I, 95

Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Cose concernenti la volontà del primo uomo, cioè la grazia e l'innocenza


Prima pars
Quaestio 95
Prooemium

[32472] Iª q. 95 pr.
Deinde considerandum est de his quae pertinent ad voluntatem primi hominis. Et circa hoc consideranda sunt duo, primo quidem, de gratia et iustitia primi hominis; secundo, de usu iustitiae quantum ad dominium super alia. Circa primum quaeruntur quatuor.
Primo, utrum primus homo creatus fuerit in gratia.
Secundo, utrum in statu innocentiae habuerit animae passiones.
Tertio, utrum habuit virtutes omnes.
Quarto, utrum opera eius fuissent aeque efficacia ad merendum, sicut modo sunt.

 
Prima parte
Questione 95
Proemio

[32472] Iª q. 95 pr.
Dobbiamo ora interessarci di ciò che riguarda la volontà del primo uomo. In proposito si presentano due argomenti: primo, la grazia e l'innocenza del primo uomo; secondo, l'esercizio dell'innocenza rispetto al dominio sugli altri esseri.
Sul primo argomento si pongono quattro quesiti:

1. Se il primo uomo sia stato creato in grazia;
2. Se nello stato di innocenza avesse le passioni dell'anima;
3. Se era dotato di tutte le virtù;
4. Se le sue azioni possedevano uguale efficacia di meritare, come le nostre.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Cose concernenti la volontà del primo uomo, cioè la grazia e l'innocenza > Se il primo uomo sia stato creato in grazia


Prima pars
Quaestio 95
Articulus 1

[32473] Iª q. 95 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod primus homo non fuerit creatus in gratia. Apostolus enim, I Cor. XV, distinguens Adam a Christo, dicit, factus est primus Adam in animam viventem; novissimus autem in spiritum vivificantem. Sed vivificatio spiritus est per gratiam. Ergo hoc est proprium Christi, quod fuerit factus in gratia.

 
Prima parte
Questione 95
Articolo 1

[32473] Iª q. 95 a. 1 arg. 1
SEMBRA che il primo uomo non sia stato creato in grazia. Infatti:
1. L'Apostolo così distingue Adamo da Cristo: "Il primo Adamo fu fatto anima vivente; l'ultimo è spirito vivificante". Ora, lo spirito diviene vivificante mediante la grazia. Dunque soltanto Cristo ebbe il privilegio di essere creato in grazia.

[32474] Iª q. 95 a. 1 arg. 2
Praeterea, Augustinus dicit, in libro de quaestionibus veteris et novi testamenti, quod Adam non habuit spiritum sanctum. Sed quicumque habet gratiam, habet spiritum sanctum. Ergo Adam non fuit creatus in gratia.

 

[32474] Iª q. 95 a. 1 arg. 2
2. S. Agostino scrive che "Adamo non possedeva lo Spirito Santo". Ora, chi ha la grazia possiede lo Spirito Santo. Perciò Adamo non fu creato in grazia.

[32475] Iª q. 95 a. 1 arg. 3
Praeterea, Augustinus dicit, in libro de correptione et gratia, quod Deus sic ordinavit Angelorum et hominum vitam, ut prius in eis ostenderet quid posset eorum liberum arbitrium, deinde quid posset suae gratiae beneficium, iustitiaeque iudicium. Primo ergo condidit hominem et Angelum in sola naturali arbitrii libertate, et postmodum eis gratiam contulit.

 

[32475] Iª q. 95 a. 1 arg. 3
3. Altrove S. Agostino fa osservare che "Dio volle disporre la vita degli Angeli e degli uomini in maniera da mostrare prima quello che in essi poteva il libero arbitrio, e in seguito quello che poteva il beneficio della sua grazia, e il giudizio della sua giustizia". Quindi egli dapprima creò l'uomo e l'angelo nella sola naturale libertà di arbitrio, e in seguito conferì loro la grazia.

[32476] Iª q. 95 a. 1 arg. 4
Praeterea, Magister dicit, in XXIV distinctione libri II Sent., quod homini in creatione datum est auxilium per quod stare poterat, sed non poterat proficere. Quicumque autem habet gratiam, potest proficere per meritum. Ergo primus homo non fuit creatus in gratia.

 

[32476] Iª q. 95 a. 1 arg. 4
4. Il Maestro delle Sentenze afferma che "nella creazione fu dato all'uomo un aiuto sufficiente per non cadere, ma non per progredire". Ora, chiunque ha la grazia, può progredire mediante il merito. Perciò il primo uomo non fu creato in grazia.

[32477] Iª q. 95 a. 1 arg. 5
Praeterea, ad hoc quod aliquis accipiat gratiam, requiritur consensus ex parte recipientis, cum per hoc perficiatur matrimonium quoddam spirituale inter Deum et animam. Sed consensus in gratiam esse non potest nisi prius existentis. Ergo homo non accepit gratiam in primo instanti suae creationis.

 

[32477] Iª q. 95 a. 1 arg. 5
5. Perché si possa ricevere la grazia, è necessario il consenso da parte di chi la riceve: poiché allora si compie una specie di matrimonio spirituale tra Dio e l'anima. Ma il consenso alla grazia suppone che uno già esista. Dunque il primo uomo non fu creato in grazia.

[32478] Iª q. 95 a. 1 arg. 6
Praeterea, natura plus distat a gratia quam gratia a gloria, quae nihil est aliud quam gratia consummata. Sed in homine gratia praecessit gloriam. Ergo multo magis natura praecessit gratiam.

 

[32478] Iª q. 95 a. 1 arg. 6
6. È più distante la natura dalla grazia, che la grazia dalla gloria, la quale non è altro che un coronamento della grazia. Ora, nell'uomo la grazia ha preceduto la gloria. A maggior ragione, dunque, la natura dovette precedere la grazia.

[32479] Iª q. 95 a. 1 s. c.
Sed contra, homo et Angelus aequaliter ordinantur ad gratiam. Sed Angelus est creatus in gratia, dicit enim Augustinus, XII de Civ. Dei, quod Deus simul erat in eis condens naturam et largiens gratiam. Ergo et homo creatus fuit in gratia.

 

[32479] Iª q. 95 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO; L'uomo e l'angelo si trovano nelle medesime condizioni in rapporto alla grazia. Ma l'angelo fu creato in grazia; poiché, al dire di S. Agostino, "Dio simultaneamente produceva in essi, la natura ed elargiva la grazia". Per conseguenza anche l'uomo fu creato in grazia.

[32480] Iª q. 95 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod quidam dicunt quod primus homo non fuit quidem creatus in gratia, sed tamen postmodum gratia fuit sibi collata antequam peccasset, plurimae enim sanctorum auctoritates attestantur hominem in statu innocentiae gratiam habuisse. Sed quod etiam fuerit conditus in gratia, ut alii dicunt, videtur requirere ipsa rectitudo primi status, in qua Deus hominem fecit, secundum illud Eccle. VII, Deus fecit hominem rectum. Erat enim haec rectitudo secundum hoc, quod ratio subdebatur Deo, rationi vero inferiores vires, et animae corpus. Prima autem subiectio erat causa et secundae et tertiae, quandiu enim ratio manebat Deo subiecta, inferiora ei subdebantur, ut Augustinus dicit. Manifestum est autem quod illa subiectio corporis ad animam, et inferiorum virium ad rationem, non erat naturalis, alioquin post peccatum mansisset, cum etiam in Daemonibus data naturalia post peccatum permanserint, ut Dionysius dicit cap. IV de Div. Nom. Unde manifestum est quod et illa prima subiectio, qua ratio Deo subdebatur, non erat solum secundum naturam, sed secundum supernaturale donum gratiae, non enim potest esse quod effectus sit potior quam causa. Unde Augustinus dicit, XIII de Civ. Dei, quod posteaquam praecepti facta transgressio est, confestim, gratia deserente divina, de corporum suorum nuditate confusi sunt, senserunt enim motum inobedientis carnis suae, tanquam reciprocam poenam inobedientiae suae. Ex quo datur intelligi, si deserente gratia soluta est obedientia carnis ad animam, quod per gratiam in anima existentem inferiora ei subdebantur.

 

[32480] Iª q. 95 a. 1 co.
RISPONDO: Alcuni ritengono che il primo uomo, pur non essendo stato creato in grazia, ne ebbe il conferimento prima del peccato. Invero numerosi testi di Santi [Dottori] attribuiscono la grazia all'uomo nello stato di innocenza. - Anzi, come altri pensano, l'integrità stessa di quello stato primitivo, nel quale Dio aveva creato l'uomo, conforme al detto della Scrittura: "Dio fece l'uomo retto", esigeva che questi fosse creato in grazia. Questa integrità infatti consisteva nella subordinazione della ragione a Dio, delle facoltà inferiori alla ragione, e del corpo all'anima. La prima di queste subordinazioni era causa della seconda e della terza; fino a che, infatti, la ragione fosse rimasta subordinata a Dio, anche le facoltà inferiori sarebbero rimaste sottoposte ad essa, come fa osservare S. Agostino. Ora, è evidente che la subordinazione del corpo all'anima e delle facoltà inferiori alla ragione non era dovuta alla natura; altrimenti sarebbe rimasta anche dopo il peccato, poiché le doti naturali sono rimaste anche nei demoni dopo il peccato, come afferma Dionigi. È chiaro quindi che anche la prima subordinazione, cioè la subordinazione della ragione a Dio, non dipendeva esclusivamente dalla natura, ma dal dono soprannaturale della grazia.
Infatti è impossibile che l'effetto sia superiore alla causa. Perciò S. Agostino scrive che, "appena compiuta la trasgressione del precetto, venuta loro a mancare la grazia, si vergognarono della nudità del loro corpo; sentirono infatti il moto della loro carne disobbediente, quale castigo proporzionato alla loro disobbedienza". Da ciò si comprende che, se l'obbedienza della carne allo spirito venne a mancare con la sottrazione della grazia, le facoltà inferiori erano soggette in forza della grazia presente nell'anima.

[32481] Iª q. 95 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod apostolus illa verba inducit ad ostendendum esse corpus spirituale, si est corpus animale, quia vita spiritualis corporis incoepit in Christo, qui est primogenitus ex mortuis, sicut vita corporis animalis incoepit in Adam. Non ergo ex verbis apostoli habetur quod Adam non fuit spiritualis secundum animam; sed quod non fuit spiritualis secundum corpus.

 

[32481] Iª q. 95 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'Apostolo usa quell'espressione per indicare che a un corpo spirituale è contrapposto un corpo animale; infatti la vita spirituale del corpo ha avuto inizio in Cristo, il quale è "il primogenito di tra i morti", come la vita del corpo animale ebbe inizio con Adamo. Perciò dalle parole dell'Apostolo non si può dedurre che Adamo non sia stato spirituale quanto all'anima, ma che non fu spirituale quanto ai corpo.

[32482] Iª q. 95 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod, sicut Augustinus dicit in eodem loco, non negatur quin aliquo modo fuerit in Adam spiritus sanctus, sicut et in aliis iustis, sed quod non sic fuerit in eo, sicut nunc est in fidelibus, qui admittuntur ad perceptionem haereditatis aeternae statim post mortem.

 

[32482] Iª q. 95 a. 1 ad 2
2. Come dice S. Agostino nello stesso libro, non si nega che lo Spirito Santo sia stato presente in qualche modo in Adamo, come negli altri giusti; ma "non era in lui, come ora è nei fedeli", i quali sono ammessi al possesso dell'eredità eterna subito dopo la morte.

[32483] Iª q. 95 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod ex illa auctoritate Augustini non habetur quod Angelus vel homo prius fuerit creatus in naturali libertate arbitrii, quam habuisset gratiam, sed quod prius ostendit quid in eis posset liberum arbitrium ante confirmationem, et quid postmodum consecuti sunt per auxilium gratiae confirmantis.

 

[32483] Iª q. 95 a. 1 ad 3
3. Da quel passo di S. Agostino non si deve concludere che l'angelo e l'uomo siano stati creati nella [sola] naturale libertà di arbitrio, prima di ricevere la grazia; ma che Dio volle mostrare quello che poteva in essi il libero arbitrio prima di essere confermati in grazia, e ciò che in seguito loro apportò la grazia confermante.

[32484] Iª q. 95 a. 1 ad 4
Ad quartum dicendum quod Magister loquitur secundum opinionem illorum qui posuerunt hominem non esse creatum in gratia, sed in naturalibus tantum. Vel potest dici quod, etsi homo fuerit creatus in gratia, non tamen habuit ex creatione naturae quod posset proficere per meritum, sed ex superadditione gratiae.

 

[32484] Iª q. 95 a. 1 ad 4
4. Il Maestro [delle Sentenze] parla secondo l'opinione di coloro, i quali ammettevano che l'uomo non fu creato in grazia, ma solo nello stato di natura. - Si potrebbe anche dire che, sebbene l'uomo sia stato creato in grazia, tuttavia la capacità di merito non gli derivò dalla creazione della sua natura, ma dal sopraggiungere della grazia.

[32485] Iª q. 95 a. 1 ad 5
Ad quintum dicendum quod, cum motus voluntatis non sit continuus, nihil prohibet etiam in primo instanti suae creationis primum hominem gratiae consensisse.

 

[32485] Iª q. 95 a. 1 ad 5
5. Siccome il moto della volontà è istantaneo, niente impedisce che il primo uomo abbia consentito alla grazia anche nel primo istante della sua creazione.

[32486] Iª q. 95 a. 1 ad 6
Ad sextum dicendum quod gloriam meremur per actum gratiae, non autem gratiam per actum naturae. Unde non est similis ratio.

 

[32486] Iª q. 95 a. 1 ad 6
6. Noi meritiamo la gloria operando nello stato di grazia, mentre non possiamo meritare la grazia con un atto di ordine naturale. Perciò l'argomento non regge.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Cose concernenti la volontà del primo uomo, cioè la grazia e l'innocenza > Se nel primo uomo vi erano le passioni dell'anima


Prima pars
Quaestio 95
Articulus 2

[32487] Iª q. 95 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod in primo homine non fuerint animae passiones. Secundum enim passiones animae contingit quod caro concupiscit adversus spiritum. Sed hoc non erat in statu innocentiae. Ergo in statu innocentiae non erant animae passiones.

 
Prima parte
Questione 95
Articolo 2

[32487] Iª q. 95 a. 2 arg. 1
SEMBRA che nel primo uomo non vi fossero le passioni dell'anima. Infatti:
1. Avviene proprio per le passioni dell'anima, che "la carne ha desideri contrari allo spirito". Ma questo non avveniva nello stato di innocenza. Perciò in tale stato non vi erano le passioni dell'anima.

[32488] Iª q. 95 a. 2 arg. 2
Praeterea, anima Adae erat nobilior quam corpus. Sed corpus Adae fuit impassibile. Ergo nec in anima eius fuerunt passiones.

 

[32488] Iª q. 95 a. 2 arg. 2
2. L'anima in Adamo era più nobile del corpo. Eppure il corpo di lui era impassibile. Anche l'anima, dunque, era priva di passioni.

[32489] Iª q. 95 a. 2 arg. 3
Praeterea, per virtutem moralem comprimuntur animae passiones. Sed in Adam fuit virtus moralis perfecta. Ergo totaliter passiones excludebantur ab eo.

 

[32489] Iª q. 95 a. 2 arg. 3
3. Le passioni dell'anima sono represse dalle virtù morali. Ora, in Adamo vi erano le virtù morali in grado perfetto. Quindi le passioni erano in lui totalmente soppresse.

[32490] Iª q. 95 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dicit Augustinus, XIV de Civ. Dei, quod erat in eis amor imperturbatus in Deum, et quaedam aliae animae passiones.

 

[32490] Iª q. 95 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino afferma che esisteva in essi [nei progenitori] un amore imperturbabile verso Dio, e alcune altre passioni dell'anima.

[32491] Iª q. 95 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod passiones animae sunt in appetitu sensuali, cuius obiectum est bonum et malum. Unde omnium passionum animae quaedam ordinantur ad bonum, ut amor et gaudium; quaedam ad malum, ut timor et dolor. Et quia in primo statu nullum malum aderat nec imminebat; nec aliquod bonum aberat, quod cuperet bona voluntas pro tempore illo habendum, ut patet per Augustinum XIV de Civ. Dei, omnes illae passiones quae respiciunt malum, in Adam non erant ut timor et dolor et huiusmodi; similiter nec illae passiones quae respiciunt bonum non habitum et nunc habendum, ut cupiditas aestuans. Illae vero passiones quae possunt esse boni praesentis, ut gaudium et amor; vel quae sunt futuri boni ut suo tempore habendi, ut desiderium et spes non affligens; fuerunt in statu innocentiae. Aliter tamen quam in nobis. Nam in nobis appetitus sensualis, in quo sunt passiones, non totaliter subest rationi, unde passiones quandoque sunt in nobis praevenientes iudicium rationis, et impedientes; quandoque vero ex iudicio rationis consequentes, prout sensualis appetitus aliqualiter rationi obedit. In statu vero innocentiae inferior appetitus erat rationi totaliter subiectus, unde non erant in eo passiones animae, nisi ex rationis iudicio consequentes.

 

[32491] Iª q. 95 a. 2 co.
RISPONDO: Le passioni dell'anima risiedono nell'appetito sensitivo, avente per oggetto il bene e il male. Difatti alcune passioni dell'anima riguardano il bene, come l'amore e la gioia; altre il male, come il timore e il dolore. E siccome in quello stato primitivo non c'era nessun male presente o incombente, e non mancava nessun bene che allora potesse essere desiderato da una volontà retta, come spiega S. Agostino, ne segue che Adamo non aveva le passioni riguardanti il male, quali il timore, il dolore e simili; così pure egli mancava di quelle passioni che riguardano il bene ancora assente, ma prossimo a conseguirsi, p. es., la bramosia ardente. Invece nello stato di innocenza non mancavano le passioni compatibili col bene già presente, come la gioia e l'amore; e neppure quella che riguardano un bene futuro da conseguirsi a suo tempo, quali sono il desiderio e la speranza che non affliggono. La cosa però avveniva in modo diverso che al presente. In noi infatti l'appetito sensitivo, nel quale risiedono le passioni, non è totalmente sottoposto alla ragione; cosicché le nostre passioni talora prevengono e ostacolano il giudizio della ragione, mentre altre volte lo seguono, perché l'appetito sensitivo obbedisce ancora in qualche modo alla ragione. Ma nello stato di innocenza l'appetito inferiore era totalmente sottoposto alla ragione; cosicché allora vi erano soltanto le passioni, che tengono dietro al giudizio della ragione.

[32492] Iª q. 95 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod caro concupiscit adversus spiritum, per hoc quod passiones rationi repugnant, quod in statu innocentiae non erat.

 

[32492] Iª q. 95 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La carne ha desideri contrari allo spirito, per il fatto che [ora] le passioni si oppongono alla ragione; ma ciò non avveniva nello stato di innocenza.

[32493] Iª q. 95 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod corpus humanum in statu innocentiae erat impassibile quantum ad passiones quae removent dispositionem naturalem, ut infra dicetur. Et similiter anima fuit impassibilis quantum ad passiones quae impediunt rationem.

 

[32493] Iª q. 95 a. 2 ad 2
2. Nello stato di innocenza il corpo umano era impassibile rispetto a quelle passioni, che tendono a eliminare le disposizioni naturali, come vedremo. Analogamente l'anima era impassibile rispetto a quelle passioni, che sono di ostacolo alla ragione.

[32494] Iª q. 95 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod perfecta virtus moralis non totaliter tollit passiones, sed ordinat eas, temperati enim est concupiscere sicut oportet, et quae oportet, ut dicitur in III Ethic.

 

[32494] Iª q. 95 a. 2 ad 3
3. La perfetta virtù morale non elimina del tutto le passioni, ma le tiene in ordine. Dice infatti Aristotele, che "è proprio dell'uomo temperante desiderare come si conviene e ciò che si conviene".




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Cose concernenti la volontà del primo uomo, cioè la grazia e l'innocenza > Se Adamo fosse dotato di tutte le virtù


Prima pars
Quaestio 95
Articulus 3

[32495] Iª q. 95 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod Adam non habuerit omnes virtutes. Quaedam enim virtutes ordinantur ad refraenandam immoderantiam passionum; sicut per temperantiam refraenatur immoderata concupiscentia, et per fortitudinem immoderatus timor. Sed immoderantia passionum non erat in statu innocentiae. Ergo nec dictae virtutes.

 
Prima parte
Questione 95
Articolo 3

[32495] Iª q. 95 a. 3 arg. 1
SEMBRA che Adamo non fosse dotato di tutte le virtù. Infatti:
1. Ci sono delle virtù che sono ordinate a frenare la smoderatezza delle passioni; così la temperanza frena la concupiscenza smodata, la fortezza frena lo smodato timore. Ora, nello stato di innocenza non esisteva smoderatezza di passioni. Perciò non esistevano neppure le suddette virtù.

[32496] Iª q. 95 a. 3 arg. 2
Praeterea, quaedam virtutes sunt circa passiones respicientes malum; ut mansuetudo circa iras, et fortitudo circa timores. Sed tales passiones non erant in statu innocentiae, ut dictum est. Ergo nec huiusmodi virtutes.

 

[32496] Iª q. 95 a. 3 arg. 2
2. Ci sono delle virtù che riguardano le passioni aventi per oggetto il male; così la mansuetudine riguarda l'ira, e la fortezza il timore. Ma tali passioni mancavano nello stato di innocenza, come si è visto. Dunque mancavano anche le virtù corrispondenti.

[32497] Iª q. 95 a. 3 arg. 3
Praeterea, poenitentia est quaedam virtus respiciens peccatum prius commissum. Misericordia etiam est quaedam virtus respiciens miseriam. Sed in statu innocentiae non erat peccatum nec miseria. Ergo neque huiusmodi virtutes.

 

[32497] Iª q. 95 a. 3 arg. 3
3. La penitenza è una virtù che riguarda un peccato commesso in precedenza. E anche la misericordia è una virtù avente per oggetto la miseria. Ora, nello stato di innocenza non c'era né peccato né miseria. Quindi non c'erano neppure tali virtù.

[32498] Iª q. 95 a. 3 arg. 4
Praeterea, perseverantia est quaedam virtus. Sed hanc Adam non habuit; ut sequens peccatum ostendit. Ergo non habuit omnes virtutes.

 

[32498] Iª q. 95 a. 3 arg. 4
4. La perseveranza è una virtù. Essa però mancava ad Adamo, come lo dimostrò il suo peccato. Dunque egli non possedeva tutte le virtù.

[32499] Iª q. 95 a. 3 arg. 5
Praeterea, fides quaedam virtus est. Sed haec in statu innocentiae non fuit, importat enim aenigmaticam cognitionem, quae perfectioni primi status repugnare videtur.

 

[32499] Iª q. 95 a. 3 arg. 5
5. Anche la fede è una virtù. Ma essa pure mancava nello stato di innocenza; poiché la fede implica una conoscenza oscura, che sembra inconciliabile con la perfezione dello stato primitivo.

[32500] Iª q. 95 a. 3 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in quadam homilia, princeps vitiorum devicit Adam de limo terrae ad imaginem Dei factum, pudicitia armatum, temperantia compositum, claritate splendidum.

 

[32500] Iª q. 95 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Dice S. Agostino: "Il principe dei vizi sconfisse Adamo, formato dal fango della terra ad immagine di Dio, armato di pudicizia, regolato per la temperanza, splendente di nobiltà".

[32501] Iª q. 95 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod homo in statu innocentiae aliqualiter habuit omnes virtutes. Et hoc ex dictis potest esse manifestum. Dictum est enim supra quod talis erat rectitudo primi status, quod ratio erat Deo subiecta, inferiores autem vires rationi. Virtutes autem nihil aliud sunt quam perfectiones quaedam, quibus ratio ordinatur in Deum, et inferiores vires disponuntur secundum regulam rationis; ut magis patebit cum de virtutibus agetur. Unde rectitudo primi status exigebat ut homo aliqualiter omnes virtutes haberet. Sed considerandum est quod virtutum quaedam sunt, quae de sui ratione nullam imperfectionem important, ut caritas et iustitia. Et huiusmodi virtutes fuerunt in statu innocentiae simpliciter, et quantum ad habitum et quantum ad actum. Quaedam vero sunt, quae de sui ratione imperfectionem important, vel ex parte actus vel ex parte materiae. Et si huiusmodi imperfectio non repugnat perfectioni primi status, nihilominus huiusmodi virtutes poterant esse in primo statu; sicut fides, quae est eorum quae non videntur, et spes, quae est eorum quae non habentur. Perfectio enim primi status non se extendebat ad hoc, ut videret Deum per essentiam, et ut haberet eum cum fruitione finalis beatitudinis, unde fides et spes esse poterant in primo statu, et quantum ad habitum et quantum ad actum. Si vero imperfectio quae est de ratione virtutis alicuius, repugnat perfectioni primi status, poterat huiusmodi virtus ibi esse secundum habitum, sed non secundum actum, ut patet de poenitentia, quae est dolor de peccato commisso, et de misericordia, quae est dolor de miseria aliena; perfectioni enim primi status repugnat tam dolor, quam culpa et miseria. Unde huiusmodi virtutes erant in primo homine secundum habitum, sed non secundum actum, erat enim primus homo sic dispositus, ut si peccatum praecessisset, doleret; et similiter si miseriam in alio videret, eam pro posse repelleret. Sicut philosophus dicit, in IV Ethic., quod verecundia, quae est de turpi facto, contingit studioso solum sub conditione, est enim sic dispositus, quod verecundaretur si turpe aliquid committeret.

 

[32501] Iª q. 95 a. 3 co.
RISPONDO: L'uomo nello stato di innocenza aveva in qualche modo tutte le virtù. La cosa si può dedurre da quanto abbiamo detto. Infatti abbiamo visto sopra che la perfezione dello stato primitivo era tale, da implicare la subordinazione della ragione a Dio, e delle potenze inferiori alla ragione. Ora, le virtù non sono altro che perfezioni, le quali ordinano la ragione a Dio, e dispongono le potenze inferiori secondo la regola della ragione, come vedremo meglio quando tratteremo delle virtù. Perciò la perfezione dello stato primitivo esigeva che l'uomo possedesse in qualche modo tutte le virtù.
Dobbiamo tuttavia osservare che tra le virtù ve ne sono alcune, che nel loro concetto non includono nessuna imperfezione, come la carità e la giustizia. Tali virtù esistevano pienamente nello stato di innocenza, sia come abiti che come atti. - Altre invece implicano nel loro concetto un'imperfezione, o nell'atto, o nella materia. Qualora tale loro imperfezione non ripugni alla perfezione dello stato primitivo, esse potevano coesistervi; così la fede, avente per oggetto le cose non viste, e la speranza, che è di cose non possedute. Infatti la perfezione dello stato primitivo non si estendeva fino a dare la visione di Dio per essenza, e il possesso di Dio col godimento dell'ultima beatitudine; perciò in tale stato la fede e la speranza potevano trovarsi, sia come abiti, che come atti. - Se invece l'imperfezione implicita nel concetto di una data virtù ripugna alla perfezione dello stato primitivo, tale virtù poteva esservi come abito, non come atto: la cosa è evidente per la penitenza, che è il dolore per un peccato commesso, e per la misericordia, che è un dolore per l'altrui miseria; poiché sia il dolore, che la colpa e la miseria, contrastano con la perfezione dello stato primitivo. Perciò tali virtù si trovavano nel primo uomo come abito, non come atto, essendo egli disposto in modo tale che, se ci fosse stato un peccato in precedenza, se ne sarebbe addolorato; e se avesse veduto una miseria in altri, l'avrebbe soccorsa per quanto era in lui. In tal senso il Filosofo dice che "la verecondia", la quale riguarda azioni turpi, "si trova nell'uomo virtuoso solo sotto condizione; essendo egli così ben disposto, che si vergognerebbe, se commettesse qualche cosa di turpe".

[32502] Iª q. 95 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod accidit temperantiae et fortitudini quod superabundantiam passionum repellat, inquantum invenit passiones superabundantes in subiecto. Sed per se convenit huiusmodi virtutibus passiones moderari.

 

[32502] Iª q. 95 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Non è essenziale per la temperanza e per la fortezza tenere a freno gli eccessi delle passioni, ma ciò si deve al fatto che nel soggetto in cui sono si trovano tali eccessi. Ma l'essenziale di queste virtù è di regolare le passioni.

[32503] Iª q. 95 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod illae passiones ad malum ordinatae, repugnant perfectioni primi status, quae habent respectum ad malum in ipso qui afficitur passione, ut timor et dolor. Sed passiones quae respiciunt malum in altero, non repugnant perfectioni primi status, poterat enim homo in primo statu habere odio malitiam Daemonum, sicut et diligere bonitatem Dei. Unde et virtutes quae circa tales passiones essent, possent esse in primo statu, et quantum ad habitum et quantum ad actum. Quae vero sunt circa passiones respicientes malum in eodem subiecto, si circa huiusmodi solas passiones sunt, non poterant esse in primo statu secundum actum, sed solum secundum habitum; sicut de poenitentia et misericordia dictum est. Sed sunt quaedam virtutes quae non sunt circa has passiones solum, sed etiam circa alias; sicut temperantia, quae non solum est circa tristitias, sed etiam circa delectationes; et fortitudo, quae non solum est circa timores, sed etiam circa audaciam et spem. Unde poterat esse in primo statu actus temperantiae, secundum quod est moderativa delectationum; et similiter fortitudo, secundum quod est moderativa audaciae sive spei; non autem secundum quod moderantur tristitiam et timorem.

 

[32503] Iª q. 95 a. 3 ad 2
2. Passioni, come il timore e il dolore, che hanno per oggetto il male del soggetto medesimo in cui si trovano, sono incompatibili con la perfezione dello stato primitivo. Le passioni invece che riguardano il male di altri, non presentano tale incompatibilità; infatti l'uomo nello stato primitivo poteva odiare la malizia dei demoni, come poteva amare la bontà di Dio. Di conseguenza le virtù moderatrici di tali passioni potevano trovarsi [nell'uomo] nello stato primitivo, sia come abiti che come atti. - Le altre virtù invece, che moderano le passioni riguardanti il male del soggetto [in cui si trovano], qualora non abbiano altro oggetto che queste passioni, non potevano trovarsi nello stato primitivo in forma di atti, ma soltanto di abiti, come si è detto della penitenza e della misericordia.
Vi sono però delle virtù, le quali hanno per oggetto non soltanto queste, ma anche altre passioni; la temperanza, p. es., non solo ha per oggetto la tristezza, ma anche il piacere; così pure la fortezza, non solo ha per oggetto il timore, ma anche l'audacia e la speranza. Perciò nello stato primitivo poteva esserci l'atto della temperanza, in quanto questa ha la funzione di moderare i piaceri; e poteva esserci la fortezza come moderatrice dell'audacia e della speranza; ma non in quanto esse moderano la tristezza e il timore.

[32504] Iª q. 95 a. 3 ad 3
Ad tertium patet solutio ex his quae dicta sunt.

 

[32504] Iª q. 95 a. 3 ad 3
3. La soluzione è implicita in quello che abbiamo detto.

[32505] Iª q. 95 a. 3 ad 4
Ad quartum dicendum quod perseverantia dupliciter sumitur. Uno modo, prout est quaedam virtus, et sic significat quendam habitum, quo quis eligit perseverare in bono. Et sic Adam perseverantiam habuit. Alio modo, prout est circumstantia virtutis, et sic significat continuationem quandam virtutis absque interruptione. Et hoc modo Adam perseverantiam non habuit.

 

[32505] Iª q. 95 a. 3 ad 4
4. La perseveranza si prende in due sensi. Primo, in quanto è una virtù: e così significa quell'abito in forza del quale uno è deciso a perseverare nel bene. E in tal senso Adamo ebbe la perseveranza. - Secondo, in quanto è una circostanza della virtù; e allora significa continuità nella virtù, senza interruzioni. In tal senso Adamo non ebbe la perseveranza.

[32506] Iª q. 95 a. 3 ad 5
Ad quintum patet responsio per ea quae dicta sunt.

 

[32506] Iª q. 95 a. 3 ad 5
5. La soluzione risulta dalle cose già dette.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Cose concernenti la volontà del primo uomo, cioè la grazia e l'innocenza > Se le opere del primo uomo avessero minore efficacia di meritare che le nostre


Prima pars
Quaestio 95
Articulus 4

[32507] Iª q. 95 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod opera primi hominis fuerint minus efficacia ad merendum quam opera nostra. Gratia enim ex Dei misericordia datur, quae magis indigentibus subvenit magis. Sed nos indigemus magis gratia quam primus homo in statu innocentiae. Ergo copiosius infunditur nobis gratia. Quae cum sit radix meriti, opera nostra efficaciora ad merendum redduntur.

 
Prima parte
Questione 95
Articolo 4

[32507] Iª q. 95 a. 4 arg. 1
SEMBRA che le opere del primo uomo avessero minore efficacia di meritare che le nostre. Infatti:
1. La grazia viene concessa dalla misericordia di Dio, la quale soccorre secondo il bisogno. Ora, noi abbiamo più bisogno della grazia che il primo uomo nello stato di innocenza. Dunque a noi viene concessa la grazia in maggiore abbondanza. E siccome essa è la radice del merito le nostre opere sono più efficaci nel meritare.

[32508] Iª q. 95 a. 4 arg. 2
Praeterea, ad meritum requiritur pugna quaedam et difficultas. Dicitur enim II ad Tim. II, non coronabitur nisi qui legitime certaverit. Et philosophus dicit, in II Ethic., quod virtus est circa difficile et bonum. Sed nunc est maior pugna et difficultas. Ergo et maior efficacia ad merendum.

 

[32508] Iª q. 95 a. 4 arg. 2
2. Per meritare si richiedono dei contrasti e delle difficoltà. Poiché sta scritto: "Non riceve la corona se non chi ha combattuto secondo le regole". E il Filosofo afferma, che "la virtù ha per oggetto le cose difficili e buone". Ma adesso abbiamo maggiori contrasti e difficoltà. Dunque si ha un'efficacia maggiore nel meritare.

[32509] Iª q. 95 a. 4 arg. 3
Praeterea, Magister dicit, XXIV distinctione II libri Sent., quod homo non meruisset, tentationi resistendo; nunc autem meretur qui tentationi resistit. Ergo efficaciora sunt opera nostra ad merendum quam in primo statu.

 

[32509] Iª q. 95 a. 4 arg. 3
3. Il Maestro [delle Sentenze] afferma, che "l'uomo non avrebbe meritato se avesse resistito alla tentazione; invece ora chi resiste alla tentazione merita". Dunque le nostre opere hanno maggiore efficacia di meritare adesso, che nello stato primitivo.

[32510] Iª q. 95 a. 4 s. c.
Sed contra est quia secundum hoc, homo esset melioris conditionis post peccatum.

 

[32510] Iª q. 95 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Se ciò fosse vero, l'uomo sarebbe venuto a trovarsi in migliori condizioni dopo il peccato.

[32511] Iª q. 95 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod quantitas meriti ex duobus potest pensari. Uno modo, ex radice caritatis et gratiae. Et talis quantitas meriti respondet praemio essentiali, quod consistit in Dei fruitione, qui enim ex maiori caritate aliquid facit, perfectius Deo fruetur. Alio modo pensari potest quantitas meriti ex quantitate operis. Quae quidem est duplex, scilicet absoluta, et proportionalis. Vidua enim quae misit duo aera minuta in gazophylacium; minus opus fecit quantitate absoluta, quam illi qui magna munera posuerunt, sed quantitate proportionali vidua plus fecit, secundum sententiam domini, quia magis eius facultatem superabat. Utraque tamen quantitas meriti respondet praemio accidentali; quod est gaudium de bono creato. Sic igitur dicendum quod efficaciora fuissent hominis opera ad merendum in statu innocentiae quam post peccatum, si attendatur quantitas meriti ex parte gratiae; quae tunc copiosior fuisset, nullo obstaculo in natura humana invento. Similiter etiam, si consideretur absoluta quantitas operis, quia, cum homo esset maioris virtutis, maiora opera fecisset. Sed si consideretur quantitas proportionalis, maior invenitur ratio meriti post peccatum, propter hominis imbecillitatem, magis enim excedit parvum opus potestatem eius qui cum difficultate operatur illud, quam opus magnum potestatem eius qui sine difficultate operatur.

 

[32511] Iª q. 95 a. 4 co.
RISPONDO: La quantità del merito si può valutare da due punti di vista. Primo, dalla sua radice di carità e di grazia. E una tale quantità di merito corrisponde al premio essenziale, che consiste nel godimento di Dio; poiché chi compie un'opera con maggiore carità, godrà Dio più perfettamente. - Secondo, il merito si può misurare dal valore [intrinseco] dell'opera. E questo è di due specie: assoluto e relativo. Infatti la vedova che mise due spiccioli nel gazofilacio, compì un'opera minore, per il suo valore assoluto, di quella compiuta da coloro che ci misero delle grosse somme; ma se badiamo al valore relativo, allora la vedova compì, come dice il Signore, un'opera più grande, poiché il suo dono superava le sue possibilità. Però l'una e l'altra di queste ultime valutazioni corrispondono al premio accidentale, che è il godimento di un bene creato.
Dobbiamo quindi concludere che se consideriamo la quantità del merito in rapporto alla grazia le opere dell'uomo avrebbero avuto maggiore efficacia di meritare nello stato di innocenza, che dopo il peccato; infatti la grazia sarebbe stata allora più copiosa, non trovando ostacoli nella natura umana. Lo stesso si dica in rapporto al valore assoluto delle opere; poiché il primo uomo avrebbe compiuto opere più grandi, avendo egli una virtù superiore. In rapporto invece al loro valore relativo, troviamo maggiore fonte di merito dopo il peccato, data la fragilità dell'uomo; poiché una piccola opera supera maggiormente le forze di chi la compie con difficoltà, di quanto un'opera grande possa superare le forze di chi la compie senza difficoltà.

[32512] Iª q. 95 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod homo post peccatum ad plura indiget gratia quam ante peccatum, sed non magis. Quia homo, etiam ante peccatum, indigebat gratia ad vitam aeternam consequendam, quae est principalis necessitas gratiae. Sed homo post peccatum, super hoc, indiget gratia etiam ad peccati remissionem, et infirmitatis sustentationem.

 

[32512] Iª q. 95 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dopo il peccato l'uomo necessita della grazia per un numero maggiore di cose, che prima del peccato, ma non ne ha un bisogno più grande. Infatti prima del peccato aveva bisogno della grazia per conseguire la vita eterna; e questa è la principale necessità di ricevere la grazia. Oltre a questo, l'uomo dopo la caduta ne ha bisogno anche per la remissione dei peccati, e a sostegno della sua fragilità.

[32513] Iª q. 95 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod difficultas et pugna pertinent ad quantitatem meriti, secundum quantitatem operis proportionalem, ut dictum est. Et est signum promptitudinis voluntatis, quae conatur ad id quod est sibi difficile, promptitudo autem voluntatis causatur ex magnitudine caritatis. Et tamen potest contingere quod aliquis ita prompta voluntate faciat opus aliquod facile, sicut alius difficile, quia paratus esset facere etiam quod sibi esset difficile. Difficultas tamen actualis, inquantum est poenalis, habet etiam quod sit satisfactoria pro peccato.

 

[32513] Iª q. 95 a. 4 ad 2
2. Le difficoltà e i contrasti rientrano nella quantità del merito che si misura secondo il valore relativo dell'opera, come si è detto. Essi sono anche un indice della prontezza di una volontà, la quale si sforza di fare quello che le rimane difficile; e la prontezza di volontà è dovuta al vigore della carità. Tuttavia può avvenire che uno compia con tale prontezza di volontà una cosa facile, come un altro ne compie una difficile, perché è preparato a compiere anche quello che gli resterebbe difficile. Però le difficoltà attuali, essendo dovute a una pena, oltre tutto hanno un valore satisfattorio rispetto al peccato.

[32514] Iª q. 95 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod resistere tentationi primo homini non fuisset meritorium, secundum opinionem ponentium quod gratiam non haberet; sicut nec modo est meritorium non habenti gratiam. Sed in hoc est differentia, quia in primo statu nihil erat interius impellens ad malum, sicut modo est, unde magis tunc poterat homo resistere tentationi sine gratia, quam modo.

 

[32514] Iª q. 95 a. 4 ad 3
3. Il primo uomo non avrebbe meritato resistendo alla tentazione, secondo l'opinione di coloro, i quali ritengono che egli non possedeva la grazia; come non è meritoria adesso tale resistenza per chi
non è in grazia. C'è però questa differenza, che nello stato primitivo mancava una spinta interiore verso il male, come al presente; quindi l'uomo poteva, allora resistere più validamente di ora alla tentazione, senza la grazia.

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