Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > La loro elevazione alla grazia e alla gloria > Se gli angeli beati possano accrescere la loro beatitudine
Prima pars
Quaestio 62
Articulus 9
[31033] Iª q. 62 a. 9 arg. 1 Ad nonum sic proceditur. Videtur quod Angeli beati in beatitudine proficere possint. Caritas enim est principium merendi. Sed in Angelis est perfecta caritas. Ergo Angeli beati possunt mereri. Crescente autem merito, et praemium beatitudinis crescit. Ergo Angeli beati in beatitudine proficere possunt.
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Prima parte
Questione 62
Articolo 9
[31033] Iª q. 62 a. 9 arg. 1
SEMBRA che gli angeli beati possano accrescere la loro beatitudine. Infatti:
1. La carità è il principio del merito. Ma negli angeli c'è una carità perfetta. Dunque gli angeli beati possono meritare. Ora, se cresce il merito cresce pure il premio della beatitudine. Dunque gli angeli beati possono accrescere la loro beatitudine.
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[31034] Iª q. 62 a. 9 arg. 2 Praeterea, Augustinus dicit, in libro de Doctr. Christ., quod Deus utitur nobis ad nostram utilitatem, et ad suam bonitatem. Et similiter Angelis, quibus utitur in ministeriis spiritualibus; cum sint administratorii spiritus, in ministerium missi propter eos qui haereditatem capiunt salutis, ut dicitur Heb. I. Non autem hoc esset ad eorum utilitatem, si per hoc non mererentur nec in beatitudine proficerent. Relinquitur ergo quod Angeli beati et mereri, et in beatitudine proficere possunt.
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[31034] Iª q. 62 a. 9 arg. 2
2. S. Agostino insegna che Dio "si serve di noi per la sua bontà, e per il nostro vantaggio". Lo stesso vale per gli angeli, di cui si serve nel ministero spirituale; poiché, come dice S. Paolo, essi sono "spiriti a servizio (di Dio), inviati a cagione di quelli che devono ricevere l'eredità della salvezza". Ora, ciò non tornerebbe a loro vantaggio, se col loro ministero non meritassero né potessero progredire nella beatitudine. Rimane perciò stabilito che gli angeli beati possono meritare e accrescere la loro beatitudine.
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[31035] Iª q. 62 a. 9 arg. 3 Praeterea, ad imperfectionem pertinet quod ille qui non est in summo, non possit proficere. Sed Angeli non sunt in summo. Si ergo ad maius proficere non possunt, videtur quod in eis sit imperfectio et defectus. Quod est inconveniens.
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[31035] Iª q. 62 a. 9 arg. 3
3. Se colui che non è al culmine della perfezione non può progredire, ciò si deve ascrivere a una sua imperfezione. Ora, gli angeli non sono al culmine della perfezione, se quindi non possono progredire, è chiaro che in essi ci deve essere imperfezione e difetto. Questo però non è ammissibile.
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[31036] Iª q. 62 a. 9 s. c. Sed contra est quod mereri et proficere pertinent ad statum viae. Sed Angeli non sunt viatores, sed comprehensores. Ergo Angeli beati non possunt mereri, nec in beatitudine proficere.
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[31036] Iª q. 62 a. 9 s. c.
IN CONTRARIO: Il meritare e il progredire sono propri dello stato di viatori. Ora, gli angeli non sono viatori, bensì comprensori. Dunque gli angeli beati non possono meritare, né possono accrescere la loro beatitudine.
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[31037] Iª q. 62 a. 9 co. Respondeo dicendum quod in unoquoque motu motoris intentio fertur in aliquid determinatum, ad quod mobile perducere intendit, intentio enim est de fine cui repugnat infinitum. Manifestum est autem quod, cum creatura rationalis per suam virtutem consequi non possit suam beatitudinem, quae in visione Dei consistit, ut ex superioribus patet; indiget ut ad beatitudinem a Deo moveatur. Oportet igitur quod sit aliquid determinatum, ad quod quaelibet creatura rationalis dirigatur sicut in ultimum finem. Et hoc quidem determinatum non potest esse, in divina visione, quantum ad ipsum quod videtur, quia summa veritas ab omnibus beatis secundum diversos gradus conspicitur. Sed quantum ad modum visionis, praefigitur diversimode terminus ex intentione dirigentis in finem. Non enim possibile est quod, sicut rationalis creatura producitur ad videndum summam essentiam, ita producatur ad summum modum visionis, qui est comprehensio, hic enim modus soli Deo competere potest, ut ex supra dictis patet. Sed cum infinita efficacia requiratur ad Deum comprehendendum, creaturae vero efficacia in videndo non possit esse nisi finita; ab infinito autem finitum quodlibet infinitis gradibus distet; infinitis modis contingit creaturam rationalem intelligere Deum vel clarius vel minus clare. Et sicut beatitudo consistit in ipsa visione, ita gradus beatitudinis in certo modo visionis. Sic igitur unaquaeque creatura rationalis a Deo perducitur ad finem beatitudinis, ut etiam ad determinatum gradum beatitudinis perducatur ex praedestinatione Dei. Unde consecuto illo gradu, ad altiorem transire non potest.
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[31037] Iª q. 62 a. 9 co.
RISPONDO: In ogni moto l'intenzione del movente mira a un termine determinato, verso il quale intende di condurre il soggetto che viene mosso: l'intenzione infatti riguarda sempre un fine, e (tra i fini) non si può andare all'infinito. Ora, si è già visto che la creatura ragionevole, non potendo con la propria virtù conseguire la sua beatitudine, che consiste nella visione di Dio, deve essere mossa da Dio al conseguimento di questa beatitudine. Bisogna quindi che sia ben determinato il termine, cui la creatura ragionevole deve essere diretta come a suo ultimo fine. Questo termine nella visione di Dio non può essere l'oggetto stesso della visione: poiché la somma verità è vista da ciascun beato in grado diverso. - Invece, quanto al modo della visione, l'intenzione di colui che conduce al fine prestabilisce termini diversi. Non è possibile, infatti, che la creatura ragionevole, come è elevata alla visione della suprema essenza, così pure sia elevata a quella visione perfettissima che è la comprensione (di Dio). Tale modo di conoscere, com'è evidente da quanto si disse, non può competere che a Dio. Ora, poiché per comprendere Dio ci vuole una capacità infinita, mentre le capacità conoscitive delle creature non possono essere che finite, e poiché tra qualsiasi cosa finita e l'infinito ci sono infiniti termini intermedi, ne segue che per le creature ragionevoli ci sono infiniti modi di conoscere Dio, con maggiore o minore chiarezza. E, come la beatitudine consiste nella visione stessa di Dio, così il grado di beatitudine consiste in un determinato grado di attitudine alla visione.
Perciò Dio non solo conduce la creatura ragionevole al fine della beatitudine, ma le fa anche raggiungere il grado di beatitudine stabilito dalla divina predestinazione. Una volta quindi raggiunto quel grado, la creatura non può conseguire un grado più elevato.
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[31038] Iª q. 62 a. 9 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod mereri est eius quod movetur ad finem. Movetur autem ad finem creatura rationalis, non solum patiendo, sed etiam operando. Et si quidem finis ille subsit virtuti rationalis creaturae, operatio illa dicetur acquisitiva illius finis, sicut homo meditando acquirit scientiam, si vero finis non sit in potestate eius, sed ab alio expectetur, operatio, erit meritoria finis. Ei autem quod est in ultimo termino, non convenit moveri, sed mutatum esse. Unde caritatis imperfectae, quae est viae, est mereri, caritatis autem perfectae non est mereri, sed potius praemio frui. Sicut et in habitibus acquisitis, operatio praecedens habitum est acquisitiva habitus, quae vero est ex habitu iam acquisito, est operatio iam perfecta cum delectatione. Et similiter actus caritatis perfectae non habet rationem meriti, sed magis est de perfectione praemii.
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[31038] Iª q. 62 a. 9 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il merito è proprio di chi viene mosso verso il fine. Ora, la creatura ragionevole viene mossa verso il fine non in maniera puramente passiva, ma mediante le sue operazioni. Se il fine è proporzionato alle proprie forze, la creatura ragionevole raggiunge il fine con la sua operazione; così l'uomo studiando acquista la scienza. Se invece il raggiungimento del fine non è in suo potere ma lo aspetta da altri, con la sua operazione (l'essere ragionevole) merita il fine. Ma se uno ha già raggiunto l'ultimo termine, si dirà che è già stato mosso al fine, e non già che si muove ancora. Perciò meritare è proprio della carità imperfetta dello stato di viatori; la carità perfetta invece non merita più, bensì fruisce del premio. Allo stesso modo, negli abiti acquisiti le azioni che precedono l'abito servono ad acquistare l'abito stesso; mentre quelle derivanti dall'abito acquisito sono azioni perfette che si compiono con diletto. Sicché l'atto della carità perfetta non ha ragione di merito, ma è piuttosto un complemento del premio.
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[31039] Iª q. 62 a. 9 ad 2 Ad secundum dicendum quod aliquid dicitur utile dupliciter. Uno modo, sicut quod est in via ad finem, et sic utile est meritum beatitudinis. Alio modo, sicut pars est utilis ad totum, ut paries ad domum. Et hoc modo ministeria Angelorum sunt utilia Angelis beatis, inquantum sunt quaedam pars beatitudinis ipsorum, diffundere enim perfectionem habitam in alia, hoc est de ratione perfecti inquantum est perfectum.
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[31039] Iª q. 62 a. 9 ad 2
2. Una cosa può dirsi vantaggiosa in due maniere. Primo, come mezzo per raggiungere il fine: così si dice utile il merito (che porta) alla beatitudine. Secondo, come può dirsi vantaggiosa la parte rispetto al tutto, la parete, p. es., rispetto alla casa. Il ministero angelico è utile agli angeli beati in questa maniera, poiché questo fa parte della loro beatitudine: infatti, diffondere negli altri la perfezione posseduta è proprio dell'essere perfetto, in quanto perfetto.
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[31040] Iª q. 62 a. 9 ad 3 Ad tertium dicendum quod, licet Angelus beatus non sit in summo gradu beatitudinis simpliciter, est tamen in ultimo quantum ad seipsum, secundum praedestinationem divinam. Potest tamen augeri Angelorum gaudium de salute eorum qui per ipsorum ministerium salvantur; secundum illud Luc. XV, gaudium est Angelis Dei super uno peccatore poenitentiam agente. Sed hoc gaudium ad praemium accidentale pertinet, quod quidem augeri potest usque ad diem iudicii. Unde quidam dicunt quod, quantum ad praemium accidentale, etiam mereri possunt. Sed melius est ut dicatur quod nullo modo aliquis beatus mereri potest, nisi sit simul viator et comprehensor, ut Christus, qui solus fuit viator et comprehensor. Praedictum enim gaudium magis acquirunt ex virtute beatitudinis, quam illud mereantur.
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[31040] Iª q. 62 a. 9 ad 3
3. Sebbene l'angelo non abbia raggiunto il sommo grado di beatitudine in senso assoluto, pure si trova al culmine della beatitudine, relativamente a quel grado che a lui è stato fissato dalla divina predestinazione.
Tuttavia può crescere la gioia degli angeli per la salvezza di quelli che si salvano con l'aiuto del loro ministero, conforme al detto evangelico: "Gli angeli gioiscono per un peccatore che faccia penitenza". Questa gioia fa parte del premio accidentale, il quale può accrescersi fino al giorno del giudizio. Perciò alcuni dicono che essi possono addirittura meritare tutto ciò che appartiene al gaudio accidentale. - Ma è più giusto dire che nessun beato può meritare in qualsiasi modo, eccetto il caso che sia al tempo stesso viatore e comprensore, come Cristo, il quale fu il solo ad essere insieme viatore e comprensore. Infatti più che meritare quella gioia, gli angeli l'acquistano in virtù della beatitudine.
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