I, 64

Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > La pena dei demoni


Prima pars
Quaestio 64
Prooemium

[31118] Iª q. 64 pr.
Consequenter quaeritur de poena Daemonum. Et circa hoc quaeruntur quatuor.
Primo, de obtenebratione intellectus.
Secundo, de obstinatione voluntatis.
Tertio, de dolore ipsorum.
Quarto, de loco poenali ipsorum.

 
Prima parte
Questione 64
Proemio

[31118] Iª q. 64 pr.
Rimane ora da parlare della pena dei demoni.
Intorno a tale argomento vanno considerate quattro cose:

1. L'oscuramento dell'intelletto;
2. L'ostinazione della volontà;
3. Il dolore dei demoni;
4. Il loro luogo di pena.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > La pena dei demoni > Se l'intelletto del demonio si sia oscurato al punto da essere privato della conoscenza di qualsiasi verità


Prima pars
Quaestio 64
Articulus 1

[31119] Iª q. 64 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod intellectus Daemonis sit obtenebratus per privationem cognitionis omnis veritatis. Si enim aliquam veritatem cognoscerent, maxime cognoscerent seipsos, quod est cognoscere substantias separatas. Hoc autem eorum miseriae non convenit, cum ad magnam beatitudinem pertinere videatur, intantum quod quidam ultimam beatitudinem hominis posuerunt in cognoscendo substantias separatas. Ergo Daemones privantur omni cognitione veritatis.

 
Prima parte
Questione 64
Articolo 1

[31119] Iª q. 64 a. 1 arg. 1
SEMBRA che l'intelletto del demonio si sia oscurato al punto da essere privato della conoscenza di qualsiasi verità. Infatti:
1. Se i demoni conoscessero qualche verità, conoscerebbero soprattutto se stessi, quindi conoscerebbero delle sostanze separate. Ma ciò è incompatibile con la loro infelicità: poiché conoscere le sostanze separate è fonte di una grande gioia, tanto che alcuni hanno pensato che la beatitudine dell'uomo consistesse nel conoscere le sostanze separate. Dunque i demoni sono privati di ogni cognizione della verità.

[31120] Iª q. 64 a. 1 arg. 2
Praeterea, id quod est manifestissimum in natura, videtur esse maxime manifestum Angelis, sive bonis sive malis. Quod enim non sit nobis maxime manifestum, contingit ex debilitate intellectus nostri a phantasmatibus accipientis, sicut ex debilitate oculi noctuae contingit quod non possit videre lumen solis. Sed Daemones non possunt cognoscere Deum, qui est secundum se manifestissimus, cum sit in summo veritatis, eo quod non habent mundum cor, quo solo videtur Deus. Ergo nec alia cognoscere possunt.

 

[31120] Iª q. 64 a. 1 arg. 2
2. Una cosa che per sua stessa natura è evidentissima deve essere evidente al massimo per gli angeli, siano essi buoni o cattivi. Che infatti quella data cosa non sia così evidente per noi, proviene dalla debolezza del nostro intelletto, il quale astrae la verità dai fantasmi: allo stesso modo che la civetta per la debolezza del suo occhio non può vedere la luce del sole. Eppure i demoni non possono conoscere Dio, il quale, perché somma verità, è per se stesso sommamente conoscibile: e questo perché non hanno il cuore puro, che è indispensabile per vedere Dio. Dunque non possono conoscere neppure le altre cose.

[31121] Iª q. 64 a. 1 arg. 3
Praeterea, cognitio rerum Angelis conveniens est duplex, secundum Augustinum, scilicet matutina, et vespertina. Sed cognitio matutina non competit Daemonibus, quia non vident res in verbo, nec etiam cognitio vespertina, quia cognitio vespertina refert res cognitas ad laudem creatoris (unde post vespere fit mane, ut dicitur Gen. I). Ergo Daemones non possunt cognitionem de rebus habere.

 

[31121] Iª q. 64 a. 1 arg. 3
3. Gli angeli, come insegna S. Agostino, hanno una duplice cognizione: mattutina e vespertina. Ma i demoni non possono avere la cognizione mattutina, perché non vedono le cose nel Verbo; e non possono avere quella vespertina, perché questa cognizione rivolge le cose conosciute alla gloria del Creatore (perciò dopo il vespro viene il mattino, come si legge nella Genesi). Dunque i demoni non possono avere nessuna conoscenza delle cose.

[31122] Iª q. 64 a. 1 arg. 4
Praeterea, Angeli in sua conditione cognoverunt mysterium regni Dei, ut Augustinus dicit, V super Gen. ad Litt. Sed Daemones hac cognitione privati sunt, quia si cognovissent, nequaquam dominum gloriae crucifixissent, ut dicitur I Cor. II. Ergo, pari ratione, omni alia cognitione veritatis sunt privati.

 

[31122] Iª q. 64 a. 1 arg. 4
4. Come spiega S. Agostino, gli angeli nell'atto della loro creazione conobbero il mistero del regno di Dio. Ma i demoni furono subito privati di questa conoscenza; perché altrimenti, come dice S. Paolo "se l'avessero conosciuto non avrebbero crocifisso il Signore della gloria". Dunque per lo stesso motivo furono privati di tutte le altre cognizioni della verità.

[31123] Iª q. 64 a. 1 arg. 5
Praeterea, quamcumque veritatem aliquis scit, aut cognoscit eam naturaliter, sicut nos cognoscimus prima principia; aut accipiendo ab alio, sicut quae scimus addiscendo; aut per experientiam longi temporis, sicut quae scimus inveniendo. Sed Daemones non possunt cognoscere veritatem per suam naturam, quia ab eis divisi sunt boni Angeli sicut lux a tenebris, ut Augustinus dicit; omnis autem manifestatio fit per lumen, ut dicitur Ephes. V. Similiter etiam neque per revelationem, neque addiscendo a bonis Angelis, quia non est conventio lucis ad tenebras, ut dicitur II Cor. VI. Neque etiam per experientiam longi temporis, quia experientia a sensu oritur. Ergo nulla in eis est cognitio veritatis.

 

[31123] Iª q. 64 a. 1 arg. 5
5. Qualsiasi verità uno conosca, o la conosce naturalmente, a quel modo che noi conosciamo i primi principi; o la riceve da un altro, come quando noi veniamo a sapere certe cose ascoltandole; oppure per mezzo di una lunga esperienza, come apprendiamo le cose che son frutto delle nostre ricerche. Ora, i demoni non possono conoscere la verità per mezzo della loro natura; poiché, stando a quello che dice S. Agostino, da essi furono separati gli angeli buoni come la luce dalle tenebre; e ogni illustrazione, al dire di S. Paolo, avviene per mezzo della luce. Parimenti, non possono conoscere neppure per mezzo della rivelazione, né imparando dagli angeli buoni: poiché sta scritto che "non vi è comunanza tra la luce e le tenebre". E non possono conoscere per mezzo di una lunga esperienza; poiché l'esperienza deriva dai sensi. Dunque in essi non si trova nessuna conoscenza della verità.

[31124] Iª q. 64 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Dionysius dicit, IV cap. de Div. Nom., quod data Daemonibus angelica dona nequaquam mutata esse dicimus, sed sunt integra et splendidissima. Inter ista autem naturalia dona est cognitio veritatis. Ergo in eis est aliqua veritatis cognitio.

 

[31124] Iª q. 64 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Dionigi scrive: "Noi affermiamo che i doni angelici concessi ai demoni non sono stati affatto mutati, ma rimangono integri e splendidissimi". Ora tra questi doni naturali c'è la cognizione della verità. Dunque in essi c'è una certa conoscenza della verità.

[31125] Iª q. 64 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod duplex est cognitio veritatis, una quidem quae habetur per gratiam; alia vero quae habetur per naturam. Et ista quae habetur per gratiam, est duplex, una quae est speculativa tantum, sicut cum alicui aliqua secreta divinorum revelantur; alia vero quae est affectiva, producens amorem Dei; et haec proprie pertinet ad donum sapientiae. Harum autem trium cognitionum prima in Daemonibus nec est ablata, nec diminuta. Consequitur enim ipsam naturam Angeli, qui secundum suam naturam est quidam intellectus vel mens, propter simplicitatem autem suae substantiae, a natura eius aliquid subtrahi non potest, ut sic per subtractionem naturalium puniatur, sicut homo punitur per subtractionem manus aut pedis aut alicuius huiusmodi. Et ideo dicit Dionysius quod dona naturalia in eis integra manent. Unde naturalis cognitio in eis non est diminuta. Secunda autem cognitio, quae est per gratiam, in speculatione consistens, non est in eis totaliter ablata, sed diminuta, quia de huiusmodi secretis divinis tantum revelatur eis quantum oportet, vel mediantibus Angelis, vel per aliqua temporalia divinae virtutis effecta, ut dicit Augustinus, IX de Civ. Dei; non autem sicut ipsis sanctis Angelis, quibus plura et clarius revelantur in ipso verbo. A tertia vero cognitione sunt totaliter privati, sicut et a caritate.

 

[31125] Iª q. 64 a. 1 co.
RISPONDO: Esistono due cognizioni della verità: l'una proviene dalla natura, l'altra è originata dalla grazia. E quella che deriva dalla grazia è di due specie: la prima, che è soltanto speculativa, consiste nella semplice rivelazione dei segreti divini; l'altra, che è affettiva, genera l'amore di Dio: e questa appartiene propriamente al dono della Sapienza.
Ora, di queste tre cognizioni la prima non è stata né tolta né diminuita nei demoni. Deriva infatti dalla natura dell'angelo il quale è per essenza intelletto o mente: e anche nel caso che si volesse punirlo con la sottrazione di qualche dote naturale, data la semplicità della sua sostanza, non si potrebbe strappare qualche parte alla sua natura, a quel modo che si punisce un uomo col taglio della mano, del piede o di altre membra. Perciò Dionigi afferma che i doni naturali nei demoni sono rimasti integri. La cognizione naturale non fu quindi diminuita nei demoni. - La seconda cognizione, quella cioè che deriva dalla grazia, ma che si ferma alla sola speculazione, non fu completamente tolta ai demoni, ma fu diminuita: poiché vien loro rivelato quello che è indispensabile dei segreti divini, o mediante gli angeli, oppure, come dice S. Agostino "per mezzo di determinati effetti compiuti nel tempo dalla virtù divina"; non hanno però questa rivelazione come gli angeli santi, ai quali è rivelato un maggior numero di tali verità, e in modo più chiaro, nella diretta visione del Verbo. - Furono invece privati totalmente della terza cognizione, come erano stati privati della carità.

[31126] Iª q. 64 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod felicitas consistit in applicatione ad id quod superius est. Substantiae autem separatae sunt ordine naturae supra nos, unde aliqualis ratio felicitatis esse potest homini si cognoscat substantias separatas; licet perfecta eius felicitas sit in cognoscendo primam substantiam, scilicet Deum. Sed substantiae separatae cognoscere substantiam separatam est connaturale, sicut et nobis cognoscere naturas sensibiles. Unde sicut in hoc non est felicitas hominis, quod cognoscat naturas sensibiles; ita non est felicitas Angeli in hoc, quod cognoscat substantias separatas.

 

[31126] Iª q. 64 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La beatitudine consiste nell'unirsi con qualche cosa di superiore. Ora, le sostanze separate in ordine di natura sono superiori a noi: quindi la cognizione delle sostanze separate costituisce per l'uomo una certa felicità; sebbene la sua perfetta beatitudine consista nel conoscere la prima sostanza, cioè Dio. Ma per una sostanza separata la cognizione delle sostanze separate è cosa connaturale, come per noi è connaturale la cognizione delle cose sensibili. Perciò, come la felicità dell'uomo non consiste nella conoscenza delle cose sensibili, così la beatitudine dell'angelo non consiste nella cognizione delle sostanze separate.

[31127] Iª q. 64 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod illud quod est manifestissimum in natura, est nobis occultum propter hoc quod excedit proportionem intellectus nostri; et non solum propter hoc quod intellectus noster accipit a phantasmatibus. Excedit autem divina substantia non solum proportionem intellectus humani, sed etiam intellectus angelici. Unde nec ipse Angelus secundum suam naturam, potest cognoscere Dei substantiam. Potest tamen altiorem cognitionem de Deo habere per suam naturam quam homo, propter perfectionem sui intellectus. Et talis cognitio Dei remanet etiam in Daemonibus. Licet enim non habeant puritatem quae est per gratiam, habent tamen puritatem naturae, quae sufficit ad cognitionem Dei quae eis competit ex natura.

 

[31127] Iª q. 64 a. 1 ad 2
2. È oscuro per noi ciò che per sua natura è massimamente intelligibile, perché sorpassa la capacità del nostro intelletto, e non soltanto per il fatto che la nostra intelligenza dipende dai fantasmi. Ora, l'essenza divina non sorpassa la sola capacità dell'intelletto umano, ma anche quella dell'angelo. Perciò neanche l'angelo può conoscere l'essenza di Dio con le sue forze naturali. - Tuttavia, data la perfezione del suo intelletto, può avere una conoscenza naturale di Dio più alta di quella dell'uomo. E tale cognizione rimane anche nei demoni. Sebbene infatti essi non abbiano la purezza che proviene dalla grazia, hanno tuttavia purezza (o semplicità) di natura, la quale è sufficiente per la cognizione di Dio che loro spetta nell'ordine naturale.

[31128] Iª q. 64 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod creatura tenebra est, comparata excellentiae divini luminis, et ideo cognitio creaturae in propria natura, vespertina dicitur. Vespere enim est tenebris adiunctum, habet tamen aliquid de luce, cum autem totaliter deficit lux, est nox. Sic igitur et cognitio rerum in propria natura, quando refertur ad laudem creatoris, ut in bonis Angelis, habet aliquid de luce divina, et potest dici vespertina, si autem non referatur in Deum, sicut in Daemonibus, non dicitur vespertina, sed nocturna. Unde et in Genesi I, legitur quod tenebras quas Deus a luce separavit, vocavit noctem.

 

[31128] Iª q. 64 a. 1 ad 3
3. La creatura è tenebra se si paragona all'eccellenza della luce divina: per questo la conoscenza di una cosa creata nella sua propria natura si chiama vespertina. Il vespro infatti è congiunto alle tenebre, tuttavia conserva ancora della luce: quando poi viene a mancare totalmente la luce, c'è la notte. Lo stesso si dica della cognizione delle cose nella loro propria natura: se viene indirizzata a lode del creatore, come avviene negli angeli buoni, tale cognizione ha un po' della luce divina, e può chiamarsi vespertina; se invece non è indirizzata a lode di Dio, come avviene nei demoni, allora non si chiama più vespertina, ma notturna. Per questo si legge nella Genesi che Dio "chiamò notte" le tenebre che aveva diviso dalla luce.

[31129] Iª q. 64 a. 1 ad 4
Ad quartum dicendum quod mysterium regni Dei, quod est impletum per Christum, omnes quidem Angeli a principio aliquo modo cognoverunt; maxime ex quo beatificati sunt visione verbi, quam Daemones nunquam habuerunt. Non tamen omnes Angeli cognoverunt perfecte, neque aequaliter. Unde Daemones multo minus, Christo existente in mundo, perfecte mysterium incarnationis cognoverunt. Non enim innotuit eis, ut Augustinus dicit sicut Angelis sanctis, qui verbi participata aeternitate perfruuntur, sed sicut eis terrendis innotescendum fuit per quaedam temporalia effecta. Si autem perfecte et per certitudinem cognovissent ipsum esse filium Dei, et effectum passionis eius, nunquam dominum gloriae crucifigi procurassent.

 

[31129] Iª q. 64 a. 1 ad 4
4. Il mistero del regno di Dio, che fu compiuto per mezzo di Cristo, fu conosciuto in qualche modo dagli angeli fin da principio; lo conobbero soprattutto da quando furono beati nella visione del Verbo, visione che i demoni però non ebbero mai. Tuttavia gli angeli non conobbero tutti perfettamente questo mistero, né (lo conobbero tutti) ugualmente. Molto meno perciò conobbero il mistero dell'Incarnazione i demoni nel tempo in cui Cristo si trovava nel mondo. Come infatti dice S. Agostino, "Cristo non fu conosciuto da loro come è conosciuto dagli angeli santi, i quali fruiscono dell'eternità del Verbo che ad essi è partecipata; ma lo conoscono soltanto come oggetto di terrore da certe sue azioni compiute nel tempo". Se invece avessero conosciuto perfettamente e con certezza che Cristo era Figlio di Dio, e quale sarebbe stato l'effetto della sua passione, non avrebbero mai fatto crocifiggere il Signore della gloria.

[31130] Iª q. 64 a. 1 ad 5
Ad quintum dicendum quod Daemones tribus modis cognoscunt veritatem aliquam. Uno modo, subtilitate suae naturae, quia licet sint obtenebrati per privationem luminis gratiae, sunt tamen lucidi lumine intellectualis naturae. Secundo, per revelationem a sanctis Angelis; cum quibus non conveniunt quidem per conformitatem voluntatis; conveniunt autem similitudine intellectualis naturae, secundum quam possunt accipere quod ab aliis manifestatur. Tertio modo cognoscunt per experientiam longi temporis; non quasi a sensu accipientes; sed dum in rebus singularibus completur similitudo eius speciei intelligibilis quam sibi naturaliter habent inditam, aliqua cognoscunt praesentia, quae non praecognoverunt futura, ut supra de cognitione Angelorum dictum est.

 

[31130] Iª q. 64 a. 1 ad 5
5. I demoni possono conoscere delle verità in tre modi. Primo, mediante il loro acume naturale; poiché, sebbene essi siano ottenebrati in seguito alla privazione della grazia, sono tuttavia illuminati dalla luce della loro natura intellettiva. - Secondo, conoscono mediante le comunicazioni degli angeli santi, con i quali hanno in comune non la conformità del volere, bensì la somiglianza nella natura intellettiva, per mezzo della quale possono ricevere ciò che viene manifestato dagli altri angeli. - Terzo, possono conoscere mediante una lunga esperienza, non nel senso che essi derivino la loro cognizione dai sensi; ma poiché, come si è detto sopra trattando della cognizione angelica, quando nella realtà (concreta e) singolare si avvera qualche cosa che possiede una somiglianza con la specie intelligibile infusa per natura nei demoni, questi allora soltanto conoscono, perché presenti, certe cose che non avevano conosciuto quando erano ancora future.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > La pena dei demoni > Se la volontà dei demoni sia ostinata nel male


Prima pars
Quaestio 64
Articulus 2

[31131] Iª q. 64 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod voluntas Daemonum non sit obstinata in malo. Libertas enim arbitrii ad naturam intellectualis naturae pertinet, quae manet in Daemonibus, ut dictum est. Sed libertas arbitrii per se et prius ordinatur ad bonum quam ad malum. Ergo voluntas Daemonis non est ita obstinata in malo, quin possit redire ad bonum.

 
Prima parte
Questione 64
Articolo 2

[31131] Iª q. 64 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la volontà dei demoni non sia ostinata nel male. Infatti:
1. Come già si disse, la natura intellettiva, che nei demoni è rimasta, ha come naturale proprietà il libero arbitrio. Ora, il libero arbitrio è più ordinato al bene che al male. Dunque la volontà del demonio non può essere così ostinata nel male, da non potersi più volgere al bene.

[31132] Iª q. 64 a. 2 arg. 2
Praeterea, maior est misericordia Dei, quae est infinita, quam Daemonis malitia, quae est finita. A malitia autem culpae ad bonitatem iustitiae nullus redit nisi per Dei misericordiam. Ergo etiam Daemones a statu malitiae possunt redire ad statum iustitiae.

 

[31132] Iª q. 64 a. 2 arg. 2
2. La misericordia di Dio, che è infinita, è più grande della malizia del demonio, la quale è finita. Ma non si ritorna dalla malizia della colpa alla rettitudine della giustizia che mediante la misericordia di Dio. Dunque anche i demoni possono ritornare dallo stato di colpa allo stato di giustizia.

[31133] Iª q. 64 a. 2 arg. 3
Praeterea, si Daemones habent voluntatem obstinatam in malo, maxime haberent eam obstinatam in peccato quo peccaverunt. Sed illud peccatum in eis nunc non manet, scilicet superbia quia nec motivum manet, scilicet excellentia. Ergo Daemon non est obstinatus in malitia.

 

[31133] Iª q. 64 a. 2 arg. 3
3. Se i demoni avessero la volontà ostinata nel male, sarebbero soprattutto ostinati nel peccato con cui prevaricarono. Ma quel peccato, ossia la superbia, non rimane attualmente in essi: poiché è venuto a mancare il suo incentivo, che è la propria eccellenza (o gloria). Dunque il demonio non è ostinato nel male.

[31134] Iª q. 64 a. 2 arg. 4
Praeterea, Gregorius dicit quod homo per alium reparari potuit, quia per alium cecidit. Sed Daemones inferiores per primum ceciderunt, ut supra dictum est. Ergo eorum casus per alium reparari potest. Ergo non sunt in malitia obstinati.

 

[31134] Iª q. 64 a. 2 arg. 4
4. S. Gregorio fa osservare che l'uomo poteva essere redento da un altro, poiché cadde per essere stato indotto da un altro. Ma i demoni inferiori furono indotti al male dal primo demonio, come si è visto. Dunque la loro caduta può essere riparata da un altro. Perciò non sono ostinati nel male. 5. Chi

[31135] Iª q. 64 a. 2 arg. 5
Praeterea, quicumque est in malitia obstinatus, nunquam aliquod bonum opus operatur. Sed Daemon aliqua bona opera facit, confitetur enim veritatem, dicens Christo, scio quia sis sanctus Dei, Marc. I, Daemones etiam credunt et contremiscunt, ut dicitur Iacob. II; Dionysius etiam dicit, IV cap. de Div. Nom., quod bonum et optimum concupiscunt, esse, vivere et intelligere. Ergo non sunt obstinati in malitia.

 

[31135] Iª q. 64 a. 2 arg. 5
5. Chi è ostinato nel male non compie mai un'opera buona. Il demonio invece ha compiuto qualche opera buona; egli infatti ha confessato la verità quando disse a Cristo: "Io so chi tu sei, il santo di Dio"; inoltre la Scrittura afferma che "i demoni credono e tremano"; e anche Dionigi afferma che essi "bramano il bene e l'ottimo, cioè l'essere, il vivere e il conoscere". Dunque non sono ostinati nel male.

[31136] Iª q. 64 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dicitur in Psalmo LXXIII, superbia eorum qui te oderunt, ascendit semper; quod de Daemonibus exponitur. Ergo semper obstinati in malitia perseverant.

 

[31136] Iª q. 64 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto nei Salmi: "La superbia di quei che t'odiano cresce sempre"; le quali parole vengono riferite ai demoni. Dunque essi rimangono sempre ostinati nel male.

[31137] Iª q. 64 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod Origenis positio fuit quod omnis voluntas creaturae, propter libertatem arbitrii, potest flecti et in bonum et in malum, excepta anima Christi propter unionem verbi. Sed haec positio tollit veritatem beatitudinis a sanctis Angelis et hominibus, quia stabilitas sempiterna est de ratione verae beatitudinis; unde et vita aeterna nominatur. Repugnat etiam auctoritati Scripturae sacrae, quae Daemones et homines malos in supplicium aeternum mittendos, bonos autem in vitam aeternam transferendos pronuntiat, Matth. XXV. Unde haec positio est tanquam erronea reputanda; et tenendum est firmiter, secundum fidem Catholicam, quod et voluntas bonorum Angelorum confirmata est in bono, et voluntas Daemonum obstinata est in malo. Causam autem huius obstinationis oportet accipere, non ex gravitate culpae, sed ex conditione naturae status. Hoc enim est hominibus mors, quod Angelis casus, ut Damascenus dicit. Manifestum est autem quod omnia mortalia peccata hominum, sive sint magna sive sint parva, ante mortem sunt remissibilia; post mortem vero, irremissibilia, et perpetuo manentia. Ad inquirendum ergo causam huiusmodi obstinationis, considerandum est quod vis appetitiva in omnibus proportionatur apprehensivae a qua movetur, sicut mobile motori. Appetitus enim sensitivus est boni particularis, voluntas vero universalis, ut supra dictum est; sicut etiam sensus apprehensivus est singularium, intellectus vero universalium. Differt autem apprehensio Angeli ab apprehensione hominis in hoc, quod Angelus apprehendit immobiliter per intellectum, sicut et nos immobiliter apprehendimus prima principia, quorum est intellectus, homo vero per rationem apprehendit mobiliter, discurrendo de uno ad aliud, habens viam procedendi ad utrumque oppositorum. Unde et voluntas hominis adhaeret alicui mobiliter, quasi potens etiam ab eo discedere et contrario adhaerere, voluntas autem Angeli adhaeret fixe et immobiliter. Et ideo, si consideretur ante adhaesionem, potest libere adhaerere et huic et opposito (in his scilicet quae non naturaliter vult), sed postquam iam adhaesit, immobiliter adhaeret. Et ideo consuevit dici quod liberum arbitrium hominis flexibile est ad oppositum et ante electionem, et post; liberum autem arbitrium Angeli est flexibile ad utrumque oppositum ante electionem, sed non post. Sic igitur et boni Angeli, semper adhaerentes iustitiae, sunt in illa confirmati, mali vero, peccantes, sunt in peccato obstinati. De obstinatione vero hominum damnatorum infra dicetur.

 

[31137] Iª q. 64 a. 2 co.
RISPONDO: Origene riteneva che la volontà di qualsiasi creatura, eccettuata l'anima di Cristo a causa della sua unione col Verbo, può sempre volgersi al bene e al male, in forza del libero arbitrio. - Ma tale sentenza viene a compromettere la vera beatitudine degli angeli santi e degli uomini: poiché la perpetua stabilità appartiene all'essenza della vera beatitudine; tanto che questa viene chiamata vita eterna. È inoltre inconciliabile con l'autorità della sacra Scrittura, la quale afferma che i demoni e i reprobi saranno condannati a un eterno supplizio, i buoni invece saranno chiamati alla vita eterna. - Questa sentenza deve perciò essere considerata erronea; e si deve ritenere fermamente, come vuole la fede cattolica, che la volontà degli angeli buoni è confermata nel bene, mentre la volontà dei demoni è ostinata nel male.
La causa di questa ostinazione non proviene dalla gravità della colpa, bensì dalla particolare condizione della loro natura e del loro stato. Come infatti afferma il Damasceno, "la morte è per gli uomini quello che è la caduta per gli angeli". Ora, è evidente che tutti i peccati degli uomini, siano essi grandi o piccoli, sono sempre remissibili, prima della morte; ma dopo la morte sono irremissibili e durano per sempre.
Per ricercare quindi la causa di questa ostinazione, bisogna considerare che la facoltà appetitiva è in tutto proporzionata alla facoltà conoscitiva dalla quale inizia il suo moto, come il mobile è proporzionato al suo motore. Difatti l'appetito sensitivo, come si è già notato, ha per oggetto il bene particolare, mentre la volontà si porta verso il bene universale; precisamente come il senso conosce le cose (concrete e) singolari, e l'intelletto quelle universali. - Ora, l'intuizione dell'angelo si differenzia da quella dell'uomo per il fatto che l'angelo percepisce col suo intelletto in maniera irremovibile, come noi apprendiamo in modo irremovibile i primi principi di cui si occupa (quell'abito mentale che è) l'intelletto. L'uomo invece per mezzo della ragione apprende in maniera instabile, procedendo col ragionamento da una nozione all'altra, ed ha la possibilità di scegliere tra due opposte sentenze. Perciò la volontà dell'uomo aderisce ad una cosa in maniera instabile, conservando la facoltà di staccarsi da essa per aderire alla cosa contraria; la volontà dell'angelo invece aderisce stabilmente e irremovibilmente al suo oggetto. Se perciò si considera questa volontà prima della sua adesione, vi troviamo la capacità di aderire liberamente a una cosa o al suo contrario (ben inteso tra quelle che non è portata a volere per natura); ma una volta che ha aderito l'adesione è irremovibile. Per questo motivo si suol dire che il libero arbitrio dell'uomo tra due alternative ha la capacità di portarsi sia verso l'una che verso l'altra tanto prima che dopo l'elezione; invece il libero arbitrio dell'angelo si può volgere verso entrambe le alternative prima dell'elezione ma non dopo. - Per questo motivo gli angeli buoni, aderendo per sempre alla giustizia sono confermati in essa; i cattivi invece peccando rimangono ostinati nel peccato. - Dell'ostinazione degli uomini dannati parleremo in seguito.

[31138] Iª q. 64 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod boni et mali Angeli habent liberum arbitrium, sed secundum modum et conditionem suae naturae, ut dictum est.

 

[31138] Iª q. 64 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Tanto gli angeli buoni che quelli cattivi hanno, come si è detto, il libero arbitrio, ma secondo la condizione e il modo conveniente alla loro natura.

[31139] Iª q. 64 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod misericordia Dei liberat a peccato poenitentes. Illi vero qui poenitentiae capaces non sunt, immobiliter malo adhaerentes per divinam misericordiam non liberantur.

 

[31139] Iª q. 64 a. 2 ad 2
2. La misericordia di Dio libera dal male coloro che si pentono. Ma quelli che non sono più capaci di pentimento, perché aderiscono irremovibilmente al male, non vengono liberati dalla misericordia divina.

[31140] Iª q. 64 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod adhuc manet in Diabolo peccatum quo primo peccavit, quantum ad appetitum; licet non quantum ad hoc quod credat se posse obtinere. Sicut si aliquis credat se posse facere homicidium, et velit facere, et postea adimatur ei potestas; nihilominus voluntas homicidii in eo manere potest, ut velit fecisse, vel velit facere si posset.

 

[31140] Iª q. 64 a. 2 ad 3
3. Nel demonio rimane ancora il suo primo peccato quanto al desiderio; sebbene non creda più di poter conseguire quello che aveva desiderato. Così avviene nel caso di uno che crede di poter commettere un omicidio, e che desidera di commetterlo: se gli viene tolta la possibilità di uccidere, può tuttavia rimanere in lui la volontà di commettere l'omicidio, o perché vorrebbe averlo commesso, o perché vorrebbe ancora commetterlo se potesse.

[31141] Iª q. 64 a. 2 ad 4
Ad quartum dicendum quod non est tota causa quare peccatum hominis sit remissibile, quia alio suggerente peccavit. Et ideo ratio non sequitur.

 

[31141] Iª q. 64 a. 2 ad 4
4. Il motivo per cui il peccato dell'uomo è remissibile non si riduce soltanto al fatto che egli ha peccato per suggestione di un altro. Perciò l'argomento non regge.

[31142] Iª q. 64 a. 2 ad 5
Ad quintum dicendum quod actus Daemonis est duplex. Quidam scilicet ex voluntate deliberata procedens, et hic proprie potest dici actus eius. Et talis actus Daemonis semper est malus, quia etsi aliquando aliquod bonum faciat, non tamen bene facit; sicut dum veritatem dicit ut decipiat, et dum non voluntarie credit et confitetur, sed rerum evidentia coactus. Alius autem actus Daemonis est naturalis; qui bonus esse potest, et attestatur bonitati naturae. Et tamen etiam tali bono actu abutuntur ad malum.

 

[31142] Iª q. 64 a. 2 ad 5
5. Nel demonio ci sono due specie di atti. Uno è quello che procede dalla volontà deliberata: ed è questo propriamente il suo atto. Tale atto del demonio è sempre cattivo: poiché anche se talvolta egli compie un atto buono, tuttavia non lo compie con rettitudine; come quando dice la verità per ingannare, oppure quando crede contro voglia confessando una verità perché costretto dall'evidenza. - L'altro atto del demonio è quello naturale, il quale può anche essere buono e manifesta la bontà della natura. Tuttavia i demoni abusano anche di tale atto per fare il male.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > La pena dei demoni > Se nei demoni ci sia il dolore


Prima pars
Quaestio 64
Articulus 3

[31143] Iª q. 64 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod dolor non sit in Daemonibus. Cum enim dolor et gaudium opponantur, non possunt esse simul in eodem. Sed in Daemonibus est gaudium, dicit enim Augustinus, contra Manichaeos, Diabolus potestatem habet in eos qui Dei praecepta contemnunt, et de hac tam infelici potestate laetatur. Ergo in Daemonibus non est dolor.

 
Prima parte
Questione 64
Articolo 3

[31143] Iª q. 64 a. 3 arg. 1
SEMBRA che nei demoni non ci sia il dolore. Infatti:
1. La gioia e il dolore, essendo due cose opposte tra di loro, non possono trovarsi simultaneamente nello stesso soggetto. Ora, nei demoni c'è la gioia; dice infatti S. Agostino: "Il diavolo ha potere su quelli che disprezzano i precetti di Dio, e si rallegra di questo suo disgraziato potere". Dunque nei demoni non c'è il dolore.

[31144] Iª q. 64 a. 3 arg. 2
Praeterea, dolor est causa timoris, de his enim timemus dum futura sunt, de quibus dolemus dum praesentia sunt. Sed in Daemonibus non est timor; secundum illud Iob XLI, factus est ut nullum timeret. Ergo in Daemonibus non est dolor.

 

[31144] Iª q. 64 a. 3 arg. 2
2. Il dolore è causa di timore: noi infatti temiamo come future quelle cose che ci addolorano quando sono presenti. Ora, nei demoni non c'è il timore, conforme al detto della Scrittura: "Fu fatto per non temer nessuno". Dunque nei demoni non c'è il dolore.

[31145] Iª q. 64 a. 3 arg. 3
Praeterea, dolere de malo est bonum. Sed Daemones non possunt bene facere. Ergo non possunt dolere, ad minus de malo culpae; quod pertinet ad vermem conscientiae.

 

[31145] Iª q. 64 a. 3 arg. 3
3. Provar dolore per il male è un bene. Ma i demoni non possono fare il bene. Dunque non possono provar dolore alcuno, almeno per il male della colpa, cosa che appartiene al rimorso di coscienza.

[31146] Iª q. 64 a. 3 s. c.
Sed contra est quod peccatum Daemonis est gravius quam peccatum hominis. Sed homo punitur dolore pro delectatione peccati; secundum illud Apoc. XVIII, quantum glorificavit se et in deliciis fuit, tantum date ei tormentum et luctum. Ergo multo magis Diabolus, qui maximo se glorificavit, punitur doloris luctu.

 

[31146] Iª q. 64 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Il peccato del demonio è più grave del peccato dell'uomo. Ora, l'uomo è punito col dolore per il piacere del peccato, conforme alle parole dell'Apocalisse: "Quanto si è gloriata e ha lussureggiato, tanto datele di tormento e di lutto". Dunque assai più deve essere punito col lutto del dolore il diavolo, che più di tutti si è gloriato.

[31147] Iª q. 64 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod timor, dolor, gaudium, et huiusmodi, secundum quod sunt passiones, in Daemonibus esse non possunt, sic enim sunt propriae appetitus sensitivi, qui est virtus in organo corporali. Sed secundum quod nominant simplices actus voluntatis, sic possunt esse in Daemonibus. Et necesse est dicere quod in eis sit dolor. Quia dolor, secundum quod significat simplicem actum voluntatis, nihil est aliud quam renisus voluntatis ad id quod est vel non est. Patet autem quod Daemones multa vellent non esse quae sunt, et esse quae non sunt, vellent enim, cum sint invidi, damnari eos qui salvantur. Unde oportet dicere quod in eis sit dolor, et praecipue quia de ratione poenae est, quod voluntati repugnet. Privantur etiam beatitudine quam naturaliter appetunt; et in multis eorum iniqua voluntas cohibetur.

 

[31147] Iª q. 64 a. 3 co.
RISPONDO: Il timore, la gioia, il dolore ed altre simili cose, in quanto passioni non possono trovarsi nel demonio: infatti come tali appartengono propriamente all'appetito sensitivo, che è una facoltà che ha sede in un organo corporeo. Ma in quanto significano dei semplici atti di volontà possono trovarsi anche nel demonio. - E si deve necessariamente ammettere che in essi c'è il dolore. Perché il dolore, in quanto indica un semplice atto della volontà, non è altro che l'insofferenza della volontà per ciò che è, o per ciò che non è. Ora, è evidente che i demoni vorrebbero che non ci fossero molte cose che invece ci sono, e vorrebbero viceversa che ci fossero altre cose che non ci sono: essendo infatti invidiosi, vorrebbero che si dannassero quelli che invece si salvano. Bisogna perciò concludere che in essi c'è il dolore, tanto più che è proprietà essenziale della pena il contrariare la volontà. Inoltre i demoni sono privati della beatitudine che naturalmente desiderano; e in molte cose la loro cattiva volontà viene impedita.

[31148] Iª q. 64 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod gaudium et dolor de eodem sunt opposita, non autem de diversis. Unde nihil prohibet unum simul dolere de uno, et gaudere de alio; et maxime secundum quod dolor et gaudium important simplices voluntatis actus; quia non solum in diversis, sed etiam in una et eadem re potest esse aliquid quod volumus, et aliquid quod nolumus.

 

[31148] Iª q. 64 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ.: 1. La gioia e il dolore sono opposti tra di loro quando riguardano lo stesso oggetto, non quando riguardano oggetti diversi. Niente perciò impedisce che uno possa simultaneamente rallegrarsi per una cosa e dolersi per un'altra; specialmente poi se dolore e gioia sono dei semplici atti della volontà; poiché, non solo quando si tratta di oggetti diversi, ma anche nello stesso oggetto, possiamo trovare qualche cosa che ci piace e qualche cosa che ci dispiace.

[31149] Iª q. 64 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod sicut in Daemonibus est dolor de praesenti, ita et timor de futuro. Quod autem dicitur, factus est ut nullum timeret, intelligitur de timore Dei cohibente a peccato. Alibi, namque scriptum est quod Daemones credunt et contremiscunt.

 

[31149] Iª q. 64 a. 3 ad 2
2. Come c'è nei demoni il dolore per le cose presenti, così c'è il timore per quelle future. L'espressione "Fu fatto per non temer nessuno" s'intende del timore di Dio, che rattiene dal peccato. Altrove infatti sta scritto che i demoni "credono e tremano".

[31150] Iª q. 64 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod dolere de malo culpae propter se attestatur voluntatis bonitati, cui malum culpae opponitur. Dolere autem de malo poenae, vel de malo culpae propter poenam, attestatur bonitati naturae, cui malum poenae opponitur. Unde Augustinus dicit, XIX de Civ. Dei, quod dolor amissi boni in supplicio, testis est naturae bonae. Daemon ergo, cum perversae sit voluntatis et obstinatae, de malo culpae non dolet.

 

[31150] Iª q. 64 a. 3 ad 3
3. Provar dolore della colpa in quanto colpa, è segno della rettitudine di volontà, cui ripugna la colpa. Dolersi invece della pena, o anche della colpa a motivo della pena annessa, è segno della bontà della natura, cui ripugna la pena. Perciò dice S. Agostino che "il dolore per il bene che si perde con il supplizio attesta la bontà della natura". Il demonio quindi, avendo una volontà perversa ed ostinata, non prova dolore per il male della colpa (ma solo per la pena).




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > La pena dei demoni > Se la nostra atmosfera sia il luogo di pena dei demoni


Prima pars
Quaestio 64
Articulus 4

[31151] Iª q. 64 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod aer iste non sit locus poenalis Daemonum. Daemon enim est natura spiritualis. Natura autem spiritualis non afficitur loco. Ergo nullus locus est Daemonibus poenalis.

 
Prima parte
Questione 64
Articolo 4

[31151] Iª q. 64 a. 4 arg. 1
SEMBRA che la nostra atmosfera non sia il luogo di pena dei demoni. Infatti:
1. Il demonio è una natura spirituale. Ora, la natura spirituale non può essere localizzata. Dunque non esiste un luogo di pena per i demoni.

[31152] Iª q. 64 a. 4 arg. 2
Praeterea, peccatum hominis non est gravius quam peccatum Daemonis. Sed locus poenalis hominis est Infernus. Ergo multo magis Daemonis. Ergo non aer caliginosus.

 

[31152] Iª q. 64 a. 4 arg. 2
2. Il peccato dell'uomo non è più grave di quello del diavolo. Ma il luogo penale dell'uomo è l'inferno. Dunque a maggior ragione lo sarà per il demonio. Perciò il luogo di pena del diavolo non è l'atmosfera caliginosa.

[31153] Iª q. 64 a. 4 arg. 3
Praeterea, Daemones puniuntur poena ignis. Sed in aere caliginoso non est ignis. Ergo aer caliginosus non est locus poenae Daemonum.

 

[31153] Iª q. 64 a. 4 arg. 3
3. I demoni sono puniti con la pena del fuoco. Dunque non è l'aria caliginosa il luogo di pena per il demonio.

[31154] Iª q. 64 a. 4 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, III super Gen. ad Litt., quod aer caliginosus est quasi carcer Daemonibus usque ad tempus iudicii.

 

[31154] Iª q. 64 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino afferma che "l'atmosfera caliginosa è come un carcere per i demoni fino al tempo del giudizio".

[31155] Iª q. 64 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod Angeli, secundum suam naturam, medii sunt inter Deum et homines. Habet autem hoc divinae providentiae ratio, quod inferiorum bonum per superiora procuret. Bonum autem hominis dupliciter procuratur per divinam providentiam. Uno modo directe, dum scilicet aliquis inducitur ad bonum et retrahitur a malo, et hoc decenter fit per Angelos bonos. Alio modo indirecte, dum scilicet aliquis exercetur, impugnatus, per impugnationem contrarii. Et hanc procurationem boni humani conveniens fuit per malos Angelos fieri, ne totaliter post peccatum ab utilitate naturalis ordinis exciderent. Sic ergo Daemonibus duplex locus poenalis debetur. Unus quidem ratione suae culpae, et hic est Infernus. Alius autem ratione exercitationis humanae, et sic debetur eis caliginosus aer. Procuratio autem salutis humanae protenditur usque ad diem iudicii, unde et usque tunc durat ministerium Angelorum et exercitatio Daemonum. Unde et usque tunc et boni Angeli ad nos huc mittuntur, et Daemones in hoc aere caliginoso sunt ad nostrum exercitium, licet eorum aliqui etiam nunc in Inferno sint, ad torquendum eos quos ad malum induxerunt; sicut et aliquis boni Angeli sunt cum animabus sanctis in caelo. Sed post diem iudicii omnes mali, tam homines quam Angeli, in Inferno erunt; boni vero in caelo.

 

[31155] Iª q. 64 a. 4 co.
RISPONDO: Gli angeli in ordine di natura stanno tra Dio e gli uomini. Ma la disposizione della provvidenza divina vuole che il bene degli esseri inferiori venga procurato per mezzo degli esseri superiori. Ora, il bene dell'uomo viene procurato dalla divina provvidenza in due maniere. Primo, direttamente inducendo al bene e allontanando dal male: tutto ciò viene compiuto come si deve per mezzo degli angeli buoni. Secondo, indirettamente, in quanto cioè si permette che uno sia tentato, perché si eserciti nel bene per mezzo della lotta contro ciò che è contrario al bene. Ed era conveniente che questo bene fosse procurato agli uomini per mezzo degli angeli cattivi, affinché i demoni dopo il peccato non diventassero del tutto inutili all'ordine della natura. - Per questo ai demoni spettano due luoghi di pena. Uno a motivo della loro colpa: e questo è l'inferno. L'altro invece adatto per tentare gli uomini: e a tale scopo è loro dovuta l'atmosfera caliginosa.
Però queste industrie per la salvezza degli uomini dureranno fino al giorno del giudizio: quindi il ministero degli angeli e le prove dei demoni dureranno fino a quel momento. Perciò fino a quel tempo gli angeli continueranno ad essere inviati qua da noi, e i demoni resteranno nella nostra atmosfera caliginosa per tentarci: sebbene non pochi di essi siano di già ora nell'inferno per tormentare quelli che essi indussero al male; a quel modo che non pochi angeli buoni sono in cielo con le anime sante. - Ma dopo il giorno del giudizio tutti i cattivi, tanto

[31156] Iª q. 64 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod locus non est poenalis Angelo aut animae, quasi afficiens alterando naturam; sed quasi afficiens voluntatem contristando, dum Angelus vel anima apprehendit se esse in loco non convenienti suae voluntati.

 

[31156] Iª q. 64 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Un luogo non riesce di pena per l'angelo o per l'anima perché è capace di agire su di loro alterandone la natura; ma perché agisce sulla volontà, rattristandola col fatto che l'angelo e l'anima conoscono di trovarsi in un luogo non conforme alla loro volontà.

[31157] Iª q. 64 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod anima secundum ordinem naturae non praefertur alteri animae, sicut Daemones ordine naturae praeferuntur hominibus. Unde non est similis ratio.

 

[31157] Iª q. 64 a. 4 ad 2
2. Un'anima non è superiore ad un'altra anima nell'ordine di natura, i demoni invece sono superiori agli uomini (con le funzioni annesse a questa superiorità). Perciò il confronto non regge.

[31158] Iª q. 64 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod aliqui dixerunt usque ad diem iudicii differri poenam sensibilem tam Daemonum quam animarum, et similiter beatitudinem sanctorum differri usque ad diem iudicii; quod est erroneum, et repugnans apostoli sententiae, qui dicit, II Cor. V, si terrestris domus nostra huius habitationis dissolvatur, domum habemus in caelo. Alii vero, licet hoc non concedant de animabus, concedunt tamen de Daemonibus. Sed melius est dicendum quod idem iudicium sit de malis animabus et malis Angelis; sicut idem iudicium est de bonis animabus et bonis Angelis. Unde dicendum est quod, sicut locus caelestis pertinet ad gloriam Angelorum, tamen gloria eorum non minuitur cum ad nos veniunt, quia considerant illum locum esse suum (eo modo quo dicimus honorem episcopi non minui dum actu non sedet in cathedra); similiter dicendum est quod Daemones licet non actu alligentur gehennali igni, dum sunt in aere isto caliginoso, tamen ex hoc ipso quod sciunt illam alligationem sibi deberi, eorum poena non diminuitur. Unde dicitur in quadam Glossa Iacobi III, quod portant secum ignem Gehennae quocumque vadant. Nec est contra hoc, quod rogaverunt dominum ut non mitteret eos in abyssum, ut dicitur Lucae VIII, quia hoc petierunt reputantes sibi poenam, si excluderentur a loco in quo possunt hominibus nocere. Unde Marci V, dicitur quod deprecabantur eum ne expelleret eos extra regionem.

 

[31158] Iª q. 64 a. 4 ad 3
3. Alcuni hanno insegnato che fino al giorno del giudizio sarebbe differita la pena del senso tanto per i demoni che per le anime; così pure sarebbe differita fino al giorno del giudizio la beatitudine dei Santi; ma ciò è falso, ed è contro l'affermazione dell'Apostolo: "Se l'abitazione nostra terrestre avesse a essere disfatta, abbiamo un'altra abitazione nei cieli". - Altri però, sebbene non affermino questo delle anime, lo dicono tuttavia dei demoni. - Ma è più giusto affermare che esiste un unico giudizio tanto per le anime cattive che per gli angeli cattivi, come c'è un identico giudizio per le anime buone e per gli angeli buoni.
Diremo perciò: alla stessa maniera che alla gloria degli angeli spetta una sede nel cielo, e tuttavia non viene diminuita la loro gloria quando vengono presso di noi, perché sanno qual è il posto loro dovuto (come si dice che non viene diminuito l'onore del vescovo per il fatto che non siede attualmente sulla cattedra); così si deve dire che i demoni, quando si trovano nella nostra atmosfera caliginosa, anche se non sono attualmente vincolati al fuoco della Geenna, pure non sentono diminuita la loro pena, per il fatto stesso che sanno essere loro dovuto l'incatenamento a quel luogo. Si legge perciò in una Glossa su un passo di S. Giacomo, che i demoni "portano con sé il fuoco della Geenna dovunque essi vadano". - E questo non è contro quanto si legge in S. Luca, cioè che i demoni "pregarono il Signore di non mandarli nell'abisso": lo chiesero infatti, perché ritenevano come una pena essere allontanati da un luogo in cui potevano nuocere agli uomini. Perciò si legge in S. Marco che "essi lo pregavano che non li cacciasse via da quella regione".

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