I, 82

Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > La volontà


Prima pars
Quaestio 82
Prooemium

[31870] Iª q. 82 pr.
Deinde considerandum est de voluntate. Circa quam quaeruntur quinque.
Primo, utrum voluntas aliquid ex necessitate appetat.
Secundo, utrum omnia ex necessitate appetat.
Tertio, utrum sit eminentior potentia quam intellectus.
Quarto, utrum voluntas moveat intellectum.
Quinto, utrum voluntas distinguatur per irascibilem et concupiscibilem.

 
Prima parte
Questione 82
Proemio

[31870] Iª q. 82 pr.
Passiamo ora a trattare della volontà.
Su di essa si pongono cinque quesiti:

1. Se la volontà appetisca per necessità qualche cosa;
2. Se voglia tutto per necessità;
3. Se sia una potenza superiore all’intelletto;
4. Se la volontà muova l’intelletto;
5. Se nella volontà ci sia la distinzione tra irascibile e concupiscibile.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > La volontà > Se la volontà appetisca per necessità qualche cosa


Prima pars
Quaestio 82
Articulus 1

[31871] Iª q. 82 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod voluntas nihil ex necessitate appetat. Dicit enim Augustinus, in V de Civ. Dei, quod si aliquid est necessarium, non est voluntarium. Sed omne quod voluntas appetit, est voluntarium. Ergo nihil quod voluntas appetit, est necessario desideratum.

 
Prima parte
Questione 82
Articolo 1

[31871] Iª q. 82 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la volontà non appetisca niente per necessità. Infatti:
1. Dice S. Agostino che se una cosa è necessaria, non è più volontaria. Ora tutto quello che la volontà vuole è volontario. Quindi nessuna cosa, che sia voluta dalla volontà, è desiderata necessariamente.

[31872] Iª q. 82 a. 1 arg. 2
Praeterea, potestates rationales, secundum philosophum, se habent ad opposita. Sed voluntas est potestas rationalis, quia, ut dicitur in III de anima, voluntas in ratione est. Ergo voluntas se habet ad opposita. Ad nihil ergo de necessitate determinatur.

 

[31872] Iª q. 82 a. 1 arg. 2
2. Secondo il Filosofo, le potenze razionali hanno per oggetto cose opposte tra loro. Ma la volontà è una potenza razionale, poiché la volontà si trova nella ragione, come dice Aristotele. Dunque la volontà ha per oggetto cose opposte tra loro. Di conseguenza a niente è necessariamente determinata.

[31873] Iª q. 82 a. 1 arg. 3
Praeterea, secundum voluntatem sumus domini nostrorum actuum. Sed eius quod ex necessitate est, non sumus domini. Ergo actus voluntatis non potest de necessitate esse.

 

[31873] Iª q. 82 a. 1 arg. 3
3. In forza della volontà noi siamo padroni dei nostri atti. Ma di ciò che necessariamente esiste non siamo padroni. Dunque l’atto della volontà non può avere un’esistenza necessaria.

[31874] Iª q. 82 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in XIII de Trin., quod beatitudinem omnes una voluntate appetunt. Si autem non esset necessarium sed contingens, deficeret ad minus in paucioribus. Ergo voluntas ex necessitate aliquid vult.

 

[31874] Iª q. 82 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino insegna che "tutti con una volontà sola desiderano la felicità". Ora se ciò non fosse necessario ma contingente, si avrebbe, almeno qualche rara volta, un’eccezione. Dunque c’è qualche cosa, che la volontà vuole necessariamente.

[31875] Iª q. 82 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod necessitas dicitur multipliciter. Necesse est enim quod non potest non esse. Quod quidem convenit alicui, uno modo ex principio intrinseco, sive materiali, sicut cum dicimus quod omne compositum ex contrariis necesse est corrumpi; sive formali, sicut cum dicimus quod necesse est triangulum habere tres angulos aequales duobus rectis. Et haec est necessitas naturalis et absoluta. Alio modo convenit alicui quod non possit non esse, ex aliquo extrinseco, vel fine vel agente. Fine quidem, sicut cum aliquis non potest sine hoc consequi, aut bene consequi finem aliquem, ut cibus dicitur necessarius ad vitam, et equus ad iter. Et haec vocatur necessitas finis; quae interdum etiam utilitas dicitur. Ex agente autem hoc alicui convenit, sicut cum aliquis cogitur ab aliquo agente, ita quod non possit contrarium agere. Et haec vocatur necessitas coactionis. Haec igitur coactionis necessitas omnino repugnat voluntati. Nam hoc dicimus esse violentum, quod est contra inclinationem rei. Ipse autem motus voluntatis est inclinatio quaedam in aliquid. Et ideo sicut dicitur aliquid naturale quia est secundum inclinationem naturae, ita dicitur aliquid voluntarium quia est secundum inclinationem voluntatis. Sicut ergo impossibile est quod aliquid simul sit violentum et naturale; ita impossibile est quod aliquid simpliciter sit coactum sive violentum, et voluntarium. Necessitas autem finis non repugnat voluntati, quando ad finem non potest perveniri nisi uno modo, sicut ex voluntate transeundi mare, fit necessitas in voluntate ut velit navem. Similiter etiam nec necessitas naturalis repugnat voluntati. Quinimmo necesse est quod, sicut intellectus ex necessitate inhaeret primis principiis, ita voluntas ex necessitate inhaereat ultimo fini, qui est beatitudo, finis enim se habet in operativis sicut principium in speculativis, ut dicitur in II Physic. Oportet enim quod illud quod naturaliter alicui convenit et immobiliter, sit fundamentum et principium omnium aliorum, quia natura rei est primum in unoquoque, et omnis motus procedit ab aliquo immobili.

 

[31875] Iª q. 82 a. 1 co.
RISPONDO: Il termine necessità ha molti significati. Infatti necessario è "ciò che non può non essere". Ma questo può verificarsi di una cosa prima di tutto in forza di una causa intrinseca: sia essa una causa materiale, come quando diciamo che ogni sostanza composta di elementi contrari è necessario che si corrompa; sia essa una causa formale, come quando diciamo essere necessario che il triangolo abbia i tre angoli uguali a due retti. E questa è la necessità naturale e assoluta. - C’è un secondo modo per una cosa di non poter non essere, vale a dire in rapporto a una causa estrinseca, che può essere il fine o la causa efficiente. In rapporto al fine, quando senza quella data cosa non si può raggiungere uno scopo, o non si può raggiungerlo bene; così il cibo si dice necessario per la vita, e il cavallo per il viaggio. Questa è chiamata necessità del fine; e talora anche utilità. - In rapporto poi alla causa agente si ha una necessità, quando l’agente costringe in modo da non poter fare il contrario. Quest’ultima è chiamata necessità di coazione.
Concludendo, la necessità di coazione ripugna del tutto alla volontà. Infatti noi chiamiamo violento tutto ciò che è contro l’inclinazione di una cosa. Ora anche il moto della volontà è un’inclinazione verso qualche cosa. Perciò, come si dice che qualche cosa è naturale perché corrisponde all’inclinazione della natura, così si dirà volontario tutto quello che corrisponde all’inclinazione della volontà. Per conseguenza, come è impossibile che una cosa sia insieme violenta e naturale, così è impossibile che essa sia essenzialmente coatta, o violenta, e insieme volontaria.
Invece la necessità del fine non ripugna alla volontà, quando il fine non è raggiungibile che in un modo solo: così, dalla determinazione di passare il mare, nasce per la volontà la necessità di voler la nave.
Parimente, neppure la necessità naturale ripugna alla volontà. Anzi, è indispensabile che, come l’intelletto aderisce necessariamente ai primi principii, così la volontà aderisca necessariamente all’ultimo fine, che è la beatitudine: poiché, al dire di Aristotele, nell’ordine pratico il fine ha la funzione dei principii nell’ordine speculativo. Bisogna infatti che fondamento e principio di tutto ciò che si attribuisce a una cosa sia ciò che le appartiene in maniera naturale e immutabile: perché la natura è la radice di tutto in ogni essere, e ogni moto procede sempre da qualche cosa di immutabile.

[31876] Iª q. 82 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod verbum Augustini est intelligendum de necessario necessitate coactionis. Necessitas autem naturalis non aufert libertatem voluntatis, ut ipsemet in eodem libro dicit.

 

[31876] Iª q. 82 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La frase di S. Agostino va riferita a ciò che è necessario per necessità di coazione. La necessità naturale invece "non toglie la libertà della volontà", come egli dice nello stesso libro.

[31877] Iª q. 82 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod voluntas secundum quod aliquid naturaliter vult, magis respondet intellectui naturalium principiorum, quam rationi, quae ad opposita se habet. Unde secundum hoc, magis est intellectualis quam rationalis potestas.

 

[31877] Iª q. 82 a. 1 ad 2
2. La volontà, in quanto vuole qualche cosa naturalmente, corrisponde di più all’intelletto dei principii naturali che alla ragione, la quale ha per oggetto gli opposti. Perciò, da questo punto di vista, è una potenza più intellettuale che razionale.

[31878] Iª q. 82 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod sumus domini nostrorum actuum secundum quod possumus hoc vel illud eligere. Electio autem non est de fine, sed de his quae sunt ad finem, ut dicitur in III Ethic. Unde appetitus ultimi finis non est de his quorum domini sumus.

 

[31878] Iª q. 82 a. 1 ad 3
3. Noi siamo padroni dei nostri atti, in quanto possiamo scegliere questa o quella cosa. Ora la scelta non ha per oggetto il fine, ma "i mezzi che portano al fine", come dice Aristotele. Perciò l’appetizione dell’ultimo fine non rientra tra le cose di cui siamo padroni.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > La volontà > Se la volontà voglia per necessità tutto quello che vuole


Prima pars
Quaestio 82
Articulus 2

[31879] Iª q. 82 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod voluntas ex necessitate omnia velit quaecumque vult. Dicit enim Dionysius, IV de Div. Nom., quod malum est praeter voluntatem. Ex necessitate ergo voluntas tendit in bonum sibi propositum.

 
Prima parte
Questione 82
Articolo 2

[31879] Iª q. 82 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la volontà voglia per necessità tutto quello che vuole. Infatti:
1. Dionigi afferma che "il male non è oggetto della volontà". Dunque la volontà tende necessariamente al bene che le viene presentato.

[31880] Iª q. 82 a. 2 arg. 2
Praeterea, obiectum voluntatis comparatur ad ipsam sicut movens ad mobile. Sed motus mobilis necessario consequitur ex movente. Ergo videtur quod obiectum voluntatis ex necessitate moveat ipsam.

 

[31880] Iª q. 82 a. 2 arg. 2
2. L’oggetto sta alla volontà come il motore sta al soggetto mobile. Ora all’azione del motore segue necessariamente il moto del mobile. E evidente perciò che gli oggetti muovono necessariamente la volontà.

[31881] Iª q. 82 a. 2 arg. 3
Praeterea, sicut apprehensum secundum sensum est obiectum appetitus sensitivi, ita apprehensum secundum intellectum est obiectum intellectivi appetitus, qui dicitur voluntas. Sed apprehensum secundum sensum ex necessitate movet appetitum sensitivum, dicit enim Augustinus, super Gen. ad Litt., quod animalia moventur visis. Ergo videtur quod apprehensum secundum intellectum ex necessitate moveat voluntatem.

 

[31881] Iª q. 82 a. 2 arg. 3
3. Come ciò che è conosciuto dal senso, è oggetto dell’appetito sensitivo, così ciò che è conosciuto dall’intelletto, è oggetto di quello intellettivo, detto volontà. Ma l’oggetto, conosciuto dai sensi, muove necessariamente l’appetito sensitivo; dice infatti S. Agostino che "l’animale è mosso dalle cose vedute". Sembra quindi che le cose conosciute dall’intelletto muovano necessariamente la volontà.

[31882] Iª q. 82 a. 2 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, quod voluntas est qua peccatur et recte vivitur, et sic se habet ad opposita. Non ergo ex necessitate vult quaecumque vult.

 

[31882] Iª q. 82 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino insegna che "quello, per cui si pecca o si vive rettamente è la volontà"; quindi la volontà ha per oggetto cose opposte. Dunque non vuole per necessità tutto ciò che vuole.

[31883] Iª q. 82 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod voluntas non ex necessitate vult quaecumque vult. Ad cuius evidentiam, considerandum est quod sicut intellectus naturaliter et ex necessitate inhaeret primis principiis, ita voluntas ultimo fini, ut iam dictum est. Sunt autem quaedam intelligibilia quae non habent necessariam connexionem ad prima principia; sicut contingentes propositiones, ad quarum remotionem non sequitur remotio primorum principiorum. Et talibus non ex necessitate assentit intellectus. Quaedam autem propositiones sunt necessariae, quae habent connexionem necessariam cum primis principiis; sicut conclusiones demonstrabiles, ad quarum remotionem sequitur remotio primorum principiorum. Et his intellectus ex necessitate assentit, cognita connexione necessaria conclusionum ad principia per demonstrationis deductionem, non autem ex necessitate assentit antequam huiusmodi necessitatem connexionis per demonstrationem cognoscat. Similiter etiam est ex parte voluntatis. Sunt enim quaedam particularia bona, quae non habent necessariam connexionem ad beatitudinem, quia sine his potest aliquis esse beatus, et huiusmodi voluntas non de necessitate inhaeret. Sunt autem quaedam habentia necessariam connexionem ad beatitudinem, quibus scilicet homo Deo inhaeret, in quo solo vera beatitudo consistit. Sed tamen antequam per certitudinem divinae visionis necessitas huiusmodi connexionis demonstretur, voluntas non ex necessitate Deo inhaeret, nec his quae Dei sunt. Sed voluntas videntis Deum per essentiam, de necessitate inhaeret Deo, sicut nunc ex necessitate volumus esse beati. Patet ergo quod voluntas non ex necessitate vult quaecumque vult.

 

[31883] Iª q. 82 a. 2 co.
RISPONDO: La volontà non vuole necessariamente tutto ciò che vuole. Per averne la dimostrazione si rifletta, e sopra lo abbiamo spiegato, che la volontà aderisce naturalmente e necessariamente all’ultimo fine, come fa l’intelletto con i primi principii. Ora, vi sono delle verità, le quali non hanno una connessione necessaria con i primi principii: p. es., le proposizioni contingenti, la cui negazione non porta alla negazione dei primi principii. In tal caso l’intelletto non da’ necessariamente il suo assenso. Altre proposizioni invece sono necessarie, perché hanno una connessione necessaria con i primi principii: tali sono le conclusioni evidenti, la cui negazione porta alla negazione dei primi principii. A queste l’intelletto da’ necessariamente il suo assenso, non appena abbia conosciuta la loro connessione necessaria con i principii, mediante la dimostrazione deduttiva: ma non da necessariamente l’assenso suddetto, prima di aver conosciuto col ragionamento una tale connessione.
Una cosa simile si verifica da parte della volontà. Esistono infatti dei beni particolari, che non hanno una connessione necessaria con la felicità, poiché senza di essi uno può ugualmente essere felice: e la volontà non aderisce necessariamente ad essi. Ve ne sono invece di quelli che hanno una connessione necessaria con la felicità, e sono quelli mediante i quali l’uomo si unisce a Dio, nel quale solo consiste la vera beatitudine. Avanti però che la necessità di tale connessione venga mostrata nella certezza della visione beatifica, la volontà non aderisce per necessità a Dio e alle cose di Dio. Invece la volontà di chi vede Dio per essenza, aderisce necessariamente a Dio, così come al presente necessariamente vogliamo essere beati. E chiaro perciò che la volontà non tutto ciò che vuole lo vuole necessariamente.

[31884] Iª q. 82 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod voluntas in nihil potest tendere nisi sub ratione boni. Sed quia bonum est multiplex, propter hoc non ex necessitate determinatur ad unum.

 

[31884] Iª q. 82 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La volontà non può volere una cosa, che sotto l’aspetto di bene. Ma siccome vi è una molteplicità di beni, essa non è necessariamente determinata a un solo oggetto.

[31885] Iª q. 82 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod movens tunc ex necessitate causat motum in mobili, quando potestas moventis excedit mobile, ita quod tota eius possibilitas moventi subdatur. Cum autem possibilitas voluntatis sit respectu boni universalis et perfecti, non subiicitur eius possibilitas tota alicui particulari bono. Et ideo non ex necessitate movetur ab illo.

 

[31885] Iª q. 82 a. 2 ad 2
2. Il motore causa necessariamente il movimento nel soggetto mobile, solo quando la virtù del motore sorpassa il mobile fino al punto di esaurire tutta la capacità di quest’ultimo a subire [il movimento]. Ora, siccome la capacità della volontà si estende al bene universale e perfetto, essa non viene mai esaurita da un bene particolare. Perciò da esso non è mossa per necessità.

[31886] Iª q. 82 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod vis sensitiva non est vis collativa diversorum, sicut ratio, sed simpliciter aliquid unum apprehendit. Et ideo secundum illud unum determinate movet appetitum sensitivum. Sed ratio est collativa plurium, et ideo ex pluribus moveri potest appetitus intellectivus, scilicet voluntas, et non ex uno ex necessitate.

 

[31886] Iª q. 82 a. 2 ad 3
3. Le potenze sensitive non hanno, come la ragione, la capacità di confrontare oggetti diversi, ma si limitano a percepire un oggetto singolo. In base a tale percezione danno un impulso determinato all’appetito sensitivo. Invece la ragione ha la capacità di confrontare più cose; e così, da questa pluralità, può essere mosso l’appetito intellettivo, cioè la volontà, e non necessariamente da un solo oggetto.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > La volontà > Se la volontà sia una potenza superiore all’intelletto


Prima pars
Quaestio 82
Articulus 3

[31887] Iª q. 82 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod voluntas sit altior potentia quam intellectus. Bonum enim et finis est obiectum voluntatis. Sed finis est prima et altissima causarum. Ergo voluntas est prima et altissima potentiarum.

 
Prima parte
Questione 82
Articolo 3

[31887] Iª q. 82 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la volontà sia una potenza superiore all’intelletto. Infatti:
1. Oggetto della volontà sono il bene e il fine. Ora, il fine è la prima e la più alta delle cause. Perciò la volontà è la prima e la più alta delle potenze.

[31888] Iª q. 82 a. 3 arg. 2
Praeterea, res naturales inveniuntur procedere de imperfectis ad perfecta. Et hoc etiam in potentiis animae apparet, proceditur enim de sensu ad intellectum, qui est nobilior. Sed naturalis processus est de actu intellectus in actum voluntatis. Ergo voluntas est perfectior et nobilior potentia quam intellectus.

 

[31888] Iª q. 82 a. 3 arg. 2
2. Vediamo che le cose naturali procedono dall’imperfezione alla perfezione. Lo stesso si verifica nelle potenze dell’anima: poiché si procede dal senso all’intelletto, che è più nobile. Ora, il processo naturale va dall’atto dell’intelletto a quello della volontà. Dunque la volontà è una potenza più perfetta e più nobile dell’intelletto.

[31889] Iª q. 82 a. 3 arg. 3
Praeterea, habitus sunt proportionati potentiis, sicut perfectiones perfectibilibus. Sed habitus quo perficitur voluntas, scilicet caritas, est nobilior habitibus quibus perficitur intellectus, dicitur enim I ad Cor. XIII, si noverim mysteria omnia, et si habuero omnem fidem, caritatem autem non habeam, nihil sum. Ergo voluntas est altior potentia quam intellectus.

 

[31889] Iª q. 82 a. 3 arg. 3
3. Gli abiti stanno alle potenze come una perfezione sta al suo soggetto perfettibile. Ora l’abito, che perfeziona la volontà, cioè la carità, è più nobile di quelli che perfezionano l’intelletto; poiché sta scritto: "Se conoscessi tutti i misteri, e se avessi tutta la fede, e poi mancassi di carità, non sarei nulla". Quindi la volontà è una potenza più alta dell’intelletto.

[31890] Iª q. 82 a. 3 s. c.
Sed contra est quod philosophus, in X Ethic., ponit altissimam potentiam animae esse intellectum.

 

[31890] Iª q. 82 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo considera l’intelletto come la potenza più alta dell’anima.

[31891] Iª q. 82 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod eminentia alicuius ad alterum potest attendi dupliciter, uno modo, simpliciter; alio modo, secundum quid. Consideratur autem aliquid tale simpliciter, prout est secundum seipsum tale, secundum quid autem, prout dicitur tale secundum respectum ad alterum. Si ergo intellectus et voluntas considerentur secundum se, sic intellectus eminentior invenitur. Et hoc apparet ex comparatione obiectorum ad invicem. Obiectum enim intellectus est simplicius et magis absolutum quam obiectum voluntatis, nam obiectum intellectus est ipsa ratio boni appetibilis; bonum autem appetibile, cuius ratio est in intellectu, est obiectum voluntatis. Quanto autem aliquid est simplicius et abstractius, tanto secundum se est nobilius et altius. Et ideo obiectum intellectus est altius quam obiectum voluntatis. Cum ergo propria ratio potentiae sit secundum ordinem ad obiectum, sequitur quod secundum se et simpliciter intellectus sit altior et nobilior voluntate. Secundum quid autem, et per comparationem ad alterum, voluntas invenitur interdum altior intellectu; ex eo scilicet quod obiectum voluntatis in altiori re invenitur quam obiectum intellectus. Sicut si dicerem auditum esse secundum quid nobiliorem visu, inquantum res aliqua cuius est sonus, nobilior est aliqua re cuius est color, quamvis color sit nobilior et simplicior sono. Ut enim supra dictum est, actio intellectus consistit in hoc quod ratio rei intellectae est in intelligente; actus vero voluntatis perficitur in hoc quod voluntas inclinatur ad ipsam rem prout in se est. Et ideo philosophus dicit, in VI Metaphys., quod bonum et malum, quae sunt obiecta voluntatis, sunt in rebus; verum et falsum, quae sunt obiecta intellectus, sunt in mente. Quando igitur res in qua est bonum, est nobilior ipsa anima, in qua est ratio intellecta; per comparationem ad talem rem, voluntas est altior intellectu. Quando vero res in qua est bonum, est infra animam; tunc etiam per comparationem ad talem rem, intellectus est altior voluntate. Unde melior est amor Dei quam cognitio, e contrario autem melior est cognitio rerum corporalium quam amor. Simpliciter tamen intellectus est nobilior quam voluntas.

 

[31891] Iª q. 82 a. 3 co.
RISPONDO: La superiorità di una cosa rispetto a un’altra può essere determinata in due maniere: o in modo assoluto [simpliciter] o in modo relativo [secundum quid]. Una cosa è quello che è in modo assoluto, quando è tale per se stessa; lo è invece in modo relativo, quando è tale per rispetto a un’altra. - Ora se l’intelletto e la volontà sono considerati in se stessi, allora risulta superiore l’intelletto. E ciò appare evidente dal confronto dei rispettivi oggetti. Infatti l’oggetto dell’intelletto è più semplice e più assoluto che quello della volontà: essendo oggetto dell’intelletto la ragione stessa di bene appetibile, oggetto invece della volontà il bene appetibile, la cui ragione si trova già nell’intelletto. Ora, quanto più l’oggetto è semplice e astratto, tanto più è nobile e alto in se stesso. Perciò l’oggetto dell’intelletto è più alto di quello della volontà. E siccome la natura propria di una potenza è data dalla sua relazione all’oggetto, ne segue che in modo assoluto ed essenziale l’intelletto è più alto e più nobile della volontà.
Ma se [le due facoltà sono considerate] in modo relativo e comparativo, allora capita che la volontà sia talora più alta dell’intelletto; e cioè per questo motivo, che l’oggetto della volontà si concretizza in qualche cosa, che è superiore all’oggetto dell’intelligenza. Sarebbe come dire che l’udito sotto un certo aspetto è più nobile della vista, perché il soggetto cui appartiene il suono è più nobile di quello cui appartiene il colore, sebbene il colore [di suo] sia più nobile e più semplice del suono. Orbene, come già si disse, l’intellezione si verifica per il fatto che la specie della cosa intesa viene a trovarsi nel conoscente; l’atto della volontà invece si compie per il fatto che la volontà subisce un’inclinazione verso la cosa, qual è nella sua realtà. Perciò il Filosofo dice che "il bene e il male", oggetto della volontà, "sono nelle cose; mentre il vero e il falso", oggetto dell’intelletto, "sono nella mente". Quando dunque la cosa, in cui il bene si trova, è più nobile dell’anima stessa, nella quale si trova la sua immagine intellettiva, allora la volontà è più alta dell’intelletto, appunto in rapporto a tale cosa. Quando invece la cosa, in cui si trova il bene, è al di sotto dell’anima, allora anche in rapporto a tale cosa, l’intelletto è superiore alla volontà. L’amore di Dio perciò vale di più della conoscenza di lui: al contrario la conoscenza delle cose naturali è preferibile al loro amore. Ad ogni modo, assolutamente parlando, l’intelletto è più nobile della volontà.

[31892] Iª q. 82 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ratio causae accipitur secundum comparationem unius ad alterum, et in tali comparatione ratio boni principalior invenitur, sed verum dicitur magis absolute, et ipsius boni rationem significat. Unde et bonum quoddam verum est. Sed rursus et ipsum verum est quoddam bonum; secundum quod intellectus res quaedam est, et verum finis ipsius. Et inter alios fines iste finis est excellentior; sicut intellectus inter alias potentias.

 

[31892] Iª q. 82 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il concetto di causa viene desunto dalle correlazioni delle cose tra loro, e in tali correlazioni il bene ha una priorità; il vero però ha un significato più assoluto, e abbraccia lo stesso concetto di bene. Difatti anche il bene è un vero. D’altra parte il vero stesso è un bene; così come l’intelletto è una realtà e il vero è il suo fine. E questo fine è superiore agli altri fini; come l’intelletto lo è tra le altre potenze.

[31893] Iª q. 82 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod illud quod est prius generatione et tempore, est imperfectius, quia in uno et eodem potentia tempore praecedit actum, et imperfectio perfectionem. Sed illud quod est prius simpliciter et secundum naturae ordinem, est perfectius, sic enim actus est prior potentia. Et hoc modo intellectus est prior voluntate, sicut motivum mobili, et activum passivo, bonum enim intellectum movet voluntatem.

 

[31893] Iª q. 82 a. 3 ad 2
2. Le cose che hanno una priorità in ordine di generazione e di tempo sono più imperfette: perché in ordine di tempo su di un dato soggetto la potenza precede l’atto, e l’imperfezione precede la perfezione. Le cose invece che hanno una priorità assoluta, e in ordine di natura, sono più perfette; è così infatti che l’atto precede la potenza. E in questo modo l’intelletto è prima della volontà, come il motore è prima del mobile e l’elemento attivo è prima di quello passivo: infatti il bene [soltanto se] conosciuto muove la volontà.

[31894] Iª q. 82 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod illa ratio procedit de voluntate secundum comparationem ad id quod supra animam est. Virtus enim caritatis est qua Deum amamus.

 

[31894] Iª q. 82 a. 3 ad 3
3. L’argomento si ferma a considerare la volontà in quanto è ordinata a un oggetto superiore all’anima. Infatti la virtù della carità è quella che ci fa amare Dio.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > La volontà > Se la volontà muova l’intelletto


Prima pars
Quaestio 82
Articulus 4

[31895] Iª q. 82 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod voluntas non moveat intellectum. Movens enim est nobilius et prius moto, quia movens est agens; agens autem est nobilius patiente, ut Augustinus dicit XII super Gen. ad Litt., et philosophus in III de anima. Sed intellectus est prior et nobilior voluntate, ut supra dictum est. Ergo voluntas non movet intellectum.

 
Prima parte
Questione 82
Articolo 4

[31895] Iª q. 82 a. 4 arg. 1
SEMBRA che la volontà non muova l’intelletto. Infatti:
1. Chi muove è superiore e anteriore al soggetto mosso: perché il motore è agente, e "l’agente è più nobile del paziente", come dicono S. Agostino e Aristotele. Ma abbiamo visto che l’intelletto è prima ed è più nobile della volontà. Dunque la volontà non muove l’intelletto.

[31896] Iª q. 82 a. 4 arg. 2
Praeterea, movens non movetur a moto, nisi forte per accidens. Sed intellectus movet voluntatem, quia appetibile apprehensum per intellectum est movens non motum; appetitus autem movens motum. Ergo intellectus non movetur a voluntate.

 

[31896] Iª q. 82 a. 4 arg. 2
2. Chi muove non è mosso dal soggetto mobile, se non in via accidentale. Ora, l’intelletto muove la volontà: perché l’appetibile, che è oggetto dell’intelligenza, è un motore non mosso, mentre l’appetito è un motore mosso. Perciò l’intelletto non è mosso dalla volontà.

[31897] Iª q. 82 a. 4 arg. 3
Praeterea, nihil velle possumus nisi sit intellectum. Si igitur ad intelligendum movet voluntas volendo intelligere, oportebit quod etiam illud velle praecedat aliud intelligere, et illud intelligere aliud velle, et sic in infinitum, quod est impossibile. Non ergo voluntas movet intellectum.

 

[31897] Iª q. 82 a. 4 arg. 3
3. Noi non possiamo volere cosa alcuna, se essa non è conosciuta. Se quindi la volontà col voler intendere muove all’intellezione, bisognerà che un tale volere sia preceduto da un’altra intellezione, questa poi da un altro volere, e così all’infinito: cosa questa impossibile. La volontà dunque non muove l’intelletto.

[31898] Iª q. 82 a. 4 s. c.
Sed contra est quod Damascenus dicit, quod in nobis est percipere quamcumque volumus artem, et non percipere. In nobis autem est aliquid per voluntatem; percipimus autem artes per intellectum. Voluntas ergo movet intellectum.

 

[31898] Iª q. 82 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Fa osservare il Damasceno che "in noi c’è il potere di imparare e di non imparare qualunque arte vogliamo". Ora vi è in noi un dato potere in forza della volontà; eppure impariamo le arti mediante l’intelletto. Quindi la volontà muove l’intelletto.

[31899] Iª q. 82 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod aliquid dicitur movere dupliciter. Uno modo, per modum finis; sicut dicitur quod finis movet efficientem. Et hoc modo intellectus movet voluntatem, quia bonum intellectum est obiectum voluntatis, et movet ipsam ut finis. Alio modo dicitur aliquid movere per modum agentis; sicut alterans movet alteratum, et impellens movet impulsum. Et hoc modo voluntas movet intellectum, et omnes animae vires; ut Anselmus dicit in libro de similitudinibus. Cuius ratio est, quia in omnibus potentiis activis ordinatis, illa potentia quae respicit finem universalem, movet potentias quae respiciunt fines particulares. Et hoc apparet tam in naturalibus quam in politicis. Caelum enim, quod agit ad universalem conservationem generabilium et corruptibilium, movet omnia inferiora corpora, quorum unumquodque agit ad conservationem propriae speciei, vel etiam individui. Rex etiam, qui intendit bonum commune totius regni, movet per suum imperium singulos praepositos civitatum, qui singulis civitatibus curam regiminis impendunt. Obiectum autem voluntatis est bonum et finis in communi. Quaelibet autem potentia comparatur ad aliquod bonum proprium sibi conveniens; sicut visus ad perceptionem coloris, intellectus ad cognitionem veri. Et ideo voluntas per modum agentis movet omnes animae potentias ad suos actus, praeter vires naturales vegetativae partis, quae nostro arbitrio non subduntur.

 

[31899] Iª q. 82 a. 4 co.
RISPONDO: Una cosa può causare il movimento in due maniere.
Primo, sotto l’aspetto di fine: come quando si dice che il fine muove la causa efficiente. E in questo modo è l’intelletto a muovere la volontà; perché il bene intellettualmente conosciuto è oggetto della volontà e la muove come fine.
Secondo, sotto l’aspetto di causa agente; come l’elemento alterante muove quello che viene alterato, e ciò che spinge muove la cosa sospinta. In questo modo la volontà muove l’intelletto e tutte le potenze dell’anima, come dice S. Anselmo. E la ragione si è che in una serie di potenze attive ordinate tra loro, quella che mira a un fine universale muove le altre, che mirano a fini particolari.
La cosa è evidente anche nel campo fisico e in quello politico. Infatti il cielo, che esercita il suo influsso per l’universale conservazione dei corpi generabili e corruttibili, muove tutti i corpi inferiori, ognuno dei quali agisce per la conservazione della sua specie o per quella dell’individuo. Parimente, il re che tende al bene comune di tutto il regno, muove col suo comando i vari capi delle città, i quali curano il governo delle singole città. Ora, oggetto del volere sono il bene e il fine nella loro universalità. Invece ogni altra potenza è ordinata a un bene particolare ad essa proporzionato; la vista, p. es., è ordinata a percepire il colore, e l’intelletto a conoscere il vero. Perciò la volontà muove, come causa agente, tutte le potenze dell’anima verso i loro atti, meno che le potenze organiche della vita vegetativa, le quali non sottostanno al nostro arbitrio.

[31900] Iª q. 82 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod intellectus dupliciter considerari potest, uno modo, secundum quod intellectus est apprehensivus entis et veri universalis; alio modo, secundum quod est quaedam res, et particularis potentia habens determinatum actum. Et similiter voluntas dupliciter considerari potest, uno modo, secundum communitatem sui obiecti, prout scilicet est appetitiva boni communis; alio modo, secundum quod est quaedam determinata animae potentia habens determinatum actum. Si ergo comparentur intellectus et voluntas secundum rationem communitatis obiectorum utriusque, sic dictum est supra quod intellectus est simpliciter altior et nobilior voluntate. Si autem consideretur intellectus secundum communitatem sui obiecti, et voluntas secundum quod est quaedam determinata potentia, sic iterum intellectus est altior et prior voluntate, quia sub ratione entis et veri, quam apprehendit intellectus, continetur voluntas ipsa, et actus eius, et obiectum ipsius. Unde intellectus intelligit voluntatem, et actum eius, et obiectum ipsius, sicut et alia specialia intellecta, ut lapidem aut lignum, quae continentur sub communi ratione entis et veri. Si vero consideretur voluntas secundum communem rationem sui obiecti, quod est bonum, intellectus autem secundum quod est quaedam res et potentia specialis; sic sub communi ratione boni continetur, velut quoddam speciale, et intellectus ipse, et ipsum intelligere, et obiectum eius, quod est verum, quorum quodlibet est quoddam speciale bonum. Et secundum hoc voluntas est altior intellectu, et potest ipsum movere. Ex his ergo apparet ratio quare hae potentiae suis actibus invicem se includunt, quia intellectus intelligit voluntatem velle, et voluntas vult intellectum intelligere. Et simili ratione bonum continetur sub vero, inquantum est quoddam verum intellectum; et verum continetur sub bono, inquantum est quoddam bonum desideratum.

 

[31900] Iª q. 82 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L’intelletto si può considerare sotto due punti di vista: primo, in quanto è conoscitivo dell’ente e del vero universale; secondo, in quanto è un’entità particolare e una particolare potenza avente un suo atto determinato. Parimente, la volontà si può considerare sotto due aspetti: primo, considerando l’universalità del suo oggetto, in quanto cioè ha per oggetto il bene universale; secondo, in quanto è una determinata potenza dell’anima avente un determinato atto. - Ora, se paragoniamo intelletto e volontà secondo l’universalità dei rispettivi oggetti, allora abbiamo già dimostrato che l’intelletto è, assolutamente parlando, superiore e più nobile che la volontà. - Se invece consideriamo l’intelligenza secondo l’universalità del suo oggetto, e la volontà in quanto è una determinata potenza, allora l’intelletto è di nuovo superiore e anteriore alla volontà: infatti la volontà stessa, il suo atto e il suo oggetto, rientrano nei concetti di ente e di vero, che formano l’oggetto dell’intelligenza. Quindi l’intelletto conosce la volontà, il suo atto e il suo oggetto, come conosce tutti gli altri intelligibili particolari, quali la pietra, il legno, ecc., che rientrano nei concetti universali di ente e di vero. - Ma se si considera la volontà secondo l’universalità del suo oggetto, che è il bene, e l’intelletto invece si considera in quanto è un ente particolare e una particolare potenza, allora rientrano, come singolari, sotto la ragione universale di bene, e l’intelletto, e l’intellezione, e il suo oggetto, cioè il vero, ciascuno dei quali è un bene particolare. Sotto quest’aspetto la volontà è più alta dell’intelletto e lo può muovere.
Di qui dunque ai rileva la ragione, per cui queste potenze si includono a vicenda con i loro atti; poiché l’intelletto conosce che la volontà vuole; e la volontà vuole che l’intelletto conosca. Analogamente, il bene è incluso nel vero, in quanto è un vero conosciuto dall’intelletto; e il vero è incluso nel bene, in quanto è un bene desiderato.

[31901] Iª q. 82 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod intellectus alio modo movet voluntatem, quam voluntas intellectum, ut iam dictum est.

 

[31901] Iª q. 82 a. 4 ad 2
2. Abbiamo visto che l’intelletto muove la volontà in modo diverso da quello, col quale la volontà muove l’intelletto.

[31902] Iª q. 82 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod non oportet procedere in infinitum, sed statur in intellectu sicut in primo. Omnem enim voluntatis motum necesse est quod praecedat apprehensio, sed non omnem apprehensionem praecedit motus voluntatis; sed principium consiliandi et intelligendi est aliquod intellectivum principium altius intellectu nostro, quod est Deus, ut etiam Aristoteles dicit in VII Ethicae Eudemicae, et per hunc modum ostendit quod non est procedere in infinitum.

 

[31902] Iª q. 82 a. 4 ad 3
3. Non e’ è bisogno di procedere all’infinito, ma ci si arresta all’intelletto, come punto di partenza. Infatti è necessario che la conoscenza preceda ogni moto della volontà; non già che la volontà preceda ogni conoscenza; poiché il principio del consigliarsi e dell’intendere è un principio intellettivo più alto del nostro intelletto, cioè Dio, come si esprime lo stesso Aristotele, il quale proprio da ciò dimostra che non è necessario procedere all’infinito.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > La volontà > Se nell’appetito superiore si debbano distinguere l’irascibile e il concupiscibile


Prima pars
Quaestio 82
Articulus 5

[31903] Iª q. 82 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod irascibilis et concupiscibilis distingui debeant in appetitu superiori, qui est voluntas. Vis enim concupiscibilis dicitur a concupiscendo; et irascibilis ab irascendo. Sed aliqua concupiscentia est quae non potest pertinere ad appetitum sensitivum, sed solum ad intellectivum, qui est voluntas; sicut concupiscentia sapientiae, de qua dicitur Sap. VI, concupiscentia sapientiae perducit ad regnum perpetuum. Est etiam quaedam ira quae non potest pertinere ad appetitum sensitivum, sed intellectivum tantum; sicut cum irascimur contra vitia. Unde et Hieronymus, super Matth., monet ut odium vitiorum possideamus in irascibili. Ergo irascibilis et concupiscibilis distingui debent in appetitu intellectivo, sicut et in sensitivo.

 
Prima parte
Questione 82
Articolo 5

[31903] Iª q. 82 a. 5 arg. 1
SEMBRA che nell’appetito superiore, che è la volontà, si debbano distinguere l’irascibile e il concupiscibile. Infatti:
1. Concupiscibile deriva dalla parola [latina] concupire, come irascibile da irasci. Ora, vi è una concupiscenza che non può appartenere all’appetito sensitivo, ma soltanto a quello intellettivo, cioè alla volontà; p. es., la concupiscenza della sapienza, della quale è detto: "La concupiscenza della sapienza conduce al regno eterno". Vi è pure una specie di ira che non può appartenere all’appetito sensitivo, ma solo a quello intellettivo; come allorché ci adiriamo contro i vizi. Tanto è vero che S. Girolamo ci ammonisce: "conserviamo nell’irascibile l’odio dei vizi". Dunque dobbiamo distinguere l’irascibile e il concupiscibile anche nell’appetito intellettivo, come in quello sensitivo.

[31904] Iª q. 82 a. 5 arg. 2
Praeterea, secundum quod communiter dicitur, caritas est in concupiscibili, spes autem in irascibili. Non autem possunt esse in appetitu sensitivo, quia non sunt sensibilium obiectorum, sed intelligibilium. Ergo concupiscibilis et irascibilis sunt ponenda in parte intellectiva.

 

[31904] Iª q. 82 a. 5 arg. 2
2. Si dice comunemente che la carità sta nella parte concupiscibile, mentre la speranza sta nell’irascibile. Ora, esse non possono trovarsi nell’appetito sensitivo; perché non hanno per oggetto cose sensibili, ma cose intelligibili. Quindi dobbiamo porre il concupiscibile e l’irascibile nella parte intellettiva.

[31905] Iª q. 82 a. 5 arg. 3
Praeterea, in libro de spiritu et anima dicitur quod has potentias (scilicet irascibilem et concupiscibilem, et rationalem) habet anima antequam corpori misceatur. Sed nulla potentia sensitivae partis est animae tantum, sed coniuncti, ut supra dictum est. Ergo irascibilis et concupiscibilis sunt in voluntate, quae est appetitus intellectivus.

 

[31905] Iª q. 82 a. 5 arg. 3
3. Sta scritto nel libro De spiritu et anima che "l’anima, prima di unirsi al corpo, possiede queste potenze" (cioè l’irascibile, il concupiscibile e la ragione). Ora nessuna potenza della parte sensitiva può appartenere all’anima sola, ma al composto [di anima e corpo], come si è detto sopra. Quindi l’irascibile e il concupiscibile devono essere nella volontà, che è l’appetito intellettivo.

[31906] Iª q. 82 a. 5 s. c.
Sed contra est quod Gregorius Nyssenus, dicit, quod irrationalis pars animae dividitur in desiderativum et irascitivum; et idem dicit Damascenus, in libro II. Et philosophus dicit, in III de anima quod voluntas in ratione est, in irrationali autem parte animae concupiscentia et ira, vel desiderium et animus.

 

[31906] Iª q. 82 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: S. Gregorio Nisseno divide in concupiscibile e irascibile la [sola] parte irrazionale dell’anima. Lo stesso fa il Damasceno. Anche il Filosofo afferma che "la volontà è nella ragione; invece nella parte irrazionale dell’anima si trovano la concupiscenza e l’ira", ovvero sia "il desiderio e l’ardimento".

[31907] Iª q. 82 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod irascibilis et concupiscibilis non sunt partes intellectivi appetitus, qui dicitur voluntas. Quia, sicut supra dictum est, potentia quae ordinatur ad aliquod obiectum secundum communem rationem, non diversificatur per differentias speciales sub illa ratione communi contentas. Sicut quia visus respicit visibile secundum rationem colorati, non multiplicantur visivae potentiae secundum diversas species colorum, si autem esset aliqua potentia quae esset albi inquantum est album, et non inquantum est coloratum, diversificaretur a potentia quae esset nigri inquantum est nigrum. Appetitus autem sensitivus non respicit communem rationem boni, quia nec sensus apprehendit universale. Et ideo secundum diversas rationes particularium bonorum, diversificantur partes appetitus sensitivi, nam concupiscibilis respicit propriam rationem boni, inquantum est delectabile secundum sensum, et conveniens naturae; irascibilis autem respicit rationem boni, secundum quod est repulsivum et impugnativum eius quod infert nocumentum. Sed voluntas respicit bonum sub communi ratione boni. Et ideo non diversificantur in ipsa, quae est appetitus intellectivus, aliquae potentiae appetitivae, ut sit in appetitu intellectivo alia potentia irascibilis, et alia concupiscibilis, sicut etiam ex parte intellectus non multiplicantur vires apprehensivae, licet multiplicentur ex parte sensus.

 

[31907] Iª q. 82 a. 5 co.
RISPONDO: L’irascibile e il concupiscibile non sono parti dell’appetito intellettivo, cioè della volontà. Perché, come abbiamo già spiegato, una potenza che dice ordine a un oggetto, preso nella sua universalità, non subisce le differenze speciali incluse sotto quella ragione universale. Così il fatto che la vista ha per oggetto le cose visibili, in quanto colorate, non giustifica una pluralità di potenze visive, in base alle diverse specie dei colori: ma se esistesse una potenza, che percepisse il bianco in quanto bianco, e non in quanto colorato, sarebbe diversa dalla potenza che percepisse il nero in quanto nero.
Ora, l’appetito sensitivo non ha per oggetto la ragione universale di bene; perché i sensi non possono nemmeno percepire gli universali. Quindi le parti dell’appetito sensitivo si distinguono in base alle diverse ragioni dei beni particolari: infatti il concupiscibile ha come suo oggetto il bene, in quanto gradevole ai sensi e conveniente alla natura; l’irascibile ha per oggetto il bene in quanto esso reagisce e si oppone a ciò che arreca nocumento. - La volontà invece ha per oggetto il bene secondo la ragione universale di bene. Perciò, essendo la volontà un appetito intellettivo, non comporta una pluralità di potenze appetitive diverse, così da ammettere la distinzione tra irascibile e concupiscibile: allo stesso modo vediamo che nell’intelletto non c’è pluralità di facoltà conoscitive, nonostante la molteplicità di quelle sensitive.

[31908] Iª q. 82 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod amor, concupiscentia, et huiusmodi, dupliciter accipiuntur. Quandoque quidem secundum quod sunt quaedam passiones, cum quadam scilicet concitatione animi provenientes. Et sic communiter accipiuntur, et hoc modo sunt solum in appetitu sensitivo. Alio modo significant simplicem affectum, absque passione vel animi concitatione. Et sic sunt actus voluntatis. Et hoc etiam modo attribuuntur Angelis et Deo. Sed prout sic accipiuntur, non pertinent ad diversas potentias, sed ad unam tantum potentiam, quae dicitur voluntas.

 

[31908] Iª q. 82 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. I termini amore, concupiscenza e simili si possono usare in due sensi. A volte stanno a indicare le passioni, che nascono accompagnate da una certa concitazione dell’animo. È questo l’uso comune: e in questo caso [quei sentimenti] si trovano soltanto nell’appetito sensitivo. - A volte invece indicano una semplice affezione, senza passione ed emozione dell’animo. E allora essi sono atti della volontà. Anzi, in tal senso essi sono attribuiti anche agli angeli e a Dio. Intesi però in questa maniera, non appartengono a potenze diverse, ma a una sola, cioè alla volontà.

[31909] Iª q. 82 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod ipsa voluntas potest dici irascibilis, prout vult impugnare malum, non ex impetu passionis, sed ex iudicio rationis. Et eodem modo potest dici concupiscibilis, propter desiderium boni. Et sic in irascibili et concupiscibili sunt caritas et spes; idest in voluntate secundum quod habet ordinem ad huiusmodi actus. Sic etiam potest intelligi quod dicitur in libro de spiritu et anima, quod irascibilis et concupiscibilis sunt animae antequam uniatur corpori (ut tamen intelligatur ordo naturae, et non temporis), licet non sit necessarium verbis illius libri fidem adhibere.

 

[31909] Iª q. 82 a. 5 ad 2
2. Anche la volontà si può chiamare irascibile, in quanto si oppone al male, non per impeto di passione, ma dietro il giudizio della ragione. E nella stessa maniera può chiamarsi concupiscibile, in quanto desidera il bene. In tal senso la carità e la speranza si trovano nell’irascibile e nel concupiscibile, cioè nella volontà, in quanto dice ordine a simili atti.

[31910] Iª q. 82 a. 5 ad 3
Unde patet solutio ad tertium.

 

[31910] Iª q. 82 a. 5 ad 3
3. Così potrebbero anche spiegarsi le parole del libro De spiritu et anima, che cioè l’irascibile e il concupiscibile fanno parte dell’anima prima che si unisca al corpo (ben inteso però, che si tratta di ordine di natura e non di tempo): per quanto non sia necessario stare alle parole di quel libro. - Abbiamo così risposto anche alla terza difficoltà.

Alla Questione precedente

 

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