Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Pluralità e diversità delle cose in particolare > Se il male sia una entità positiva
Prima pars
Quaestio 48
Articulus 1
[30463] Iª q. 48 a. 1 arg. 1 Ad primum sic proceditur. Videtur quod malum sit natura quaedam. Quia omne genus est natura quaedam. Sed malum est quoddam genus, dicitur enim in praedicamentis, quod bonum et malum non sunt in genere, sed sunt genera aliorum. Ergo malum est natura quaedam.
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Prima parte
Questione 48
Articolo 1
[30463] Iª q. 48 a. 1 arg. 1
SEMBRA che il male sia una entità positiva. Infatti:
1. Ogni genere costituisce una entità positiva. Ora, il male è un genere; infatti Aristotele dice che "il bene e il male non entrano in un genere, ma sono essi generi delle altre cose". Dunque il male è qualche cosa di positivo.
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[30464] Iª q. 48 a. 1 arg. 2 Praeterea, omnis differentia constitutiva alicuius speciei est natura quaedam. Malum autem est differentia constitutiva in moralibus, differt enim specie malus habitus a bono, ut liberalitas ab illiberalitate. Ergo malum significat naturam quandam.
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[30464] Iª q. 48 a. 1 arg. 2
2. Ogni differenza costitutiva di una specie è una certa entità positiva. E il male è una differenza costitutiva in morale: infatti una qualità cattiva differisce specificamente da una buona, come la liberalità dalla taccagneria. Quindi il male sta a significare una entità positiva.
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[30465] Iª q. 48 a. 1 arg. 3 Praeterea, utrumque contrariorum est natura quaedam. Sed malum et bonum non opponuntur ut privatio et habitus, sed ut contraria, ut probat philosophus, in praedicamentis, per hoc quod inter bonum et malum est aliquid medium, et a malo potest fieri reditus ad bonum. Ergo malum significat naturam quandam.
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[30465] Iª q. 48 a. 1 arg. 3
3. Se abbiamo due contrari, l'uno e l'altro sono delle entità positive. Ora, il male e il bene non si oppongono tra loro come la privazione e il possesso [di una cosa], ma come due contrari: e lo dimostra Aristotele dal fatto che fra il bene e il male esiste qualche cosa d'intermedio, e che dal male si può far ritorno al bene. Perciò il male sta a indicare una certa entità positiva.
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[30466] Iª q. 48 a. 1 arg. 4 Praeterea, quod non est, non agit. Sed malum agit, quia corrumpit bonum. Ergo malum est quoddam ens, et natura quaedam.
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[30466] Iª q. 48 a. 1 arg. 4
4. Ciò che non è, non opera. Il male invece opera: poiché corrompe il bene. Dunque il male è un ente, e qualcosa di positivo.
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[30467] Iª q. 48 a. 1 arg. 5 Praeterea, ad perfectionem universitatis rerum non pertinet nisi quod est ens et natura quaedam. Sed malum pertinet ad perfectionem universitatis rerum, dicit enim Augustinus, in Enchirid., quod ex omnibus consistit universitatis admirabilis pulchritudo; in qua etiam illud quod malum dicitur, bene ordinatum, et suo loco positum, eminentius commendat bona. Ergo malum est natura quaedam.
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[30467] Iª q. 48 a. 1 arg. 5
5. Alla perfezione dell'universo non concorre altro che quanto è ente e realtà positiva. Ora il male concorre alla perfezione dell'universo: infatti S. Agostino dice che "l'ammirabile bellezza dell'universo è costituita da tutte le cose, e in essa persino quello che viene chiamato male, se è ordinato e messo al suo posto, mette meglio in evidenza il bene". Dunque il male è una entità positiva.
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[30468] Iª q. 48 a. 1 s. c. Sed contra est quod Dionysius dicit, IV cap. de Div. Nom., malum non est existens neque bonum.
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[30468] Iª q. 48 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Dionigi afferma: "Il male non è una natura esistente e neppure è un bene".
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[30469] Iª q. 48 a. 1 co. Respondeo dicendum quod unum oppositorum cognoscitur per alterum, sicut per lucem tenebra. Unde et quid sit malum, oportet ex ratione boni accipere. Diximus autem supra quod bonum est omne id quod est appetibile, et sic, cum omnis natura appetat suum esse et suam perfectionem, necesse est dicere quod esse et perfectio cuiuscumque naturae rationem habeat bonitatis. Unde non potest esse quod malum significet quoddam esse, aut quandam formam seu naturam. Relinquitur ergo quod nomine mali significetur quaedam absentia boni. Et pro tanto dicitur quod malum neque est existens nec bonum, quia cum ens, inquantum huiusmodi, sit bonum, eadem est remotio utrorumque.
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[30469] Iª q. 48 a. 1 co.
RISPONDO: Se troviamo due cose opposte tra loro, l'una si conosce per mezzo dell'altra, p. es., le tenebre per mezzo della luce. Quindi bisogna capire che cosa sia il male dalla nozione del bene. Si disse sopra che il bene è tutto ciò che è appetibile: e quindi siccome ogni natura desidera il proprio essere e la propria perfezione, è necessario affermare che l'essere e la perfezione di tutte le creature si presentano come un bene. Perciò non è possibile che il male indichi un qualsiasi essere, oppure una realtà o forma positiva. Rimane dunque che col termine male si indica una carenza di bene. - Per questo si dice che "il male non è esistente, e neppure è un bene": perché siccome l'ente, in quanto tale, è bene, se eliminiamo l'una cosa eliminiamo anche l'altra.
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[30470] Iª q. 48 a. 1 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod Aristoteles ibi loquitur secundum opinionem Pythagoricorum, qui malum existimabant esse naturam quandam, et ideo ponebant bonum et malum genera. Consuevit enim Aristoteles, et praecipue in libris logicalibus, ponere exempla quae probabilia erant suo tempore, secundum opinionem aliquorum philosophorum. Vel dicendum, sicut dicit philosophus in X Metaphys., quod prima contrarietas est habitus et privatio, quia scilicet in omnibus contrariis salvatur, cum semper unum contrariorum sit imperfectum respectu alterius, ut nigrum respectu albi, et amarum respectu dulcis. Et pro tanto bonum et malum dicuntur genera, non simpliciter, sed contrariorum, quia sicut omnis forma habet rationem boni, ita omnis privatio, inquantum huiusmodi, habet rationem mali.
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[30470] Iª q. 48 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTA: 1. Aristotele in quel brano parla secondo l'opinione dei Pitagorici, i quali ritenevano che il male fosse una entità positiva; e per questo consideravano come generi il bene e il male. Difatti Aristotele usava, specialmente nei libri di logica, portare degli esempi, che erano materia di ipotesi [probabili] ai suoi tempi, secondo l'opinione di alcuni filosofi. - Oppure si può rispondere con lo stesso Aristotele, che "la prima delle contrarietà si ha tra possesso e privazione": per il fatto, diciamo, che [queste due cose] si riscontrano in tutti i contrari avendo uno dei due contrari una carenza di perfezione rispetto all'altro, come il nero rispetto al bianco, e l'amaro rispetto al dolce. E quindi il bene e il male si possono chiamare generi non in senso rigoroso, ma [soltanto] relativamente al contrari; poiché come ogni forma riveste la natura di bene, cosi ogni privazione, in quanto tale, riveste quella di male.
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[30471] Iª q. 48 a. 1 ad 2 Ad secundum dicendum quod bonum et malum non sunt differentiae constitutivae nisi in moralibus, quae recipiunt speciem ex fine, qui est obiectum voluntatis, a qua moralia dependent. Et quia bonum habet rationem finis, ideo bonum et malum sunt differentiae specificae in moralibus; bonum per se, sed malum inquantum est remotio debiti finis. Nec tamen remotio debiti finis constituit speciem in moralibus, nisi secundum quod adiungitur fini indebito, sicut neque in naturalibus invenitur privatio formae substantialis, nisi adiuncta alteri formae. Sic igitur malum quod est differentia constitutiva in moralibus, est quoddam bonum adiunctum privationi alterius boni, sicut finis intemperati est, non quidem carere bono rationis, sed delectabile sensus absque ordine rationis. Unde malum, inquantum malum, non est differentia constitutiva; sed ratione boni adiuncti.
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[30471] Iª q. 48 a. 1 ad 2
2. Bene e male non sono differenze costitutive altro che per le azioni morali che ricevono la loro specie dal fine, che è oggetto della volontà, da cui dipendono. E poiché il bene riveste l'aspetto di fine, bene e male sono differenze specifiche per le azioni o per le qualità morali; il bene in forza di se stesso, il male in quanto è allontanamento dal debito fine. Tuttavia l'allontanamento dal debito fine non costituisce una specie nell'ordine morale, se non perché vi si aggiunge un fine indebito: come anche nell'ordine fisico non troviamo, mai una privazione di forma sostanziale, die non sia accompagnata da una nuova forma. Allo stesso modo il male, che è differenza costitutiva nell'ordine morale, è un certo bene che accompagna la privazione di un bene d'altro genere; p. es., il fine dell'intemperante non è già il mancare del bene conforme alla ragione, ma il piacere del senso, mancante dell'ordine razionale. Perciò il male non costituisce una differenza in quanto male; ma in forza del bene cui è annesso.
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[30472] Iª q. 48 a. 1 ad 3 Et per hoc etiam patet responsio ad tertium. Nam ibi philosophus loquitur de bono et malo, secundum quod inveniuntur in moralibus. Sic enim inter bonum et malum invenitur medium, prout bonum dicitur quod est ordinatum; malum autem, quod non solum est deordinatum, sed etiam nocivum alteri. Unde dicit philosophus in IV Ethic., quod prodigus vanus quidem est, sed non malus. Ab hoc etiam malo quod est secundum morem, contingit fieri reditum ad bonum; non autem ex quocumque malo. Non enim ex caecitate fit reditus ad visionem, cum tamen caecitas sit malum quoddam.
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[30472] Iª q. 48 a. 1 ad 3
3. Così è evidente anche la risposta [da darsi] alla terza difficoltà. Difatti in quel passo Aristotele parla del bene e del male nell'ordine morale. E in quest'ordine tra il bene e il male possiamo trovare qualche cosa di mezzo: poiché talora chiamiamo bene quello che è bene ordinato, e male non soltanto quello che è disordinato, ma che è anche nocivo ad altri. Per questo il nostro Filosofo potrà affermare che "il prodigo è bensì vano, ma non cattivo". - Così pure da questo male di ordine morale si può ritornare al bene, non già da qualsiasi male. Difatti dalla cecità non si può tornare ad aver la vista, eppure la cecità non è che un male.
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[30473] Iª q. 48 a. 1 ad 4 Ad quartum dicendum quod aliquid agere dicitur tripliciter. Uno modo, formaliter, eo modo loquendi quo dicitur albedo facere album. Et sic malum, etiam ratione ipsius privationis, dicitur corrumpere bonum, quia est ipsa corruptio vel privatio boni. Alio modo dicitur aliquid agere effective, sicut pictor dicitur facere album parietem. Tertio modo, per modum causae finalis, sicut finis dicitur efficere, movendo efficientem. His autem duobus modis malum non agit aliquid per se, idest secundum quod est privatio quaedam, sed secundum quod ei bonum adiungitur, nam omnis actio est ab aliqua forma, et omne quod desideratur ut finis, est perfectio aliqua. Et ideo, ut Dionysius dicit, IV cap. de Div. Nom., malum non agit neque desideratur nisi virtute boni adiuncti; per se autem est infinitum, et praeter voluntatem et intentionem.
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[30473] Iª q. 48 a. 1 ad 4
4. In tre modi si dice che una cosa può causare. Primo modo: come forma, e si dice allora che la bianchezza fa bianchi. In tal senso il male, anche in forza della privazione stessa, si dice che corrompe il bene: perché è la stessa corruzione o privazione del bene. Secondo modo: si dice che [il male] agisce come causa efficiente: diciamo, p. es., che l'imbianchino fa bianca una parete.
Terzo modo: come causa finale: in tal caso si dice che il fine opera, determinando la causa efficiente. Ora il male non agisce, in queste due ultime maniere, in forza di se stesso, cioè in quanto è una privazione, ma perché è connesso a un bene: infatti ogni azione deriva da una forma; e tutto ciò che viene desiderato come fine è una qualche perfezione. Per questo, come dice Dionigi, il male non agisce e non è desiderato se non in forza del bene che l'accompagna; ma di suo è "senza un fine", ed "estraneo alla volontà e all'intenzione".
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[30474] Iª q. 48 a. 1 ad 5 Ad quintum dicendum quod, sicut supra dictum est, partes universi habent ordinem ad invicem, secundum quod una agit in alteram, et est finis alterius et exemplar. Haec autem, ut dictum est, non possunt convenire malo, nisi ratione boni adiuncti. Unde malum neque ad perfectionem universi pertinet, neque sub ordine universi concluditur, nisi per accidens, idest ratione boni adiuncti.
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[30474] Iª q. 48 a. 1 ad 5
5. Come si è spiegato sopra, le parti dell'universo hanno un ordine reciproco, in quanto l'una agisce sull'altra ed è fine ed esemplare dell'altra. Ora queste cose, come si è detto, non possono convenire al male, se non in forza del bene connesso. Perciò il male non concorre alla perfezione del mondo, e non è incluso nell'ordine dell'universo, altro che indirettamente, cioè in ragione del bene che lo accompagna.
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