Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Pluralità e diversità delle cose in generale > Se la molteplicità e la distinzione delle cose derivino da Dio
Prima pars
Quaestio 47
Articulus 1
[30438] Iª q. 47 a. 1 arg. 1 Ad primum sic proceditur. Videtur quod rerum multitudo et distinctio non sit a Deo. Unum enim semper natum est unum facere. Sed Deus est maxime unus, ut ex praemissis patet. Ergo non producit nisi unum effectum.
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Prima parte
Questione 47
Articolo 1
[30438] Iª q. 47 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la molteplicità e la distinzione delle cose non derivino da Dio. Infatti:
1. L'essere uno è fatto per produrre una cosa unica. Ora Dio è massimamente uno, come si è dimostrato di già. Quindi egli non ha prodotto che un unico effetto.
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[30439] Iª q. 47 a. 1 arg. 2 Praeterea, exemplatum assimilatur suo exemplari. Sed Deus est causa exemplaris sui effectus, ut supra dictum est. Ergo, cum Deus sit unus, effectus eius est unus tantum, et non distinctus.
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[30439] Iª q. 47 a. 1 arg. 2
2. Ciò che è stato modellato somiglia al modello. Ora Dio è causa esemplare [cioè modello") dei suoi effetti, come sopra abbiamo spiegato. Perciò, siccome Dio è uno, anche il suo effetto non sarà che unico, non già molteplice ed eterogeneo.
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[30440] Iª q. 47 a. 1 arg. 3 Praeterea, ea quae sunt ad finem, proportionantur fini. Sed finis creaturae est unus, scilicet divina bonitas, ut supra ostensum est. Ergo effectus Dei non est nisi unus.
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[30440] Iª q. 47 a. 1 arg. 3
3. Le cose che tendono a raggiungere un fine sono proporzionate ad esso. Ora il fine del creato è uno solo, cioè la bontà divina, come abbiamo già dimostrato. Dunque di Dio non avremo che un solo effetto.
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[30441] Iª q. 47 a. 1 s. c. Sed contra est quod dicitur Gen. I, quod Deus distinxit lucem a tenebris, et divisit aquas ab aquis. Ergo distinctio et multitudo rerum est a Deo.
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[30441] Iª q. 47 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Nel libro della Genesi è detto che Dio"distinse la luce dalle tenebre", e"divise le acque dalle acque". Perciò la distinzione e la molteplicità delle cose vengono da Dio.
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[30442] Iª q. 47 a. 1 co. Respondeo dicendum quod causam distinctionis rerum multipliciter aliqui assignaverunt. Quidam enim attribuerunt eam materiae, vel soli, vel simul cum agente. Soli quidem materiae, sicut Democritus, et omnes antiqui naturales, ponentes solam causam materialem, secundum quos distinctio rerum provenit a casu, secundum motum materiae. Materiae vero et agenti simul distinctionem et multitudinem rerum attribuit Anaxagoras, qui posuit intellectum distinguentem res, extrahendo quod erat permixtum in materia. Sed hoc non potest stare propter duo. Primo quidem, quia supra ostensum est quod etiam ipsa materia a Deo creata est. Unde oportet et distinctionem, si qua est ex parte materiae, in altiorem causam reducere. Secundo, quia materia est propter formam, et non e converso. Distinctio autem rerum est per formas proprias. Non ergo distinctio est in rebus propter materiam, sed potius e converso in materia creata est difformitas, ut esset diversis formis accommodata. Quidam vero attribuerunt distinctionem rerum secundis agentibus. Sicut Avicenna, qui dixit quod Deus, intelligendo se, produxit intelligentiam primam, in qua, quia non est suum esse, ex necessitate incidit compositio potentiae et actus, ut infra patebit. Sic igitur prima intelligentia, inquantum intelligit causam primam, produxit secundam intelligentiam; inquantum autem intelligit se secundum quod est in potentia, produxit corpus caeli, quod movet; inquantum vero intelligit se secundum illud quod habet de actu, produxit animam caeli. Sed hoc non potest stare propter duo. Primo quidem, quia supra ostensum est quod creare solius Dei est. Unde ea quae non possunt causari nisi per creationem, a solo Deo producuntur, et haec sunt omnia quae non subiacent generationi et corruptioni. Secundo, quia secundum hanc positionem, non proveniret ex intentione primi agentis universitas rerum, sed ex concursu multarum causarum agentium. Tale autem dicimus provenire a casu. Sic igitur complementum universi, quod in diversitate rerum consistit, esset a casu, quod est impossibile. Unde dicendum est quod distinctio rerum et multitudo est ex intentione primi agentis, quod est Deus. Produxit enim res in esse propter suam bonitatem communicandam creaturis, et per eas repraesentandam. Et quia per unam creaturam sufficienter repraesentari non potest, produxit multas creaturas et diversas, ut quod deest uni ad repraesentandam divinam bonitatem, suppleatur ex alia, nam bonitas quae in Deo est simpliciter et uniformiter, in creaturis est multipliciter et divisim. Unde perfectius participat divinam bonitatem, et repraesentat eam, totum universum, quam alia quaecumque creatura. Et quia ex divina sapientia est causa distinctionis rerum, ideo Moyses dicit res esse distinctas verbo Dei, quod est conceptio sapientiae. Et hoc est quod dicitur Gen. I, dixit Deus, fiat lux. Et divisit lucem a tenebris.
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[30442] Iª q. 47 a. 1 co.
RISPONDO: Nell'assegnare la causa della distinzione delle cose troviamo una molteplicità di opinioni. Alcuni infatti l'attribuirono alla materia soltanto, oppure ad essa in cooperazione con una causa agente. Alla sola materia l'attribuirono Democrito e tutti gli antichi naturalisti, i quali riconoscevano la sola causa materiale: e secondo loro la distinzione delle cose proviene dal caso, in base al movimento della materia. Anassagora
invece attribuì la distinzione e la molteplicità delle cose alla materia e insieme alla causa efficiente, perché egli ammise un'intelligenza che ha la funzione di distinguere tra loro le cose, traendo dalla materia quanto vi si trova in confuso.
Ma tale opinione non può reggere per due motivi. Primo, perché già sopra abbiamo dimostrato che la stessa materia è stata creata da Dio. Perciò, anche se esistesse una distinzione dovuta alla materia, bisognerebbe riportarla a una causa superiore. - Secondo, perché la materia è per la forma e non viceversa. Quindi la distinzione delle cose avviene per mezzo di torme differenziali. Perciò non si ha la distinzione delle cose in forza della, materia: ma viceversa esiste difformità nella materia creata porcile destinata a forme diverse.
Altri poi attribuirono la pluralità delle cose alle cause seconde. Per es. Avicenna, il quale affermò che Dio nell'intendere se stesso produsse la prima intelligenza: e in questa, per il fatto che non è la sua stessa esistenza, necessariamente si ha la composizione di potenza e di atto, come chiariremo in seguito. Allora, la prima intelligenza nell'intendere la causa prima produsse la seconda intelligenza; e nell'intendere se stessa come potenziale produsse il corpo del cielo che essa muove; invece nell'intendere se stessa per quello che ha di attuale, produsse l'anima del cielo.
Ma tutto questo non può reggere per due motivi. Primo, perché, come già abbiamo dimostrato, creare appartiene soltanto a Dio. Perciò quanto viene causato solo per creazione viene prodotto esclusivamente da Dio: e tali sono quegli esseri che non sono soggetti al processo di generazione e corruzione. - Secondo, perché stando a questa opinione la molteplicità delle cose non dipenderebbe da un primo agente, ma solo dalla combinazione di molte cause efficienti. Ora noi diciamo che una cosa di questo genere deriva dal caso. E in tal modo l'ultima perfezione dell'universo, che consiste nella varietà delle cose, verrebbe dal caso: il che è assurdo.
Perciò dobbiamo affermare che la distinzione e la moltiplicità delle cose proviene dal primo agente, che è Dio. Infatti egli ha prodotto le cose nell'essere per comunicare la sua bontà alle creature, e per rappresentarla per mezzo di esse. E poiché questa non può essere sufficientemente rappresentata da una sola creatura, produsse molte e varie creature, perché quello che manca a una per ben rappresentare la divina bontà sia supplito dall'altra; la bontà infatti, che in Dio è allo stato di semplicità e di unità, si trova nelle creature in modo complesso e frammentario. Perciò più perfettamente partecipa e rappresenta la divina bontà tutto l'universo, che qualsiasi particolare creatura. E siccome la causa della distinzione delle cose proviene dalla divina sapienza, perciò Mosè dice che le cose furono tra loro distinte dal Verbo [Parola] di Dio, che è concezione della sapienza. E questo è quanto si dice nella Genesi:" Disse Dio: "Si faccia la luce". E divise la luce dalle tenebre".
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[30443] Iª q. 47 a. 1 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod agens per naturam agit per formam per quam est, quae unius tantum est una, et ideo non agit nisi unum. Agens autem voluntarium, quale est Deus, ut supra ostensum est, agit per formam intellectam. Cum igitur Deum multa intelligere non repugnet unitati et simplicitati ipsius, ut supra ostensum est, relinquitur quod, licet sit unus, possit multa facere.
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[30443] Iª q. 47 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Una causa naturale agisce in forza della forma che la costituisce, e che per ciascun essere è unica: perciò essa non produce che un solo effetto. Ma un agente dotato di volontà quale è Dio, agisce, come abbiamo già spiegato, in forza di una forma concepita intellettualmente. Siccome dunque, che Dio possa intendere più cose non ripugna alla sua unità e semplicità, e lo abbiamo già dimostrato, rimane che egli, sebbene sia uno, può fare molte cose.
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[30444] Iª q. 47 a. 1 ad 2 Ad secundum dicendum quod ratio illa teneret de exemplato quod perfecte repraesentat exemplar, quod non multiplicatur nisi materialiter. Unde imago increata, quae est perfecta, est una tantum. Sed nulla creatura repraesentat perfecte exemplar primum, quod est divina essentia. Et ideo potest per multa repraesentari. Et tamen secundum quod ideae dicuntur exemplaria, pluralitati rerum correspondet in mente divina pluralitas idearum.
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[30444] Iª q. 47 a. 1 ad 2
2. Quell'argomento varrebbe se si trattasse di un esemplare il quale perfettamente rappresentasse il modello: allora l'esemplare non potrebbe essere moltiplicato altro che materialmente. Perciò l'immagine increata, che è perfetta, è una soltanto. Ma nessuna creatura rappresenta perfettamente il divino esemplare, che è l'essenza divina. Perciò questa può essere rappresentata da molte cose. - D'altra parte se si considerano le idee stesse come esemplari, troveremo corrispondere alla pluralità delle cose una pluralità di idee nella mente divina.
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[30445] Iª q. 47 a. 1 ad 3 Ad tertium dicendum quod in speculativis medium demonstrationis, quod perfecte demonstrat conclusionem, est unum tantum, sed media probabilia sunt multa. Et similiter in operativis, quando id quod est ad finem adaequat, ut ita dixerim, finem, non requiritur quod sit nisi unum tantum. Sed creatura non sic se habet ad finem qui est Deus. Unde oportuit creaturas multiplicari.
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[30445] Iª q. 47 a. 1 ad 3
3. Nelle scienze speculative il termine medio della dimostrazione, che perfettamente dimostra la conclusione, è uno soltanto: ma i termini medi solo probabili sono molti. Così sul terreno pratico: quando il mezzo per raggiungere il fine, esaurisce, per così dire, il fine stesso, non se ne richiede che uno solo. Ma la creatura non è in questi rapporti con quel fine che è Dio. Perciò era necessario che le creature fossero molteplici.
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