Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Modo di derivare delle cose dal primo principio > Se creare appartenga esclusivamente a Dio
Prima pars
Quaestio 45
Articulus 5
[30354] Iª q. 45 a. 5 arg. 1 Ad quintum sic proceditur. Videtur quod non solius Dei sit creare. Quia secundum philosophum, perfectum est quod potest sibi simile facere. Sed creaturae immateriales sunt perfectiores creaturis materialibus, quae faciunt sibi simile, ignis enim generat ignem, et homo generat hominem. Ergo substantia immaterialis potest facere substantiam sibi similem. Sed substantia immaterialis non potest fieri nisi per creationem, cum non habeat materiam ex qua fiat. Ergo aliqua creatura potest creare.
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Prima parte
Questione 45
Articolo 5
[30354] Iª q. 45 a. 5 arg. 1
SEMBRA che non appartenga esclusivamente a Dio creare. Infatti:
1. Secondo Aristotele, è perfetto ciò che può fare qualche cosa di somigliante a se stesso. Ora, le creature immateriali sono più perfette delle creature corporee, le quali possono generare cose a se stesse somiglianti: infatti il fuoco genera il fuoco, e l'uomo genera un altro uomo. Quindi una sostanza immateriale [un angelo] può produrre un'altra sostanza immateriale che le somigli. Ma una sostanza immateriale non può essere prodotta che per creazione; poiché manca in essa la materia dalla quale possa essere prodotta. Dunque qualche creatura può creare.
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[30355] Iª q. 45 a. 5 arg. 2 Praeterea, quanto maior est resistentia ex parte facti, tanto maior virtus requiritur in faciente. Sed plus resistit contrarium quam nihil. Ergo maioris virtutis est aliquid facere ex contrario, quod tamen creatura facit; quam aliquid facere ex nihilo. Multo magis igitur creatura hoc facere potest.
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[30355] Iª q. 45 a. 5 arg. 2
2. Quanto maggiore è la resistenza da parte di ciò che viene prodotto, tanto maggiore potenza si richiede in chi opera. Ora, oppone certo maggiore resistenza il contrario che il niente. Perciò è opera di maggior potenza fare qualche cosa da un contrario, cosa che tuttavia le creature fanno, che produrre qualche cosa dal nulla. Con più ragione dunque le creature potranno far questo.
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[30356] Iª q. 45 a. 5 arg. 3 Praeterea, virtus facientis consideratur secundum mensuram eius quod fit. Sed ens creatum est finitum, ut supra probatum est, cum de Dei infinitate ageretur. Ergo ad producendum per creationem aliquid creatum, non requiritur nisi virtus finita. Sed habere virtutem finitam non est contra rationem creaturae. Ergo non est impossibile creaturam creare.
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[30356] Iª q. 45 a. 5 arg. 3
3. La potenza di chi opera si misura dalla cosa prodotta. Ora, l'essere creato è cosa finita, come si è dimostrato trattando della infinità di Dio. Dunque per produrre mediante la creazione una cosa creata non si richiede che una potenza finita. Ma avere una potenza finita non è incompatibile con il concetto di creatura. Perciò non è impossibile che una creatura crei.
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[30357] Iª q. 45 a. 5 s. c. Sed contra est quod Augustinus dicit, in III de Trin., quod neque boni neque mali Angeli possunt esse creatores alicuius rei. Multo minus igitur aliae creaturae.
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[30357] Iª q. 45 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino dice che né gli angeli buoni né quelli cattivi possono essere creatori di qualche cosa. Molto meno quindi le altre creature.
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[30358] Iª q. 45 a. 5 co. Respondeo dicendum quod satis apparet in primo aspectu, secundum praemissa, quod creare non potest esse propria actio nisi solius Dei. Oportet enim universaliores effectus in universaliores et priores causas reducere. Inter omnes autem effectus, universalissimum est ipsum esse. Unde oportet quod sit proprius effectus primae et universalissimae causae, quae est Deus. Unde etiam dicitur libro de causis, quod neque intelligentia vel anima nobilis dat esse, nisi inquantum operatur operatione divina. Producere autem esse absolute, non inquantum est hoc vel tale, pertinet ad rationem creationis. Unde manifestum est quod creatio est propria actio ipsius Dei. Contingit autem quod aliquid participet actionem propriam alicuius alterius, non virtute propria, sed instrumentaliter, inquantum agit in virtute alterius; sicut aer per virtutem ignis habet calefacere et ignire. Et secundum hoc, aliqui opinati sunt quod, licet creatio sit propria actio universalis causae, tamen aliqua inferiorum causarum inquantum agit in virtute primae causae, potest creare. Et sic posuit Avicenna quod prima substantia separata, creata a Deo, creat aliam post se, et substantiam orbis, et animam eius; et quod substantia orbis creat materiam inferiorum corporum. Et secundum hunc etiam modum Magister dicit, in V dist. IV Sent., quod Deus potest creaturae communicare potentiam creandi, ut creet per ministerium, non propria auctoritate. Sed hoc esse non potest. Quia causa secunda instrumentalis non participat actionem causae superioris, nisi inquantum per aliquid sibi proprium dispositive operatur ad effectum principalis agentis. Si igitur nihil ibi ageret secundum illud quod est sibi proprium, frustra adhiberetur ad agendum, nec oporteret esse determinata instrumenta determinatarum actionum. Sic enim videmus quod securis, scindendo lignum, quod habet ex proprietate suae formae, producit scamni formam, quae est effectus proprius principalis agentis. Illud autem quod est proprius effectus Dei creantis, est illud quod praesupponitur omnibus aliis, scilicet esse absolute. Unde non potest aliquid operari dispositive et instrumentaliter ad hunc effectum, cum creatio non sit ex aliquo praesupposito, quod possit disponi per actionem instrumentalis agentis. Sic igitur impossibile est quod alicui creaturae conveniat creare, neque virtute propria, neque instrumentaliter sive per ministerium. Et hoc praecipue inconveniens est dici de aliquo corpore, quod creet, cum nullum corpus agat nisi tangendo vel movendo; et sic requirit in sua actione aliquid praeexistens, quod possit tangi et moveri; quod est contra rationem creationis.
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[30358] Iª q. 45 a. 5 co.
RISPONDO: Stando a quello che si è detto, è abbastanza evidente a prima vista che l'atto creativo è azione propria soltanto di Dio. In realtà è necessario riferire gli effetti più universali alle cause più universali e primigenie. Ma tra tutti gli effetti il più universale è lo stesso essere. Quindi bisogna che questo sia effetto esclusivo della prima e universalissima causa, che è Dio. E nel libro De Causis si legge, che l'intelligenza, o "anima superiore", non da l'essere, se non in quanto opera in forza di una mozione divina. Ora nel concetto di creazione rientra la produzione dell'essere stesso e non delle sole sue determinazioni specifiche o numeriche. Quindi è chiaro che la creazione è operazione propria di Dio.
Ora può succedere che a un essere venga concesso di compiere l'operazione che è propria di un altro, non per virtù propria, ma come strumento, agendo in virtù di quell'altro; come l'aria che in virtù del fuoco ottiene la facoltà di riscaldare e di infocare. Per questo motivo alcuni han pensato che, sebbene la creazione sia operazione propria della causa universale, tuttavia una causa subordinata, agendo in forza della causa prima, possa creare. Così Avicenna affermò che la prima sostanza separata, creata [immediatamente] da Dio, ne crea una seconda a sé inferiore, nonché la sostanza della sfera celeste e l'anima di questa; a sua volta la sostanza della sfera celeste crea la materia dei corpi inferiori. Allo stesso modo anche il Maestro [delle Sentenze] dice che Dio può comunicare alla sua creatura la potenza creatrice, in modo che essa possa creare in sott'ordine, non in forza della propria capacità.
Ma la cosa non è ammissibile. Perché la causa seconda strumentale non prende parte all'azione della causa superiore, se non in quanto coopera, mediante una sua peculiarità, a disporre un soggetto all'azione dell'agente principale. Ma se non causasse nulla di ciò che forma la sua peculiarità, il suo impiego nell'azione sarebbe inutile e non ci sarebbe affatto bisogno di determinati strumenti per determinate funzioni. Vediamo invece che la scure (figliando il legno, funzione che le deriva dalla sua forma caratteristica, coopera a produrre la figura della seggiola, che è effetto proprio dell'agente principale [cioè dell'artigiano]. Ora l'essere che è l'effetto proprio di Dio nel creare, è il presupposto di ogni altra cosa. Perciò non si può far niente in qualità di disposizione o di strumento per ottenere questo effetto, non dipendendo la creazione da un prerequisito qualsiasi, il quale possa ricevere da una causa strumentale la disposizione a quell'atto. - Quindi non è possibile che una creatura abbia facoltà di creare, ne per virtù propria, ne come strumento, né per delegazione.
Ed è specialmente fuor di tono affermare che un corpo possa. creare: perché nessun corpo agisce senza un contatto o un moto; quindi per agire richiede qualche cosa di preesistente, atto ad essere toccato e mosso; ciò che è incompatibile con l'idea di creazione.
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[30359] Iª q. 45 a. 5 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod aliquod perfectum participans aliquam naturam, facit sibi simile, non quidem producendo absolute illam naturam, sed applicando eam ad aliquid. Non enim hic homo potest esse causa naturae humanae absolute, quia sic esset causa sui ipsius, sed est causa quod natura humana sit in hoc homine generato. Et sic praesupponit in sua actione determinatam materiam per quam est hic homo. Sed sicut hic homo participat humanam naturam, ita quodcumque ens creatum participat, ut ita dixerim, naturam essendi, quia solus Deus est suum esse, ut supra dictum est. Nullum igitur ens creatum potest producere aliquod ens absolute, nisi inquantum esse causat in hoc, et sic oportet quod praeintelligatur id per quod aliquid est hoc, actioni qua facit sibi simile. In substantia autem immateriali non potest praeintelligi aliquid per quod sit haec, quia est haec per suam formam, per quam habet esse, cum sint formae subsistentes. Igitur substantia immaterialis non potest producere aliam substantiam immaterialem sibi similem, quantum ad esse eius; sed quantum ad perfectionem aliquam superadditam; sicut si dicamus quod superior Angelus illuminat inferiorem, ut Dionysius dicit. Secundum quem modum etiam in caelestibus est paternitas, ut ex verbis apostoli patet, Ephes. III, ex quo omnis paternitas in caelo et in terra nominatur. Et ex hoc etiam evidenter apparet quod nullum ens creatum potest causare aliquid, nisi praesupposito aliquo. Quod repugnat rationi creationis.
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[30359] Iª q. 45 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Un essere perfetto, il quale abbia ricevuto una data natura, produce qualche cosa di simile a sé, non già producendo quella natura in modo assoluto, ma imprimendola in qualche soggetto. Quest'uomo infatti, non può esser causa della natura umana presa in senso assoluto, perché in tal modo verrebbe ad esser causa di se stesso: ma è causa che la natura umana sia in quest'altro uomo generato. E in tal modo nel suo agire presuppone una determinata materia, dalla quale quest'altro uomo deriva. Ma come l'uomo singolo riceve la natura umana, così qualsiasi ente creato riceve, per cosi dire, la natura dell'essere: perché Dio soltanto è il suo proprio essere, come sopra fu detto. Quindi nessun ente creato può produrre un altro ente come tale, ma soltanto può causare l'essere in un dato soggetto: perciò si deve presupporre all'operazione, con la quale una creatura produce qualche cosa di somigliante a sé, una qualche entità che fa di una cosa questo dato soggetto. Ora, in una sostanza immateriale non si può presupporre qualche cosa che la costituisce questa qui: perché essa è numericamente determinata in forza della sua forma, dalla quale riceve l'essere, trattandosi di forma sussistente. Perciò una sostanza immateriale non può produrre un'altra sostanza immateriale a sé somigliante per il suo essere [sostanziale]; ma può produrne una che le somigli soltanto rispetto a delle perfezioni complementari; come quando affermiamo con Dionigi, che un angelo superiore illumina quello inferiore. In questo modo vi è una paternità anche tra gli esseri celesti, come risulta dalle parole dell'Apostolo: "Dal quale [da Dio Padre] ogni paternità e nei cieli e sulla terra prende nome". Anche da ciò risulta evidente che nessun essere creato può causare senza presupposti. Cosa questa incompatibile con il concetto di creazione.
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[30360] Iª q. 45 a. 5 ad 2 Ad secundum dicendum quod ex contrario fit aliquid per accidens, ut dicitur in I Physic., per se autem fit aliquid ex subiecto, quod est in potentia. Contrarium igitur resistit agenti, inquantum impedit potentiam ab actu in quem intendit reducere agens, sicut ignis intendit reducere materiam aquae in actum sibi similem, sed impeditur per formam et dispositiones contrarias, quibus quasi ligatur potentia ne reducatur in actum. Et quanto magis fuerit potentia ligata, tanto requiritur maior virtus in agente ad reducendam materiam in actum. Unde multo maior potentia requiritur in agente, si nulla potentia praeexistat. Sic ergo patet quod multo maioris virtutis est facere aliquid ex nihilo, quam ex contrario.
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[30360] Iª q. 45 a. 5 ad 2
2. Che una cosa derivi dal suo contrario può succedere in maniera accidentale, come dice Aristotele: ma di suo viene ricavata da un soggetto che è in potenza. Il contrario quindi resiste all'agente, in quanto trattiene la potenzialità da quell'atto, al quale l'agente tende di portarla: così il fuoco tende a portare la materia dell'acqua a un atto che ad esso somiglia; ma trova ostacolo nella forma e nelle disposizioni contrarie, dalle quali la potenza viene come legata perché non sia portata all'atto. E quanto maggiormente la potenza è legata, tanto maggior forza si richiede nell'agente per ridurre in atto la materia. Cosicché maggior potenza si richiede nell'agente, se non preesiste nessuna potenzialità. Allora è chiaro che è opera di maggior potenza produrre qualche cosa dal nulla, che da una entità contraria.
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[30361] Iª q. 45 a. 5 ad 3 Ad tertium dicendum quod virtus facientis non solum consideratur ex substantia facti, sed etiam ex modo faciendi, maior enim calor non solum magis, sed etiam citius calefacit. Quamvis igitur creare aliquem effectum finitum non demonstret potentiam infinitam, tamen creare ipsum ex nihilo demonstrat potentiam infinitam. Quod ex praedictis patet. Si enim tanto maior virtus requiritur in agente, quanto potentia est magis remota ab actu, oportet quod virtus agentis ex nulla praesupposita potentia, quale agens est creans, sit infinita, quia nulla proportio est nullius potentiae ad aliquam potentiam, quam praesupponit virtus agentis naturalis, sicut et non entis ad ens. Et quia nulla creatura habet simpliciter potentiam infinitam, sicut neque esse infinitum, ut supra probatum est, relinquitur quod nulla creatura possit creare.
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[30361] Iª q. 45 a. 5 ad 3
3. La potenza di chi opera non va misurata soltanto dalla natura del prodotto, ma anche dal modo di produrre: infatti un calore più intenso non solo riscalda di più, ma riscalda anche più celermente. Quindi sebbene creare un effetto finito non manifesti una potenza infinita, tuttavia lo stesso creare dal nulla manifesta un'infinita potenza. Cosa questa già dimostrata sopra. Se infatti si richiede nell'agente tanta maggiore efficacia, quanto la potenza è più lontana dall'atto, bisogna che l'efficacia di chi produce senza presupporre alcuna potenza, quale è l'agente che crea, sia infinita: poiché non esiste confronto tra l'assenza di ogni potenzialità e una qualche potenza, che l'efficacia di un agente naturale presuppone sempre; come [non può esserci confronto.] tra il non ente e l'ente. E siccome nessuna creatura ha una potenza o un essere davvero infinito, come si è provato in antecedenza, rimane stabilito che nessuna creatura può creare.
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