[31062] Iª q. 63 a. 3 arg. 3 Praeterea, Angelus in maiori plenitudine sapientiae conditus est quam homo. Sed nullus homo, nisi omnino amens, eligit esse aequalis Angelo, nedum Deo, quia electio non est nisi possibilium, de quibus est consilium. Ergo multo minus peccavit Angelus appetendo esse ut Deus.
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[31062] Iª q. 63 a. 3 arg. 3
3. L'angelo nella sua creazione ha ricevuto una sapienza maggiore di quella dell'uomo. Ora, nessun uomo, a meno che non sia del tutto pazzo, può deliberare di essere uguale, non dico a Dio, ma neanche a un angelo: poiché la libera scelta non ha di mira che le cose possibili, intorno alle quali verte il consiglio. A più forte ragione non poteva peccare l'angelo, desiderando di essere come Dio.
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[31064] Iª q. 63 a. 3 co. Respondeo dicendum quod Angelus, absque omni dubio, peccavit appetendo esse ut Deus. Sed hoc potest intelligi dupliciter, uno modo, per aequiparantiam; alio modo, per similitudinem. Primo quidem modo, non potuit appetere esse ut Deus, quia scivit hoc esse impossibile, naturali cognitione; nec primum actum peccandi in ipso praecessit vel habitus vel passio ligans cognoscitivam ipsius virtutem, ut in particulari deficiens eligeret impossibile, sicut in nobis interdum accidit. Et tamen, dato quod esset possibile, hoc esset contra naturale desiderium. Inest enim unicuique naturale desiderium ad conservandum suum esse, quod non conservaretur, si transmutaretur in alteram naturam. Unde nulla res quae est in inferiori gradu naturae, potest appetere superioris naturae gradum, sicut asinus non appetit esse equus, quia si transferretur in gradum superioris naturae, iam ipsum non esset. Sed in hoc imaginatio decipitur, quia enim homo appetit esse in altiori gradu quantum ad aliqua accidentalia, quae possunt crescere absque corruptione subiecti, aestimatur quod possit appetere altiorem gradum naturae, in quem pervenire non posset nisi esse desineret. Manifestum est autem quod Deus excedit Angelum, non secundum aliqua accidentalia, sed secundum gradum naturae, et etiam unus Angelus alium. Unde impossibile est quod Angelus inferior appetat esse aequalis superiori; nedum quod appetat esse aequalis Deo. Appetere autem esse ut Deus per similitudinem, contingit dupliciter. Uno modo, quantum ad id in quo aliquid natum est Deo assimilari. Et sic, si aliquis quantum ad hoc appetat esse Deo similis, non peccat, dummodo similitudinem Dei debito ordine appetat adipisci, ut scilicet eam a Deo habeat. Peccaret vero si quis etiam appeteret secundum iustitiam esse similis Deo, quasi propria virtute, et non ex virtute Dei. Alio vero modo potest aliquis appetere similis esse Deo, quantum ad hoc in quo non natus est assimilari; sicut si quis appeteret creare caelum et terram, quod est proprium Dei; in quo appetitu esset peccatum. Et hoc modo Diabolus appetiit esse ut Deus. Non ut ei assimilaretur quantum ad hoc quod est nulli subesse simpliciter, quia sic etiam suum non esse appeteret, cum nulla creatura esse possit nisi per hoc quod sub Deo esse participat. Sed in hoc appetiit esse similis Deo, quia appetiit ut finem ultimum beatitudinis id ad quod virtute suae naturae poterat pervenire, avertens suum appetitum a beatitudine supernaturali, quae est ex gratia Dei. Vel si appetiit ut ultimum finem illam Dei similitudinem quae datur ex gratia, voluit hoc habere per virtutem suae naturae, non ex divino auxilio secundum Dei dispositionem. Et hoc consonat dictis Anselmi, qui dicit quod appetiit illud ad quod pervenisset si stetisset. Et haec duo quodammodo in idem redeunt, quia secundum utrumque appetiit finalem beatitudinem per suam virtutem habere, quod est proprium Dei. Quia vero quod est per se, est principium et causa eius quod est per aliud, ex hoc etiam consecutum est quod appetiit aliquem principatum super alia habere. In quo etiam perverse voluit Deo assimilari.
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[31064] Iª q. 63 a. 3 co.
RISPONDO: L'angelo peccò, senza dubbio, perché desiderò di essere come Dio. Ma questo si può intendere in due maniere: primo, di una (vera) uguaglianza; secondo, di una (qualsiasi) somiglianza. (L'angelo) non poté certo desiderare di essere come Dio nella prima maniera: poiché con la sua intelligenza naturale capiva che questa era una cosa assurda; tanto più che in lui il primo atto peccaminoso non era stato preceduto, come talora accade per noi uomini, da un abito o da una passione, la quale, offuscandone le potenze conoscitive, avrebbe potuto far sì che egli nel suo giudizio particolare scegliesse una cosa impossibile. - Ma anche ammettendo che la cosa fosse possibile, sarebbe tuttavia contraria al desiderio naturale. C'è infatti in ogni cosa la tendenza naturale a conservare il proprio essere: ora, questo essere non si conserverebbe se venisse trasformato in un'altra natura. Perciò nessuna realtà posta in un grado naturale più basso può desiderare il grado della natura superiore. L'asino, p. es., non desidera di essere un cavallo: poiché se fosse trasformato nel grado della natura superiore non esisterebbe più. Ma qui abbiamo un inganno della nostra immaginazione: dal momento infatti che l'uomo desidera di occupare nella natura un grado superiore al suo, rispetto a certe perfezioni accidentali, le quali possono essere accresciute senza la scomparsa del soggetto, si pensa che l'uomo possa desiderare un grado naturale più alto, al quale non potrebbe giungere che cessando di esistere. Ora, è chiaro che Dio è superiore all'angelo non per delle perfezioni accidentali, ma per un diverso grado di natura: anzi, anche tra gli angeli uno è superiore all'altro in questa maniera. È perciò impossibile non solo che un angelo desideri di essere uguale a Dio, ma persino di essere uguale a un angelo superiore.
Il desiderio poi di essere come Dio per una (qualsiasi) somiglianza può nascere in due modi. Primo, rispetto a quelle perfezioni nelle quali si è chiamati a somigliare con Dio. E allora, se uno desidera di essere simile a Dio in questa maniera non pecca, purché cerchi di raggiungere questa somiglianza secondo il debito ordine, cioè dipendentemente da Dio. Peccherebbe invece chi desiderasse, sia pure entro i limiti del giusto, di essere simile a Dio, ma volesse avere questa somiglianza con le proprie forze e non dalla virtù di Dio. - Secondo, uno può desiderare di essere simile a Dio rispetto a una perfezione in cui non è ammessa tale somiglianza; se uno, p. es., desiderasse di creare il cielo e la terra, che è un'operazione esclusiva di Dio, in questo suo desiderio ci sarebbe il peccato. Ora, il diavolo desiderò di essere come Dio in questa maniera. Non desiderò invece di essere simile a lui nell'autonomia assoluta da qualsiasi altro: poiché (anche) in questo caso egli avrebbe desiderato la negazione del proprio essere. Infatti nessuna creatura può esistere se non in quanto ha il suo essere dipendentemente da Dio, da cui le viene partecipato. Desiderò invece di essere simile a Dio, in quanto desiderò come fine ultimo quella beatitudine, a cui poteva giungere con le proprie forze naturali, distogliendo il suo desiderio dalla beatitudine soprannaturale, che si ottiene mediante la grazia di Dio. - Oppure, se desiderò come suo ultimo fine la somiglianza che proviene dalla grazia, la volle ottenere con le forze della propria natura, non già, conforme alla disposizione divina, mediante l'aiuto di Dio. Questa soluzione si accorda all'opinione di S. Anselmo, il quale dice che il diavolo desiderò quello a cui sarebbe giunto se non fosse caduto. Le due sentenze in qualche modo dicono la stessa cosa: poiché in ambedue i casi il diavolo desiderò di conseguire con le proprie forze la beatitudine ultima, il che è proprio di Dio.
Inoltre, poiché chi vale di per se stesso è principio e causa di ciò che ha consistenza in forza di un'altra realtà, da questo primo desiderio del diavolo ne seguì (il secondo, che è) quello di avere preminenza e dominio sulle altre cose. Ed anche in questo volle con volontà perversa farsi simile a Dio.
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