizione in quanto include la comprensione, che succederà appunto alla speranza. Infatti ciò che si spera, ancora non si possiede: perciò la speranza dà una certa tristezza per la lontananza dell'amato. Ecco perché essa nella patria viene a cessare e le succede invece la comprensione.
3. La fruizione in quanto include la comprensione si distingue sia dalla visione che dalla dilezione; però diversamente da come la dilezione si distingue dalla visione. Perché dilezione e visione indicano abiti diversi, di cui uno appartiene all'intelletto e l'altro alla volontà. Ma la comprensione, o la fruizione in quanto sta per comprensione, non implica un abito distinto dai due precedenti, ma l'eliminazione di quegli impedimenti dai quali risultava che l'anima non poteva unirsi a Dio come a un oggetto presente. E questo avviene per il fatto che l'abito stesso della gloria libera l'anima da ogni difetto: p. es., facendola capace di conoscere senza i fantasmi, di dominare pienamente sul corpo, e di altre cose simili, che escludono tutti quegli ostacoli, per i quali adesso "noi pellegriniamo lontani da Dio".
4. La quarta difficoltà è stata risolta dalle cose già dette.
5. Propriamente le doti sono i principii immediati di quell'operazione costitutiva della perfetta beatitudine, in cui l'anima si unisce a Cristo. Non così le perfezioni elencate da S. Anselmo: le quali invece sono cose che in qualche modo accompagnano e segnano la beatitudine, non solo in rapporto allo sposo, cui tra le cose enumerate appartiene solo la sapienza, ma anche in rapporto agli altri. In rapporto agli uguali; cui si riferisce l’amicizia per l'unione degli affetti, e la concordia, per l'accordo nell'operare. In rapporto agli inferiori: cui si riferisce il potere, per la facoltà che i superiori hanno di disporre degli inferiori, e l'onore, per l'ossequio che gli inferiori prestano ai superiori. E in rapporto a se stesso: poiché a ciò si riferisce la sicurezza con l'eliminazione del male, e il godimento con il conseguimento del bene.
6. La lode, che S. Agostino mette al terzo posto tra le cose che ci saranno nella patria, non è una disposizione alla beatitudine, bensì una conseguenza di essa: dal momento infatti che l'anima si unisce a Dio, in cui consiste la beatitudine, segue che prorompa nella lode. Perciò la lode non ha l'aspetto di dote.
7. Le cinque cose enumerate da Boezio sono varie condizioni della beatitudine: ma non disposizioni all'atto della beatitudine. Poiché la beatitudine, data la sua perfezione, da sola possiede per se stessa tutto ciò che gli uomini cercano nelle diverse cose, come spiega ripetutamente il Filosofo. Boezio dimostra che nella vera beatitudine quelle cinque cose devono esserci, perché esse sono cercate dagli uomini nella felicità temporale. Esse infatti o rientrano nell'immunità dal male, come la sicurezza; — oppure nel conseguimento del bene: del bene conveniente, nel caso della contentezza; di quello perfetto, nel caso della sufficienza; — oppure rientrano tra le manifestazioni del bene: nel caso della celebrità, in quanto il bene di un individuo viene a conoscenza di molti; e nel caso del rispetto, in quanto vengono prestati i segni di tale conoscenza e di codesto bene; il rispetto infatti consiste nel rendere onore, che è una testimonianza resa alla virtù. Perciò è evidente che queste cinque cose non sono da chiamarsi doti, ma condizioni varie della beatitudine.
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