I, 58

Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > Il loro modo di conoscere


Prima pars
Quaestio 58
Prooemium

[30804] Iª q. 58 pr.
Post haec considerandum est de modo angelicae cognitionis. Et circa hoc quaeruntur septem.
Primo, utrum intellectus Angeli quandoque sit in potentia, quandoque in actu.
Secundo, utrum Angelus possit simul intelligere multa.
Tertio, utrum intelligat discurrendo.
Quarto, utrum intelligat componendo et dividendo.
Quinto, utrum in intellectu Angeli possit esse falsitas.
Sexto, utrum cognitio Angeli possit dici matutina et vespertina.
Septimo, utrum sit eadem cognitio matutina et vespertina, vel diversae.

 
Prima parte
Questione 58
Proemio

[30804] Iª q. 58 pr.
Dopo quanto si è detto, tratteremo ora del modo di conoscere degli angeli.
Sull'argomento si pongono sette quesiti:

1. Se l'intelletto dell'angelo si trovi successivamente in potenza e in atto;
2. Se l'angelo possa intendere simultaneamente molte cose;
3. Se l'angelo intenda servendosi del raziocinio;
4. Se l'angelo intenda formulando proposizioni affermative e negative;
5. Se nell'intelletto dell'angelo si possa insinuare la falsità;
6. Se la cognizione dell'angelo si possa chiamare mattutina e vespertina;
7. Se la cognizione mattutina e quella vespertina siano diverse o siano la stessa cognizione.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > Il loro modo di conoscere > Se l'intelletto angelico sia in potenza e successivamente in atto


Prima pars
Quaestio 58
Articulus 1

[30805] Iª q. 58 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod intellectus Angeli quandoque sit in potentia. Motus enim est actus existentis in potentia, ut dicitur III Physic. Sed mentes angelicae intelligendo moventur, ut dicit Dionysius, IV cap. de Div. Nom. Ergo mentes angelicae quandoque sunt in potentia.

 
Prima parte
Questione 58
Articolo 1

[30805] Iª q. 58 a. 1 arg. 1
SEMBRA che l'intelletto angelico talora sia in potenza. Infatti:
1. Come dice Aristotele, "il moto è l'atto di un ente che è in potenza". Ma le menti angeliche, secondo l'espressione di Dionigi, si muovono conoscendo. Dunque le menti angeliche talora sono in potenza.

[30806] Iª q. 58 a. 1 arg. 2
Praeterea, cum desiderium sit rei non habitae, possibilis tamen haberi, quicumque desiderat aliquid intelligere, est in potentia ad illud. Sed I Petri I, dicitur, in quem desiderant Angeli prospicere. Ergo intellectus Angeli quandoque est in potentia.

 

[30806] Iª q. 58 a. 1 arg. 2
2. Il desiderio ha per oggetto una cosa che non si possiede, ma che è possibile raggiungere; perciò chiunque desidera di intendere una cosa è in potenza rispetto a tale cognizione. Ora, così S. Pietro si esprime: "Colui che gli angeli desiderano guardare". Dunque l'intelletto dell'angelo talora è in potenza.

[30807] Iª q. 58 a. 1 arg. 3
Praeterea, in libro de causis dicitur quod intelligentia intelligit secundum modum suae substantiae. Sed substantia Angeli habet aliquid de potentia permixtum. Ergo quandoque intelligit in potentia.

 

[30807] Iª q. 58 a. 1 arg. 3
3. Nel libro De Causis si dice che l’intelligenza intende "secondo il moto della sua sostanza". Ma la sostanza dell'angelo ha in sé qualche cosa di potenziale. Dunque talora ha una cognizione potenziale.

[30808] Iª q. 58 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, II super Gen. ad Litt., quod Angeli, ex quo creati sunt, ipsa verbi aeternitate, sancta et pia contemplatione perfruuntur. Sed intellectus contemplans non est in potentia, sed in actu. Ergo intellectus Angeli non est in potentia.

 

[30808] Iª q. 58 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Dice S. Agostino che gli angeli "dal momento che furono creati godono della stessa eternità del Verbo, per mezzo di una santa e pia contemplazione". Ora, l'intelletto che contempla è in atto, non già in potenza. Dunque l'intelletto dell'angelo non è in potenza.

[30809] Iª q. 58 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod, sicut philosophus dicit, in III de anima et in VIII Physic., intellectus dupliciter est in potentia, uno modo, sicut ante addiscere vel invenire, idest antequam habeat habitum scientiae; alio modo dicitur esse in potentia, sicut cum iam habet habitum scientiae, sed non considerat. Primo igitur modo, intellectus Angeli nunquam est in potentia respectu eorum ad quae eius cognitio naturalis se extendere potest. Sicut enim corpora superiora, scilicet caelestia, non habent potentiam ad esse, quae non sit completa per actum; ita caelestes intellectus, scilicet Angeli, non habent aliquam intelligibilem potentiam, quae non sit totaliter completa per species intelligibiles connaturales eis. Sed quantum ad ea quae eis divinitus revelantur, nihil prohibet intellectus eorum esse in potentia, quia sic etiam corpora caelestia sunt in potentia quandoque ut illuminentur a sole. Secundo vero modo, intellectus Angeli potest esse in potentia ad ea quae cognoscit naturali cognitione, non enim omnia quae naturali cognitione cognoscit, semper actu considerat. Sed ad cognitionem verbi, et eorum quae in verbo videt, nunquam hoc modo est in potentia, quia semper actu intuetur verbum, et ea quae in verbo videt. In hac enim visione eorum beatitudo consistit, beatitudo autem non consistit in habitu, sed in actu, ut dicit philosophus, in I Ethic.

 

[30809] Iª q. 58 a. 1 co.
RISPONDO: Come fa osservare il Filosofo, l'intelletto può essere in potenza in due maniere: primo, "avanti di apprendere o di scoprire", cioè prima di avere l'abito della scienza; secondo, quando "pur avendo l'abito della scienza, uno non se ne serve". Nel primo modo 1'intelletto dell'angelo non è mai in potenza rispetto a quelle cose che la sua cognizione naturale può raggiungere. Infatti come i corpi superiori, ossia quelli celesti, non hanno alcuna potenzialità nell'ordine dell'essere che non sia colmata dall'atto; così le intelligenze celesti, ossia gli angeli, non hanno alcuna potenzialità di ordine conoscitivo che non sia perfettamente colmata dalle specie intelligibili ad essi connaturali. - Tuttavia niente impedisce che il loro intelletto sia in potenza rispetto alle cose che vengono ad essi rivelate da Dio: poiché, analogamente, anche i corpi celesti sono talora in potenza rispetto alla illuminazione del sole.
Nel secondo modo l'intelletto angelico può essere in potenza rispetto alle cose che raggiunge con la sua cognizione naturale: l'angelo infatti non considera sempre attualmente tutte le cose che conosce con la sua cognizione naturale. - Rispetto invece alla cognizione del Verbo, e di tutto ciò che vede nel Verbo, non è mai in potenza: perché egli sempre attualmente ha fisso lo sguardo sul Verbo e su quanto vede in lui. La beatitudine degli angeli consiste infatti in questa visione: e la beatitudine non consiste in un abito. ma in un atto, come insegna il Filosofo.

[30810] Iª q. 58 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod motus ibi non sumitur secundum quod est actus imperfecti, idest existentis in potentia; sed secundum quod est actus perfecti, idest existentis in actu. Sic enim intelligere et sentire dicuntur motus, ut dicitur in III de anima.

 

[30810] Iª q. 58 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il moto di cui si parla non è già "l'atto di un essere imperfetto", che trovasi cioè in potenza, bensì "l'atto di un essere perfetto", cioè in atto. Difatti in questo senso possono chiamarsi moti anche l'intendere e il sentire, come osserva Aristotele.

[30811] Iª q. 58 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod desiderium illud Angelorum non excludit rem desideratam, sed eius fastidium. Vel dicuntur desiderare Dei visionem, quantum ad novas revelationes, quas pro opportunitate negotiorum a Deo recipiunt.

 

[30811] Iª q. 58 a. 1 ad 2
2. Tale desiderio degli angeli non esclude il possesso della cosa desiderata, ma solo la noia della medesima. - Oppure si dice che essi desiderano la visione di Dio in vista di nuove rivelazioni che essi possono ricevere da Dio, secondo le esigenze del loro ministero.

[30812] Iª q. 58 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod in substantia Angeli non est aliqua potentia denudata ab actu. Et similiter nec intellectus Angeli sic est in potentia, quod sit absque actu.

 

[30812] Iª q. 58 a. 1 ad 3
3. Nella sostanza dell'angelo non vi è potenzialità alcuna priva del suo atto. Così pure l'intelligenza dell'angelo non è mai in potenza in modo da escludere qualsiasi attualità.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > Il loro modo di conoscere > Se l'angelo possa conoscere simultaneamente molte cose


Prima pars
Quaestio 58
Articulus 2

[30813] Iª q. 58 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Angelus non possit simul multa intelligere. Dicit enim philosophus, II Topic., quod contingit multa scire, sed unum tantum intelligere.

 
Prima parte
Questione 58
Articolo 2

[30813] Iª q. 58 a. 2 arg. 1
SEMBRA che l'angelo non possa conoscere simultaneamente molte cose. Infatti:
1. Dice il Filosofo che usi possono sapere molte cose, ma non se ne può intendere che una sola".

[30814] Iª q. 58 a. 2 arg. 2
Praeterea, nihil intelligitur nisi secundum quod intellectus formatur per speciem intelligibilem, sicut corpus formatur per figuram. Sed unum corpus non potest formari diversis figuris. Ergo unus intellectus non potest simul intelligere diversa intelligibilia.

 

[30814] Iª q. 58 a. 2 arg. 2
2. Non si può intendere cosa alcuna se non in quanto l'intelletto riceve una forma dalla specie intelligibile, come il corpo la riceve dalla sua figura. Ora, un corpo non può ricevere simultaneamente diverse figure. Allo stesso modo un intelletto non può conoscere simultaneamente diversi intelligibili.

[30815] Iª q. 58 a. 2 arg. 3
Praeterea, intelligere est motus quidam. Nullus autem motus terminatur ad diversos terminos. Ergo non contingit simul multa intelligere.

 

[30815] Iª q. 58 a. 2 arg. 3
3. L'intellezione è anch'essa un moto. Ora, nessun moto può aver di mira diversi termini. Non è quindi possibile intendere molte cose simultaneamente.

[30816] Iª q. 58 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dicit Augustinus, IV Sup. Gen. ad Litt., potentia spiritualis mentis angelicae cuncta quae voluerit, facillime simul comprehendit.

 

[30816] Iª q. 58 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino insegna: "La potenza spirituale della mente angelica può comprendere con molta facilità e simultaneamente tutte le cose che vuole".

[30817] Iª q. 58 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, sicut ad unitatem motus requiritur unitas termini, ita ad unitatem operationis requiritur unitas obiecti. Contingit autem aliqua accipi ut plura, et ut unum; sicut partes alicuius continui. Si enim unaquaeque per se accipiatur, plures sunt, unde et non una operatione, nec simul accipiuntur per sensum et intellectum. Alio modo accipiuntur secundum quod sunt unum in toto, et sic simul et una operatione cognoscuntur tam per sensum quam per intellectum, dum totum continuum consideratur, ut dicitur in III de anima. Et sic etiam intellectus noster simul intelligit subiectum et praedicatum, prout sunt partes unius propositionis; et duo comparata, secundum quod conveniunt in una comparatione. Ex quo patet quod multa, secundum quod sunt distincta, non possunt simul intelligi; sed secundum quod uniuntur in uno intelligibili, sic simul intelliguntur. Unumquodque autem est intelligibile in actu, secundum quod eius similitudo est in intellectu. Quaecumque igitur per unam speciem intelligibilem cognosci possunt, cognoscuntur ut unum intelligibile; et ideo simul cognoscuntur. Quae vero per diversas species intelligibiles cognoscuntur, ut diversa intelligibilia capiuntur. Angeli igitur ea cognitione qua cognoscunt res per verbum, omnia cognoscunt una intelligibili specie, quae est essentia divina. Et ideo quantum ad talem cognitionem, omnia simul cognoscunt, sicut et in patria non erunt volubiles nostrae cogitationes, ab aliis in alia euntes atque redeuntes, sed omnem scientiam nostram simul uno conspectu videbimus, ut Augustinus dicit in XV de Trin. Ea vero cognitione qua cognoscunt res per species innatas, omnia illa simul possunt intelligere, quae una specie cognoscuntur; non autem illa quae diversis.

 

[30817] Iª q. 58 a. 2 co.
RISPONDO: Come per l'unità del moto si richiede l'unicità del termine, così per l'unità dell'operazione si richiede l'unicità dell'oggetto. Ora, ci sono delle cose che si possono prendere come molteplici, oppure come una cosa sola; p. es., le parti di una quantità continua. Se, infatti, si prende ogni parte a sé, allora sono cose molteplici: e così il senso e l'intelletto non le possono cogliere con una sola operazione, né simultaneamente, come osserva Aristotele. Se invece si prendono nell'altro modo, in quanto cioè formano una cosa sola nel tutto, allora esse sono conosciute simultaneamente e con una sola operazione, tanto da parte del senso che dell'intelletto, perché allora, come nota ancora Aristotele, la quantità continua si considera come un tutto. Così anche il nostro intelletto intende simultaneamente il soggetto e il predicato, in quanto sono parti di una sola proposizione; e conosce i due termini di un paragone, in quanto sono uniti dal paragone stesso. È chiaro, quindi, che cose molteplici, in quanto sono distinte, non possono essere simultaneamente conosciute; ma sono così conosciute in quanto si uniscono a formare un solo oggetto intelligibile.
Ora, ogni cosa è intelligibile perché una specie rappresentativa si essa si trova nell'intelletto. Tutte le cose perciò che si possono conoscere per mezzo di una sola specie intelligibile, essendo apprese come un solo intelligibile, si conoscono simultaneamente. Quelle invece che sono conosciute per mezzo di più specie intelligibili, sono apprese come più oggetti intelligibili.
Dunque gli angeli, mediante la cognizione con la quale vedono le cose nel Verbo, percepiscono tutto con una sola specie intelligibile, che è l'essenza divina. In forza di tale cognizione tutte le cose sono perciò conosciute simultaneamente: cosicché nella patria, al dire di S. Agostino, "i nostri pensieri non saranno volubili, passando e ripassando da una cosa all'altra, ma abbracceremo con un solo sguardo tutta la nostra scienza". - Ma in forza di quella conoscenza, che permette agli angeli di apprendere le cose per mezzo delle specie innate, questi possono conoscere con un solo atto d'intellezione tutte quelle cose che si possono raggiungere con una sola specie; ma non quelle che richiedono diverse specie.

[30818] Iª q. 58 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod intelligere multa ut unum, est quodammodo unum intelligere.

 

[30818] Iª q. 58 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Intendere molte cose come [se fossero] una sola, è, in un certo senso, lo stesso che conoscere una sola cosa.

[30819] Iª q. 58 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod intellectus formatur per intelligibilem speciem quam apud se habet. Et ideo sic potest una specie intelligibili multa simul intelligibilia intueri, sicut unum corpus per unam figuram potest simul multis corporibus assimilari.

 

[30819] Iª q. 58 a. 2 ad 2
2. L'intelletto è informato dalla specie intelligibile che possiede in se medesimo. Quindi con una sola specie intelligibile può intuire molte cose; proprio come un corpo, il quale può somigliare a molti altri in forza di una sola figura.

[30820] Iª q. 58 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum sicut ad primum.

 

[30820] Iª q. 58 a. 2 ad 3
3. Si risponde come alla prima difficoltà.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > Il loro modo di conoscere > Se l'angelo conosca servendosi del raziocinio


Prima pars
Quaestio 58
Articulus 3

[30821] Iª q. 58 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod Angelus cognoscat discurrendo. Discursus enim intellectus attenditur secundum hoc, quod unum per aliud cognoscitur. Sed Angeli cognoscunt unum per aliud, cognoscunt enim creaturas per verbum. Ergo intellectus Angeli cognoscit discurrendo.

 
Prima parte
Questione 58
Articolo 3

[30821] Iª q. 58 a. 3 arg. 1
SEMBRA che Vangelo conosca servendosi del raziocinio. Infatti:
1. Il raziocinio consiste nella conoscenza di una cosa per mezzo di un'altra. Ora, gli angeli conoscono una cosa mediante l'altra: conoscono infatti la creatura mediante il Verbo. Dunque l'intelletto dell'angelo conosce servendosi del raziocinio.

[30822] Iª q. 58 a. 3 arg. 2
Praeterea, quidquid potest virtus inferior, potest et virtus superior. Sed intellectus humanus potest syllogizare, et in effectibus causas cognoscere, secundum quae discursus attenditur. Ergo intellectus Angeli, qui superior est ordine naturae, multo magis hoc potest.

 

[30822] Iª q. 58 a. 3 arg. 2
2. Tutto ciò che può fare una virtù inferiore, lo può anche fare una virtù superiore. Ma l'intelletto umano può sillogizzare e conoscere le cause dagli effetti, che è poi tutto il processo raziocinativo. Dunque l'intelletto dell'angelo, che è superiore nell'ordine di natura, potrà fare assai meglio la stessa cosa.

[30823] Iª q. 58 a. 3 arg. 3
Praeterea, Isidorus dicit quod Daemones per experientiam multa cognoscunt. Sed experimentalis cognitio est discursiva, ex multis enim memoriis fit unum experimentum, et ex multis experimentis fit unum universale, ut dicitur in fine Poster., et in principio Metaphys. Ergo cognitio Angelorum est discursiva.

 

[30823] Iª q. 58 a. 3 arg. 3
3. S. Isidoro afferma che i demoni conoscono molte cose per esperienza. Ma la cognizione sperimentale è costruita sull'illazione: come infatti osserva Aristotele, "da molti ricordi [o dati] si ha l'esperienza, e da molte esperienze si ricava l'universale". Dunque la cognizione degli angeli è illativa.

[30824] Iª q. 58 a. 3 s. c.
Sed contra est quod Dionysius dicit, VII cap. de Div. Nom., quod Angeli non congregant divinam cognitionem a sermonibus diffusis, neque ab aliquo communi ad ista specialia simul aguntur.

 

[30824] Iª q. 58 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Dionigi insegna che gli angeli "non raccolgono le loro divine cognizioni da un'analisi di elementi, di sensazioni o di ragioni discorsive: essi non si servono che di una percezione cumulativa sotto concetti universali".

[30825] Iª q. 58 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod, sicut saepius dictum est, Angeli illum gradum tenent in substantiis spiritualibus, quem corpora caelestia in substantiis corporeis, nam et caelestes mentes a Dionysio dicuntur. Est autem haec differentia inter caelestia et terrena corpora, quod corpora terrena per mutationem et motum adipiscuntur suam ultimam perfectionem, corpora vero caelestia statim, ex ipsa sua natura, suam ultimam perfectionem habent. Sic igitur et inferiores intellectus, scilicet hominum, per quendam motum et discursum intellectualis operationis perfectionem in cognitione veritatis adipiscuntur; dum scilicet ex uno cognito in aliud cognitum procedunt. Si autem statim in ipsa cognitione principii noti, inspicerent quasi notas omnes conclusiones consequentes, in eis discursus locum non haberet. Et hoc est in Angelis, quia statim in illis quae primo naturaliter cognoscunt, inspiciunt omnia quaecumque in eis cognosci possunt. Et ideo dicuntur intellectuales, quia etiam apud nos, ea quae statim naturaliter apprehenduntur, intelligi dicuntur; unde intellectus dicitur habitus primorum principiorum. Animae vero humanae, quae veritatis notitiam per quendam discursum acquirunt, rationales vocantur. Quod quidem contingit ex debilitate intellectualis luminis in eis. Si enim haberent plenitudinem intellectualis luminis, sicut Angeli, statim in primo aspectu principiorum totam virtutem eorum comprehenderent, intuendo quidquid ex eis syllogizari posset.

 

[30825] Iª q. 58 a. 3 co.
RISPONDO: Come si è già detto più volte, gli angeli occupano nell'ordine delle sostanze intellettuali il posto tenuto dai corpi celesti tra quelle corporee: e infatti sono chiamati da Dionigi menti celesti. Ora, tra i corpi celesti e quelli terrestri c’è questa differenza, che i corpi terrestri raggiungono la l'oro ultima perfezione mediante il moto e la trasmutazione, mentre i corpi celesti hanno subito per natura la propria perfezione suprema. In modo analogo, anche le intelligenze inferiori, ossia quelle umane, raggiungono la perfezione nella conoscenza della verità attraverso un moto e un procedimento raziocinativo dell'operazione intellettuale: poiché si procede dalla conoscenza di una cosa alla cognizione di un'altra. Se invece nella conoscenza di un principio già noto scorgessero distintamente tutte le conclusioni che ne conseguono, non si avrebbe più il raziocinio. È ciò che avviene negli angeli: i quali nelle nozioni che naturalmente essi hanno fin da principio, vedono tutto quello che per mezzo di esse si può conoscere.
Per questo gli angeli sono denominati intellettuali: e anche nel campo umano si usa parlare di intellezione a proposito delle prime nozioni, che vengono apprese naturalmente e immediatamente; cosicché l'abito dei primi principii viene denominato intelletto. – Le anime umane invece sono dette razionali perché acquistano la cognizione della verità con un procedimento raziocinativo. E ciò dipende dalla debolezza della loro luce intellettuale. Se infatti avessero la pienezza della luce intellettuale, come gli angeli, alla prima apprensione dei principii ne coglierebbero immediatamente tutta la virtualità, scorgendo tutto quello che da essi si può dedurre col sillogismo.

[30826] Iª q. 58 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod discursus quendam motum nominat. Omnis autem motus est de uno priori in aliud posterius. Unde discursiva cognitio attenditur secundum quod ex aliquo prius noto devenitur in cognitionem alterius posterius noti, quod prius erat ignotum. Si autem in uno inspecto simul aliud inspiciatur, sicut in speculo inspicitur simul imago rei et res; non est propter hoc cognitio discursiva. Et hoc modo cognoscunt Angeli res in verbo.

 

[30826] Iª q. 58 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il raziocinio richiama l'idea di moto. Ora, ogni moto va da un termine antecedente a uno seguente.
Abbiamo quindi una cognizione raziocinativa quando da una cosa già conosciuta si passa alla conoscenza di una cosa ancora ignorata. Se invece nel percepire una cosa si coglie simultaneamente anche l'altra, come chi nel guardare lo specchio vede simultaneamente lo specchio e l'immagine di una data cosa, allora la cognizione non si potrà chiamare discorsiva. Ora, gli angeli conoscono le cose nel Verbo proprio in questa maniera.

[30827] Iª q. 58 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod Angeli syllogizare possunt, tanquam syllogismum cognoscentes; et in causis effectus vident, et in effectibus causas, non tamen ita quod cognitionem veritatis ignotae acquirant syllogizando ex causis in causata, et ex causatis in causas.

 

[30827] Iª q. 58 a. 3 ad 2
2. Gli angeli possono sillogizzare nel senso cioè che conoscono il sillogismo, e vedono gli effetti nelle cause e le cause negli effetti: non però nel senso che essi acquistino la cognizione di una verità ignota, procedendo con sillogismi dalle cause agli effetti, o da questi alle cause.

[30828] Iª q. 58 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod experientia in Angelis et Daemonibus dicitur secundum quandam similitudinem, prout scilicet cognoscunt sensibilia praesentia; tamen absque omni discursu.

 

[30828] Iª q. 58 a. 3 ad 3
3. L'esperienza si attribuisce agli angeli secondo una certa analogia, in quanto cioè essi conoscono le cose sensibili presenti, però senza alcuna illazione.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > Il loro modo di conoscere > Se gli angeli conoscano formulando giudizi affermativi e negativi


Prima pars
Quaestio 58
Articulus 4

[30829] Iª q. 58 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod Angeli intelligant componendo et dividendo. Ubi enim est multitudo intellectuum, ibi est compositio intellectuum, ut dicitur in III de anima. Sed in intellectu Angeli est multitudo intellectuum, cum per diversas species diversa intelligat, et non omnia simul. Ergo in intellectu Angeli est compositio et divisio.

 
Prima parte
Questione 58
Articolo 4

[30829] Iª q. 58 a. 4 arg. 1
SEMBRA che gli angeli conoscano formulando giudizi affermativi e negativi. Infatti:
1. Dice Aristotele che quando abbiamo una molteplicità di concetti si ha pure una composizione tra di loro [ossia un giudizio].
Ma nell'intelletto dell'angelo vi è una moltitudine di concetti: poiché esso conosce cose diverse non tutte assieme ma per mezzo di specie diverse. Dunque nell'intelletto angelico abbiamo la formulazione di giudizi affermativi e negativi.

[30830] Iª q. 58 a. 4 arg. 2
Praeterea, plus distat negatio ab affirmatione, quam quaecumque duae naturae oppositae, quia prima distinctio est per affirmationem et negationem. Sed aliquas naturas distantes Angelus non cognoscit per unum, sed per diversas species, ut ex dictis patet. Ergo oportet quod affirmationem et negationem cognoscat per diversa. Et ita videtur quod Angelus intelligat componendo et dividendo.

 

[30830] Iª q. 58 a. 4 arg. 2
2. Vi è maggiore distanza tra l'affermazione e la negazione che tra due nature opposte qualsiasi; poiché la prima distinzione è quella esistente tra l'affermazione e la negazione. Ma l'angelo, come si è visto, conosce nature diverse per mezzo di specie diverse e non di una sola. Deve quindi conoscere l'affermazione e la negazione servendosi di specie diverse. E perciò evidente che l'angelo conosce ricorrendo a dei giudizi affermativi e negativi.

[30831] Iª q. 58 a. 4 arg. 3
Praeterea, locutio est signum intellectus. Sed Angeli hominibus loquentes, proferunt affirmativas et negativas enuntiationes, quae sunt signa compositionis et divisionis in intellectu; ut ex multis locis sacrae Scripturae apparet. Ergo videtur quod Angelus intelligat componendo et dividendo.

 

[30831] Iª q. 58 a. 4 arg. 3
3. La locuzione è il segno rivelatore dell'intelligenza. Ma gli angeli, come appare da molti passi della Scrittura, parlano agli uomini servendosi di proposizioni affermative e negative, le quali sono un segno dei giudizi affermativi e negativi esistenti nell'intelletto. Dunque l'angelo intende formulando giudizi affermativi e negativi.

[30832] Iª q. 58 a. 4 s. c.
Sed contra est quod Dionysius dicit, VII cap. de Div. Nom., quod virtus intellectualis Angelorum resplendet conspicaci divinorum intellectuum simplicitate. Sed simplex intelligentia est sine compositione et divisione, ut dicitur in III de anima. Ergo Angelus intelligit sine compositione et divisione.

 

[30832] Iª q. 58 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Dionigi insegna che r la virtù intellettuale degli angeli rifulge per la semplicità perspicace dell'intellezione delle cose divine". Ora, l'intellezione semplice, come dice il Filosofo, è senza alcuna affermazione e negazione. Dunque l'angelo intende senza ricorrere a giudizi affermativi e negativi.

[30833] Iª q. 58 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod, sicut in intellectu ratiocinante comparatur conclusio ad principium, ita in intellectu componente et dividente comparatur praedicatum ad subiectum. Si enim intellectus statim in ipso principio videret conclusionis veritatem, nunquam intelligeret discurrendo vel ratiocinando. Similiter si intellectus statim in apprehensione quidditatis subiecti, haberet notitiam de omnibus quae possunt attribui subiecto vel removeri ab eo, nunquam intelligeret componendo et dividendo, sed solum intelligendo quod quid est. Sic igitur patet quod ex eodem provenit quod intellectus noster intelligit discurrendo, et componendo et dividendo, ex hoc scilicet, quod non statim in prima apprehensione alicuius primi apprehensi, potest inspicere quidquid in eo virtute continetur. Quod contingit ex debilitate luminis intellectualis in nobis, sicut dictum est. Unde cum in Angelo sit lumen intellectuale perfectum, cum sit speculum purum et clarissimum, ut dicit Dionysius, IV cap. de Div. Nom.; relinquitur quod Angelus, sicut non intelligit ratiocinando, ita non intelligit componendo et dividendo. Nihilominus tamen compositionem et divisionem enuntiationum intelligit, sicut et ratiocinationem syllogismorum, intelligit enim composita simpliciter, et mobilia immobiliter, et materialia immaterialiter.

 

[30833] Iª q. 58 a. 4 co.
RISPONDO: La stessa relazione che esiste tra le conclusioni e i principii quando l'intelletto si serve del raziocinio, esiste pure tra il predicato e il soggetto quando l'intelligenza formula giudizi affermativi e negativi. Se infatti l'intelletto intuisse subito nei principii la verità delle conclusioni, mai più intenderebbe servendosi dell'illazione e del raziocinio. Così pure, se l'intelletto nell'apprendere la quiddità del soggetto vedesse subito tutte le cose che gli si possono attribuire o che gli si debbono negare, non intenderebbe certo formulando giudizi affermativi e negativi, ma si limiterebbe ad apprendere la quiddità.
Appare dunque evidente che identica è la ragione per cui il nostro intelletto conosce servendosi del raziocinio, e formulando giudizi affermativi e negativi: per il fatto cioè che esso nella prima apprensione di un oggetto non è in grado di cogliere subito tutto ciò che quello contiene nella sua virtualità. E ciò proviene, come si è detto, dalla debolezza della nostra luce intellettuale. Essendovi dunque nell'angelo una luce intellettuale perfetta, poiché egli è uno "specchio puro" e "tersissimo", secondo l'espressione di Dionigi, ne segue che l'angelo, come non intende servendosi del raziocinio, così neppure intende formulando giudizi affermativi e negativi.
Pur tuttavia egli comprende le affermazioni e le negazioni degli enunciati, come capisce la logicità dei sillogismi: egli infatti conosce le cose composte in modo semplice, le cose mutevoli in maniera immutabile, le cose materiali in modo immateriale.

[30834] Iª q. 58 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod non qualiscumque multitudo intellectuum compositionem causat, sed multitudo illorum intellectuum quorum unum attribuitur alteri, vel removetur ab altero. Angelus autem, intelligendo quidditatem alicuius rei, simul intelligit quidquid ei attribui potest vel removeri ab ea. Unde intelligendo quod quid est, intelligit quidquid nos intelligere possumus et componendo et dividendo, per unum suum simplicem intellectum.

 

[30834] Iª q. 58 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Non qualsiasi molteplicità di concetti causa la composizione nell'intelletto, ma solo la molteplicità di quei concetti dei quali uno viene attribuito all'altro, oppure viene di esso negato. Ora, l'angelo nell'intendere la quiddità di una cosa intende simultaneamente tutto ciò che va attribuito o negato alla medesima. Perciò nell'intendere la quiddità intende, con una semplice intellezione, tutto ciò che noi possiamo sapere per mezzo di giudizi affermativi e negativi.

[30835] Iª q. 58 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod diversae quidditates rerum minus differunt, quantum ad rationem existendi, quam affirmatio et negatio. Tamen quantum ad rationem cognoscendi, affirmatio et negatio magis conveniunt, quia statim per hoc quod cognoscitur veritas affirmationis, cognoscitur falsitas negationis oppositae.

 

[30835] Iª q. 58 a. 4 ad 2
2. Le diverse quiddità delle cose hanno tra di loro, nella realtà, una differenza minore di quella esistente tra l'affermazione e la negazione. Tuttavia, nell'ordine conoscitivo, l'affermazione e la negazione hanno tra di loro un'affinità maggiore: poiché non appena si conosce la verità di un'affermazione, si scorge in pari tempo la falsità della negazione opposta.

[30836] Iª q. 58 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod hoc quod Angeli loquuntur enuntiationes affirmativas et negativas, manifestat quod Angeli cognoscunt compositionem et divisionem, non autem quod cognoscant componendo et dividendo, sed simpliciter cognoscendo quod quid est.

 

[30836] Iª q. 58 a. 4 ad 3
3. II fatto che gli angeli pronunziano proposizioni affermative e negative prova che essi intendono i giudizi affermativi e negativi: non già che conoscono formulando tali giudizi, perché conoscono invece, senza composizione alcuna, la quiddità delle cose.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > Il loro modo di conoscere > Se nell'intelletto dell'angelo ci possa essere la falsità


Prima pars
Quaestio 58
Articulus 5

[30837] Iª q. 58 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod in intellectu Angeli possit esse falsitas. Protervitas enim ad falsitatem pertinet. Sed in Daemonibus est phantasia proterva, ut dicit Dionysius, IV cap. de Div. Nom. Ergo videtur quod in Angelorum intellectu possit esse falsitas.

 
Prima parte
Questione 58
Articolo 5

[30837] Iª q. 58 a. 5 arg. 1
SEMBRA che nell'intelletto dell'angelo ci possa essere la falsità. Infatti:
1. La protervia rientra nella falsità. Ora, nei demoni, come afferma Dionigi, c’è una fantasia proterva. E chiaro dunque che nell'intelletto dell'angelo può esserci la falsità.

[30838] Iª q. 58 a. 5 arg. 2
Praeterea, nescientia est causa falsae aestimationis. Sed in Angelis potest esse nescientia, ut Dionysius dicit, VI cap. Eccles. Hier. Ergo videtur quod in eis possit esse falsitas.

 

[30838] Iª q. 58 a. 5 arg. 2
2. La nescienza è causa di false valutazioni [delle cose]. Ma negli angeli, a quanto insegna Dionigi, può esserci la nescienza. Dunque in essi può esserci [anche] la falsità.

[30839] Iª q. 58 a. 5 arg. 3
Praeterea, omne quod cadit a veritate sapientiae, et habet rationem depravatam, habet falsitatem vel errorem in suo intellectu. Sed hoc Dionysius dicit de Daemonibus, VII cap. de Div. Nom. Ergo videtur quod in intellectu Angelorum possit esse falsitas.

 

[30839] Iª q. 58 a. 5 arg. 3
3. Chiunque si allontana dalla verità della sapienza ed ha una ragione depravata, ha nel suo intelletto la falsità e l'errore. Ora, Dionigi attribuisce tutto ciò ai demoni. Dunque nell'intelletto del l'angelo può trovarsi la falsità.

[30840] Iª q. 58 a. 5 s. c.
Sed contra, philosophus dicit, III de anima, quod intellectus semper verus est. Augustinus etiam dicit, in libro octoginta trium quaest., quod nihil intelligitur nisi verum. Sed Angeli non cognoscunt aliquid nisi intelligendo. Ergo in Angeli cognitione non potest esse deceptio et falsitas.

 

[30840] Iª q. 58 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo insegna che "l'intelletto è sempre vero".
E S. Agostino afferma che "soltanto della verità si ha intellezione". Ora, gli angeli non possiedono altra cognizione che quella intellettiva. Dunque nella cognizione dell'angelo non vi può essere né inganno né falsità.

[30841] Iª q. 58 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod huius quaestionis veritas aliquatenus ex praemissa dependet. Dictum est enim quod Angelus non intelligit componendo et dividendo, sed intelligendo quod quid est. Intellectus autem circa quod quid est semper verus est, sicut et sensus circa proprium obiectum, ut dicitur in III de anima. Sed per accidens in nobis accidit deceptio et falsitas intelligendo quod quid est, scilicet secundum rationem alicuius compositionis, vel cum definitionem unius rei accipimus ut definitionem alterius; vel cum partes definitionis sibi non cohaerent, sicut si accipiatur pro definitione alicuius rei, animal quadrupes volatile (nullum enim animal tale est); et hoc quidem accidit in compositis, quorum definitio ex diversis sumitur, quorum unum est materiale ad aliud. Sed intelligendo quidditates simplices, ut dicitur in IX Metaphys., non est falsitas, quia vel totaliter non attinguntur, et nihil intelligimus de eis; vel cognoscuntur ut sunt. Sic igitur per se non potest esse falsitas aut error aut deceptio in intellectu alicuius Angeli; sed per accidens contingit. Alio tamen modo quam in nobis. Nam nos componendo et dividendo quandoque ad intellectum quidditatis pervenimus, sicut cum dividendo vel demonstrando definitionem investigamus. Quod quidem in Angelis non contingit; sed per quod quid est rei cognoscunt omnes enuntiationes ad illam rem pertinentes. Manifestum est autem quod quidditas rei potest esse principium cognoscendi respectu eorum quae naturaliter conveniunt rei vel ab ea removentur, non autem eorum quae a supernaturali Dei ordinatione dependent. Angeli igitur boni, habentes rectam voluntatem, per cognitionem quidditatis rei non iudicant de his quae naturaliter ad rem pertinent, nisi salva ordinatione divina. Unde in eis non potest esse falsitas aut error. Daemones vero, per voluntatem perversam subducentes intellectum a divina sapientia, absolute interdum de rebus iudicant secundum naturalem conditionem. Et in his quae naturaliter ad rem pertinent, non decipiuntur. Sed decipi possunt quantum ad ea quae supernaturalia sunt, sicut si considerans hominem mortuum, iudicet eum non resurrecturum; et si videns hominem Christum, iudicet eum non esse Deum.

 

[30841] Iª q. 58 a. 5 co.
RISPONDO: La vera soluzione di questo problema dipende in gran parte da quello precedente. Si è detto, infatti, che l'angelo per conoscere non ha bisogno di formulare giudizi affermativi e negativi, ma gli basta intuire la quiddità delle cose. Ora, al dire di Aristotele, F intelletto riguardo alle quiddità è sempre nel vero, come il senso rispetto al proprio oggetto. In noi tuttavia può insinuarsi accidentalmente l'inganno e la falsità quando veniamo a conoscere l'essenza, delle cose, a motivo cioè di qualche giudizio [almeno implicito]: o perché attribuiamo la definizione di una cosa a un'altra, oppure porcile le parti di una definizione sono incompatibili; come nel caso che si volesse dare di una cosa questa definizione: animale quadrupede volatile (mentre appunto non esiste un animale siffatto). Ma ciò accade per le cose composte, la cui definizione si desume da clementi diversi, di cui uno funge da parte materiale rispetto all'altro. Nella intellezione invece delle quiddità semplici non ci può essere falsità, come insegna Aristotele: poiché tali quiddità, o non si raggiungono affatto, e allora non conosciamo nulla intorno ad esse; oppure si conoscono come sono realmente.
Perciò nell'intelletto di qualsiasi angelo di suo non ci può essere né falsità, né errore, né inganno; ma possono insinuarvisi accidentalmente. In modo però diverso da come avviene in noi. Noi infatti raggiungiamo talora il concetto della quiddità per mezzo di giudizi affermativi e negativi, come quando ricerchiamo una definizione per esclusione, o mediante una dimostrazione. Orbene, ciò non si verifica negli angeli, poiché essi nel conoscere la quiddità di una cosa conoscono insieme tutte le proprietà che le appartengono. - E chiaro però che la quiddità di una cosa può servire di base per conoscere tutto ciò che ad essa appartiene o ripugna nell'ordine naturale, non già per conoscere quello che dipende da una disposizione soprannaturale di Dio. Quindi gli angeli buoni, avendo una volontà retta, dalla conoscenza della quiddità di una cosa non formulano alcun giudizio su ciò che la riguarda nell'ordine soprannaturale, se non presupponendo una disposizione divina. E cosi in essi non può insinuarsi né la falsità né l'errore.
I demoni invece, avendo sottratto con volontà perversa l'intelletto proprio alla sapienza divina, portano talora un giudizio assoluto sulle cose, considerate nella loro condizione naturale. E in ciò che appartiene naturalmente ad esse non s'ingannano. Ma possono ingannarsi in tutto ciò che può esserci in esse di soprannaturale: osservando, p. es., un morto giudicheranno che non debba più risorgere; oppure vedendo l'uomo Cristo potranno pensare che egli non è Dio.

[30842] Iª q. 58 a. 5 ad 1
Et per hoc patet responsio ad ea quae utrinque obiiciuntur. Nam protervitas Daemonum est secundum quod non subduntur divinae sapientiae. Nescientia autem est in Angelis, non respectu naturalium cognoscibilium, sed supernaturalium. Patet etiam quod intellectus eius quod quid est semper est verus, nisi per accidens, secundum quod indebite ordinatur ad aliquam compositionem vel divisionem.

 

[30842] Iª q. 58 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: Da quanto si è detto appare evidente la risposta da darsi alle difficoltà mosse nei due sensi. Infatti, troviamo la protervia nei demoni, in quanto non sono sottomessi alla sapienza divina. - Negli angeli c’è la nescienza, non già rispetto alle cose che si possono conoscere naturalmente, ma rispetto al soprannaturale. – È pure evidente che l'intelletto è sempre nel vero quando coglie la quiddità delle cose, e non può cadere nella falsità altro che accidentalmente, quando cioè è costretto a servirsi di giudizi affermativi o negativi.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > Il loro modo di conoscere > Se vi sia negli angeli la cognizione mattutina e vespertina


Prima pars
Quaestio 58
Articulus 6

[30843] Iª q. 58 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod in Angelis non sit vespertina neque matutina cognitio. Vespere enim et mane admixtionem tenebrarum habent. Sed in cognitione Angeli non est aliqua tenebrositas; cum non sit ibi error vel falsitas. Ergo cognitio Angeli non debet dici matutina vel vespertina.

 
Prima parte
Questione 58
Articolo 6

[30843] Iª q. 58 a. 6 arg. 1
SEMBRA che negli angeli non vi sia né la cognizione mattutina né quella vespertina. Infatti:
1. Al vespro e al mattino abbiamo una mescolanza di tenebre [e di luce]. Ora, nella cognizione dell'angelo non vi è alcuna oscurità, perché in lui non vi è né errore né falsità. Dunque non si deve dire che la cognizione dell'angelo è mattutina o vespertina.

[30844] Iª q. 58 a. 6 arg. 2
Praeterea, inter vespere et mane cadit nox; et inter mane et vespere cadit meridies. Si igitur in Angelis cadit cognitio matutina et vespertina, pari ratione videtur quod in eis debeat esse meridiana et nocturna cognitio.

 

[30844] Iª q. 58 a. 6 arg. 2
2. Tra il vespro e il mattino c’è la notte, e tra il mattino e il vespro c’è il meriggio. Se dunque negli angeli esiste la cognizione mattutina e vespertina, ci dovranno anche essere con ugual diritto la cognizione meridiana e quella notturna.

[30845] Iª q. 58 a. 6 arg. 3
Praeterea, cognitio distinguitur secundum differentiam cognitorum, unde in III de anima dicit philosophus quod scientiae secantur quemadmodum et res. Triplex autem est esse rerum, scilicet in verbo, in propria natura, et in intelligentia angelica, ut Augustinus dicit, II super Gen. ad Litt. Ergo, si ponatur cognitio matutina in Angelis et vespertina, propter esse rerum in verbo et in propria natura; debet etiam in eis poni tertia cognitio, propter esse rerum in intelligentia angelica.

 

[30845] Iª q. 58 a. 6 arg. 3
3. La cognizione si distingue secondo la diversità degli oggetti conosciuti; tanto è vero che il Filosofo afferma: "le scienze si dividono come le cose". Ora, le cose, al dire di S. Agostino, hanno un triplice modo di essere: cioè nel Verbo, nella propria natura, e nell'intelletto angelico. Se si ammette quindi negli angeli una cognizione mattutina e una vespertina, per il diverso modo di essere che le cose hanno nel Verbo e nella loro propria natura, si dovrà pure ammettere in essi una terza cognizione, relativa al modo di essere che le cose hanno nell'intelligenza angelica.

[30846] Iª q. 58 a. 6 s. c.
Sed contra est quod Augustinus, IV super Gen. ad Litt., et XI de Civ. Dei, distinguit cognitionem Angelorum per matutinam et vespertinam.

 

[30846] Iª q. 58 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino divide la cognizione angelica in mattutina e vespertina.

[30847] Iª q. 58 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod hoc quod dicitur de cognitione matutina et vespertina in Angelis, introductum est ab Augustino, qui sex dies in quibus Deus legitur fecisse cuncta, Gen. I, intelligi vult non hos usitatos dies qui solis circuitu peraguntur, cum sol quarto die factus legatur; sed unum diem, scilicet cognitionem angelicam sex rerum generibus praesentatam. Sicut autem in die consueto mane est principium diei, vespere autem terminus, ita cognitio ipsius primordialis esse rerum, dicitur cognitio matutina, et haec est secundum quod res sunt in verbo. Cognitio autem ipsius esse rei creatae secundum quod in propria natura consistit, dicitur cognitio vespertina, nam esse rerum fluit a verbo sicut a quodam primordiali principio, et hic effluxus terminatur ad esse rerum quod in propria natura habent.

 

[30847] Iª q. 58 a. 6 co.
RISPONDO: La divisione della conoscenza degli angeli in mattutina e vespertina fu introdotta da S. Agostino, il quale volle interpretare i sei giorni della creazione non come se si trattasse dei giorni soliti, determinati dal moto circolare del sole, poiché, stando alla Scrittura, il sole fu creato il quarto giorno; ma questi sei giorni non sarebbero che un solo giorno, cioè la cognizione angelica rappresentata in sei generi di cose. Ora, come nel giorno ordinario il mattino è l'inizio e il vespro è il termine della giornata, così la cognizione dell'essere primordiale delle cose si dice mattutina: ed è la cognizione che raggiunge le cose secondo il modo di essere che hanno nel Verbo. La cognizione invece, che considera l'essere delle cose create nella loro propria natura, viene chiamata cognizione vespertina. L'essere delle cose infatti procede dal Verbo come da suo principio primordiale, e questo processo termina all'essere che le cose possiedono nella loro propria natura.

[30848] Iª q. 58 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod vespere et mane non accipiuntur in cognitione angelica secundum similitudinem ad admixtionem tenebrarum; sed secundum similitudinem principii et termini. Vel dicendum quod nihil prohibet, ut dicit Augustinus IV super Gen. ad Litt., aliquid in comparatione ad unum dici lux, et in comparatione ad aliud dici tenebra. Sicut vita fidelium et iustorum, in comparatione ad impios, dicitur lux, secundum illud Ephes. V, fuistis aliquando tenebrae, nunc autem lux in domino; quae tamen vita fidelium, in comparatione ad vitam gloriae, tenebrosa dicitur, secundum illud II Petri I, habetis propheticum sermonem, cui bene facitis attendentes quasi lucernae lucenti in caliginoso loco. Sic igitur cognitio Angeli qua cognoscit res in propria natura, dies est per comparationem ad ignorantiam vel errorem, sed obscura est per comparationem ad visionem verbi.

 

[30848] Iª q. 58 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'analogia tra il mattino, il vespro e la cognizione angelica non è desunta dal fatto che il mattino e il vespro sono misti di tenebre, ma solo dall'essere l'uno principio e l'altro termine. - Oppure si potrebbe anche dire, con S. Agostino, non esserci difficoltà a che una stessa cosa sia detta luce, paragonata a un dato essere, e sia detta tenebra se paragonata con un altro. Così la vita dei fedeli e dei giusti, paragonata alla vita degli empi, è chiamata luce: "Una volta eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore", dice S. Paolo; e tuttavia questa vita dei fedeli, in paragone alla vita della gloria, si può, con S. Pietro, chiamare tenebrosa: "Avete la parola profetica, alla quale fate bene a prestare attenzione, come ad una lucerna che risplende in un luogo oscuro".
La cognizione quindi, di cui si serve l'angelo per conoscere le cose nella loro propria natura, è giorno in paragone all’ignoranza e allo errore: è invece oscura, paragonata alla visione del Verbo.

[30849] Iª q. 58 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod matutina et vespertina cognitio ad diem pertinet, idest ad Angelos illuminatos, qui sunt distincti a tenebris, idest a malis Angelis. Angeli autem boni, cognoscentes creaturam, non in ea figuntur, quod esset tenebrescere et noctem fieri; sed hoc ipsum referunt ad laudem Dei, in quo sicut in principio omnia cognoscunt. Et ideo post vesperam non ponitur nox, sed mane, ita quod mane sit finis praecedentis diei et principium sequentis, inquantum Angeli cognitionem praecedentis operis ad laudem Dei referunt. Meridies autem sub nomine diei comprehenditur, quasi medium inter duo extrema. Vel potest meridies referri ad cognitionem ipsius Dei, qui non habet principium nec finem.

 

[30849] Iª q. 58 a. 6 ad 2
2. La cognizione mattutina e vespertina è propria del giorno, ossia degli angeli luminosi, i quali sono distinti dalle tenebre, cioè dagli angeli cattivi. Gli angeli buoni nel conoscere le creature non si attaccano ad esse, il che significherebbe oscurarsi e diventare notte; ma riferiscono anche questo alla gloria di Dio, nel quale conoscono tutte le cose come nel loro principio. Perciò dopo il vespro il testo non pone la notte, ma il mattino: di modo che il mattino è ad un tempo il termine del giorno precedente e l'inizio di quello seguente, perché gli angeli riferiscono la cognizione della precedente creazione alla gloria di Dio. - Il meriggio poi rimane incluso nel termine giorno, come punto di mezzo tra due estremi. Oppure il meriggio si può riferire alla cognizione stessa di Dio, il quale non ha principio né fine.

[30850] Iª q. 58 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod etiam ipsi Angeli creaturae sunt. Unde esse rerum in intelligentia angelica comprehenditur sub vespertina cognitione, sicut et esse rerum in propria natura.

 

[30850] Iª q. 58 a. 6 ad 3
3. Anche gli angeli sono creature. Perciò il modo di essere delle cose nella intelligenza angelica, come l'essere delle cose viste nella propria natura, sono oggetto della cognizione vespertina.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > Il loro modo di conoscere > Se la cognizione mattutina e quella vespertina siano una sola cognizione


Prima pars
Quaestio 58
Articulus 7

[30851] Iª q. 58 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod una sit cognitio vespertina et matutina. Dicitur enim Gen. I, factum est vespere et mane dies unus. Sed per diem intelligitur cognitio angelica, ut Augustinus dicit. Ergo una et eadem est cognitio in Angelis matutina et vespertina.

 
Prima parte
Questione 58
Articolo 7

[30851] Iª q. 58 a. 7 arg. 1
SEMBRA che la cognizione mattutina e quella vespertina siano una sola cognizione. Infatti:
1. Sta scritto nel Genesi: "E tra sera e mattina si compì un giorno". Ora, il termine giorno, come spiega S. Agostino, significa la cognizione angelica. Dunque la cognizione mattutina e quella vespertina sono una stessa e identica cognizione.

[30852] Iª q. 58 a. 7 arg. 2
Praeterea, impossibile est unam potentiam simul duas operationes habere. Sed Angeli semper sunt in actu cognitionis matutinae, quia semper vident Deum et res in Deo, secundum illud Matth. XVIII, Angeli eorum semper vident faciem patris mei et cetera. Ergo, si cognitio vespertina esset alia a matutina, nullo modo Angelus posset esse in actu cognitionis vespertinae.

 

[30852] Iª q. 58 a. 7 arg. 2
2. Una potenza non può avere simultaneamente due operazioni. Ma gli angeli hanno sempre l'atto della cognizione mattutina: poiché vedono sempre Dio e le cose che sono in Dio, come si legge nel
Vangelo: "I loro angeli vedono continuamente il volto del Padre mio". Se quindi la cognizione vespertina fosse distinta da quella mattutina, l'angelo in nessun modo potrebbe avere l'atto della cognizione vespertina.

[30853] Iª q. 58 a. 7 arg. 3
Praeterea, apostolus dicit, I Cor. XIII, cum venerit quod perfectum est, evacuabitur quod ex parte est. Sed si cognitio vespertina sit alia a matutina, comparatur ad ipsam sicut imperfectum ad perfectum. Ergo non poterit simul vespertina cognitio esse cum matutina.

 

[30853] Iª q. 58 a. 7 arg. 3
3. L'Apostolo afferma: "Quando sarà venuto ciò che è perfetto, finirà ciò che è parziale". Ora, se la cognizione vespertina è diversa da quella mattutina, la prima starà alla seconda come ciò che è imperfetto sta a quello che è perfetto. Dunque la cognizione vespertina non può sussistere con quella mattutina.

[30854] Iª q. 58 a. 7 s. c.
In contrarium est quod dicit Augustinus, IV super Gen. ad Litt., quod multum interest inter cognitionem rei cuiuscumque in verbo Dei, et cognitionem eius in natura eius, ut illud merito pertineat ad diem, hoc ad vesperam.

 

[30854] Iª q. 58 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino insegna: "C'è una grande differenza tra la cognizione di una cosa qualsiasi nel Verbo, e la cognizione di essa nella sua propria natura, cosicché ben a ragione la prima conoscenza si chiama giorno e la seconda vespro".

[30855] Iª q. 58 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, cognitio vespertina dicitur, qua Angeli cognoscunt res in propria natura. Quod non potest ita intelligi quasi ex propria rerum natura cognitionem accipiant, ut haec praepositio in indicet habitudinem principii, quia non accipiunt Angeli cognitionem a rebus, ut supra habitum est. Relinquitur igitur quod hoc quod dicitur in propria natura, accipiatur secundum rationem cogniti, secundum quod subest cognitioni; ut scilicet cognitio vespertina in Angelis dicatur secundum quod cognoscunt esse rerum quod habent res in propria natura. Quod quidem per duplex medium cognoscunt, scilicet per species innatas, et per rationes rerum in verbo existentes. Non enim, videndo verbum, cognoscunt solum illud esse rerum quod habent in verbo; sed illud esse quod habent in propria natura; sicut Deus per hoc quod videt se, cognoscit esse rerum quod habent in propria natura. Si ergo dicatur cognitio vespertina secundum quod cognoscunt esse rerum quod habent in propria natura, videndo verbum; sic una et eadem secundum essentiam est cognitio vespertina et matutina, differens solum secundum cognita. Si vero cognitio vespertina dicatur secundum quod Angeli cognoscunt esse rerum quod habent in propria natura, per formas innatas; sic alia est cognitio vespertina et matutina. Et ita videtur intelligere Augustinus, cum unam ponat imperfectam respectu alterius.

 

[30855] Iª q. 58 a. 7 co.
RISPONDO: La cognizione vespertina, come si è detto, è quella mediante la quale gli angeli conoscono le cose nella loro propria natura. Ma ciò non deve intendersi nel senso che gli angeli derivino la loro cognizione dalla natura propria delle cose, quasi che la preposizione [articolata] nella, stia a significare l'origine della cognizione; perché gli angeli, come si è visto digià, non derivano la loro cognizione dalle cose. L'espressione quindi, nella propria natura, deve riferirsi all'oggetto in quanto termine reale di conoscenza. In questo senso si dice vespertina quella cognizione, medianti: la quale gli angeli conoscono il modo di essere che le cose hanno nella propria natura.
Tale oggetto gli angeli possono coglierlo per due vie: per mezzo delle specie innate, e per mezzo delle idee delle cose che sono nel Verbo. Infatti nel contemplare il Verbo essi non conoscono soltanto il modo di essere che le cose hanno nel Verbo, bensì conoscono ancora quello che hanno nella propria natura; a quel modo che Dio conoscendo se stesso conosce pure l'essere che le cose hanno nella propria natura. Se dunque si vorrà chiamare vespertina la cognizione con la quale gli angeli, vedendo il Verbo, conoscono il modo di essere che le cose hanno nella propria natura, allora la cognizione mattutina e quella vespertina saranno essenzialmente la stessa cosa, e differiranno soltanto per gli oggetti sui quali termina la cognizione. - Se invece per cognizione vespertina si intende quella che permette agli angeli di conoscere il modo di essere che le cose hanno nella propria natura, servendosi delle specie innate, allora la cognizione vespertina è diversa da quella mattutina. In tal senso parla S. Agostino, quando dice che la prima è imperfetta rispetto alla seconda.

[30856] Iª q. 58 a. 7 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut numerus sex dierum, secundum intellectum Augustini, accipitur secundum sex genera rerum quae cognoscuntur ab Angelis; ita unitas diei accipitur secundum unitatem rei cognitae, quae tamen diversis cognitionibus cognosci potest.

 

[30856] Iª q. 58 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come il numero di sei giorni, secondo l’interpretazione di Agostino, si desume da sei generi di cose conosciute dagli angeli; così l'unità del giorno si desume dall'unicità della cosa [da essi] conosciuta, ma che tuttavia possono raggiungere servendosi di [due] diverse cognizioni.

[30857] Iª q. 58 a. 7 ad 2
Ad secundum dicendum quod duae operationes possunt simul esse unius potentiae, quarum una ad aliam refertur; ut patet cum voluntas simul vult et finem et ea quae sunt ad finem, et intellectus simul intelligit principia et conclusiones per principia, quando iam scientiam acquisivit. Cognitio autem vespertina in Angelis refertur ad matutinam, ut Augustinus dicit. Unde nihil prohibet utramque simul esse in Angelis.

 

[30857] Iª q. 58 a. 7 ad 2
2. Due operazioni possono trovarsi simultaneamente in una sola potenza quando l'una è ordinata all'altra; com'è evidente nell'atto in cui la volontà vuole insieme il fina e le cose ordinate al fine, e allorché 1'intelletto, avendo già acquistato la scienza, intende insieme e i principii, e le conclusioni per mezzo dei principii. Ora, negli angeli la conoscenza vespertina è ordinata a quella mattutina, come spiega S. Agostino. Dunque niente impedisce che negli angeli vi siano simultaneamente le due cognizioni.

[30858] Iª q. 58 a. 7 ad 3
Ad tertium dicendum quod, veniente perfecto, evacuatur imperfectum quod ei opponitur, sicut fides, quae est eorum quae non videntur, evacuatur visione veniente. Sed imperfectio vespertinae cognitionis non opponitur perfectioni matutinae. Quod enim cognoscatur aliquid in seipso, non est oppositum ei quod cognoscatur in sua causa. Nec iterum quod aliquid cognoscatur per duo media, quorum unum est perfectius et aliud imperfectius, aliquid repugnans habet, sicut ad eandem conclusionem habere possumus et medium demonstrativum et dialecticum. Et similiter eadem res potest sciri ab Angelo per verbum increatum, et per speciem innatam.

 

[30858] Iª q. 58 a. 7 ad 3
3. Al sopraggiungere di ciò che è perfetto, viene eliminato quanto di imperfetto ad esso si oppone: cosi la fede, che riguarda le cose che non si vedono, al sopraggiungere della visione finisce. Ma l'imperfezione della conoscenza vespertina non si oppone alla perfezione della conoscenza mattutina. Infatti la cognizione di una cosa in se stessa non è opposta alla cognizione della medesima nella sua causa. E neppure ripugna che una cosa sia conosciuta attraverso due mezzi conoscitivi, dei quali uno sia più perfetto dell'altro: così per provare una stessa conclusione possiamo addurre una prova apodittica e una prova "dialettica". Parimente un angelo può conoscere una stessa cosa per mezzo del Verbo increato, e per mezzo della specie innata.

Alla Questione precedente

 

Alla Questione successiva