I, 62

Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > La loro elevazione alla grazia e alla gloria


Prima pars
Quaestio 62
Prooemium

[30968] Iª q. 62 pr.
Consequenter investigandum est quomodo Angeli facti sunt in esse gratiae vel gloriae. Et circa hoc quaeruntur novem.
Primo, utrum Angeli fuerint in sua creatione beati.
Secundo, utrum indiguerint gratia ad hoc quod ad Deum converterentur.
Tertio, utrum fuerint creati in gratia.
Quarto, utrum suam beatitudinem meruerint.
Quinto, utrum statim post meritum beatitudinem adepti fuerint.
Sexto, utrum gratiam et gloriam secundum capacitatem suorum naturalium receperint.
Septimo, utrum post consecutionem gloriae remanserit in eis dilectio et cognitio naturalis.
Octavo, utrum postmodum potuerint peccare.
Nono, utrum post adeptionem gloriae potuerint proficere.

 
Prima parte
Questione 62
Proemio

[30968] Iª q. 62 pr.
Logicamente dobbiamo ora interessarci di come gli angeli hanno conseguito lo stato di grazia e di gloria. A questo proposito abbiamo nove quesiti:
1. Se gli angeli siano stati beati fin dalla loro creazione;
2. Se abbiano avuto bisogno della grazia per volgersi a Dio;
3. Se siano stati creati in grazia;
4. Se abbiano meritato la beatitudine;
5. Se abbiano conseguito la beatitudine subito dopo averla meritata;
6. Se abbiano ricevuto la grazia e la gloria in proporzione delle loro capacità naturali;
7. Se dopo di aver raggiunto la gloria (eterna) siano rimaste in essi la dilezione e la conoscenza naturali;
8. Se abbiano avuto ancora la possibilità di peccare;
9. Se dopo di aver raggiunto la gloria abbiano potuto accrescere (la loro beatitudine).




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > La loro elevazione alla grazia e alla gloria > Se gli angeli siano stati beati fin dalla loro creazione


Prima pars
Quaestio 62
Articulus 1

[30969] Iª q. 62 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod Angeli fuerint creati beati. Dicitur enim in libro de ecclesiasticis dogmatibus, quod Angeli qui in illa in qua creati sunt beatitudine perseverant, non natura possident bonum quod habent. Sunt ergo Angeli creati in beatitudine.

 
Prima parte
Questione 62
Articolo 1

[30969] Iª q. 62 a. 1 arg. 1
SEMBRA che gli angeli siano stati creati nella beatitudine. Infatti:
1. Nel De Ecclesiasticis Dogmatibus sta scritto che "gli angeli non per natura possiedono il bene che hanno, ma perseverano nella beatitudine in cui furono creati". Dunque gli angeli furono creati beati.

[30970] Iª q. 62 a. 1 arg. 2
Praeterea, natura angelica est nobilior quam creatura corporalis. Sed creatura corporalis statim in principio suae creationis fuit creata formata et perfecta; nec informitas praecessit in ea formationem tempore, sed natura tantum, ut Augustinus dicit, I super Gen. ad Litt. Ergo nec naturam angelicam creavit Deus informem et imperfectam. Sed eius formatio et perfectio est per beatitudinem, secundum quod fruitur Deo. Ergo fuit creata beata.

 

[30970] Iª q. 62 a. 1 arg. 2
2. La natura angelica è più perfetta di quella corporea. Ora, i corpi fin dall'inizio della loro creazione furono completi e dotati delle rispettive forme; poiché lo stato informe delle creature corporali ha preceduto la loro perfetta formazione non già secondo una priorità di tempo, ma solo secondo una priorità di natura, come spiega S. Agostino. Perciò neppure la natura angelica è stata creata da Dio informe e imperfetta. Ma questa riceve la sua formazione e perfezione dalla beatitudine. Dunque la natura angelica fu creata beata.

[30971] Iª q. 62 a. 1 arg. 3
Praeterea, secundum Augustinum, super Gen. ad Litt., ea quae leguntur facta in operibus sex dierum, simul facta fuerunt, et sic oportet quod statim a principio creationis rerum fuerint omnes illi sex dies. Sed in illis sex diebus, secundum eius expositionem, mane fuit cognitio angelica secundum quam cognoverunt verbum et res in verbo. Ergo statim a principio creationis cognoverunt verbum et res in verbo. Sed Angeli beati sunt per hoc quod verbum vident. Ergo statim a principio suae creationis Angeli fuerunt beati.

 

[30971] Iª q. 62 a. 1 arg. 3
3. Secondo S. Agostino, le cose che leggiamo essere state fatte nelle opere dei sei giorni furono fatte simultaneamente: quindi è necessario che subito, fin dall'inizio della creazione, ci siano stati tutti quei sei giorni. Ora, in quei sei giorni, secondo la suddetta interpretazione, per mattino s'intende la cognizione con la quale gli angeli conoscono il Verbo e le cose esistenti nel Verbo. Quindi fin dal principio della creazione gli angeli conobbero il Verbo e le cose esistenti nel Verbo. Ma gli angeli sono beati appunto perché vedono il Verbo. Dunque gli angeli fin dall'inizio della loro creazione furono beati.

[30972] Iª q. 62 a. 1 s. c.
Sed contra, de ratione beatitudinis est stabilitas sive confirmatio in bono. Sed Angeli non statim ut creati sunt, fuerunt confirmati in bono, quod casus quorundam ostendit. Non ergo Angeli in sua creatione fuerunt beati.

 

[30972] Iª q. 62 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: La stabilità o confermazione nel bene è parte essenziale della beatitudine. Ma gli angeli non furono confermati nel bene dal primo istante della loro creazione: ciò che è provato dalla caduta di alcuni di essi. Quindi gli angeli non furono beati dal primo istante della loro creazione.

[30973] Iª q. 62 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod nomine beatitudinis intelligitur ultima perfectio rationalis seu intellectualis naturae, et inde est quod naturaliter desideratur, quia unumquodque naturaliter desiderat suam ultimam perfectionem. Ultima autem perfectio rationalis seu intellectualis naturae est duplex. Una quidem, quam potest assequi virtute suae naturae, et haec quodammodo beatitudo vel felicitas dicitur. Unde et Aristoteles perfectissimam hominis contemplationem, qua optimum intelligibile, quod est Deus, contemplari potest in hac vita, dicit esse ultimam hominis felicitatem. Sed super hanc felicitatem est alia felicitas, quam in futuro expectamus, qua videbimus Deum sicuti est. Quod quidem est supra cuiuslibet intellectus creati naturam, ut supra ostensum est. Sic igitur dicendum est quod, quantum ad primam beatitudinem, quam Angelus assequi virtute suae naturae potuit, fuit creatus beatus. Quia perfectionem huiusmodi Angelus non acquirit per aliquem motum discursivum, sicut homo, sed statim ei adest propter suae naturae dignitatem, ut supra dictum est. Sed ultimam beatitudinem, quae facultatem naturae excedit, Angeli non statim in principio suae creationis habuerunt, quia haec beatitudo non est aliquid naturae, sed naturae finis; et ideo non statim eam a principio debuerunt habere.

 

[30973] Iª q. 62 a. 1 co.
RISPONDO: Col termine beatitudine si suole indicare l'ultima perfezione della natura ragionevole o intellettuale: e appunto per questo la beatitudine è naturalmente desiderata, perché ogni cosa desidera la sua ultima perfezione. Ora, per le creature ragionevoli o intellettuali l'ultima perfezione può essere di due specie. La prima è quella che la creatura può conseguire con le sue capacità naturali. Anche tale perfezione si può chiamare, in un certo senso, beatitudine o felicità. Infatti Aristotele dice che la suprema felicità dell'uomo consiste nella più alta contemplazione dell'oggetto più nobile dell'intelligenza, cioè di Dio. Ma al di sopra di questa felicità ce n'è un'altra, che attendiamo nella vita futura, mediante la quale "vedremo Dio così come egli è". Tale cognizione, come sopra si è dimostrato, supera le possibilità naturali di ogni intelletto creato.
Si deve perciò concludere che l'angelo fu creato beato, se per beatitudine s'intende quella che egli può conseguire con le capacità naturali. L'angelo infatti non acquista questa perfezione con processo discorsivo, come fa l'uomo: egli la possiede subito in forza della nobiltà della sua natura, come abbiamo già spiegato. - Ma la beatitudine suprema, che supera le capacità della natura, gli angeli non l'ebbero nel primo istante della loro creazione: poiché tale beatitudine non fa parte della natura, ma ne è il fine. Quindi non era giusto che la possedessero fin dal primo istante.

[30974] Iª q. 62 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod beatitudo ibi accipitur pro illa perfectione naturali quam Angelus habuit in statu innocentiae.

 

[30974] Iª q. 62 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nel passo citato per beatitudine s'intende quella perfezione naturale, che l'angelo possedeva nello stato d'innocenza.

[30975] Iª q. 62 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod creatura corporalis statim in principio suae creationis habere non potuit perfectionem ad quam per suam operationem perducitur, unde, secundum Augustinum, germinatio plantarum ex terra non statim fuit in primis operibus, in quibus virtus sola germinativa plantarum data est terrae. Et similiter creatura angelica in principio suae creationis habuit perfectionem suae naturae; non autem perfectionem ad quam per suam operationem pervenire debebat.

 

[30975] Iª q. 62 a. 1 ad 2
2. La creatura corporea non poté avere fin dal principio della sua creazione la perfezione che raggiunge mediante le sue operazioni: per questo, secondo S. Agostino, il germinare delle piante dalla terra non fu subito tra le prime opere, ma da principio fu data soltanto alla terra la capacità di far germinare le piante. Parimenti, la natura angelica all'inizio della sua creazione ebbe la perfezione propria della sua natura; ma non ebbe quella che doveva conseguire per mezzo delle sue operazioni.

[30976] Iª q. 62 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod Angelus duplicem habet verbi cognitionem, unam naturalem, et aliam gloriae, naturalem quidem, qua cognoscit verbum per eius similitudinem in sua natura relucentem; cognitionem vero gloriae, qua cognoscit verbum per suam essentiam. Et utraque cognoscit Angelus res in verbo, sed naturali quidem cognitione imperfecte, cognitione vero gloriae perfecte. Prima ergo cognitio rerum in verbo affuit Angelo a principio suae creationis, secunda vero non, sed quando facti sunt beati per conversionem ad bonum. Et haec proprie dicitur cognitio matutina.

 

[30976] Iª q. 62 a. 1 ad 3
3. Gli angeli hanno una duplice cognizione del Verbo: la prima naturale, l'altra propria dello stato di gloria. La cognizione naturale è quella mediante la quale l'angelo vede il Verbo, servendosi dell'immagine di lui rilucente nella propria natura. La cognizione invece dello stato di gloria fa conoscere il Verbo nell'essenza di lui. Con l'una e con l'altra cognizione l'angelo vede le cose nel Verbo: imperfettamente, con la cognizione naturale; perfettamente, con quella dello stato di gloria. Perciò gli angeli conobbero nella prima maniera le cose nel Verbo fin dalla loro creazione; nella seconda maniera invece non le conobbero se non quando divennero beati, in seguito alla loro definitiva adesione al bene. Tale propriamente è quella che si chiama cognizione mattutina.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > La loro elevazione alla grazia e alla gloria > Se l'angelo abbia avuto bisogno della grazia per volgersi a Dio


Prima pars
Quaestio 62
Articulus 2

[30977] Iª q. 62 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Angelus non indiguerit gratia ad hoc quod converteretur in Deum. Ad ea enim quae naturaliter possumus, gratia non indigemus. Sed naturaliter Angelus convertitur in Deum, quia naturaliter Deum diligit, ut ex supra dictis patet. Ergo Angelus non indiguit gratia ad hoc quod converteretur in Deum.

 
Prima parte
Questione 62
Articolo 2

[30977] Iª q. 62 a. 2 arg. 1
SEMBRA che l'angelo non abbia avuto bisogno della grazia per volgersi a Dio. Infatti:
1. Non abbiamo bisogno della grazia per compiere le cose che già naturalmente possiamo fare. Ora, l'angelo può volgersi naturalmente a Dio, poiché egli, come si è visto, lo ama già naturalmente. Dunque l'angelo non ebbe bisogno della grazia per volgersi a Dio.

[30978] Iª q. 62 a. 2 arg. 2
Praeterea, ad ea tantum videmur indigere auxilio, quae sunt difficilia. Sed converti ad Deum non erat difficile Angelo; cum nihil esset in eo quod huic conversioni repugnaret. Ergo Angelus non indiguit auxilio gratiae ad hoc quod converteretur in Deum.

 

[30978] Iª q. 62 a. 2 arg. 2
2. Noi abbiamo bisogno di aiuto solo per quello che ci riesce difficile. Ma il volgersi a Dio non era cosa difficile per l'angelo: in lui infatti non c'era nulla che ne ostacolasse la conversione. Dunque l'angelo non ebbe bisogno dell'aiuto della grazia per volgersi a Dio.

[30979] Iª q. 62 a. 2 arg. 3
Praeterea, converti ad Deum est se ad gratiam praeparare, unde Zach. I, dicitur, convertimini ad me, et ego convertar ad vos. Sed nos non indigemus gratia ad hoc quod nos ad gratiam praeparemus, quia sic esset abire in infinitum. Ergo non indiguit gratia Angelus ad hoc quod converteretur in Deum.

 

[30979] Iª q. 62 a. 2 arg. 3
3. Volgersi a Dio è lo stesso che prepararsi alla grazia. Dice infatti la Scrittura: "Volgetevi a me, ed io mi rivolgerò a voi". Ma noi non abbiamo bisogno della grazia per prepararci alla grazia; perché altrimenti si andrebbe all'indefinito. Dunque l'angelo non ebbe bisogno della grazia per volgersi a Dio.

[30980] Iª q. 62 a. 2 s. c.
Sed contra, per conversionem ad Deum Angelus pervenit ad beatitudinem. Si igitur non indiguisset gratia ad hoc quod converteretur in Deum, sequeretur quod non indigeret gratia ad habendam vitam aeternam. Quod est contra illud apostoli, Rom. VI, gratia Dei vita aeterna.

 

[30980] Iª q. 62 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: L'angelo conseguì la beatitudine per mezzo della sua conversione a Dio. Se quindi egli non avesse avuto bisogno della grazia per volgersi a Dio, ne seguirebbe che egli non ha bisogno della grazia per raggiungere la vita eterna. Questo è in contrasto con quanto dice l'Apostolo: "grazioso dono di Dio è la vita eterna".

[30981] Iª q. 62 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod Angeli indiguerunt gratia ad hoc quod converterentur in Deum, prout est obiectum beatitudinis. Sicut enim superius dictum est, naturalis motus voluntatis est principium omnium eorum quae volumus. Naturalis autem inclinatio voluntatis est ad id quod est conveniens secundum naturam. Et ideo, si aliquid sit supra naturam, voluntas in id ferri non potest, nisi ab aliquo alio supernaturali principio adiuta. Sicut patet quod ignis habet naturalem inclinationem ad calefaciendum, et ad generandum ignem, sed generare carnem est supra naturalem virtutem ignis, unde ignis ad hoc nullam inclinationem habet, nisi secundum quod movetur ut instrumentum ab anima nutritiva. Ostensum est autem supra, cum de Dei cognitione ageretur, quod videre Deum per essentiam, in quo ultima beatitudo rationalis creaturae consistit, est supra naturam cuiuslibet intellectus creati. Unde nulla creatura rationalis potest habere motum voluntatis ordinatum ad illam beatitudinem, nisi mota a supernaturali agente. Et hoc dicimus auxilium gratiae. Et ideo dicendum est quod Angelus in illam beatitudinem voluntate converti non potuit, nisi per auxilium gratiae.

 

[30981] Iª q. 62 a. 2 co.
RISPONDO: Per volgersi a Dio in quanto è oggetto della beatitudine gli angeli ebbero bisogno della grazia. Sopra abbiamo spiegato che il moto naturale della volontà è il principio di tutti i nostri voleri. Ora, l'inclinazione naturale della volontà si porta verso oggetti proporzionati alla natura. Se vi sono perciò delle cose superiori alla natura, la volontà non può portarsi verso di esse, senza essere aiutata da un principio soprannaturale. Il fuoco, p. es., ha un'inclinazione naturale a riscaldare e a generare altro fuoco, ma generare la carne è un'azione che supera la virtù naturale del calore. Quindi il fuoco (o calore) non ha alcuna inclinazione naturale a un simile scopo, se non in quanto è mosso come strumento dall'anima sensitiva.
Ora, come si disse quando si trattava della cognizione di Dio, conoscere Dio per essenza è un atto che sorpassa le facoltà naturali di qualsiasi intelletto creato. E in questa cognizione consiste appunto la beatitudine suprema delle creature ragionevoli. Perciò nessuna creatura ragionevole può avere un atto della volontà proporzionato a quella beatitudine, senza la mozione di una causa soprannaturale. È quello che noi chiamiamo aiuto della grazia. Perciò si deve concludere che l'angelo non poteva con la sua volontà volgersi a quella beatitudine senza l'aiuto della grazia.

[30982] Iª q. 62 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Angelus naturaliter diligit Deum, inquantum est principium naturalis esse. Hic autem loquimur de conversione ad Deum, inquantum est beatificans per suae essentiae visionem.

 

[30982] Iª q. 62 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Gli angeli amano naturalmente Dio, in quanto egli è il principio del loro essere naturale. Qui invece parliamo della conversione a Dio, in quanto questi è oggetto della beatitudine, nella visione della sua essenza.

[30983] Iª q. 62 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod difficile est quod transcendit potentiam. Sed hoc contingit esse dupliciter. Uno modo, quia transcendit potentiam secundum suum naturalem ordinem. Et tunc, si ad hoc possit pervenire aliquo auxilio, dicitur difficile; si autem nullo modo, dicitur impossibile, sicut impossibile est hominem volare. Alio modo transcendit aliquid potentiam, non secundum ordinem naturalem potentiae, sed propter aliquod impedimentum potentiae adiunctum. Sicut ascendere non est contra naturalem ordinem potentiae animae motivae, quia anima, quantum est de se, nata est movere in quamlibet partem, sed impeditur ab hoc propter corporis gravitatem; unde difficile est homini ascendere. Converti autem ad beatitudinem ultimam, homini quidem est difficile et quia est supra naturam, et quia habet impedimentum ex corruptione corporis et infectione peccati. Sed Angelo est difficile propter hoc solum quod est supernaturale.

 

[30983] Iª q. 62 a. 2 ad 2
2. Un'operazione si chiama difficile quando supera le capacità di una data cosa. Il che può avvenire in due modi. Primo, se supera le capacità di determinati esseri considerati nel loro ordine naturale. In tal caso, se ci possono arrivare con un aiuto, si dirà allora che la cosa è difficile; se invece non ci possono arrivare in nessun modo si dirà che è impossibile, come è impossibile per l'uomo volare. - Secondo, un fatto può superare le capacità di quei dati esseri non già in considerazione del loro ordine naturale, ma per qualche impedimento estraneo alle capacità stesse. Così salire non è contrario all'ordine naturale della potenza motrice dell'anima, poiché l'anima, per quanto dipende da essa, può muovere in qualsiasi direzione: ma ne è impedita dal peso del corpo; perciò è difficile per l'uomo salire. - Ora, volgersi alla suprema beatitudine è difficile per l'uomo, sia perché ciò supera le capacità della natura, sia perché trova un impedimento nella corruzione del corpo e nella infezione del peccato. Per l'angelo invece è difficile solo in quanto è un atto soprannaturale.

[30984] Iª q. 62 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod quilibet motus voluntatis in Deum, potest dici conversio in ipsum. Et ideo triplex est conversio in Deum. Una quidem per dilectionem perfectam, quae est creaturae iam Deo fruentis. Et ad hanc conversionem requiritur gratia consummata. Alia conversio est, quae est meritum beatitudinis. Et ad hanc requiritur habitualis gratia, quae est merendi principium. Tertia conversio est, per quam aliquis praeparat se ad gratiam habendam. Et ad hanc non exigitur aliqua habitualis gratia, sed operatio Dei ad se animam convertentis, secundum illud Thren. ult., converte nos, domine, ad te, et convertemur. Unde patet quod non est procedere in infinitum.

 

[30984] Iª q. 62 a. 2 ad 3
3. Ogni moto della volontà che si volge verso Dio può dirsi una conversione. C'è quindi una triplice conversione a Dio. La prima si compie mediante la dilezione perfetta della creatura già in possesso di Dio. Per questa conversione è necessaria la grazia consumata. - Un'altra conversione è quella con la quale si merita la beatitudine. Per questa si richiede la grazia abituale, che è il principio del merito. - La terza conversione è quella con la quale uno si prepara a ricevere la grazia. Per tale conversione non si richiede la grazia abituale, ma una mozione di Dio che attira l'anima a sé, come dice la Scrittura: "Convertici a te, o Signore, e noi ritorneremo". È chiaro quindi che non vi si va all'indefinito.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > La loro elevazione alla grazia e alla gloria > Se gli angeli siano stati creati in grazia


Prima pars
Quaestio 62
Articulus 3

[30985] Iª q. 62 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod Angeli non sint creati in gratia. Dicit enim Augustinus, II super Gen. ad Litt., quod angelica natura primo erat informiter creata, et caelum dicta, postmodum vero formata est, et lux appellata. Sed haec formatio est per gratiam. Ergo non sunt creati in gratia.

 
Prima parte
Questione 62
Articolo 3

[30985] Iª q. 62 a. 3 arg. 1
SEMBRA che gli angeli non siano stati creati in grazia. Infatti:
1. S. Agostino insegna che la natura angelica fu creata dapprima allo stato informe, e denominata cielo; in seguito ricevette la sua formazione e fu chiamata luce. Ma tale formazione avviene per mezzo della grazia. Dunque gli angeli non furono creati in grazia.

[30986] Iª q. 62 a. 3 arg. 2
Praeterea, gratia inclinat creaturam rationalem in Deum. Si igitur Angelus in gratia creatus fuisset nullus Angelus fuisset a Deo aversus.

 

[30986] Iª q. 62 a. 3 arg. 2
2. La grazia inclina la creatura ragionevole verso Dio. Se dunque gli angeli fossero stati creati in grazia, nessuno di loro si sarebbe allontanato da Dio.

[30987] Iª q. 62 a. 3 arg. 3
Praeterea, gratia medium est inter naturam et gloriam. Sed Angeli non fuerunt beati in sua creatione. Ergo videtur quod nec etiam creati sint in gratia, sed primo in natura tantum; postea autem adepti sunt gratiam; et ultimo facti sunt beati.

 

[30987] Iª q. 62 a. 3 arg. 3
3. La grazia sta tra la natura e la gloria. Ma gli angeli non furono creati beati. È chiaro quindi che neppure furono creati in grazia; ma prima furono creati nella loro semplice natura, in seguito conseguirono la grazia, e finalmeme divennero beati.

[30988] Iª q. 62 a. 3 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, XII de Civ. Dei, bonam voluntatem quis fecit in Angelis, nisi ille qui eos cum sua voluntate, idest cum amore casto quo illi adhaerent, creavit, simul in eis condens naturam et largiens gratiam?

 

[30988] Iª q. 62 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino si domanda: "Chi produsse negli angeli la buona volontà se non colui che li creò servendosi della propria volontà, cioè del casto amore col quale aderiscono a lui, creando perciò in essi la natura e largendole al tempo stesso la grazia?".

[30989] Iª q. 62 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod, quamvis super hoc sint diversae opiniones, quibusdam dicentibus quod creati sunt Angeli in naturalibus tantum, aliis vero quod sunt creati in gratia; hoc tamen probabilius videtur tenendum, et magis dictis sanctorum consonum est, quod fuerunt creati in gratia gratum faciente. Sic enim videmus quod omnia quae processu temporis per opus divinae providentiae, creatura sub Deo operante, sunt producta, in prima rerum conditione producta sunt secundum quasdam seminales rationes, ut Augustinus dicit, super Gen. ad Litt.; sicut arbores et animalia et alia huiusmodi. Manifestum est autem quod gratia gratum faciens hoc modo comparatur ad beatitudinem, sicut ratio seminalis in natura ad effectum naturalem, unde I Ioan. III, gratia semen Dei nominatur. Sicut igitur, secundum opinionem Augustini, ponitur quod statim in prima creatione corporalis creaturae inditae sunt ei seminales rationes omnium naturalium effectuum, ita statim a principio sunt Angeli creati in gratia.

 

[30989] Iª q. 62 a. 3 co.
RISPONDO: Sebbene siano diverse le opinioni intorno al nostro quesito, dicendo alcuni "che gli angeli furono creati nella pura natura"; asserendo altri "che furono creati in grazia"; sembra tuttavia che si debba ritenere come più probabile e più conforme alla dottrina dei Santi che gli angeli furono creati in possesso della grazia abituale. Vediamo infatti che tutte le cose, le quali sono state prodotte dalla divina provvidenza in un processo di tempo con la cooperazione della creatura sotto l'influsso di Dio, furono prodotte inizialmente nelle loro ragioni seminali, come dice S. Agostino. Così furono create le piante, gli animali e altre cose simili. Ora, è evidente che la grazia abituale sta alla beatitudine, come la ragione seminale, nell'ordine di natura, sta agli effetti naturali; perciò S. Giovanni chiama la grazia seme di Dio. Perciò, come si afferma, seguendo S. Agostino, che dal primo istante della creazione gli esseri corporei ebbero in sé le ragioni seminali di tutti gli effetti di ordine naturale, così (si dirà) che gli angeli fin dall'inizio sono stati creati in grazia.

[30990] Iª q. 62 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod informitas illa Angeli potest intelligi vel per comparationem ad formationem gloriae, et sic praecessit tempore informitas formationem. Vel per comparationem ad formationem gratiae, et sic non praecessit ordine temporis, sed ordine naturae; sicut etiam de formatione corporali Augustinus ponit.

 

[30990] Iª q. 62 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Lo stato informe dell'angelo si può intendere in rapporto alla "formazione" della gloria: così inteso lo stato informe ha preceduto in ordine di tempo la "formazione". Oppure si può considerare in rapporto alla "formazione" della grazia: ma in tal senso lo stato informe precedette la "formazione", non in ordine di tempo, bensì in ordine di natura; come S. Agostino pensava della "formazione" dei corpi.

[30991] Iª q. 62 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod omnis forma inclinat suum subiectum secundum modum naturae eius. Modus autem naturalis intellectualis naturae est, ut libere feratur in ea quae vult. Et ideo inclinatio gratiae non imponit necessitatem, sed habens gratiam potest ea non uti, et peccare.

 

[30991] Iª q. 62 a. 3 ad 2
2. Ogni forma inclina il soggetto che la riceve, adattandosi alla natura di esso. Ora, la natura intellettiva esige che essa si porti liberamente verso gli oggetti del suo volere. Perciò l'inclinazione della grazia non determina una necessità; ma chi ha ricevuto la grazia può anche non servirsene, e peccare.

[30992] Iª q. 62 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod, quamvis gratia sit medium inter naturam et gloriam ordine naturae tamen ordine temporis in natura creata non debuit simul esse gloria cum natura, quia est finis operationis ipsius naturae per gratiam adiutae. Gratia autem non se habet ut finis operationis, quia non est ex operibus; sed ut principium bene operandi. Et ideo statim cum natura gratiam dare conveniens fuit.

 

[30992] Iª q. 62 a. 3 ad 3
3. Seguendo l'ordine ontologico poniamo la grazia tra la natura e la gloria, però se consideriamo l'ordine cronologico (vediamo che) la gloria non doveva trovarsi per prima in una natura creata, poiché la gloria è il fine dell'operazione della natura aiutata dalla grazia. La grazia invece non è fine dell'operazione, poiché essa non si acquista con le opere; ma è principio del bene operare. Era perciò conveniente che agli angeli immediatamente con la natura fosse data la grazia.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > La loro elevazione alla grazia e alla gloria > Se gli angeli beati abbiano meritato la loro beatitudine


Prima pars
Quaestio 62
Articulus 4

[30993] Iª q. 62 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod Angelus beatus suam beatitudinem non meruerit. Meritum enim est ex difficultate actus meritorii. Sed nullam difficultatem Angelus habuit ad bene operandum. Ergo bona operatio non fuit ei meritoria.

 
Prima parte
Questione 62
Articolo 4

[30993] Iª q. 62 a. 4 arg. 1
SEMBRA che gli angeli beati non abbiano meritato la loro beatitudine. Infatti:
1. Il merito proviene dalle difficoltà dell'atto meritorio. Ora, gli angeli non trovarono alcuna difficoltà a ben operare. Dunque l'azione buona non fu meritoria per essi.

[30994] Iª q. 62 a. 4 arg. 2
Praeterea, naturalibus non meremur. Sed naturale fuit Angelo quod converteretur ad Deum. Ergo per hoc non meruit beatitudinem.

 

[30994] Iª q. 62 a. 4 arg. 2
2. Non si può meritare con le (sole) forze naturali. Ma per gli angeli era cosa naturale volgersi a Dio. Perciò con questo essi non meritarono la beatitudine.

[30995] Iª q. 62 a. 4 arg. 3
Praeterea, si Angelus beatus beatitudinem suam meruit, aut ergo antequam eam haberet, aut post. Sed non ante, quia, ut multis videtur, ante non habuit gratiam, sine qua nullum est meritum. Nec etiam post, quia sic etiam modo mereretur, quod videtur esse falsum, quia sic minor Angelus merendo ad superioris Angeli gradum posset pertingere, et non essent stabiles distinctiones graduum gratiae; quod est inconveniens. Non ergo Angelus beatus suam beatitudinem meruit.

 

[30995] Iª q. 62 a. 4 arg. 3
3. Se gli angeli beati meritarono la beatitudine, o la meritarono prima di averla, o dopo. Ma non poterono meritarla prima, poiché, come molti ritengono, prima non avevano la grazia, senza la quale non si dà merito. E neppure la meritarono dopo: poiché in tal caso anche adesso meriterebbero; e ciò è falso, perché allora gli angeli inferiori con i loro meriti potrebbero raggiungere il grado di quelli superiori, e non ci sarebbero più distinzioni stabili dei gradi di gloria; il che è inammissibile. Dunque gli angeli non meritarono la loro beatitudine.

[30996] Iª q. 62 a. 4 s. c.
Sed contra, Apoc. XXI, dicitur quod mensura Angeli, in illa caelesti Ierusalem, est mensura hominis. Sed homo ad beatitudinem pertingere non potest nisi per meritum. Ergo neque Angelus.

 

[30996] Iª q. 62 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Nella Scritiura si legge che nella Gerusalemme celeste "la misura dell'angelo" è come "la misura dell'uomo". Ora, l'uomo non può raggiungere la beatitudine senza meriti. Dunque neppure l'angelo.

[30997] Iª q. 62 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod soli Deo beatitudo perfecta est naturalis quia idem est sibi esse et beatum esse. Cuiuslibet autem creaturae esse beatum non est natura, sed ultimus finis. Quaelibet autem res ad ultimum finem per suam operationem pertingit. Quae quidem operatio in finem ducens, vel est factiva finis, quando finis non excedit virtutem eius quod operatur propter finem, sicut medicatio est factiva sanitatis, vel est meritoria finis, quando finis excedit virtutem operantis propter finem, unde expectatur finis ex dono alterius. Beatitudo autem ultima excedit et naturam angelicam et humanam, ut ex dictis patet. Unde relinquitur quod tam homo quam Angelus suam beatitudinem meruerit. Et si quidem Angelus in gratia creatus fuit, sine qua nullum est meritum, absque difficultate dicere possumus quod suam beatitudinem meruerit. Et similiter si quis diceret quod qualitercumque gratiam habuerit antequam gloriam. Si vero gratiam non habuit antequam esset beatus, sic oportet dicere quod beatitudinem absque merito habuit, sicut nos gratiam. Quod tamen est contra rationem beatitudinis, quae habet rationem finis, et est praemium virtutis, ut etiam philosophus dicit, in I Ethic. Vel oportet dicere quod Angeli merentur beatitudinem per ea quae iam beati operantur in divinis ministeriis, ut alii dixerunt. Quod tamen est contra rationem meriti, nam meritum habet rationem viae ad finem, ei autem qui iam est in termino, non convenit moveri ad terminum; et sic nullus meretur quod iam habet. Vel oportet dicere quod unus et idem actus conversionis in Deum, inquantum est ex libero arbitrio, est meritorius; et inquantum pertingit ad finem, est fruitio beata. Sed nec hoc etiam videtur esse conveniens, quia liberum arbitrium non est sufficiens causa meriti unde actus non potest esse meritorius secundum quod est ex libero arbitrio, nisi inquantum est gratia informatus; non autem simul potest informari gratia imperfecta, quae est principium merendi, et gratia perfecta, quae est principium fruendi. Unde non videtur esse possibile quod simul fruatur, et suam fruitionem mereatur. Et ideo melius dicendum est quod gratiam habuit Angelus antequam esset beatus, per quam beatitudinem meruit.

 

[30997] Iª q. 62 a. 4 co.
RISPONDO: La perfetta beatitudine è naturale soltanto per Dio, per il quale essere ed essere beato sono la stessa cosa. Per tutte le creature invece esser beate non rientra nella propria natura, ma è il loro ultimo fine. Ora, ogni cosa raggiunge l'ultimo fine per mezzo della sua operazione. E questa operazione terminante al fine, o causa il fine, se questo non supera la virtù dell'atto compiuto per raggiungerlo, come la medicatura che ridona la sanità; oppure merita il fine, quando questo supera la virtù di colui che agisce per conseguirlo, e perciò si aspetta il fine come dono di un altro. Ora, la beatitudine ultima, come è chiaro da quanto si è detto, supera la natura angelica e quella umana. Rimane dunque che tanto l'uomo che l'angelo hanno dovuto meritare la loro beatitudine.
Ora, se gli angeli furono creati in grazia, senza la quale non ci può essere il merito, si può affermare senza difficoltà che essi hanno meritato la loro beatitudine. - Così pure se uno sostiene che l'hanno ricevuta in un modo o nell'altro prima della gloria.
Se invece gli angeli non ebbero la grazia prima di esser beati, si dovrà dire che essi ebbero la beatitudine senza meritarla, come noi riceviamo la grazia. Ma ciò è contro la nozione di beatitudine, la quale presenta il carattere di fine, ed è premio della virtù, come insegna anche Aristotele. - Oppure bisognerà dire, come altri sostennero, che gli angeli meritano la beatitudine con gli atti che essi compiono nel ministero divino. Ma ciò sarebbe in contrasto con il concetto di merito: il merito infatti è la via che conduce al fine; ora, chi è già arrivato al termine non ha più ragione di muoversi. Per questo nessuno merita quello che già possiede. - Ovvero si dovrebbe arrivare a dire che lo stesso e identico atto della conversione a Dio, in quanto procede dal libero arbitrio, è meritorio, e in quanto raggiunge il fine è fruizione beata. Ma anche questo non è ammissibile. Il libero arbitrio infatti non è causa sufficiente del merito; perciò l'atto che procede dal libero arbitrio non è meritorio, se non in quanto è informato dalla grazia. Ora, non è possibile che esso sia informato al tempo stesso dalla grazia imperfetta, causa del merito, e dalla grazia consumata che è la causa della fruizione. Non è dunque possibile che gli angeli simultaneamente fruiscano Dio, e ne meritino la fruizione.
È meglio ritenere perciò che gli angeli ebbero la grazia prima di essere beati, e che per mezzo di essa meritarono la beatitudine.

[30998] Iª q. 62 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod difficultas bene operandi non est in Angelis ex aliqua contrarietate, vel impedimento naturalis virtutis; sed ex hoc quod opus aliquod bonum est supra virtutem naturae.

 

[30998] Iª q. 62 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La difficoltà a bene operare non proviene per gli angeli da contrarietà o da ostacoli delle loro facoltà naturali, ma dal solo fatto che l'opera buona (richiesta) supera le capacità della loro natura.

[30999] Iª q. 62 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod conversione naturali Angelus non meruit beatitudinem, sed conversione caritatis, quae est per gratiam.

 

[30999] Iª q. 62 a. 4 ad 2
2. Gli angeli non meritano la beatitudine con una conversione naturale (a Dio), bensì con la conversione dovuta alla carità, che si opera per mezzo della grazia.

[31000] Iª q. 62 a. 4 ad 3
Ad tertium patet responsio ex dictis.

 

[31000] Iª q. 62 a. 4 ad 3
3. La risposta appare chiaramente da quanto si è detto.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > La loro elevazione alla grazia e alla gloria > Se gli angeli abbiano raggiunto la beatitudine subito dopo il primo atto meritorio


Prima pars
Quaestio 62
Articulus 5

[31001] Iª q. 62 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod Angelus non statim post unum actum meritorium beatitudinem habuerit. Difficilius enim est homini bene operari quam Angelo. Sed homo non praemiatur statim post unum actum. Ergo neque Angelus.

 
Prima parte
Questione 62
Articolo 5

[31001] Iª q. 62 a. 5 arg. 1
SEMBRA che gli angeli non abbiano raggiunto la beatitudine subito dopo il primo atto meritorio. Infatti: 1. Il bene operare è più difficile per l'uomo che per l'angelo. Ma l'uomo non viene premiato subito dopo il primo atto. Dunque neppure l'angelo.

[31002] Iª q. 62 a. 5 arg. 2
Praeterea, Angelus statim in principio suae creationis, et in instanti, actum aliquem habere potuit, cum etiam corpora naturalia in ipso instanti suae creationis moveri incipiant, et si motus corporis in instanti esse posset, sicut opera intellectus et voluntatis, in primo instanti suae generationis motum haberent. Si ergo Angelus per unum motum suae voluntatis beatitudinem meruit, in primo instanti suae creationis meruit beatitudinem. Si ergo eorum beatitudo non retardatur, statim in primo instanti fuerunt beati.

 

[31002] Iª q. 62 a. 5 arg. 2
2. Gli angeli all'inizio della loro creazione furono in grado di emettere subito un atto al primo istante: tanto più che gli stessi corpi cominciano a muoversi nell'istante stesso della loro creazione, e se il moto di un corpo potesse compiersi in un istante, come avviene per le operazioni dell'intelletto e della volontà, essi avrebbero (dato esecuzione a) il moto nel primo istante della loro produzione. Se quindi l'angelo con un solo moto della sua volontà meritò la beatitudine, egli la meritò nel primo istante della sua creazione. Perciò se la loro beatitudine non venne differita, gli angeli furono beati fin dal primo istante.

[31003] Iª q. 62 a. 5 arg. 3
Praeterea, inter multum distantia oportet esse multa media. Sed status beatitudinis Angelorum multum distat a statu naturae eorum, medium autem inter utrumque est meritum. Oportuit igitur quod per multa media Angelus ad beatitudinem perveniret.

 

[31003] Iª q. 62 a. 5 arg. 3
3. Tra cose molto distanti ci devono essere molti termini intermedi. Ma l'atto della beatitudine degli angeli è molto distante dalla condizione della loro natura, e il merito è termine intermedio tra queste due cose. Bisognò quindi che l'angelo raggiungesse la beatitudine attraverso molti termini intermedi.

[31004] Iª q. 62 a. 5 s. c.
Sed contra, anima hominis et Angelus similiter ad beatitudinem ordinantur, unde sanctis promittitur aequalitas Angelorum Luc. XX. Sed anima a corpore separata, si habeat meritum beatitudinis, statim beatitudinem consequitur, nisi aliud sit impedimentum. Ergo pari ratione et Angelus. Sed statim in primo actu caritatis habuit meritum beatitudinis. Ergo, cum in eo non esset aliquod impedimentum, statim ad beatitudinem pervenit per solum unum actum meritorium.

 

[31004] Iª q. 62 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: L'anima umana e l'angelo sono destinati alla beatitudine alla stessa maniera, perciò ai Santi viene promessa l'uguaglianza con gli angeli. Ora, l'anima separata dal corpo, se ha meritato la beatitudine, la consegue subito, purché non vi sia altro impedimento. Così, per lo stesso motivo, anche l'angelo. Ma l'angelo col primo atto di carità ebbe subito il merito della beatitudine. Non essendovi dunque nell'angelo alcun impedimento, col primo atto meritorio egli raggiunse subito la beatitudine.

[31005] Iª q. 62 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod Angelus post primum actum caritatis quo beatitudinem meruit, statim beatus fuit. Cuius ratio est, quia gratia perficit naturam secundum modum naturae, sicut et omnis perfectio recipitur in perfectibili secundum modum eius. Est autem hoc proprium naturae angelicae, quod naturalem perfectionem non per discursum acquirat, sed statim per naturam habeat, sicut supra ostensum est. Sicut autem ex sua natura Angelus habet ordinem ad perfectionem naturalem, ita ex merito habet ordinem ad gloriam. Et ita statim post meritum in Angelo fuit beatitudo consecuta. Meritum autem beatitudinis, non solum in Angelo, sed etiam in homine esse potest per unicum actum, quia quolibet actu caritate informato homo beatitudinem meretur. Unde relinquitur quod statim post unum actum caritate informatum, Angelus beatus fuit.

 

[31005] Iª q. 62 a. 5 co.
RISPONDO: L'angelo fu subito beato dopo il primo atto di carità, col quale meritò la beatitudine. La ragione di ciò sta nel fatto che la grazia perfeziona la natura secondo il modo di essere della natura stessa: come del resto ogni perfezione è ricevuta in un soggetto secondo la natura del soggetto medesimo. Ora, come si è già dimostrato, è proprio della natura angelica non già acquistare la perfezione naturale per mezzo di un procedimento discorsivo, bensì possederla subito in forza della propria natura. Ma l'angelo, come dice ordine alla perfezione naturale in forza della sua natura, così dice ordine alla gloria in forza del merito. Per questo l'angelo dovette conseguire la beatitudine subito dopo il merito. - Ma il merito della beatitudine lo può acquistare con un unico atto non solo l'angelo, ma altresì l'uomo: poiché l'uomo merita la beatitudine con ciascun atto informato dalla carità. Ne consegue che l'angelo fu beato subito dopo il primo atto informato dalla carità.

[31006] Iª q. 62 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod homo secundum suam naturam non statim natus est ultimam perfectionem adipisci, sicut Angelus. Et ideo homini longior via data est ad merendum beatitudinem, quam Angelo.

 

[31006] Iª q. 62 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'uomo per natura non è ordinato come l'angelo ad acquistare subito l'ultima perfezione. Per questo all'uomo viene concessa, per meritare, una via più lunga che all'angelo.

[31007] Iª q. 62 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod Angelus est supra tempus rerum corporalium, unde instantia diversa in his quae ad Angelos pertinent, non accipiuntur nisi secundum successionem in ipsorum actibus. Non autem potuit simul in eis esse actus meritorius beatitudinis, et actus beatitudinis, qui est fruitio; cum unus sit gratiae imperfectae, et alius gratiae consummatae. Unde relinquitur quod oportet diversa instantia accipi, in quorum uno meruerit beatitudinem, et in alio fuerit beatus.

 

[31007] Iª q. 62 a. 5 ad 2
2. L'angelo trascende il tempo degli esseri corporei: perciò i diversi istanti degli angeli sono dati soltanto dalla successione dei loro atti. Ma negli angeli non vi potevano essere ad un tempo l'atto meritorio della beatitudine, e l'atto della beatitudine stessa, che è la fruizione: poiché l'uno è atto della grazia non ancora perfetta e l'altro della grazia consumata. Ne segue perciò che bisogna ammettere (due) istanti diversi, uno in cui l'angelo meritò la beatitudine, un secondo in cui divenne beato.

[31008] Iª q. 62 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod de natura Angeli est, quod statim suam perfectionem consequatur ad quam ordinatur. Et ideo non requiritur nisi unus actus meritorius; qui ea ratione medium dici potest, quia secundum ipsum Angelus ad beatitudinem ordinatur.

 

[31008] Iª q. 62 a. 5 ad 3
3. È proprio della natura dell'angelo conseguire subito la perfezione cui è ordinato. Per questo non si richiede che un solo atto meritorio; il quale si può dire intermedio, in quanto l'angelo è ordinato alla beatitudine in forza di esso.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > La loro elevazione alla grazia e alla gloria > Se gli angeli abbiano ricevuto la grazia e la gloria in proporzione delle loro doti naturali


Prima pars
Quaestio 62
Articulus 6

[31009] Iª q. 62 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod Angeli non sint consecuti gratiam et gloriam secundum quantitatem suorum naturalium. Gratia enim ex mera Dei voluntate datur. Ergo et quantitas gratiae dependet ex voluntate Dei, et non ex quantitate naturalium.

 
Prima parte
Questione 62
Articolo 6

[31009] Iª q. 62 a. 6 arg. 1
SEMBRA che gli angeli non abbiano ricevuto la grazia e la gloria in proporzione delle loro doti naturali. Infatti:
1. La grazia viene largita per pura volontà di Dio. Dunque anche la quantità della grazia dipende dalla volontà di Dio, e non dal grado delle doti naturali.

[31010] Iª q. 62 a. 6 arg. 2
Praeterea, magis propinquum videtur ad gratiam actus humanus quam natura, quia actus humanus praeparatorius est ad gratiam. Sed gratia non est ex operibus, ut dicitur Rom. XI. Multo igitur minus quantitas gratiae in Angelis est secundum quantitatem naturalium.

 

[31010] Iª q. 62 a. 6 arg. 2
2. L'atto umano è più vicino alla grazia della natura, perché l'atto umano prepara alla grazia. Eppure la grazia non proviene "dalle opere", come dice S. Paolo. Dunque a più forte ragione la grazia negli angeli non può dipendere dal grado delle loro doti naturali.

[31011] Iª q. 62 a. 6 arg. 3
Praeterea, homo et Angelus pariter ordinantur ad beatitudinem vel gratiam. Sed homini non datur plus de gratia secundum gradum naturalium. Ergo nec Angelo.

 

[31011] Iª q. 62 a. 6 arg. 3
3. L'uomo e l'angelo sono ordinati alla beatitudine e alla grazia nella stessa maniera. Ma all'uomo non viene conferita una grazia maggiore (o minore) in proporzione del grado delle sue perfezioni naturali. Dunque neppure all'angelo.

[31012] Iª q. 62 a. 6 s. c.
Sed contra est quod Magister dicit, III dist. II Sent., quod Angeli qui natura magis subtiles, et sapientia amplius perspicaces creati sunt, hi etiam maioribus gratiae muneribus praediti sunt.

 

[31012] Iª q. 62 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: Dice il Maestro delle Sentenze: "Gli angeli che ricevettero nella creazione una natura più nobile e una sapienza più perspicace, furono anche arricchiti di maggiori doni di grazia".

[31013] Iª q. 62 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod rationabile est quod secundum gradum naturalium Angelis data sint dona gratiarum et perfectio beatitudinis. Cuius quidem ratio ex duobus accipi potest. Primo quidem ex parte ipsius Dei, qui per ordinem suae sapientiae diversos gradus in angelica natura constituit. Sicut autem natura angelica facta est a Deo ad gratiam et beatitudinem consequendam, ita etiam gradus naturae angelicae ad diversos gradus gratiae et gloriae ordinari videntur, ut puta, si aedificator lapides polit ad construendam domum, ex hoc ipso quod aliquos pulchrius et decentius aptat, videtur eos ad honoratiorem partem domus ordinare. Sic igitur videtur quod Deus Angelos quos altioris naturae fecit, ad maiora gratiarum dona et ampliorem beatitudinem ordinaverit. Secundo apparet idem ex parte ipsius Angeli. Non enim Angelus est compositus ex diversis naturis, ut inclinatio unius naturae impetum alterius impediat aut retardet; sicut in homine accidit, in quo motus intellectivae partis aut retardatur aut impeditur ex inclinatione partis sensitivae. Quando autem non est aliquid quod retardet aut impediat, natura secundum totam suam virtutem movetur. Et ideo rationabile est quod Angeli qui meliorem naturam habuerunt, etiam fortius et efficacius ad Deum sint conversi. Hoc autem etiam in hominibus contingit, quod secundum intensionem conversionis in Deum datur maior gratia et gloria. Unde videtur quod Angeli qui habuerunt meliora naturalia, habuerunt plus de gratia et gloria.

 

[31013] Iª q. 62 a. 6 co.
RISPONDO: È cosa ragionevole (pensare) che agli angeli siano stati elargiti i doni di grazia e la perfezione della beatitudine in proporzione delle loro doti naturali. E possiamo servirci di due argomenti per dimostrarlo. Primo, partendo da Dio, il quale, per una disposizione della sua sapienza, stabilì diverse gerarchie nella natura angelica. Ora, come la natura angelica fu creata da Dio perché conseguisse la grazia e la gloria, così sembra evidente che i vari gradi della natura angelica siano ordinati ai diversi gradi della grazia e della gloria. Allo stesso modo farebbe un muratore il quale prepara le pietre destinate alla costruzione di una casa. Dal fatto stesso che egli dà ad alcune pietre una forma più bella ed elegante, si capisce che egli le ha destinate alle parti più decorose della casa. Analogamente, gli angeli i quali furono dotati da Dio di una natura più perfetta, furono anche deputati da lui a ricevere maggiori doni di grazia e una più grande beatitudine.
Secondo, si arriva alla stessa conclusione anche partendo dall'angelo. L'angelo infatti non è composto di nature diverse, cosicché l'inclinazione dell'una possa impedire o ritardare l'impulso dell'altra; come invece accade nell'uomo, in cui i movimenti della parte intellettiva vengono ritardati o impediti dalla parte sensitiva. Ora, la natura, quando non vi sia nulla che la rattenga o che l'ostacoli, si muove con tutta la sua virtù. È quindi ragionevole pensare che gli angeli, i quali ebbero una natura più perfetta, si siano rivolti a Dio con maggiore forza ed efficacia. Ciò del resto avviene anche tra gli uomini, ai quali viene concessa una grazia maggiore (o minore) secondo l'intensità della loro conversione a Dio. Dunque gli angeli dotati di una natura più perfetta devono aver ricevuto un grado maggiore di grazia e di gloria.

[31014] Iª q. 62 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut gratia est ex mera Dei voluntate, ita etiam et natura Angeli. Et sicut naturam Dei voluntas ordinavit ad gratiam ita et gradus naturae ad gradus gratiae.

 

[31014] Iª q. 62 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come la grazia dipende dalla pura volontà di Dio, così anche la natura dell'angelo. E come la volontà di Dio ne preordinò la natura alla grazia, così pure preordinò i gradi della natura ai vari gradi della grazia.

[31015] Iª q. 62 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod actus rationalis creaturae sunt ab ipsa; sed natura est immediate a Deo. Unde magis videtur quod gratia detur secundum gradum naturae, quam ex operibus.

 

[31015] Iª q. 62 a. 6 ad 2
2. Gli atti della creatura ragionevole dipendono da essa; invece la natura dipende immediatamente da Dio. Perciò è più giusto pensare che la grazia, piuttosto che secondo le opere, sia stata concessa secondo i gradi della natura.

[31016] Iª q. 62 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod diversitas naturalium aliter est in Angelis, qui differunt specie; et aliter in hominibus, qui differunt solo numero. Differentia enim secundum speciem est propter finem, sed differentia secundum numerum est propter materiam. In homine etiam est aliquid quod potest impedire vel retardare motum intellectivae naturae, non autem in Angelis. Unde non est eadem ratio de utroque.

 

[31016] Iª q. 62 a. 6 ad 3
3. Altra è la diversità delle doti naturali negli angeli, i quali si differenziano tra loro specificamente, altra è la diversità tra gli uomini, i quali si distinguono solo numericamente. Infatti la differenza di specie è in vista del fine, mentre la differenza numerica proviene dalla materia. - Inoltre nell'uomo c'è qualche cosa che può ritardare o impedire il moto della natura intellettiva, non così negli angeli. - Quindi l'argomento non vale ugualmente per le due nature.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > La loro elevazione alla grazia e alla gloria > Se rimangono negli angeli beati la cognizione e la dilezione naturale


Prima pars
Quaestio 62
Articulus 7

[31017] Iª q. 62 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod in Angelis beatis non remaneat cognitio et dilectio naturalis. Quia, ut dicitur I Cor. XIII, cum venerit quod perfectum est, evacuabitur quod ex parte est. Sed dilectio et cognitio naturalis est imperfecta respectu cognitionis et dilectionis beatae. Ergo adveniente beatitudine, naturalis cognitio et dilectio cessat.

 
Prima parte
Questione 62
Articolo 7

[31017] Iª q. 62 a. 7 arg. 1
SEMBRA che negli angeli beati non rimangano la cognizione e la dilezione naturale. Infatti:
1. La Scrittura afferma: "Quando venga ciò che è perfetto, il parzialmente finirà". Ora, la dilezione e la cognizione naturale sono imperfette rispetto alla dilezione e alla scienza beatifica. Dunque con la beatitudine cessa la cognizione e la dilezione naturale.

[31018] Iª q. 62 a. 7 arg. 2
Praeterea, ubi unum sufficit, aliud superflue existit. Sed sufficit in Angelis beatis cognitio et dilectio gloriae. Superfluum ergo esset quod remaneret in eis cognitio et dilectio naturalis.

 

[31018] Iª q. 62 a. 7 arg. 2
2. Dove basta una cosa sola, una seconda è superflua. Ma negli angeli bastano la cognizione e la dilezione propria dello stato di gloria. Dunque sarebbero superflue per essi la cognizione e la dilezione naturale.

[31019] Iª q. 62 a. 7 arg. 3
Praeterea, eadem potentia non habet simul duos actus; sicut nec una linea terminatur ex eadem parte ad duo puncta. Sed Angeli beati sunt semper in actu cognitionis et dilectionis beatae, felicitas enim non est secundum habitum, sed secundum actum, ut dicitur in I Ethic. Ergo nunquam in Angelis potest esse cognitio et dilectio naturalis.

 

[31019] Iª q. 62 a. 7 arg. 3
3. Una stessa potenza non può avere simultaneamente due atti, come una linea non può essere terminata nello stesso verso da due punti. Ora gli angeli hanno sempre l'atto della cognizione e della dilezione beatifica: la beatitudine infatti, come insegna il Filosofo, non consiste nell'abito, bensì nell'atto. Dunque negli angeli non ci potranno mai essere la cognizione e la dilezione naturale.

[31020] Iª q. 62 a. 7 s. c.
Sed contra, quandiu manet natura aliqua, manet operatio eius. Sed beatitudo non tollit naturam; cum sit perfectio eius. Ergo non tollit naturalem cognitionem et dilectionem.

 

[31020] Iª q. 62 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO: Fino a che permane una natura, deve perdurare anche la sua operazione. Ora, la beatitudine non distrugge la natura, essendone il coronamento. Dunque non distrugge la cognizione e la dilezione naturale.

[31021] Iª q. 62 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod in Angelis beatis remanet cognitio et dilectio naturalis. Sicut enim se habent principia operationum ad invicem, ita se habent et operationes ipsae. Manifestum est autem quod natura ad beatitudinem comparatur sicut primum ad secundum, quia beatitudo naturae additur. Semper autem oportet salvari primum in secundo. Unde oportet quod natura salvetur in beatitudine. Et similiter oportet quod in actu beatitudinis salvetur actus naturae.

 

[31021] Iª q. 62 a. 7 co.
RISPONDO: Negli angeli beati rimangono la cognizione e la dilezione naturale. Le operazioni infatti hanno tra di loro gli stessi rapporti che intercorrono tra i loro principi. Ora, è chiaro che la natura sta alla beatitudine, come un elemento precedente sta a quello susseguente: poiché la beatitudine viene ad aggiungersi alla natura. Ma l'elemento presupposto non può mancare in ciò che lo presuppone. Perciò la natura non può essere assente nella beatitudine. E quindi assieme agli atti della beatitudine devono esserci anche quelli della natura.

[31022] Iª q. 62 a. 7 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod perfectio adveniens tollit imperfectionem sibi oppositam. Imperfectio autem naturae non opponitur perfectioni beatitudinis, sed substernitur ei, sicut imperfectio potentiae substernitur perfectioni formae, et non tollitur potentia per formam, sed tollitur privatio, quae opponitur formae. Et similiter etiam imperfectio cognitionis naturalis non opponitur perfectioni cognitionis gloriae, nihil enim prohibet simul aliquid cognoscere per diversa media, sicut simul potest aliquid cognosci per medium probabile, et demonstrativum. Et similiter potest Angelus simul Deum cognoscere per essentiam Dei, quod pertinet ad cognitionem gloriae, et per essentiam propriam, quod pertinet ad cognitionem naturae.

 

[31022] Iª q. 62 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Una perfezione che sopravviene toglie (soltanto) l'imperfezione che è ad essa contraria. Ora, l'imperfezione della natura non si oppone alla beatitudine, ma le fa da sostrato: a quel modo che l'imperfezione della potenza fa da sostrato alla perfezione della forma, senza che la potenza sia perciò eliminata dalla forma, ma viene eliminata la privazione che è l'opposto della forma. - Parimenti, l'imperfezione della cognizione naturale non si oppone alla perfezione della scienza beatifica: niente infatti impedisce che una cosa si possa conoscere per vie diverse; p. es., si può arrivare a conoscere simultaneamente una cosa con una ragione probabile e con una apodittica. Allo stesso modo un angelo può conoscere Dio nell'essenza di Dio con la visione beatifica, e può conoscerlo per mezzo della propria essenza, come avviene nella cognizione naturale.

[31023] Iª q. 62 a. 7 ad 2
Ad secundum dicendum quod ea quae sunt beatitudinis, per se sufficiunt. Sed ad hoc quod sint, praeexigunt ea quae sunt naturae, quia nulla beatitudo est per se subsistens, nisi beatitudo increata.

 

[31023] Iª q. 62 a. 7 ad 2
2. Tutte le cose che appartengono alla beatitudine sono per se stesse sufficienti. Ma le perfezioni della beatitudine poggiano sulle perfezioni di natura: poiché nessuna beatitudine, all'infuori di quella increata, è per se stessa sussistente.

[31024] Iª q. 62 a. 7 ad 3
Ad tertium dicendum quod duae operationes non possunt esse simul unius potentiae, nisi una ad aliam ordinetur. Cognitio autem et dilectio naturalis ordinantur ad cognitionem et dilectionem gloriae. Unde nihil prohibet in Angelo simul esse et cognitionem et dilectionem naturalem, et cognitionem et dilectionem gloriae.

 

[31024] Iª q. 62 a. 7 ad 3
3. Due operazioni non possono trovarsi simultaneamente in una potenza, se l'una non è ordinata all'altra. Ma la cognizione e la dilezione naturale sono ordinate alla cognizione e alla dilezione della gloria. Niente perciò impedisce che ci siano simultaneamente nell'angelo tanto la scienza e la dilezione naturale, che la scienza e la dilezione della gloria.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > La loro elevazione alla grazia e alla gloria > Se l'angelo beato possa peccare


Prima pars
Quaestio 62
Articulus 8

[31025] Iª q. 62 a. 8 arg. 1
Ad octavum sic proceditur. Videtur quod Angelus beatus peccare possit. Beatitudo enim non tollit naturam, ut dictum est. Sed de ratione naturae creatae est quod possit deficere. Ergo Angelus beatus potest peccare.

 
Prima parte
Questione 62
Articolo 8

[31025] Iª q. 62 a. 8 arg. 1
SEMBRA che l'angelo beato possa peccare. Infatti:
1. La beatitudine, come si è detto, non distrugge la natura. Ma avere la possibilità di mancare rientra nel concetto stesso di creatura. Dunque l'angelo beato può peccare.

[31026] Iª q. 62 a. 8 arg. 2
Praeterea, potestates rationales sunt ad opposita, ut philosophus dicit. Sed voluntas Angeli beati non desinit esse rationalis. Ergo se habet ad bonum et malum.

 

[31026] Iª q. 62 a. 8 arg. 2
2. Come insegna il Filosofo, le potenze razionali hanno la capacità di volgersi verso oggetti tra loro contrari. Ora, la volontà dell'angelo beato non cessa di essere razionale. Quindi può volgersi al bene e al male.

[31027] Iª q. 62 a. 8 arg. 3
Praeterea, ad libertatem arbitrii pertinet quod homo possit eligere bonum et malum. Sed libertas arbitrii non minuitur in Angelis beatis. Ergo possunt peccare.

 

[31027] Iª q. 62 a. 8 arg. 3
3. La facoltà di scegliere il bene o il male dipende dal libero arbitrio. Ma il libero arbitrio non viene menomato negli angeli beati. Dunque essi possono peccare.

[31028] Iª q. 62 a. 8 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, XI super Gen. ad Litt., quod illa natura quae peccare non potest in sanctis Angelis est. Ergo sancti Angeli peccare non possunt.

 

[31028] Iª q. 62 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino afferma che "negli angeli santi" non v'è una natura che possa peccare. Dunque gli angeli santi non possono peccare.

[31029] Iª q. 62 a. 8 co.
Respondeo dicendum quod Angeli beati peccare non possunt. Cuius ratio est, quia eorum beatitudo in hoc consistit, quod per essentiam Deum vident. Essentia autem Dei est ipsa essentia bonitatis. Unde hoc modo se habet Angelus videns Deum ad ipsum Deum, sicut se habet quicumque non videns Deum ad communem rationem boni. Impossibile est autem quod aliquis quidquam velit vel operetur, nisi attendens ad bonum; vel quod velit divertere a bono, inquantum huiusmodi. Angelus igitur beatus non potest velle vel agere, nisi attendens ad Deum. Sic autem volens vel agens non potest peccare. Unde Angelus beatus nullo modo peccare potest.

 

[31029] Iª q. 62 a. 8 co.
RISPONDO: Gli angeli beati non possono peccare. La ragione di ciò sta nel fatto che la loro beatitudine consiste nel vedere Dio nella di lui essenza. Ora, l'essenza di Dio è l'essenza stessa della bontà. Quindi l'angelo che vede Dio, rispetto a lui è nella stessa condizione, in cui si trova chiunque altro rispetto alla ragione comune di bene, senza tale visione. Ma è impossibile che uno voglia o che faccia qualsiasi cosa senza mirare al bene; o che voglia fuggire il bene, proprio perché bene. Perciò l'angelo beato niente può volere o compiere senza mirare a Dio. Ma chi vuole ed agisce in tal modo non può peccare. Dunque in nessuna maniera l'angelo beato può peccare.

[31030] Iª q. 62 a. 8 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod bonum creatum, in se consideratum, deficere potest. Sed ex coniunctione perfecta ad bonum increatum, qualis est coniunctio beatitudinis, adipiscitur quod peccare non possit, ratione iam dicta.

 

[31030] Iª q. 62 a. 8 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il bene creato, considerato in se stesso, può venir meno. Ma in seguito al suo congiungimento perfetto con il bene increato, cosa che avviene nella beatitudine, diventa impeccabile, per la ragione che si è detto.

[31031] Iª q. 62 a. 8 ad 2
Ad secundum dicendum quod virtutes rationales se habent ad opposita in illis ad quae non ordinantur naturaliter, sed quantum ad illa ad quae naturaliter ordinantur, non se habent ad opposita. Intellectus enim non potest non assentire principiis naturaliter notis, et similiter voluntas non potest non adhaerere bono inquantum est bonum, quia in bonum naturaliter ordinatur sicut in suum obiectum. Voluntas igitur Angeli se habet ad opposita, quantum ad multa facienda vel non facienda. Sed quantum ad ipsum Deum, quem vident esse ipsam essentiam bonitatis, non se habent ad opposita; sed secundum ipsum ad omnia diriguntur, quodcumque oppositorum eligant. Quod sine peccato est.

 

[31031] Iª q. 62 a. 8 ad 2
2. Le potenze razionali possono volgersi verso oggetti tra loro contrari, se si tratta di cose cui non sono ordinate per natura: ma se si tratta di cose cui sono naturalmente ordinate non possono volgersi verso oggetti tra di loro contrari. L'intelletto infatti non può non assentire ai primi principi conosciuti naturalmente; così pure la volontà non può non aderire al bene in quanto bene, poiché essa ha naturalmente il bene per oggetto proprio. Perciò la volontà degli angeli rispetto a molte cose può volgersi in direzioni opposte tra loro. Ma rispetto a Dio, nel quale gli angeli vedono l'essenza stessa della bontà, non possono volgersi in direzioni opposte, ma qualunque cosa essi scelgano, mirano però sempre verso di lui. E questo avviene senza peccato.

[31032] Iª q. 62 a. 8 ad 3
Ad tertium dicendum quod liberum arbitrium sic se habet ad eligendum ea quae sunt ad finem, sicut se habet intellectus ad conclusiones. Manifestum est autem quod ad virtutem intellectus pertinet, ut in diversas conclusiones procedere possit secundum principia data, sed quod in aliquam conclusionem procedat praetermittendo ordinem principiorum, hoc est ex defectu ipsius. Unde quod liberum arbitrium diversa eligere possit servato ordine finis, hoc pertinet ad perfectionem libertatis eius, sed quod eligat aliquid divertendo ab ordine finis, quod est peccare, hoc pertinet ad defectum libertatis. Unde maior libertas arbitrii est in Angelis, qui peccare non possunt, quam in nobis, qui peccare possumus.

 

[31032] Iª q. 62 a. 8 ad 3
3. Il libero arbitrio, rispetto alla scelta delle cose ordinate ad un fine, si comporta come l'intelletto rispetto alla conclusione (di un ragionamento). Ora, è chiaro che la facoltà di ricavare certe conclusioni, partendo da determinati principi, deriva dalla perfezione dell'intelletto: mentre invece dedurre delle conclusioni violando l'ordine dei principi, deriva da una deficienza dell'intelletto stesso. Perciò il poter scegliere cose diverse senza perdere di vista il fine, deriva dalla perfezione del libero arbitrio; ma scegliere qualche cosa perdendo di vista il fine col peccato, deriva da una deficienza della libertà. C'è quindi una maggiore libertà negli angeli i quali non possono peccare, che non in noi che possiamo peccare.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > La loro elevazione alla grazia e alla gloria > Se gli angeli beati possano accrescere la loro beatitudine


Prima pars
Quaestio 62
Articulus 9

[31033] Iª q. 62 a. 9 arg. 1
Ad nonum sic proceditur. Videtur quod Angeli beati in beatitudine proficere possint. Caritas enim est principium merendi. Sed in Angelis est perfecta caritas. Ergo Angeli beati possunt mereri. Crescente autem merito, et praemium beatitudinis crescit. Ergo Angeli beati in beatitudine proficere possunt.

 
Prima parte
Questione 62
Articolo 9

[31033] Iª q. 62 a. 9 arg. 1
SEMBRA che gli angeli beati possano accrescere la loro beatitudine. Infatti:
1. La carità è il principio del merito. Ma negli angeli c'è una carità perfetta. Dunque gli angeli beati possono meritare. Ora, se cresce il merito cresce pure il premio della beatitudine. Dunque gli angeli beati possono accrescere la loro beatitudine.

[31034] Iª q. 62 a. 9 arg. 2
Praeterea, Augustinus dicit, in libro de Doctr. Christ., quod Deus utitur nobis ad nostram utilitatem, et ad suam bonitatem. Et similiter Angelis, quibus utitur in ministeriis spiritualibus; cum sint administratorii spiritus, in ministerium missi propter eos qui haereditatem capiunt salutis, ut dicitur Heb. I. Non autem hoc esset ad eorum utilitatem, si per hoc non mererentur nec in beatitudine proficerent. Relinquitur ergo quod Angeli beati et mereri, et in beatitudine proficere possunt.

 

[31034] Iª q. 62 a. 9 arg. 2
2. S. Agostino insegna che Dio "si serve di noi per la sua bontà, e per il nostro vantaggio". Lo stesso vale per gli angeli, di cui si serve nel ministero spirituale; poiché, come dice S. Paolo, essi sono "spiriti a servizio (di Dio), inviati a cagione di quelli che devono ricevere l'eredità della salvezza". Ora, ciò non tornerebbe a loro vantaggio, se col loro ministero non meritassero né potessero progredire nella beatitudine. Rimane perciò stabilito che gli angeli beati possono meritare e accrescere la loro beatitudine.

[31035] Iª q. 62 a. 9 arg. 3
Praeterea, ad imperfectionem pertinet quod ille qui non est in summo, non possit proficere. Sed Angeli non sunt in summo. Si ergo ad maius proficere non possunt, videtur quod in eis sit imperfectio et defectus. Quod est inconveniens.

 

[31035] Iª q. 62 a. 9 arg. 3
3. Se colui che non è al culmine della perfezione non può progredire, ciò si deve ascrivere a una sua imperfezione. Ora, gli angeli non sono al culmine della perfezione, se quindi non possono progredire, è chiaro che in essi ci deve essere imperfezione e difetto. Questo però non è ammissibile.

[31036] Iª q. 62 a. 9 s. c.
Sed contra est quod mereri et proficere pertinent ad statum viae. Sed Angeli non sunt viatores, sed comprehensores. Ergo Angeli beati non possunt mereri, nec in beatitudine proficere.

 

[31036] Iª q. 62 a. 9 s. c.
IN CONTRARIO: Il meritare e il progredire sono propri dello stato di viatori. Ora, gli angeli non sono viatori, bensì comprensori. Dunque gli angeli beati non possono meritare, né possono accrescere la loro beatitudine.

[31037] Iª q. 62 a. 9 co.
Respondeo dicendum quod in unoquoque motu motoris intentio fertur in aliquid determinatum, ad quod mobile perducere intendit, intentio enim est de fine cui repugnat infinitum. Manifestum est autem quod, cum creatura rationalis per suam virtutem consequi non possit suam beatitudinem, quae in visione Dei consistit, ut ex superioribus patet; indiget ut ad beatitudinem a Deo moveatur. Oportet igitur quod sit aliquid determinatum, ad quod quaelibet creatura rationalis dirigatur sicut in ultimum finem. Et hoc quidem determinatum non potest esse, in divina visione, quantum ad ipsum quod videtur, quia summa veritas ab omnibus beatis secundum diversos gradus conspicitur. Sed quantum ad modum visionis, praefigitur diversimode terminus ex intentione dirigentis in finem. Non enim possibile est quod, sicut rationalis creatura producitur ad videndum summam essentiam, ita producatur ad summum modum visionis, qui est comprehensio, hic enim modus soli Deo competere potest, ut ex supra dictis patet. Sed cum infinita efficacia requiratur ad Deum comprehendendum, creaturae vero efficacia in videndo non possit esse nisi finita; ab infinito autem finitum quodlibet infinitis gradibus distet; infinitis modis contingit creaturam rationalem intelligere Deum vel clarius vel minus clare. Et sicut beatitudo consistit in ipsa visione, ita gradus beatitudinis in certo modo visionis. Sic igitur unaquaeque creatura rationalis a Deo perducitur ad finem beatitudinis, ut etiam ad determinatum gradum beatitudinis perducatur ex praedestinatione Dei. Unde consecuto illo gradu, ad altiorem transire non potest.

 

[31037] Iª q. 62 a. 9 co.
RISPONDO: In ogni moto l'intenzione del movente mira a un termine determinato, verso il quale intende di condurre il soggetto che viene mosso: l'intenzione infatti riguarda sempre un fine, e (tra i fini) non si può andare all'infinito. Ora, si è già visto che la creatura ragionevole, non potendo con la propria virtù conseguire la sua beatitudine, che consiste nella visione di Dio, deve essere mossa da Dio al conseguimento di questa beatitudine. Bisogna quindi che sia ben determinato il termine, cui la creatura ragionevole deve essere diretta come a suo ultimo fine. Questo termine nella visione di Dio non può essere l'oggetto stesso della visione: poiché la somma verità è vista da ciascun beato in grado diverso. - Invece, quanto al modo della visione, l'intenzione di colui che conduce al fine prestabilisce termini diversi. Non è possibile, infatti, che la creatura ragionevole, come è elevata alla visione della suprema essenza, così pure sia elevata a quella visione perfettissima che è la comprensione (di Dio). Tale modo di conoscere, com'è evidente da quanto si disse, non può competere che a Dio. Ora, poiché per comprendere Dio ci vuole una capacità infinita, mentre le capacità conoscitive delle creature non possono essere che finite, e poiché tra qualsiasi cosa finita e l'infinito ci sono infiniti termini intermedi, ne segue che per le creature ragionevoli ci sono infiniti modi di conoscere Dio, con maggiore o minore chiarezza. E, come la beatitudine consiste nella visione stessa di Dio, così il grado di beatitudine consiste in un determinato grado di attitudine alla visione.
Perciò Dio non solo conduce la creatura ragionevole al fine della beatitudine, ma le fa anche raggiungere il grado di beatitudine stabilito dalla divina predestinazione. Una volta quindi raggiunto quel grado, la creatura non può conseguire un grado più elevato.

[31038] Iª q. 62 a. 9 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod mereri est eius quod movetur ad finem. Movetur autem ad finem creatura rationalis, non solum patiendo, sed etiam operando. Et si quidem finis ille subsit virtuti rationalis creaturae, operatio illa dicetur acquisitiva illius finis, sicut homo meditando acquirit scientiam, si vero finis non sit in potestate eius, sed ab alio expectetur, operatio, erit meritoria finis. Ei autem quod est in ultimo termino, non convenit moveri, sed mutatum esse. Unde caritatis imperfectae, quae est viae, est mereri, caritatis autem perfectae non est mereri, sed potius praemio frui. Sicut et in habitibus acquisitis, operatio praecedens habitum est acquisitiva habitus, quae vero est ex habitu iam acquisito, est operatio iam perfecta cum delectatione. Et similiter actus caritatis perfectae non habet rationem meriti, sed magis est de perfectione praemii.

 

[31038] Iª q. 62 a. 9 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il merito è proprio di chi viene mosso verso il fine. Ora, la creatura ragionevole viene mossa verso il fine non in maniera puramente passiva, ma mediante le sue operazioni. Se il fine è proporzionato alle proprie forze, la creatura ragionevole raggiunge il fine con la sua operazione; così l'uomo studiando acquista la scienza. Se invece il raggiungimento del fine non è in suo potere ma lo aspetta da altri, con la sua operazione (l'essere ragionevole) merita il fine. Ma se uno ha già raggiunto l'ultimo termine, si dirà che è già stato mosso al fine, e non già che si muove ancora. Perciò meritare è proprio della carità imperfetta dello stato di viatori; la carità perfetta invece non merita più, bensì fruisce del premio. Allo stesso modo, negli abiti acquisiti le azioni che precedono l'abito servono ad acquistare l'abito stesso; mentre quelle derivanti dall'abito acquisito sono azioni perfette che si compiono con diletto. Sicché l'atto della carità perfetta non ha ragione di merito, ma è piuttosto un complemento del premio.

[31039] Iª q. 62 a. 9 ad 2
Ad secundum dicendum quod aliquid dicitur utile dupliciter. Uno modo, sicut quod est in via ad finem, et sic utile est meritum beatitudinis. Alio modo, sicut pars est utilis ad totum, ut paries ad domum. Et hoc modo ministeria Angelorum sunt utilia Angelis beatis, inquantum sunt quaedam pars beatitudinis ipsorum, diffundere enim perfectionem habitam in alia, hoc est de ratione perfecti inquantum est perfectum.

 

[31039] Iª q. 62 a. 9 ad 2
2. Una cosa può dirsi vantaggiosa in due maniere. Primo, come mezzo per raggiungere il fine: così si dice utile il merito (che porta) alla beatitudine. Secondo, come può dirsi vantaggiosa la parte rispetto al tutto, la parete, p. es., rispetto alla casa. Il ministero angelico è utile agli angeli beati in questa maniera, poiché questo fa parte della loro beatitudine: infatti, diffondere negli altri la perfezione posseduta è proprio dell'essere perfetto, in quanto perfetto.

[31040] Iª q. 62 a. 9 ad 3
Ad tertium dicendum quod, licet Angelus beatus non sit in summo gradu beatitudinis simpliciter, est tamen in ultimo quantum ad seipsum, secundum praedestinationem divinam. Potest tamen augeri Angelorum gaudium de salute eorum qui per ipsorum ministerium salvantur; secundum illud Luc. XV, gaudium est Angelis Dei super uno peccatore poenitentiam agente. Sed hoc gaudium ad praemium accidentale pertinet, quod quidem augeri potest usque ad diem iudicii. Unde quidam dicunt quod, quantum ad praemium accidentale, etiam mereri possunt. Sed melius est ut dicatur quod nullo modo aliquis beatus mereri potest, nisi sit simul viator et comprehensor, ut Christus, qui solus fuit viator et comprehensor. Praedictum enim gaudium magis acquirunt ex virtute beatitudinis, quam illud mereantur.

 

[31040] Iª q. 62 a. 9 ad 3
3. Sebbene l'angelo non abbia raggiunto il sommo grado di beatitudine in senso assoluto, pure si trova al culmine della beatitudine, relativamente a quel grado che a lui è stato fissato dalla divina predestinazione.
Tuttavia può crescere la gioia degli angeli per la salvezza di quelli che si salvano con l'aiuto del loro ministero, conforme al detto evangelico: "Gli angeli gioiscono per un peccatore che faccia penitenza". Questa gioia fa parte del premio accidentale, il quale può accrescersi fino al giorno del giudizio. Perciò alcuni dicono che essi possono addirittura meritare tutto ciò che appartiene al gaudio accidentale. - Ma è più giusto dire che nessun beato può meritare in qualsiasi modo, eccetto il caso che sia al tempo stesso viatore e comprensore, come Cristo, il quale fu il solo ad essere insieme viatore e comprensore. Infatti più che meritare quella gioia, gli angeli l'acquistano in virtù della beatitudine.

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