I, 45

Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Modo di derivare delle cose dal primo principio


Prima pars
Quaestio 45
Prooemium

[30319] Iª q. 45 pr.
Deinde quaeritur de modo emanationis rerum a primo principio, qui dicitur creatio. De qua quaeruntur octo.
Primo, quid sit creatio.
Secundo, utrum Deus possit aliquid creare.
Tertio, utrum creatio sit aliquod ens in rerum natura.
Quarto, cui competit creari.
Quinto, utrum solius Dei sit creare.
Sexto, utrum commune sit toti Trinitati, aut proprium alicuius personae.
Septimo, utrum vestigium aliquod Trinitatis sit in rebus creatis.
Octavo, utrum opus creationis admisceatur in operibus naturae et voluntatis.

 
Prima parte
Questione 45
Proemio

[30319] Iª q. 45 pr.
Eccoci a trattare del modo con cui le cose derivano dalla prima causa, vale a dire della creazione.
In proposito poniamo otto quesiti:

1. Che cosa sia la creazione;
2. Se Dio possa creare;
3. Se la creazione sia un'entità reale;
4. Quali cose possano esser create;
5. Se creare appartenga solo a Dio;
6. Se sia opera di tutta la Trinità, ovvero appartenga esclusivamente a una sola Persona;
7. Se nelle cose create vi sia un vestigio della Trinità;
8. Se nelle opere dipendenti dalla natura e dalla volontà si celi un atto creativo.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Modo di derivare delle cose dal primo principio > Se creare sia produrre dal nulla


Prima pars
Quaestio 45
Articulus 1

[30320] Iª q. 45 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod creare non sit ex nihilo aliquid facere. Dicit enim Augustinus, contra adversarium legis et prophetarum, facere est quod omnino non erat, creare vero est ex eo quod iam erat educendo aliquid constituere.

 
Prima parte
Questione 45
Articolo 1

[30320] Iª q. 45 a. 1 arg. 1
SEMBRA che creare non sia produrre dal nulla. Infatti:
1. Insegna S. Agostino: "Fare si dice a proposito di ciò che assolutamente non esisteva, creare invece è costituire una cosa traendola da ciò che già esisteva".

[30321] Iª q. 45 a. 1 arg. 2
Praeterea, nobilitas actionis et motus ex terminis consideratur. Nobilior igitur est actio quae ex bono in bonum est, et ex ente in ens, quam quae est ex nihilo in aliquid. Sed creatio videtur esse nobilissima actio, et prima inter omnes actiones. Ergo non est ex nihilo in aliquid, sed magis ex ente in ens.

 

[30321] Iª q. 45 a. 1 arg. 2
2. La nobiltà di un'azione o di un moto si misura dai termini dei medesimi. Ora l'azione che va dal bene al bene, e da un ente a un altro ente è più nobile di quella che dal nulla porta a qualche cosa. D'altra parte la creazione si presenta come l'azione più alta e fondamentale di tutte le operazioni [transitive]. Perciò non può consistere [nel passaggio] dal niente a qualche cosa, ma piuttosto da un essere a un altro essere.

[30322] Iª q. 45 a. 1 arg. 3
Praeterea, haec praepositio ex importat habitudinem alicuius causae, et maxime materialis; sicut cum dicimus quod statua fit ex aere. Sed nihil non potest esse materia entis, nec aliquo modo causa eius. Ergo creare non est ex nihilo aliquid facere.

 

[30322] Iª q. 45 a. 1 arg. 3
3. La preposizione ex [di o da] indica rapporto di causa, e precisamente di causa materiale; come quando diciamo che una statua è fatta ex aere [di bronzo]. Ma il nulla non può essere materia di un ente, né causa di esso in qualsiasi altro modo. Dunque creare non è fare qualche cosa dal nulla.

[30323] Iª q. 45 a. 1 s. c.
Sed contra est quod super illud Gen. I, in principio creavit Deus caelum etc., dicit Glossa quod creare est aliquid ex nihilo facere.

 

[30323] Iª q. 45 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: La Glossa dice, a proposito del passo: "In principio creò Dio....", che "creare è fare qualche cosa dal nulla".

[30324] Iª q. 45 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, non solum oportet considerare emanationem alicuius entis particularis ab aliquo particulari agente, sed etiam emanationem totius entis a causa universali, quae est Deus, et hanc quidem emanationem designamus nomine creationis. Quod autem procedit secundum emanationem particularem, non praesupponitur emanationi, sicut, si generatur homo, non fuit prius homo, sed homo fit ex non homine, et album ex non albo. Unde, si consideretur emanatio totius entis universalis a primo principio, impossibile est quod aliquod ens praesupponatur huic emanationi. Idem autem est nihil quod nullum ens. Sicut igitur generatio hominis est ex non ente quod est non homo, ita creatio, quae est emanatio totius esse, est ex non ente quod est nihil.

 

[30324] Iª q. 45 a. 1 co.
RISPONDO: Come si è detto sopra, non si deve considerare soltanto l'emanazione di un essere particolare da una causa determinata, ma anche l'emanazione di tutto l'essere dalla causa universale che è Dio: e questa emanazione la designamo col nome di creazione. Ora, quanto viene prodotto mediante una causa non universale, non preesiste alla causalità stessa: p. es , se un uomo viene generato,,è segno che quell'uomo prima non esisteva, ma che è stato prodotto [a partire] da ciò che prima non era un uomo, come una cosa diventa bianca a partire da un soggetto che prima non era bianco. Perciò, se consideriamo l'emanazione di tutto l'essere completo dalla prima causa, è impossibile pensare che vi sia un ente presupposto a questa causalità. Ora il nulla è la stessa cosa che nessun ente. Come dunque la generazione di un uomo parte da quel non-ente che è il non-uomo, così la creazione, che è l'emanazione di tutto l'essere, parte da quel non-ente che è il nulla.

[30325] Iª q. 45 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Augustinus aequivoce utitur nomine creationis, secundum quod creari dicuntur ea quae in melius reformantur, ut cum dicitur aliquis creari in episcopum. Sic autem non loquimur hic de creatione, sed sicut dictum est.

 

[30325] Iª q. 45 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Agostino [nel caso nostro] usa il termine creazione in senso improprio, come quando usiamo il verbo creare per indicare che una cosa viene cambiata in meglio, come quando si dice che uno è creato vescovo. Ma qui non parliamo di creazione in questo senso, bensì come si è spiegato.

[30326] Iª q. 45 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod mutationes accipiunt speciem et dignitatem non a termino a quo, sed a termino ad quem. Tanto ergo perfectior et prior est aliqua mutatio, quanto terminus ad quem illius mutationis est nobilior et prior; licet terminus a quo, qui opponitur termino ad quem, sit imperfectior. Sicut generatio simpliciter est nobilior et prior quam alteratio, propter hoc quod forma substantialis est nobilior quam forma accidentalis, tamen privatio substantialis formae, quae est terminus a quo in generatione, est imperfectior quam contrarium, quod est terminus a quo in alteratione. Et similiter creatio est perfectior et prior quam generatio et alteratio, quia terminus ad quem est tota substantia rei. Id autem quod intelligitur ut terminus a quo, est simpliciter non ens.

 

[30326] Iª q. 45 a. 1 ad 2
2. Le mutazioni ricevono natura e dignità non dal termine di partenza ma da quello di arrivo. Un moto perciò sarà tanto più perfetto e più nobile, quanto è più nobile e alto il termine verso il quale esso tende; sebbene il termine di partenza, contrapposto a quello di arrivo, sia più imperfetto. Così, p. es., la generazione di suo è più nobile e più fondamentale dell'alterazione, per il fatto che la forma sostanziale è più che la forma accidentale: ciò nonostante la mancanza della forma sostanziale, che nella generazione è il termine di partenza, è qualche cosa di più imperfetto del corrispondente termine di partenza dell'alterazione. Così pure, la creazione è operazione più perfetta e più alta della generazione e dell'alterazione, perché il suo termine di arrivo è l'intera sostanza della cosa. Mentre quello che si prende come termine di partenza in realtà non esiste.

[30327] Iª q. 45 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod, cum dicitur aliquid ex nihilo fieri, haec praepositio ex non designat causam materialem, sed ordinem tantum; sicut cum dicitur, ex mane fit meridies, idest, post mane fit meridies. Sed intelligendum est quod haec praepositio ex potest includere negationem importatam in hoc quod dico nihil, vel includi ab ea. Si primo modo, tunc ordo remanet affirmatus, et ostenditur ordo eius, quod est ad non esse praecedens. Si vero negatio includat praepositionem, tunc ordo negatur, et est sensus, fit ex nihilo, idest non fit ex aliquo; sicut si dicatur, iste loquitur de nihilo, quia non loquitur de aliquo. Et utroque modo verificatur, cum dicitur ex nihilo aliquid fieri. Sed primo modo, haec praepositio ex importat ordinem, ut dictum est, secundo modo, importat habitudinem causae materialis, quae negatur.

 

[30327] Iª q. 45 a. 1 ad 3
3. Quando si dice che una cosa è fatta dal nulla, la preposizione ex [di o da] sta a indicare non la causa materiale, ma la sola successione; come quando si dice che dalla mattina si va facendo mezzogiorno, cioè dopo la mattina viene il mezzogiorno. Tuttavia si osservi che la preposizione da o include la negazione espressa nel termine nulla [p. es.: dal non essere], oppure viene a sua volta inclusa dalla negazione stessa [p. es.: non da un essere]. Nel primo caso resta affermata la successione, ed esprime l'ordine della produzione, che s'inizia da un non essere precedente. Se invece, la negazione include la preposizione, allora la successione viene trascurata, e l'espressione: è fatto dal niente ha questo senso: non è fatto di [o da] qualche cosa; come se uno dicesse: costui parla di niente, perché non parla di qualche cosa. Ebbene, in tutti e due i modi è vero che creare è fare qualche cosa dal nulla. Ma nel primo caso la preposizione da indica successione, come si è detto; nel secondo caso significa rapporto di causa materiale, che però viene negato.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Modo di derivare delle cose dal primo principio > Se Dio una cosa la possa creare


Prima pars
Quaestio 45
Articulus 2

[30328] Iª q. 45 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Deus non possit aliquid creare. Quia secundum philosophum, I Physic., antiqui philosophi acceperunt ut communem conceptionem animi, ex nihilo nihil fieri. Sed potentia Dei non se extendit ad contraria primorum principiorum; utpote quod Deus faciat quod totum non sit maius sua parte, vel quod affirmatio et negatio sint simul vera. Ergo Deus non potest aliquid ex nihilo facere, vel creare.

 
Prima parte
Questione 45
Articolo 2

[30328] Iª q. 45 a. 2 arg. 1
SEMBRA che Dio una cosa non la possa creare. Infatti:
1. Come riferisce Aristotele, i primi filosofi ritenevano, per una verità universalmente accettata da tutti che dal niente niente si produce. Ora, la potenza di Dio non si estende fino ad attuare cose contrarie ai primi principii; p. es.. Dio non potrebbe fare che il tutto sia maggiore della parte, o che l'affermazione e la negazione [di una data cosa] siano ugualmente vere. Dunque Dio non può fare una cosa dal nulla, cioè creare.

[30329] Iª q. 45 a. 2 arg. 2
Praeterea, si creare est aliquid ex nihilo facere, ergo creari est aliquid fieri. Sed omne fieri est mutari. Ergo creatio est mutatio. Sed omnis mutatio est ex subiecto aliquo, ut patet per definitionem motus, nam motus est actus existentis in potentia. Ergo est impossibile aliquid a Deo ex nihilo fieri.

 

[30329] Iª q. 45 a. 2 arg. 2
2. Se creare è fare qualche cosa dal nulla, esser creato è un certo esser fatto o divenire. Ma ogni divenire è un mutare. Dunque la creazione è una mutazione. Ma ogni mutazione appartiene a un soggetto, come si vede dalla definizione del moto: il moto è l'atto di un essere che è in potenza. Perciò non è possibile che Dio faccia una cosa dal nulla.

[30330] Iª q. 45 a. 2 arg. 3
Praeterea, quod factum est, necesse est aliquando fieri. Sed non potest dici quod illud quod creatur, simul fiat et factum sit, quia in permanentibus, quod fit, non est, quod autem factum est, iam est; simul ergo aliquid esset et non esset. Ergo, si aliquid fit, fieri eius praecedit factum esse. Sed hoc non potest esse, nisi praeexistat subiectum in quo sustentetur ipsum fieri. Ergo impossibile est aliquid fieri ex nihilo.

 

[30330] Iª q. 45 a. 2 arg. 3
3. Ciò che è stato fatto è necessario che una volta sia stato in divenire. Ma non si può dire che nello stesso istante la creatura venga fatta e sia già fatta: perché una sostanza che si sta facendo ancora non è, e quella che è fatta già esiste; altrimenti nello stesso istante una cosa esisterebbe e non esisterebbe. Se dunque una cosa vien fatta, il suo venir fatta precede l'essere già fatta. Ma questo non è possibile se non preesiste un soggetto, nel quale si operi il divenire stesso. Dunque è impossibile che una cosa sia fatta dal nulla.

[30331] Iª q. 45 a. 2 arg. 4
Praeterea, infinitam distantiam non est pertransire. Sed infinita distantia est inter ens et nihil. Ergo non contingit ex nihilo aliquid fieri.

 

[30331] Iª q. 45 a. 2 arg. 4
4. Non si può percorrere una distanza infinita. Ora tra l'essere e il niente c’è una distanza infinita. Dunque non è possibile che una cosa venga prodotta dal nulla.

[30332] Iª q. 45 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dicitur Gen. I, in principio creavit Deus caelum et terram.

 

[30332] Iª q. 45 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Si dice nella Genesi: "In principio, creò Dio il cielo e la terra".

[30333] Iª q. 45 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod non solum non est impossibile a Deo aliquid creari, sed necesse est ponere a Deo omnia creata esse, ut ex praemissis habetur. Quicumque enim facit aliquid ex aliquo, illud ex quo facit praesupponitur actioni eius, et non producitur per ipsam actionem, sicut artifex operatur ex rebus naturalibus, ut ex ligno et aere, quae per artis actionem non causantur, sed causantur per actionem naturae. Sed et ipsa natura causat res naturales quantum ad formam, sed praesupponit materiam. Si ergo Deus non ageret nisi ex aliquo praesupposito, sequeretur quod illud praesuppositum non esset causatum ab ipso. Ostensum est autem supra quod nihil potest esse in entibus quod non sit a Deo, qui est causa universalis totius esse. Unde necesse est dicere quod Deus ex nihilo res in esse producit.

 

[30333] Iª q. 45 a. 2 co.
RISPONDO: Non solo non è impossibile che Dio crei una cosa, ma è necessario affermare che tutte le cose sono state create da Dio, come risulta da quanto precede. Difatti chi produce una cosa da un'altra, non produce, con la sua operazione, quanto è presupposto dall'operazione stessa: cosi l'artigiano costruisce con i prodotti della natura, p. es., con il legno e col rame, che non sono causati dalla operazione dell'arte ma dalla natura. E la stessa, natura produce le cose naturali solo quanto alla forma, ma presuppone la materia. Se dunque Dio non potesse operare senza qualche prerequisito, ne verrebbe che quel presupposto non sarebbe causato da lui. Invece sopra si è dimostrato che niente può esistere nella realtà, che non sia creato da Dio, il quale è causa universale di tutto l'essere. Perciò è necessario affermare che Dio produce le cose dal nulla.

[30334] Iª q. 45 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod antiqui philosophi, sicut supra dictum est, non consideraverunt nisi emanationem effectuum particularium a causis particularibus, quas necesse est praesupponere aliquid in sua actione, et secundum hoc erat eorum communis opinio, ex nihilo nihil fieri. Sed tamen hoc locum non habet in prima emanatione ab universali rerum principio.

 

[30334] Iª q. 45 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. I primi filosofi, come si è già detto, non consideravano altro che la derivazione di determinati effetti dalle loro causa particolari, le quali necessariamente presuppongono qualche cosa alla loro azione: per questo si aveva tra loro la comune persuasione che dal niente niente deriva. Ma l'assioma non è al suo posto quando si tratta della prima emanazione della realtà dal primo principio universale delle cose.

[30335] Iª q. 45 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod creatio non est mutatio nisi secundum modum intelligendi tantum. Nam de ratione mutationis est, quod aliquid idem se habeat aliter nunc et prius, nam quandoque est idem ens actu, aliter se habens nunc et prius, sicut in motibus secundum quantitatem et qualitatem et ubi; quandoque vero est idem ens in potentia tantum, sicut in mutatione secundum substantiam, cuius subiectum est materia. Sed in creatione, per quam producitur tota substantia rerum, non potest accipi aliquid idem aliter se habens nunc et prius, nisi secundum intellectum tantum; sicut si intelligatur aliqua res prius non fuisse totaliter, et postea esse. Sed cum actio et passio conveniant in substantia motus, et differant solum secundum habitudines diversas, ut dicitur in III Physic., oportet quod, subtracto motu, non remaneant nisi diversae habitudines in creante et creato. Sed quia modus significandi sequitur modum intelligendi, ut dictum est, creatio significatur per modum mutationis, et propter hoc dicitur quod creare est ex nihilo aliquid facere. Quamvis facere et fieri magis in hoc conveniant quam mutare et mutari, quia facere et fieri important habitudinem causae ad effectum et effectus ad causam, sed mutationem ex consequenti.

 

[30335] Iª q. 45 a. 2 ad 2
2. La creazione è una mutazione soltanto se considerata nel nostro modo d'intendere. E in realtà il concetto di mutazione implica che una stessa cosa si trovi a un certo momento in condizioni diverse da quelle di prima: infatti talora non si tratta che di un identico essere attuale il quale viene a trovarsi successivamente in condizioni diverse, come nelle mutazioni di quantità, di qualità e di luogo; altre volte invece l'essere identico è solo potenziale, come nelle mutazioni sostanziali, soggetto delle quali è la materia. Ma nella creazione, per mazzo della quale si produce l'intera sostanza dell'essere, non è possibile determinare qualche cosa che a un dato momento possa trovarsi in condizioni diverse da quelle di prima, altro che per giuoco della nostra intelligenza; come se uno supponesse che una data cosa, prima non esistente affatto, venga all'esistenza in un secondo momento. Ma poiché azione e passione s'identificano nell'unica realtà del moto o mutazione, e differiscono soltanto per le opposte relazioni, come dice Aristotele, se togliamo il moto non troveremo nel creatore e nella creatura altro che relazioni diverse. - Ma poiché il modo di esprimersi segue il modo d'intendere, come già si disse, la creazione noi la esprimiamo alla maniera delle mutazioni, e per questo si dice che creare è fare qualche cosa dal nulla. Però in questo caso fare ed esser fatto son termini più appropriati che mutare ed esser mutato: perché fare e venir fatto esprimono direttamente la relazione della causa al suo effetto, e dell'effetto alla causa, e solo indirettamente implicano l’idea di mutazione.

[30336] Iª q. 45 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod in his quae fiunt sine motu, simul est fieri et factum esse, sive talis factio sit terminus motus, sicut illuminatio (nam simul aliquid illuminatur et illuminatum est); sive non sit terminus motus, sicut simul formatur verbum in corde et formatum est. Et in his, quod fit, est, sed cum dicitur fieri, significatur ab alio esse, et prius non fuisse. Unde, cum creatio sit sine motu, simul aliquid creatur et creatum est.

 

[30336] Iª q. 45 a. 2 ad 3
3. Per quanto viene prodotto senza [le fasi successive del] moto, venir fatto ed essere già fatto sono tutt'uno: sia che la produzione si presenti quale termine di un moto, come 1' illuminazione (difatti un oggetto è subito illuminato nello stesso istante che viene illuminato); sia che non si presenti come termine di un moto, così, p. es., un verbo mentale nell' istante che si forma è già formato. E in tali casi ciò che viene fatto, [semplicemente] è: ma quando si dice che vien fatto si vuol dire solo che deriva da altri, e che prima non esisteva. Quindi siccome la creazione avviene senza moto, una cosa nel medesimo istante che viene creata è già creata.

[30337] Iª q. 45 a. 2 ad 4
Ad quartum dicendum quod obiectio illa procedit ex falsa imaginatione, ac si sit aliquod infinitum medium inter nihilum et ens, quod patet esse falsum. Procedit autem falsa haec imaginatio ex eo quod creatio significatur ut quaedam mutatio inter duos terminos existens.

 

[30337] Iª q. 45 a. 2 ad 4
4. L'ultima difficoltà deriva da una falsa supposizione, come se tra il nulla e l'ente ci fosse realmente di mezzo un infinito; il che è evidentemente falso. Ma questa fallace supposizione nasce dal fatto che si parla della creazione come fosse un passaggio da un termine a un altro.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Modo di derivare delle cose dal primo principio > Se la creazione sia un'entità reale nelle creature


Prima pars
Quaestio 45
Articulus 3

[30338] Iª q. 45 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod creatio non sit aliquid in creatura. Sicut enim creatio passive accepta attribuitur creaturae, ita creatio active accepta attribuitur creatori. Sed creatio active accepta non est aliquid in creatore, quia sic sequeretur quod in Deo esset aliquid temporale. Ergo creatio passive accepta non est aliquid in creatura.

 
Prima parte
Questione 45
Articolo 3

[30338] Iª q. 45 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la creazione non sia un'entità reale nelle creature. Infatti:
1. La creazione al passivo si attribuisce alla creatura, come la creazione all'attivo si attribuisce al Creatore. Ma la creazione all'attivo non è un'entità reale nel Creatore: perché altrimenti ne seguirebbe che in Dio vi sia qualche cosa di temporale. Dunque anche la creazione al passivo non è un qualche cosa nelle creature.

[30339] Iª q. 45 a. 3 arg. 2
Praeterea, nihil est medium inter creatorem et creaturam. Sed creatio significatur ut medium inter utrumque, non enim est creator, cum non sit aeterna; neque creatura, quia oporteret eadem ratione aliam ponere creationem qua ipsa crearetur, et sic in infinitum. Creatio ergo non est aliquid.

 

[30339] Iª q. 45 a. 3 arg. 2
2. Tra Creatore e creatura non ci sono intermediari. Ora, nel parlare della creazione ci si esprime come se questa fosse un che di mezzo tra l'uno e l'altra: infatti essa non è il Creatore, non essendo eterna; e neppure è creatura, perché per lo stesso motivo bisognerebbe ammettere un'altra creazione per mezzo della quale fosse creata; e così all'infinito. Dunque le creazione non è qualche cosa. di reale.

[30340] Iª q. 45 a. 3 arg. 3
Praeterea, si creatio est aliquid praeter substantiam creatam, oportet quod sit accidens eius. Omne autem accidens est in subiecto. Ergo res creata esset subiectum creationis. Et sic idem esset subiectum creationis et terminus. Quod est impossibile, quia subiectum prius est accidente, et conservat accidens; terminus autem posterius est actione et passione cuius est terminus, et eo existente cessat actio et passio. Igitur ipsa creatio non est aliqua res.

 

[30340] Iª q. 45 a. 3 arg. 3
3. Se la creazione è qualche cosa di diverso dalla sostanza creata, bisogna che sia un suo accidente. Ma ogni accidente esiste nel suo soggetto. Perciò la cosa creata sarebbe il soggetto della creazione. E così una stessa cosa sarebbe soggetto e termine della creazione. Cosa impossibile: perché il soggetto è prima dell'accidente e sostiene l'accidente; d'altra parte il termine è posteriore all'operazione di cui è termine; e quando esso è raggiunto, cessa l'operazione. Perciò la creazione non è qualche cosa di reale.

[30341] Iª q. 45 a. 3 s. c.
Sed contra, maius est fieri aliquid secundum totam substantiam, quam secundum formam substantialem vel accidentalem. Sed generatio simpliciter vel secundum quid, qua fit aliquid secundum formam substantialem vel accidentalem, est aliquid in generato. Ergo multo magis creatio, qua fit aliquid secundum totam substantiam, est aliquid in creato.

 

[30341] Iª q. 45 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: È cosa più difficile produrre tutta la sostanza di una cosa, che produrre la sola sua forma sostanziale o accidentale. Ora, la generazione vera e propria o quella, in senso più vago, che determina la forma sostanziale o accidentale di una data cosa, è un'entità [reale] nel soggetto che viene generato. Dunque con molto maggior ragione la creazione, per mezzo della quale una cosa viene ad essere prodotta in tutta la sua sostanza, è una vera entità nella creatura.

[30342] Iª q. 45 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod creatio ponit aliquid in creato secundum relationem tantum. Quia quod creatur, non fit per motum vel per mutationem. Quod enim fit per motum vel mutationem, fit ex aliquo praeexistenti, quod quidem contingit in productionibus particularibus aliquorum entium; non autem potest hoc contingere in productione totius esse a causa universali omnium entium, quae est Deus. Unde Deus, creando, producit res sine motu. Subtracto autem motu ab actione et passione, nihil remanet nisi relatio, ut dictum est. Unde relinquitur quod creatio in creatura non sit nisi relatio quaedam ad creatorem, ut ad principium sui esse; sicut in passione quae est cum motu, importatur relatio ad principium motus.

 

[30342] Iª q. 45 a. 3 co.
RISPONDO: La creazione determina una entità nella cosa creata soltanto secondo la categoria della relazione; poiché ciò che è creato non viene prodotto per mezzo di un moto o di una mutazione. Infatti ciò che viene prodotto per mezzo di un moto o di una trasmutazione, vien fatto con qualche cosa di preesistente: il che avviene nelle particolari produzioni di determinati esseri; ma non può questo avvenire nella produzione di tutto l'essere dalla causa universale di tutti gli enti, che è Dio. Perciò Dio, nel creare, produce le cose senza il moto. Ma se da un'operazione vista all'attivo o al passivo togliamo il moto, non rimane che una relazione, come si è detto. Resta dunque stabilito che la creazione nelle creature non è altro che una certa relazione verso il Creatore, causa del proprio essere; come in un effetto verificatosi mediante la mutazione, viene a determinarsi un rapporto con la causa di tale mutamento.

[30343] Iª q. 45 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod creatio active significata significat actionem divinam, quae est eius essentia cum relatione ad creaturam. Sed relatio in Deo ad creaturam non est realis, sed secundum rationem tantum. Relatio vero creaturae ad Deum est relatio realis, ut supra dictum est, cum de divinis nominibus ageretur.

 

[30343] Iª q. 45 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Per creazione attiva s'intende l'azione di Dio, che poi è la di lui essenza, con in più una relazione verso la creatura. Ma questo rapporto alla creatura non è reale in Dio, ma solo di ragione. Invece la relazione delle creature a Dio è reale, come si è detto sopra, trattando dei Nomi di Dio.

[30344] Iª q. 45 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod, quia creatio significatur ut mutatio, sicut dictum est; mutatio autem media quodammodo est inter movens et motum, ideo etiam creatio significatur ut media inter creatorem et creaturam. Tamen creatio passive accepta est in creatura, et est creatura. Neque tamen oportet quod alia creatione creetur, quia relationes, cum hoc ipsum quod sunt, ad aliquid dicantur, non referuntur per aliquas alias relationes, sed per seipsas; sicut etiam supra dictum est, cum de aequalitate personarum ageretur.

 

[30344] Iª q. 45 a. 3 ad 2
2. Sì è visto che la creazione è [da noi] concepita come una mutazione, e la mutazione è in qualche modo tramite tra chi muove e ciò che viene mosso: per questo anche la creazione viene concepita come fosse tramite tra Creatore e creatura. Sta il fatto però che la creazione presa al passivo esiste realmente nella creatura ed è creatura. Ma non è necessario che essa venga creata da un'altra creazione: perché le relazioni, siccome dicono ordine a qualche cosa in forza del loro essere stesso, non acquistano il loro rapporto per mezzo di altre relazioni, ma per mezzo di se medesime; come si disse anche sopra, nel trattare dell'uguaglianza delle Persone divine.

[30345] Iª q. 45 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod creationis, secundum quod significatur ut mutatio, creatura est terminus, sed secundum quod vere est relatio, creatura est eius subiectum, et prius ea in esse, sicut subiectum accidente. Sed habet quandam rationem prioritatis ex parte obiecti ad quod dicitur, quod est principium creaturae. Neque tamen oportet quod, quandiu creatura sit, dicatur creari, quia creatio importat habitudinem creaturae ad creatorem cum quadam novitate seu incoeptione.

 

[30345] Iª q. 45 a. 3 ad 3
3. La creazione, concepita [impropriamente] come mutazione, ha nella creatura il suo termine: ma in quanto realmente è una relazione trova nella creatura soltanto il proprio soggetto, e quindi nell'ordine reale e ontologico la creatura precede la creazione stessa, come un soggetto precede i propri accidenti. La creazione però conserva una certa priorità [rispetto alla creatura] se consideriamo l'oggetto [o il fondamento] della relazione che si vuole esprimere, e che è la dipendenza causale della creatura. E tuttavia non è necessario pensare che la creatura venga creata per tutto il tempo della sua esistenza: perché creazione dice relazione di creatura a Creatore ma unita all'idea di novità o cominciamento.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Modo di derivare delle cose dal primo principio > Se esser creati sia proprio dei composti e dei sussistenti


Prima pars
Quaestio 45
Articulus 4

[30346] Iª q. 45 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod creari non sit proprium compositorum et subsistentium. Dicitur enim in libro de causis, prima rerum creatarum est esse. Sed esse rei creatae non est subsistens. Ergo creatio proprie non est subsistentis et compositi.

 
Prima parte
Questione 45
Articolo 4

[30346] Iª q. 45 a. 4 arg. 1
SEMBRA che non sia proprio [ed esclusivo] dei composti e dei sussistenti essere creati. Infatti:
1. Nel De Causis si afferma: "Prima tra le cose create è l'essere". Ora l'esistenza della cosa creata non è qualche cosa di sussistente. Quindi venir creato non appartiene in modo esclusivo agli esseri sussistenti e composti.

[30347] Iª q. 45 a. 4 arg. 2
Praeterea, quod creatur est ex nihilo. Composita autem non sunt ex nihilo, sed ex suis componentibus. Ergo compositis non convenit creari.

 

[30347] Iª q. 45 a. 4 arg. 2
2. Ciò che è creato viene dal nulla. Invece i composti non vengono dal nulla, ma dai loro componenti. Dunque non è ai composti che si addice di essere creati.

[30348] Iª q. 45 a. 4 arg. 3
Praeterea, illud proprie producitur per primam emanationem, quod supponitur in secunda, sicut res naturalis per generationem naturalem, quae supponitur in operatione artis. Sed illud quod supponitur in generatione naturali, est materia. Ergo materia est quae proprie creatur, et non compositum.

 

[30348] Iª q. 45 a. 4 arg. 3
3. Nella prima emanazione propriamente viene prodotto quello che nella seconda si presuppone: così, p. es., i prodotti naturali vengono dalla natura, quindi formano alla loro volta il presupposto all'operazione dell'arte. Ora, alle produzioni della natura si presuppone la materia. Dunque la materia è propriamente ciò che viene creato, e non il composto.

[30349] Iª q. 45 a. 4 s. c.
Sed contra est quod dicitur Gen. I, in principio creavit Deus caelum et terram. Caelum autem et terra sunt res compositae subsistentes. Ergo horum proprie est creatio.

 

[30349] Iª q. 45 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: si legge nella Genesi: "In principio, creò Dio il cielo e la terra". Ora, il cielo e la terra sono cose composte e sussistenti. Dunque ad esse propriamente conviene di essere create.

[30350] Iª q. 45 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod creari est quoddam fieri, ut dictum est. Fieri autem ordinatur ad esse rei. Unde illis proprie convenit fieri et creari, quibus convenit esse. Quod quidem convenit proprie subsistentibus, sive sint simplicia, sicut substantiae separatae; sive sint composita, sicut substantiae materiales. Illi enim proprie convenit esse, quod habet esse; et hoc est subsistens in suo esse. Formae autem et accidentia, et alia huiusmodi, non dicuntur entia quasi ipsa sint, sed quia eis aliquid est; ut albedo ea ratione dicitur ens, quia ea subiectum est album. Unde, secundum philosophum, accidens magis proprie dicitur entis quam ens. Sicut igitur accidentia et formae, et huiusmodi, quae non subsistunt, magis sunt coexistentia quam entia; ita magis debent dici concreata quam creata. Proprie vero creata sunt subsistentia.

 

[30350] Iª q. 45 a. 4 co.
RISPONDO: Si è già detto che venir creato è un modo di divenire. Ora, ogni divenire tende a dare l'esistenza a una cosa. Per questo sia divenire che esser creato appartiene propriamente a quelle cose, alle quali spetta di esistere. E questo a rigore spetta agli esseri sussistenti: siano essi semplici come le sostanze separate, o composti come le sostanze corporee. Infatti esistere propriamente conviene solo a ciò che ha l'esistenza; che è quanto dire a ciò che sussiste nel proprio essere. Invece le forme, gli accidenti e altre cose del genere, sono chiamati enti non nel senso che essi stessi hanno l'essere, ma perché per mezzo di essi qualche cosa viene ad essere [in un modo o nell'altro;]; cosi, p. es., la bianchezza si dice ente perché per mezzo di essa una sostanza è bianca. Perciò, al dire di Aristotele, l'accidente a tutto rigore non si dovrebbe chiamare ente ma [cosa] dell'ente. Quindi, come gli accidenti, le forme e le altre cose che non sussistono, sono piuttosto coesistenti che enti; così si devono dire piuttosto concreati che creati. Invece le cose che propriamente vengono create sono quelle sussistenti.

[30351] Iª q. 45 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, cum dicitur, prima rerum creatarum est esse, ly esse non importat subiectum creatum; sed importat propriam rationem obiecti creationis. Nam ex eo dicitur aliquid creatum, quod est ens, non ex eo quod est hoc ens, cum creatio sit emanatio totius esse ab ente universali, ut dictum est. Et est similis modus loquendi, sicut si diceretur quod primum visibile est color, quamvis illud quod proprie videtur, sit coloratum.

 

[30351] Iª q. 45 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quando si afferma che "la prima tra le cose create è l'essere", il termine essere non indica una creatura determinata, ma il lato caratteristico che si ha di mira nella creazione. Infatti una cosa si dice creata per il fatto che è [divenuta] ente [o che esiste], non per il fatto che è tale ente [mediante una data essenza o qualità]: poiché la creazione è l'emanazione di tutto l'essere dall'ente universale, come si è spiegato. Quindi quel testo è un'espressione simile a quella di chi dicesse: la prima cosa che si vede è il colore, sebbene ciò che propriamente vediamo sia l'oggetto colorato.

[30352] Iª q. 45 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod creatio non dicit constitutionem rei compositae ex principiis praeexistentibus, sed compositum sic dicitur creari, quod simul cum omnibus suis principiis in esse producitur.

 

[30352] Iª q. 45 a. 4 ad 2
2. Creazione non sta a indicare il costituirsi del composto mediante principii preesistenti; si dice invece che è il composto ad essere creato, per il fatto che esso viene portato all'esistenza assieme a tutti i principii [che lo compongono].

[30353] Iª q. 45 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod ratio illa non probat quod sola materia creetur; sed quod materia non sit nisi ex creatione. Nam creatio est productio totius esse, et non solum materiae.

 

[30353] Iª q. 45 a. 4 ad 3
3. Quel ragionamento non prova che viene creata soltanto la materia, ma che la materia esiste solo per creazione. Infatti la creazione è la produzione non della sola materia ma di tutto l'essere.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Modo di derivare delle cose dal primo principio > Se creare appartenga esclusivamente a Dio


Prima pars
Quaestio 45
Articulus 5

[30354] Iª q. 45 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod non solius Dei sit creare. Quia secundum philosophum, perfectum est quod potest sibi simile facere. Sed creaturae immateriales sunt perfectiores creaturis materialibus, quae faciunt sibi simile, ignis enim generat ignem, et homo generat hominem. Ergo substantia immaterialis potest facere substantiam sibi similem. Sed substantia immaterialis non potest fieri nisi per creationem, cum non habeat materiam ex qua fiat. Ergo aliqua creatura potest creare.

 
Prima parte
Questione 45
Articolo 5

[30354] Iª q. 45 a. 5 arg. 1
SEMBRA che non appartenga esclusivamente a Dio creare. Infatti:
1. Secondo Aristotele, è perfetto ciò che può fare qualche cosa di somigliante a se stesso. Ora, le creature immateriali sono più perfette delle creature corporee, le quali possono generare cose a se stesse somiglianti: infatti il fuoco genera il fuoco, e l'uomo genera un altro uomo. Quindi una sostanza immateriale [un angelo] può produrre un'altra sostanza immateriale che le somigli. Ma una sostanza immateriale non può essere prodotta che per creazione; poiché manca in essa la materia dalla quale possa essere prodotta. Dunque qualche creatura può creare.

[30355] Iª q. 45 a. 5 arg. 2
Praeterea, quanto maior est resistentia ex parte facti, tanto maior virtus requiritur in faciente. Sed plus resistit contrarium quam nihil. Ergo maioris virtutis est aliquid facere ex contrario, quod tamen creatura facit; quam aliquid facere ex nihilo. Multo magis igitur creatura hoc facere potest.

 

[30355] Iª q. 45 a. 5 arg. 2
2. Quanto maggiore è la resistenza da parte di ciò che viene prodotto, tanto maggiore potenza si richiede in chi opera. Ora, oppone certo maggiore resistenza il contrario che il niente. Perciò è opera di maggior potenza fare qualche cosa da un contrario, cosa che tuttavia le creature fanno, che produrre qualche cosa dal nulla. Con più ragione dunque le creature potranno far questo.

[30356] Iª q. 45 a. 5 arg. 3
Praeterea, virtus facientis consideratur secundum mensuram eius quod fit. Sed ens creatum est finitum, ut supra probatum est, cum de Dei infinitate ageretur. Ergo ad producendum per creationem aliquid creatum, non requiritur nisi virtus finita. Sed habere virtutem finitam non est contra rationem creaturae. Ergo non est impossibile creaturam creare.

 

[30356] Iª q. 45 a. 5 arg. 3
3. La potenza di chi opera si misura dalla cosa prodotta. Ora, l'essere creato è cosa finita, come si è dimostrato trattando della infinità di Dio. Dunque per produrre mediante la creazione una cosa creata non si richiede che una potenza finita. Ma avere una potenza finita non è incompatibile con il concetto di creatura. Perciò non è impossibile che una creatura crei.

[30357] Iª q. 45 a. 5 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in III de Trin., quod neque boni neque mali Angeli possunt esse creatores alicuius rei. Multo minus igitur aliae creaturae.

 

[30357] Iª q. 45 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino dice che né gli angeli buoni né quelli cattivi possono essere creatori di qualche cosa. Molto meno quindi le altre creature.

[30358] Iª q. 45 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod satis apparet in primo aspectu, secundum praemissa, quod creare non potest esse propria actio nisi solius Dei. Oportet enim universaliores effectus in universaliores et priores causas reducere. Inter omnes autem effectus, universalissimum est ipsum esse. Unde oportet quod sit proprius effectus primae et universalissimae causae, quae est Deus. Unde etiam dicitur libro de causis, quod neque intelligentia vel anima nobilis dat esse, nisi inquantum operatur operatione divina. Producere autem esse absolute, non inquantum est hoc vel tale, pertinet ad rationem creationis. Unde manifestum est quod creatio est propria actio ipsius Dei. Contingit autem quod aliquid participet actionem propriam alicuius alterius, non virtute propria, sed instrumentaliter, inquantum agit in virtute alterius; sicut aer per virtutem ignis habet calefacere et ignire. Et secundum hoc, aliqui opinati sunt quod, licet creatio sit propria actio universalis causae, tamen aliqua inferiorum causarum inquantum agit in virtute primae causae, potest creare. Et sic posuit Avicenna quod prima substantia separata, creata a Deo, creat aliam post se, et substantiam orbis, et animam eius; et quod substantia orbis creat materiam inferiorum corporum. Et secundum hunc etiam modum Magister dicit, in V dist. IV Sent., quod Deus potest creaturae communicare potentiam creandi, ut creet per ministerium, non propria auctoritate. Sed hoc esse non potest. Quia causa secunda instrumentalis non participat actionem causae superioris, nisi inquantum per aliquid sibi proprium dispositive operatur ad effectum principalis agentis. Si igitur nihil ibi ageret secundum illud quod est sibi proprium, frustra adhiberetur ad agendum, nec oporteret esse determinata instrumenta determinatarum actionum. Sic enim videmus quod securis, scindendo lignum, quod habet ex proprietate suae formae, producit scamni formam, quae est effectus proprius principalis agentis. Illud autem quod est proprius effectus Dei creantis, est illud quod praesupponitur omnibus aliis, scilicet esse absolute. Unde non potest aliquid operari dispositive et instrumentaliter ad hunc effectum, cum creatio non sit ex aliquo praesupposito, quod possit disponi per actionem instrumentalis agentis. Sic igitur impossibile est quod alicui creaturae conveniat creare, neque virtute propria, neque instrumentaliter sive per ministerium. Et hoc praecipue inconveniens est dici de aliquo corpore, quod creet, cum nullum corpus agat nisi tangendo vel movendo; et sic requirit in sua actione aliquid praeexistens, quod possit tangi et moveri; quod est contra rationem creationis.

 

[30358] Iª q. 45 a. 5 co.
RISPONDO: Stando a quello che si è detto, è abbastanza evidente a prima vista che l'atto creativo è azione propria soltanto di Dio. In realtà è necessario riferire gli effetti più universali alle cause più universali e primigenie. Ma tra tutti gli effetti il più universale è lo stesso essere. Quindi bisogna che questo sia effetto esclusivo della prima e universalissima causa, che è Dio. E nel libro De Causis si legge, che l'intelligenza, o "anima superiore", non da l'essere, se non in quanto opera in forza di una mozione divina. Ora nel concetto di creazione rientra la produzione dell'essere stesso e non delle sole sue determinazioni specifiche o numeriche. Quindi è chiaro che la creazione è operazione propria di Dio.
Ora può succedere che a un essere venga concesso di compiere l'operazione che è propria di un altro, non per virtù propria, ma come strumento, agendo in virtù di quell'altro; come l'aria che in virtù del fuoco ottiene la facoltà di riscaldare e di infocare. Per questo motivo alcuni han pensato che, sebbene la creazione sia operazione propria della causa universale, tuttavia una causa subordinata, agendo in forza della causa prima, possa creare. Così Avicenna affermò che la prima sostanza separata, creata [immediatamente] da Dio, ne crea una seconda a sé inferiore, nonché la sostanza della sfera celeste e l'anima di questa; a sua volta la sostanza della sfera celeste crea la materia dei corpi inferiori. Allo stesso modo anche il Maestro [delle Sentenze] dice che Dio può comunicare alla sua creatura la potenza creatrice, in modo che essa possa creare in sott'ordine, non in forza della propria capacità.
Ma la cosa non è ammissibile. Perché la causa seconda strumentale non prende parte all'azione della causa superiore, se non in quanto coopera, mediante una sua peculiarità, a disporre un soggetto all'azione dell'agente principale. Ma se non causasse nulla di ciò che forma la sua peculiarità, il suo impiego nell'azione sarebbe inutile e non ci sarebbe affatto bisogno di determinati strumenti per determinate funzioni. Vediamo invece che la scure (figliando il legno, funzione che le deriva dalla sua forma caratteristica, coopera a produrre la figura della seggiola, che è effetto proprio dell'agente principale [cioè dell'artigiano]. Ora l'essere che è l'effetto proprio di Dio nel creare, è il presupposto di ogni altra cosa. Perciò non si può far niente in qualità di disposizione o di strumento per ottenere questo effetto, non dipendendo la creazione da un prerequisito qualsiasi, il quale possa ricevere da una causa strumentale la disposizione a quell'atto. - Quindi non è possibile che una creatura abbia facoltà di creare, ne per virtù propria, ne come strumento, né per delegazione.
Ed è specialmente fuor di tono affermare che un corpo possa. creare: perché nessun corpo agisce senza un contatto o un moto; quindi per agire richiede qualche cosa di preesistente, atto ad essere toccato e mosso; ciò che è incompatibile con l'idea di creazione.

[30359] Iª q. 45 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod aliquod perfectum participans aliquam naturam, facit sibi simile, non quidem producendo absolute illam naturam, sed applicando eam ad aliquid. Non enim hic homo potest esse causa naturae humanae absolute, quia sic esset causa sui ipsius, sed est causa quod natura humana sit in hoc homine generato. Et sic praesupponit in sua actione determinatam materiam per quam est hic homo. Sed sicut hic homo participat humanam naturam, ita quodcumque ens creatum participat, ut ita dixerim, naturam essendi, quia solus Deus est suum esse, ut supra dictum est. Nullum igitur ens creatum potest producere aliquod ens absolute, nisi inquantum esse causat in hoc, et sic oportet quod praeintelligatur id per quod aliquid est hoc, actioni qua facit sibi simile. In substantia autem immateriali non potest praeintelligi aliquid per quod sit haec, quia est haec per suam formam, per quam habet esse, cum sint formae subsistentes. Igitur substantia immaterialis non potest producere aliam substantiam immaterialem sibi similem, quantum ad esse eius; sed quantum ad perfectionem aliquam superadditam; sicut si dicamus quod superior Angelus illuminat inferiorem, ut Dionysius dicit. Secundum quem modum etiam in caelestibus est paternitas, ut ex verbis apostoli patet, Ephes. III, ex quo omnis paternitas in caelo et in terra nominatur. Et ex hoc etiam evidenter apparet quod nullum ens creatum potest causare aliquid, nisi praesupposito aliquo. Quod repugnat rationi creationis.

 

[30359] Iª q. 45 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Un essere perfetto, il quale abbia ricevuto una data natura, produce qualche cosa di simile a sé, non già producendo quella natura in modo assoluto, ma imprimendola in qualche soggetto. Quest'uomo infatti, non può esser causa della natura umana presa in senso assoluto, perché in tal modo verrebbe ad esser causa di se stesso: ma è causa che la natura umana sia in quest'altro uomo generato. E in tal modo nel suo agire presuppone una determinata materia, dalla quale quest'altro uomo deriva. Ma come l'uomo singolo riceve la natura umana, così qualsiasi ente creato riceve, per cosi dire, la natura dell'essere: perché Dio soltanto è il suo proprio essere, come sopra fu detto. Quindi nessun ente creato può produrre un altro ente come tale, ma soltanto può causare l'essere in un dato soggetto: perciò si deve presupporre all'operazione, con la quale una creatura produce qualche cosa di somigliante a sé, una qualche entità che fa di una cosa questo dato soggetto. Ora, in una sostanza immateriale non si può presupporre qualche cosa che la costituisce questa qui: perché essa è numericamente determinata in forza della sua forma, dalla quale riceve l'essere, trattandosi di forma sussistente. Perciò una sostanza immateriale non può produrre un'altra sostanza immateriale a sé somigliante per il suo essere [sostanziale]; ma può produrne una che le somigli soltanto rispetto a delle perfezioni complementari; come quando affermiamo con Dionigi, che un angelo superiore illumina quello inferiore. In questo modo vi è una paternità anche tra gli esseri celesti, come risulta dalle parole dell'Apostolo: "Dal quale [da Dio Padre] ogni paternità e nei cieli e sulla terra prende nome". Anche da ciò risulta evidente che nessun essere creato può causare senza presupposti. Cosa questa incompatibile con il concetto di creazione.

[30360] Iª q. 45 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod ex contrario fit aliquid per accidens, ut dicitur in I Physic., per se autem fit aliquid ex subiecto, quod est in potentia. Contrarium igitur resistit agenti, inquantum impedit potentiam ab actu in quem intendit reducere agens, sicut ignis intendit reducere materiam aquae in actum sibi similem, sed impeditur per formam et dispositiones contrarias, quibus quasi ligatur potentia ne reducatur in actum. Et quanto magis fuerit potentia ligata, tanto requiritur maior virtus in agente ad reducendam materiam in actum. Unde multo maior potentia requiritur in agente, si nulla potentia praeexistat. Sic ergo patet quod multo maioris virtutis est facere aliquid ex nihilo, quam ex contrario.

 

[30360] Iª q. 45 a. 5 ad 2
2. Che una cosa derivi dal suo contrario può succedere in maniera accidentale, come dice Aristotele: ma di suo viene ricavata da un soggetto che è in potenza. Il contrario quindi resiste all'agente, in quanto trattiene la potenzialità da quell'atto, al quale l'agente tende di portarla: così il fuoco tende a portare la materia dell'acqua a un atto che ad esso somiglia; ma trova ostacolo nella forma e nelle disposizioni contrarie, dalle quali la potenza viene come legata perché non sia portata all'atto. E quanto maggiormente la potenza è legata, tanto maggior forza si richiede nell'agente per ridurre in atto la materia. Cosicché maggior potenza si richiede nell'agente, se non preesiste nessuna potenzialità. Allora è chiaro che è opera di maggior potenza produrre qualche cosa dal nulla, che da una entità contraria.

[30361] Iª q. 45 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod virtus facientis non solum consideratur ex substantia facti, sed etiam ex modo faciendi, maior enim calor non solum magis, sed etiam citius calefacit. Quamvis igitur creare aliquem effectum finitum non demonstret potentiam infinitam, tamen creare ipsum ex nihilo demonstrat potentiam infinitam. Quod ex praedictis patet. Si enim tanto maior virtus requiritur in agente, quanto potentia est magis remota ab actu, oportet quod virtus agentis ex nulla praesupposita potentia, quale agens est creans, sit infinita, quia nulla proportio est nullius potentiae ad aliquam potentiam, quam praesupponit virtus agentis naturalis, sicut et non entis ad ens. Et quia nulla creatura habet simpliciter potentiam infinitam, sicut neque esse infinitum, ut supra probatum est, relinquitur quod nulla creatura possit creare.

 

[30361] Iª q. 45 a. 5 ad 3
3. La potenza di chi opera non va misurata soltanto dalla natura del prodotto, ma anche dal modo di produrre: infatti un calore più intenso non solo riscalda di più, ma riscalda anche più celermente. Quindi sebbene creare un effetto finito non manifesti una potenza infinita, tuttavia lo stesso creare dal nulla manifesta un'infinita potenza. Cosa questa già dimostrata sopra. Se infatti si richiede nell'agente tanta maggiore efficacia, quanto la potenza è più lontana dall'atto, bisogna che l'efficacia di chi produce senza presupporre alcuna potenza, quale è l'agente che crea, sia infinita: poiché non esiste confronto tra l'assenza di ogni potenzialità e una qualche potenza, che l'efficacia di un agente naturale presuppone sempre; come [non può esserci confronto.] tra il non ente e l'ente. E siccome nessuna creatura ha una potenza o un essere davvero infinito, come si è provato in antecedenza, rimane stabilito che nessuna creatura può creare.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Modo di derivare delle cose dal primo principio > Se creare sia proprietà di una sola Persona divina


Prima pars
Quaestio 45
Articulus 6

[30362] Iª q. 45 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod creare sit proprium alicuius personae. Quod enim est prius, est causa eius quod est post; et perfectum imperfecti. Sed processio divinae personae est prior quam processio creaturae, et magis perfecta, quia divina persona procedit in perfecta similitudine sui principii, creatura vero in imperfecta. Ergo processiones divinarum personarum sunt causa processionis rerum. Et sic creare est proprium personae.

 
Prima parte
Questione 45
Articolo 6

[30362] Iª q. 45 a. 6 arg. 1
SEMBRA che creare sia proprietà di una sola Persona [divina]. Infatti:
1.Ciò che precede è causa di ciò che vien dopo; e ciò che è perfetto è causa delle cose meno perfette. Ora, l'emanazione delle Persone divine precede l'emanazione delle creature; ed è anche più perfetta, poiché una Persona divina emana con perfetta somiglianza dal suo principio, mentre la creatura emana con una somiglianza imperfetta. Dunque le processioni delle Persone divine sono causa della emanazione delle cose. E quindi creare è proprietà di una Persona.

[30363] Iª q. 45 a. 6 arg. 2
Praeterea, personae divinae non distinguuntur ab invicem nisi per suas processiones et relationes. Quidquid igitur differenter attribuitur divinis personis, hoc convenit eis secundum processiones et relationes personarum. Sed causalitas creaturarum diversimode attribuitur divinis personis, nam in symbolo fidei patri attribuitur quod sit creator omnium visibilium et invisibilium; filio autem attribuitur quod per eum omnia facta sunt; sed spiritui sancto, quod sit dominus et vivificator. Causalitas ergo creaturarum convenit personis secundum processiones et relationes.

 

[30363] Iª q. 45 a. 6 arg. 2
2. Le Persone divine non si distinguono l'una dall'altra se non per le loro processioni e relazioni. Perciò tutto quello che si attribuisce in diverse maniere alle varie Persone divine, conviene ad esse in forza delle processioni e delle relazioni. Ora, la capacità di causare le creature si attribuisce alle varie Persone divine in maniere diverse; infatti nel Simbolo della Fede si attribuisce al Padre di essere "Creatore di tutte le cose visibili e invisibili"; del Figlio invece si dice che "per mezzo di lui tutte le cose furon fatte"; allo Spirito Santo finalmente si attribuisce di essere "Signore e vivificatore". Dunque causare le creature conviene alle Persone secondo le processioni e le relazioni.

[30364] Iª q. 45 a. 6 arg. 3
Praeterea, si dicatur quod causalitas creaturae attenditur secundum aliquod attributum essentiale quod appropriatur alicui personae, hoc non videtur sufficiens. Quia quilibet effectus divinus causatur a quolibet attributo essentiali, scilicet potentia, bonitate et sapientia, et sic non magis pertinet ad unum quam ad aliud. Non deberet ergo aliquis determinatus modus causalitatis attribui uni personae magis quam alii, nisi distinguerentur in creando secundum relationes et processiones.

 

[30364] Iª q. 45 a. 6 arg. 3
3. Se uno rispondesse che la creazione viene considerata in rapporto a un attributo essenziale il quale conviene per appropriazione a una data Persona, non si avrebbe ancora una risposta sufficiente. Perché qualsiasi opera divina viene causata da tutti gli attributi essenziali, cioè dalla potenza, dalla bontà e dalla sapienza: e in tal modo non si può dire che appartenga più all'uno che all'altro. Perciò non si sarebbe dovuto attribuire un determinato modo di causare a una Persona piuttosto che a un'altra, se nel creare le Persone non fossero davvero distinte secondo le relazioni e le processioni.

[30365] Iª q. 45 a. 6 s. c.
Sed contra est quod dicit Dionysius, II cap. de Div. Nom., quod communia totius divinitatis sunt omnia causalia.

 

[30365] Iª q. 45 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: Dionigi afferma che "tutti gli attributi causali" son comuni a tutta la divinità.

[30366] Iª q. 45 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod creare est proprie causare sive producere esse rerum. Cum autem omne agens agat sibi simile, principium actionis considerari potest ex actionis effectu, ignis enim est qui generat ignem. Et ideo creare convenit Deo secundum suum esse, quod est eius essentia, quae est communis tribus personis. Unde creare non est proprium alicui personae, sed commune toti Trinitati. Sed tamen divinae personae secundum rationem suae processionis habent causalitatem respectu creationis rerum. Ut enim supra ostensum est, cum de Dei scientia et voluntate ageretur, Deus est causa rerum per suum intellectum et voluntatem, sicut artifex rerum artificiatarum. Artifex autem per verbum in intellectu conceptum, et per amorem suae voluntatis ad aliquid relatum, operatur. Unde et Deus pater operatus est creaturam per suum verbum, quod est filius; et per suum amorem, qui est spiritus sanctus. Et secundum hoc processiones personarum sunt rationes productionis creaturarum, inquantum includunt essentialia attributa, quae sunt scientia et voluntas.

 

[30366] Iª q. 45 a. 6 co.
RISPONDO: Creare propriamente è causare o produrre l'essere delle cose. Ora. siccome ogni operante produce cose a sé somiglianti, si può stabilire quale sia il principio di un'operazione dall'effetto della medesima: difatti a produrre il fuoco non sarà che il fuoco. Quindi a Dio appartiene l'atto creativo in forza del suo essere: e questo non è che la di lui essenza, comune alle tre Persone. E così il Creare non è proprietà di una sola Persona, ma opera comune di tutta la Trinità.
Tuttavia le Persone divine hanno un influsso causale sulla creazione in base alla natura delle rispettive processioni. Come abbiamo dimostrato sopra, quando si trattava della scienza e della volontà divina, Dio è causa delle cose per mezzo del suo intelletto e della sua volontà, come l'artigiano nei confronti dei suoi manufatti. Ora, l'artigiano si pone all'opera servendosi di un verbo [parola intima o idea] concepito dall'intelligenza, e spinto da un amore [o inclinazione] della sua volontà verso qualche oggetto. Allo stesso modo anche Dio Padre ha prodotto le creature per mezzo del suo Verbo, che è il Figliuolo; e per mezzo del suo Amore, che è lo Spirito Santo. E sotto quest'aspetto le processioni delle Persone sono causa della produzione delle creature, in quanto esse includono attributi essenziali, quali la scienza e la volontà.

[30367] Iª q. 45 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod processiones divinarum personarum sunt causa creationis sicut dictum est.

 

[30367] Iª q. 45 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le processioni delle persone divine sono causa della creazione nel modo che si è detto.

[30368] Iª q. 45 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod, sicut natura divina, licet sit communis tribus personis, ordine tamen quodam eis convenit, inquantum filius accipit naturam divinam a patre, et spiritus sanctus ab utroque; ita etiam et virtus creandi, licet sit communis tribus personis, ordine tamen quodam eis convenit; nam filius habet eam a patre, et spiritus sanctus ab utroque. Unde creatorem esse attribuitur patri, ut ei qui non habet virtutem creandi ab alio. De filio autem dicitur per quem omnia facta sunt, inquantum habet eandem virtutem, sed ab alio, nam haec praepositio per solet denotare causam mediam, sive principium de principio. Sed spiritui sancto, qui habet eandem virtutem ab utroque, attribuitur quod dominando gubernet, et vivificet quae sunt creata a patre per filium. Potest etiam huius attributionis communis ratio accipi ex appropriatione essentialium attributorum. Nam, sicut supra dictum est, patri appropriatur potentia, quae maxime manifestatur in creatione, et ideo attribuitur patri creatorem esse. Filio autem appropriatur sapientia, per quam agens per intellectum operatur, et ideo dicitur de filio, per quem omnia facta sunt. Spiritui sancto autem appropriatur bonitas, ad quam pertinet gubernatio deducens res in debitos fines, et vivificatio, nam vita in interiori quodam motu consistit, primum autem movens est finis et bonitas.

 

[30368] Iª q. 45 a. 6 ad 2
2. Come la natura divina, pur essendo comune alle tre Persone, conviene loro secondo un certo ordine, in quanto il Figliuolo la riceve dal Padre, e lo Spirito Santo da entrambi; così anche la potenza creatrice, sebbene sia comune alle tre Persone, tuttavia conviene ad esse secondo un certo ordine; infatti il Figlio la riceve dal Padre, e lo Spirito Santo da entrambi. Perciò si attribuisce al Padre di essere Creatore, come a colui che non riceve da altri la potenza creatrice. Del Figlio invece si afferma che "per mezzo di lui tutte le cose sono state fatte", perché egli ha il medesimo potere, ma da altri; infatti la preposizione per suol denotare una causa intermedia, ovvero un principio [che viene] da un principio. Allo Spirito Santo finalmente, che ha questa medesima potenza da entrambi, viene attribuito il dirigere come Signore e vivificare ciò che è stato, creato dal Padre mediante il Figliuolo. - Si può anche dare una spiegazione più generica ricavandola dalla maniera ordinaria di appropriare gli attributi essenziali [alle varie Persone]. Infatti, come si disse più sopra, si da al Padre per appropriazione la potenza, che soprattutto si manifesta nella creazione: perciò si attribuisce al Padre di essere il Creatore. Al Figlio viene riservata la sapienza, per mezzo della quale opera un agente intellettivo: e per questo si dice del Piglio che "per mezzo di lui tutte le cose furono fatte". Si riserva allo Spirito Santo la bontà, cui appartiene il governare, che conduce le cose ai loro fini rispettivi, e il vivificare: infatti la vita consiste in un certo movimento inferiore, il cui primo movente è il fine e il bene.

[30369] Iª q. 45 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod, licet quilibet effectus Dei procedat ex quolibet attributorum, tamen reducitur unusquisque effectus ad illud attributum, cum quo habet convenientiam secundum propriam rationem, sicut ordinatio rerum ad sapientiam, et iustificatio impii ad misericordiam et bonitatem se superabundanter diffundentem. Creatio vero, quae est productio ipsius substantiae rei, reducitur ad potentiam.

 

[30369] Iª q. 45 a. 6 ad 3
3. Per quanto ogni opera di Dio derivi da ciascuno dei suoi attributi, tuttavia ogni opera si riporta a quell'attributo col quale ha una naturale affinità: così l'ordine delle cose [si ricollega] alla sapienza, e la giustificazione del peccatore alla misericordia e alla bontà, che tende a diffondersi in maniera sovrabbondante. La creazione invece, che consiste nella produzione della sostanza stessa delle cose, ai ricollega alla potenza di Dio.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Modo di derivare delle cose dal primo principio > Se sia necessario che nelle creature si trovi un vestigio della Trinità.


Prima pars
Quaestio 45
Articulus 7

[30370] Iª q. 45 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod in creaturis non sit necesse inveniri vestigium Trinitatis. Per sua enim vestigia unumquodque investigari potest. Sed Trinitas personarum non potest investigari ex creaturis, ut supra habitum est. Ergo vestigia Trinitatis non sunt in creatura.

 
Prima parte
Questione 45
Articolo 7

[30370] Iª q. 45 a. 7 arg. 1
SEMBRA non sia necessario che nelle creature si trovi un vestigio della Trinità. Infatti:
1. Una cosa attraverso le sue vestigia può essere oggetto d'indagine. Invece non si può indagare sulla Trinità delle Persone cominciando dalle creature, come più sopra abbiamo osservato. Dunque nelle creature non c’è un vestigio della Trinità.

[30371] Iª q. 45 a. 7 arg. 2
Praeterea, quidquid in creatura est, creatum est. Si igitur vestigium Trinitatis invenitur in creatura secundum aliquas proprietates suas, et omne creatum habet vestigium Trinitatis, oportet in unaquaque illarum inveniri etiam vestigium Trinitatis, et sic in infinitum.

 

[30371] Iª q. 45 a. 7 arg. 2
2. Tutto quello che si trova nelle creature è cosa creata. Se dunque il vestigio della Trinità lo troviamo nelle creature per certe proprietà delle medesime, e se tutte le cose create hanno un tale vestigio, ne segue necessariamente che si trova un vestigio della Trinità anche in ciascuna di quelle proprietà: ma cosi si andrebbe all'infinito.

[30372] Iª q. 45 a. 7 arg. 3
Praeterea, effectus non repraesentat nisi suam causam. Sed causalitas creaturarum pertinet ad naturam communem, non autem ad relationes, quibus personae distinguuntur et numerantur. Ergo in creatura non invenitur vestigium Trinitatis, sed solum unitatis essentiae.

 

[30372] Iª q. 45 a. 7 arg. 3
3. L'effetto non rappresenta che la propria causa. Ora, la causalità sul creato non si deve alle relazioni che distinguono numericamente le Persone, ma alla natura [divina ad esse] comune. Perciò nelle creature non si trova un vestigio della Trinità.

[30373] Iª q. 45 a. 7 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, VI de Trin., quod Trinitatis vestigium in creatura apparet.

 

[30373] Iª q. 45 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO: "Nelle creature", dice S. Agostino, "appare un vestigio della Trinità".

[30374] Iª q. 45 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod omnis effectus aliqualiter repraesentat suam causam, sed diversimode. Nam aliquis effectus repraesentat solam causalitatem causae, non autem formam eius, sicut fumus repraesentat ignem, et talis repraesentatio dicitur esse repraesentatio vestigii; vestigium enim demonstrat motum alicuius transeuntis, sed non qualis sit. Aliquis autem effectus repraesentat causam quantum ad similitudinem formae eius, sicut ignis generatus ignem generantem, et statua Mercurii Mercurium, et haec est repraesentatio imaginis. Processiones autem divinarum personarum attenduntur secundum actus intellectus et voluntatis, sicut supra dictum est, nam filius procedit ut verbum intellectus, spiritus sanctus ut amor voluntatis. In creaturis igitur rationalibus, in quibus est intellectus et voluntas, invenitur repraesentatio Trinitatis per modum imaginis, inquantum invenitur in eis verbum conceptum et amor procedens. Sed in creaturis omnibus invenitur repraesentatio Trinitatis per modum vestigii, inquantum in qualibet creatura inveniuntur aliqua quae necesse est reducere in divinas personas sicut in causam. Quaelibet enim creatura subsistit in suo esse, et habet formam per quam determinatur ad speciem, et habet ordinem ad aliquid aliud. Secundum igitur quod est quaedam substantia creata, repraesentat causam et principium, et sic demonstrat personam patris, qui est principium non de principio. Secundum autem quod habet quandam formam et speciem, repraesentat verbum; secundum quod forma artificiati est ex conceptione artificis. Secundum autem quod habet ordinem, repraesentat spiritum sanctum, inquantum est amor, quia ordo effectus ad aliquid alterum est ex voluntate creantis. Et ideo dicit Augustinus, in VI Lib. de Trin., quod vestigium Trinitatis invenitur in unaquaque creatura, secundum quod unum aliquid est, et secundum quod aliqua specie formatur, et secundum quod quendam ordinem tenet. Et ad haec etiam reducuntur illa tria, numerus, pondus et mensura, quae ponuntur Sap. XI, nam mensura refertur ad substantiam rei limitatam suis principiis, numerus ad speciem, pondus ad ordinem. Et ad haec etiam reducuntur alia tria quae ponit Augustinus, modus species et ordo. Et ea quae ponit in libro octoginta trium quaest. quod constat, quod discernitur, quod congruit, constat enim aliquid per suam substantiam, discernitur per formam, congruit per ordinem. Et in idem de facili reduci possunt quaecumque sic dicuntur.

 

[30374] Iª q. 45 a. 7 co.
RISPONDO: Gli effetti somigliano tutti in qualche modo alla loro causa, ma in gradi diversi. Difatti alcuni effetti stanno a rappresentare soltanto l'efficacia della causa, ma non la di lei forma, come [diciamo che] il fumo sta a rappresentare il fuoco; e si dice che una tale maniera di rappresentare è un vestigio; perché il vestigio o traccia serve a mostrare il percorso di un viandante, ma non a conoscere chi egli sia. Altri effetti invece somigliano la causa per una somiglianza di forma, il fuoco prodotto, per es., il fuoco che lo produce, e la statua di Mercurio somiglia Mercurio stesso: questa somiglianza è chiamata immagine.
Ora, le processioni delle Persone si presentano quali atti dell'intelletto e della volontà, come si disse: difatti il Figliuolo procede come Verbo dell'intelletto divino, e lo Spirito Santo come Amore della volontà. Perciò nelle creature ragionevoli, in cui si trovano volontà e intelligenza, si ha una somiglianza della Trinità, che è immagine, in quanto si riscontra in esse un verbo mentale e un amore che ne deriva.
Invece troviamo in tutte le creature la rappresentazione della Trinità come vestigio, in quanto si trovano in ciascuna creatura degli aspetti, che è necessario attribuire, come a loro causa, alle Persone divine. Infatti ogni creatura sussiste nel proprio essere, ha inoltre una forma che ne determina la specie, e finalmente un ordine verso qualche altra cosa. Allora diciamo, che in quanto essa è una sostanza creata rappresenta la causa o principio: e così indica la Persona del Padre, che è principio senza principio. In quanto poi ha una data forma o specie rappresenta il Verbo; poiché la forma dell'opera d'arte deriva dal verbo mentale dell'artista. Finalmente in quanto la creatura dice ordine o tendenza, offre una somiglianza con lo Spirito Santo, che è Amore: infatti anche l'ordine o attitudine di una creatura verso l'altra deriva dalla volontà del Creatore.
Per questo S. Agostino afferma che in ogni creatura si trova un vestigio della Trinità, e perché "essa è qualche cosa", e perché "è costituita da una specie", e perché "conserva un certo ordine". - A queste tre cose si riducono quei tre elementi elencati nel Libro della Sapienza: numero, peso e misura. Intatti la misura corrisponde alla sostanza delle cose delimitata dai principii delle medesime; il numero corrisponde alla specie, il peso all'ordine. - Si riducono a questo anche gli altri tre termini agostiniani, modo, specie e ordine. - Lo stesso si dica dell'altra distinzione agostiniana tra ciò che costituisce, ciò che distingue e ciò che conviene: poiché ogni cosa rimane costituita in forza della propria sostanza, viene distinta per mezzo della forma, dice convenienza mediante l'ordine. - E a queste si possono facilmente riportare tutte le altre espressioni del genere.

[30375] Iª q. 45 a. 7 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod repraesentatio vestigii attenditur secundum appropriata, per quem modum ex creaturis in Trinitatem divinarum personarum veniri potest, ut dictum est.

 

[30375] Iª q. 45 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La somiglianza caratteristica del vestigio si fonda direttamente sugli attributi appropriati, [delle diverse Persone], e in tal modo possiamo risalire alla Trinità delle Persone divine, nel modo che si è spiegato.

[30376] Iª q. 45 a. 7 ad 2
Ad secundum dicendum quod creatura est res proprie subsistens, in qua est praedicta tria invenire. Neque oportet quod in quolibet eorum quae ei insunt, haec tria inveniantur, sed secundum ea vestigium rei subsistenti attribuitur.

 

[30376] Iª q. 45 a. 7 ad 2
2. Le; creature sono realmente cose sussistenti, nelle quali si possono riscontrare le tre perfezioni che abbiamo indicato. Ma non ne segue di necessità che in ogni elemento esistente in esse, ci siano le tre cose suddette: perché proprio a causa di tali elementi si attribuisce il carattere di vestigio alle realtà sussistenti.

[30377] Iª q. 45 a. 7 ad 3
Ad tertium dicendum quod etiam processiones personarum sunt causa et ratio creationis aliquo modo, ut dictum est.

 

[30377] Iª q. 45 a. 7 ad 3
3. Anche le processioni delle Persone sono, in qualche modo, causa e norma direttiva della creazione, come si è spiegato.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Modo di derivare delle cose dal primo principio > Se nelle opere della natura e dell'arte si nasconda un atto creativo


Prima pars
Quaestio 45
Articulus 8

[30378] Iª q. 45 a. 8 arg. 1
Ad octavum sic proceditur. Videtur quod creatio admisceatur in operibus naturae et artis. In qualibet enim operatione naturae et artis producitur aliqua forma. Sed non producitur ex aliquo, cum non habeat materiam partem sui. Ergo producitur ex nihilo. Et sic in qualibet operatione naturae et artis est creatio.

 
Prima parte
Questione 45
Articolo 8

[30378] Iª q. 45 a. 8 arg. 1
SEMBRA che nelle opere della natura e dell'arte si nasconda un atto creativo. Infatti:
1. In ogni opera della natura e dell'arte viene prodotta una forma. Ma questa non può derivare da qualche altro elemento, perché non è composta di materia. L Quindi è prodotta dal nulla. Perciò ogni operazione della natura e dell'arte implica una creazione.

[30379] Iª q. 45 a. 8 arg. 2
Praeterea, effectus non est potior sua causa. Sed in rebus naturalibus non invenitur aliquid agens nisi forma accidentalis, quae est forma activa vel passiva. Non ergo per operationem naturae producitur forma substantialis. Relinquitur igitur quod sit per creationem.

 

[30379] Iª q. 45 a. 8 arg. 2
2. L'effetto non può essere maggiore della sua causa. Ora negli esseri naturali non troviamo ad agire altro che forme accidentali attive o passive.2 Dunque la forma sostanziale non deriva dalle operazioni della natura. Perciò non rimane che pensare a una creazione.

[30380] Iª q. 45 a. 8 arg. 3
Praeterea, natura facit sibi simile. Sed quaedam inveniuntur generata in natura non ab aliquo sibi simili, sicut patet in animalibus generatis per putrefactionem. Ergo eorum forma non est a natura, sed a creatione. Et eadem ratio est de aliis.

 

[30380] Iª q. 45 a. 8 arg. 3
3. La natura porta a produrre cose a sé consimili. Invece si trovano in natura degli esseri che non sono prodotti da cose consimili, come è evidente nel caso di quegli animali che nascono dalla putrefazione. Perciò la loro forma non deriva dalla natura, ma da una creazione.

[30381] Iª q. 45 a. 8 arg. 4
Praeterea, quod non creatur, non est creatura. Si igitur in his quae sunt a natura non adiungatur creatio, sequitur quod ea quae sunt a natura, non sunt creaturae. Quod est haereticum.

 

[30381] Iª q. 45 a. 8 arg. 4
4. Ciò che non viene creato non è una creatura. Se dunque in ciò che è prodotto della natura non interviene anche la creazione, ne segue che quanto la natura produce non è una creatura. Il che è eretico.

[30382] Iª q. 45 a. 8 s. c.
Sed contra est quod Augustinus, super Gen. ad Lit., distinguit opus propagationis, quod est opus naturae, ab opere creationis.

 

[30382] Iª q. 45 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino distingue dalla creazione l'opera di propagazione che è opera della natura.

[30383] Iª q. 45 a. 8 co.
Respondeo dicendum quod haec dubitatio inducitur propter formas. Quas quidam posuerunt non incipere per actionem naturae, sed prius in materia extitisse, ponentes latitationem formarum. Et hoc accidit eis ex ignorantia materiae, quia nesciebant distinguere inter potentiam et actum, quia enim formae praeexistunt in materia in potentia, posuerunt eas simpliciter praeexistere. Alii vero posuerunt formas dari vel causari ab agente separato, per modum creationis. Et secundum hoc cuilibet operationi naturae adiungitur creatio. Sed hoc accidit eis ex ignorantia formae. Non enim considerabant quod forma naturalis corporis non est subsistens, sed quo aliquid est, et ideo, cum fieri et creari non conveniat proprie nisi rei subsistenti, sicut supra dictum est, formarum non est fieri neque creari, sed concreata esse. Quod autem proprie fit ab agente naturali, est compositum, quod fit ex materia. Unde in operibus naturae non admiscetur creatio, sed praesupponitur ad operationem naturae.

 

[30383] Iª q. 45 a. 8 co.
RISPONDO: La presente questione è sorta a motivo delle forme. Le quali, secondo alcuni, non sarebbero causate dalla natura, ma esisterebbero già prima nella materia, poiché le forme vi starebbero come nascoste. - L'idea è nata in essi dal non aver avuto la nozione esatta di materia, non avendo saputo distinguere tra la potenza e l'atto: e così, poiché le forme preesistono potenzialmente nella materia, le considerarono come preesistenti senz'altro.
Altri invece ritenevano che le forme vengono date o causate per creazione da una causa trascendente. E secondo quest'opinione a ogni opera d'ella natura corrisponde un atto creativo. - L'errore loro si deve al non aver avuto la vera nozione della forma. Essi infatti non riflettevano che la forma di un corpo fisico non è una realtà sussistente, ma è solo il [costitutivo] per mezzo del quale le cose sussistono: quindi, siccome il venir prodotto o creato propriamente non appartiene che a una realtà sussistente, come si è dimostrato in precedenza, alle forme non si addice di essere prodotte o create, ma solo di essere concreate.
Quello che propriamente viene prodotto da una causa naturale è il composto, che viene formato dalla materia. Perciò nelle opere della natura non si nasconde una creazione: questa è invece presupposta alla causalità della natura.

[30384] Iª q. 45 a. 8 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod formae incipiunt esse in actu, compositis factis, non quod ipsae fiant per se, sed per accidens tantum.

 

[30384] Iª q. 45 a. 8 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le forme incominciano ad essere attuali nel momento che sono prodotti i composti, questo però non significa che esse vengono prodotte direttamente, ma solo indirettamente.

[30385] Iª q. 45 a. 8 ad 2
Ad secundum dicendum quod qualitates activae in natura agunt in virtute formarum substantialium. Et ideo agens naturale non solum producit sibi simile secundum qualitatem, sed secundum speciem.

 

[30385] Iª q. 45 a. 8 ad 2
2. Le qualità attive agiscono nella natura in virtù delle forme sostanziali. Quindi un agente naturale non solo produce una cosa che gli somiglia per le qualità, ma anche per la specie.

[30386] Iª q. 45 a. 8 ad 3
Ad tertium dicendum quod ad generationem animalium imperfectorum sufficit agens universale, quod est virtus caelestis, cui assimilantur non secundum speciem, sed secundum analogiam quandam, neque oportet dicere quod eorum formae creantur ab agente separato. Ad generationem vero animalium perfectorum non sufficit agens universale, sed requiritur agens proprium, quod est generans univocum.

 

[30386] Iª q. 45 a. 8 ad 3
3. Per la generazione degli animali imperfetti basta quella causa universale che è la virtù dei cieli, e di questi prendono una somiglianza non specifica, ma per così dire analogica: e non è affatto necessario concludere che le loro forme sono create da una causa trascendente. Ma per la generazione degli animali perfetti non basta una causa universale: si richiede una causa appropriata, la quale è un generante in senso univoco.

[30387] Iª q. 45 a. 8 ad 4
Ad quartum dicendum quod operatio naturae non est nisi ex praesuppositione principiorum creatorum, et sic ea quae per naturam fiunt, creaturae dicuntur.

 

[30387] Iª q. 45 a. 8 ad 4
4. Le operazioni della natura presuppongono sempre delle cause create: per questo, anche le cose prodotte dalla natura sono chiamate creature.

Alla Questione precedente

 

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