I, 44

Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > La causa prima di tutti gli esseri


Prima pars
Quaestio 44
Prooemium

[30282] Iª q. 44 pr.
Post considerationem divinarum personarum, considerandum restat de processione creaturarum a Deo. Erit autem haec consideratio tripartita, ut primo consideretur de productione creaturarum; secundo, de earum distinctione; tertio, de conservatione et gubernatione. Circa primum tria sunt consideranda, primo quidem, quae sit prima causa entium; secundo, de modo procedendi creaturarum a prima causa; tertio vero, de principio durationis rerum. Circa primum quaeruntur quatuor.
Primo, utrum Deus sit causa efficiens omnium entium.
Secundo, utrum materia prima sit creata a Deo, vel sit principium ex aequo coordinatum ei.
Tertio, utrum Deus sit causa exemplaris rerum, vel sint alia exemplaria praeter ipsum.
Quarto, utrum ipse sit causa finalis rerum.

 
Prima parte
Questione 44
Proemio

[30282] Iª q. 44 pr.
Dopo il trattato sulle Persone Divine, rimane da studiare la derivazione delle creature da Dio. Il nuovo trattato abbraccerà tre parti, in modo da prendere in esame: primo, la produzione delle creature; secondo, la loro varietà e molteplicità; terzo, la loro conservazione e il loro governo.
Intorno al primo argomento avremo tre questioni: quale sia la prima causa di tutti gli esseri; quale il loro modo di derivare dalla prima causa; e finalmente sull'inizio della durata delle cose.
Intorno alla prima questione si. pongono quattro quesiti:

1. Se Dio sia la causa efficiente di tutti gli esseri;
2. Se la materia prima sia stata creata da Dio, oppure sia un con-principio a lui coordinato e non subordinato;
3. Se Dio sia causa esemplare delle cose, o se invece esistano altri esemplari distinti da lui;
4. Se egli sia causa finale delle cose.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > La causa prima di tutti gli esseri > Se sia necessario che ogni essere sia stato creato da Dio


Prima pars
Quaestio 44
Articulus 1

[30283] Iª q. 44 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod non sit necessarium omne ens esse creatum a Deo. Nihil enim prohibet inveniri rem sine eo quod non est de ratione rei, sicut hominem sine albedine. Sed habitudo causati ad causam non videtur esse de ratione entium quia sine hac possunt aliqua entia intelligi. Ergo sine hac possunt esse. Ergo nihil prohibet esse aliqua entia non creata a Deo.

 
Prima parte
Questione 44
Articolo 1

[30283] Iª q. 44 a. 1 arg. 1
Sembra non sia necessario che ogni essere sia stato creato da Dio. Infatti:
1. Niente impedisce che si trovi una cosa senza un elemento che non rientra nella essenza di essa, p. es., un uomo senza bianchezza. Ora, il rapporto di causalità non rientra fra gli elementi essenziali delle cose: poiché molte di esse si possono concepire indipendentemente dalla loro causa. Quindi possono esistere senza di essa. Dunque niente impedisce che vi siano degli esseri non creati da Dio.

[30284] Iª q. 44 a. 1 arg. 2
Praeterea, ad hoc aliquid indiget causa efficiente, ut sit. Ergo quod non potest non esse, non indiget causa efficiente. Sed nullum necessarium potest non esse, quia quod necesse est esse, non potest non esse. Cum igitur multa sint necessaria in rebus, videtur quod non omnia entia sint a Deo.

 

[30284] Iª q. 44 a. 1 arg. 2
2. Una cosa ha bisogno di una causa efficiente proprio per essere. Dunque ciò che non può non essere non ha bisogno di causa efficiente. Ma nessun necessario può non essere: poiché quanto è necessario che ci sia, non può non esistere. Ma siccome tra le cose se ne trovano molte necessario, è chiaro che non tutti gli esseri vengono da Dio.

[30285] Iª q. 44 a. 1 arg. 3
Praeterea, quorumcumque est aliqua causa, in his potest fieri demonstratio per causam illam. Sed in mathematicis non fit demonstratio per causam agentem, ut per philosophum patet, in III Metaphys. Non igitur omnia entia sunt a Deo sicut a causa agente.

 

[30285] Iª q. 44 a. 1 arg. 3
3. Se alcune cose dipendono da una data causa, si devono poter fare delle dimostrazioni partendo da essa. Ora, nel campo delle entità matematiche non si possono fare dimostrazioni partendo dalla causa efficiente, come prova Aristotele. Dunque non tutte le cose derivano da Dio come da causa efficiente.

[30286] Iª q. 44 a. 1 s. c.
Sed contra est quod dicitur Rom. XI, ex ipso, et per ipsum, et in ipso sunt omnia.

 

[30286] Iª q. 44 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Dice l'Apostolo: "Da lui e per lui e in lui sono tutte le cose".

[30287] Iª q. 44 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod necesse est dicere omne quod quocumque modo est, a Deo esse. Si enim aliquid invenitur in aliquo per participationem, necesse est quod causetur in ipso ab eo cui essentialiter convenit; sicut ferrum fit ignitum ab igne. Ostensum est autem supra, cum de divina simplicitate ageretur, quod Deus est ipsum esse per se subsistens. Et iterum ostensum est quod esse subsistens non potest esse nisi unum, sicut si albedo esset subsistens, non posset esse nisi una, cum albedines multiplicentur secundum recipientia. Relinquitur ergo quod omnia alia a Deo non sint suum esse, sed participant esse. Necesse est igitur omnia quae diversificantur secundum diversam participationem essendi, ut sint perfectius vel minus perfecte, causari ab uno primo ente, quod perfectissime est. Unde et Plato dixit quod necesse est ante omnem multitudinem ponere unitatem. Et Aristoteles dicit, in II Metaphys., quod id quod est maxime ens et maxime verum, est causa omnis entis et omnis veri, sicut id quod maxime calidum est, est causa omnis caliditatis.

 

[30287] Iª q. 44 a. 1 co.
RISPONDO: È necessario affermare che ogni cosa, in qualsiasi modo esista, viene da Dio. Se infatti in un essere troviamo una data cosa [soltanto] come partecipata, necessariamente essa deve dipendere causalmente da ciò a cui conviene per essenza; come il ferro [nell'essere] infocato dipende dal fuoco. Ora, abbiamo già dimostrato, trattando della semplicità divina, che Dio è l'essere stesso per sé sussistente. E si è anche dimostrato che di esseri sussistenti ne può esistere uno solo: come se ci fosse la bianchezza sussistente non potrebbe essercene che una, poiché il fatto che ci sono molte bianchezze si deve solo alla pluralità dei soggetti che le ricevono. Rimane vero perciò che tutti gli enti distinti da Dio non sono il loro proprio essere, ma partecipano l'essere. Ed è quindi necessario che tutte le cose, le quali si differenziano secondo una diversa partecipazione dell'essere, così da risultare esistenti in modo più o meno perfetto, siano causate da un solo primo essere, il quale perfettamente è. - Per questo anche Platone disse che prima di ogni moltitudine è necessario ammettere l'unità. E Aristotele afferma che l'essere, il quale è sommamente ente e sommamente vero, è causa di ogni ente e di ogni vero: come ciò che è caldo in sommo grado, è. causa di ogni calore.

[30288] Iª q. 44 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, licet habitudo ad causam non intret definitionem entis quod est causatum, tamen sequitur ad ea qua sunt de eius ratione, quia ex hoc quod aliquid per participationem est ens, sequitur quod sit causatum ab alio. Unde huiusmodi ens non potest esse, quin sit causatum; sicut nec homo, quin sit risibile. Sed quia esse causatum non est de ratione entis simpliciter, propter hoc invenitur aliquod ens non causatum.

 

[30288] Iª q. 44 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene il rapporto con la propria causa non entri nella definizione dell'ente causato, tuttavia è intimamente connesso con ciò che forma la di lui essenza: poiché dal fatto che una cosa è ente per partecipazione segue che sia causata da altri. Cosicché un tale ente non può esistere se non è causato; come non si dà uomo che non sia risibile. - Tuttavia siccome il venir causato non è proprio nella natura dell'ente come tale, proprio per questo si trova un ente non causato.

[30289] Iª q. 44 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod ex hac ratione quidam moti fuerunt ad ponendum quod id quod est necessarium non habeat causam, ut dicitur in VIII Physic. Sed hoc manifeste falsum apparet in scientiis demonstrativis, in quibus principia necessaria sunt causae conclusionum necessariarum. Et ideo dicit Aristoteles, in V Metaphys., quod sunt quaedam necessaria quae habent causam suae necessitatis. Non ergo propter hoc solum requiritur causa agens, quia effectus potest non esse, sed quia effectus non esset, si causa non esset. Haec enim conditionalis est vera, sive antecedens et consequens sint possibilia, sive impossibilia.

 

[30289] Iª q. 44 a. 1 ad 2
2. Alcuni furono spinti da questo ragionamento ad affermare che quanto è necessario non ha causa, come riferisce Aristotele. Ma questa opinione appare chiaramente falsa nelle scienze che fanno uso della dimostrazione, poiché in tali scienze abbiamo dello premesse necessario che sono causa di conclusioni anch'esse necessarie. Perciò Aristotele dice che esistono dei necessari, i quali devono a una causa la loro necessità. Dunque la causa agente non si richiede soltanto perché l'effetto è tale che può anche non essere: ma perché l'effetto non sarebbe se non esistesse la causa. Infatti quest'ultima proposizione ipotetica è vera sia che si tratti di cose possibili, sia che si tratti di cose impossibili.

[30290] Iª q. 44 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod mathematica accipiuntur ut abstracta secundum rationem, cum tamen non sint abstracta secundum esse. Unicuique autem competit habere causam agentem, secundum quod habet esse. Licet igitur ea quae sunt mathematica habeant causam agentem, non tamen secundum habitudinem quam habent ad causam agentem, cadunt sub consideratione mathematici. Et ideo in scientiis mathematicis non demonstratur aliquid per causam agentem.

 

[30290] Iª q. 44 a. 1 ad 3
3. Le entità matematiche si prendono per cose astratte se viste nella mente umana, ma non sono astratte nella realtà. Ora, ogni cosa deve avere una causa efficiente secondo che ha l'essere. Quindi sebbene i quanti abbiano [in natura] una reale causa efficiente, tuttavia non cadono sotto la considerazione del matematico per il rapporto che hanno con la causa efficiente. Per questo motivo nelle scienze matematiche niente si dimostra in base alla causa agente.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > La causa prima di tutti gli esseri > Se la materia prima sia stata creata da Dio


Prima pars
Quaestio 44
Articulus 2

[30291] Iª q. 44 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod materia prima non sit creata a Deo. Omne enim quod fit, componitur ex subiecto et ex aliquo alio, ut dicitur in I Physic. Sed materiae primae non est aliquod subiectum. Ergo materia prima non potest esse facta a Deo.

 
Prima parte
Questione 44
Articolo 2

[30291] Iª q. 44 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la materia prima non sia stata creata da Dio. Infatti:
1. Tutto ciò che viene prodotto è composto di un sustrato [materiale] e di qualche cosa che ne è il contrapposto, come dice Aristotele. Ma non ci può essere un sustrato della materia prima. Dunque la materia prima non è stata prodotta da Dio.

[30292] Iª q. 44 a. 2 arg. 2
Praeterea, actio et passio dividuntur contra se invicem. Sed sicut primum principium activum est Deus, ita primum principium passivum est materia. Ergo Deus et materia prima sunt duo principia contra se invicem divisa, quorum neutrum est ab alio.

 

[30292] Iª q. 44 a. 2 arg. 2
2. Azione e passione sono distinte e contrapposte tra loro. Ora, come il primo principio attivo è Dio, così il primo principio passivo è la materia. Dunque Dio e la materia prima sono due principii distinti e contrapposti tra loro, dei quali l'uno non dipende dall'altro.

[30293] Iª q. 44 a. 2 arg. 3
Praeterea, omne agens agit sibi simile, et sic, cum omne agens agat inquantum est actu, sequitur quod omne factum aliquo modo sit in actu. Sed materia prima est tantum in potentia, inquantum huiusmodi. Ergo contra rationem materiae primae est, quod sit facta.

 

[30293] Iª q. 44 a. 2 arg. 3
3. Ogni causa agente produce effetti a sé somiglianti: orbene, siccome ogni agente agisce in quanto è in atto, ne segue che ogni cosa prodotta è anch'essa in atto in qualche modo. Invece la materia prima, come tale, è soltanto in potenza. Dunque l'esser prodotta è contro la stessa nozione di materia prima.

[30294] Iª q. 44 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dicit Augustinus, XII Confess., duo fecisti, domine, unum prope te, scilicet Angelum, aliud prope nihil, scilicet materiam primam.

 

[30294] Iª q. 44 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Dice S. Agostino: "Tu, o Signore, hai fatto due cose, l'una prossima a te", cioè l'angelo, "l'altra prossima al nulla", cioè la materia prima.

[30295] Iª q. 44 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod antiqui philosophi paulatim, et quasi pedetentim, intraverunt in cognitionem veritatis. A principio enim, quasi grossiores existentes, non existimabant esse entia nisi corpora sensibilia. Quorum qui ponebant in eis motum, non considerabant motum nisi secundum aliqua accidentia, ut puta secundum raritatem et densitatem, congregationem et segregationem. Et supponentes ipsam substantiam corporum increatam, assignabant aliquas causas huiusmodi accidentalium transmutationum, ut puta amicitiam, litem, intellectum, aut aliquid huiusmodi. Ulterius vero procedentes, distinxerunt per intellectum inter formam substantialem et materiam, quam ponebant increatam; et perceperunt transmutationem fieri in corporibus secundum formas essentiales. Quarum transmutationum quasdam causas universaliores ponebant, ut obliquum circulum, secundum Aristotelem, vel ideas, secundum Platonem. Sed considerandum est quod materia per formam contrahitur ad determinatam speciem; sicut substantia alicuius speciei per accidens ei adveniens contrahitur ad determinatum modum essendi, ut homo contrahitur per album. Utrique igitur consideraverunt ens particulari quadam consideratione, vel inquantum est hoc ens, vel inquantum est tale ens. Et sic rebus causas agentes particulares assignaverunt. Et ulterius aliqui erexerunt se ad considerandum ens inquantum est ens, et consideraverunt causam rerum, non solum secundum quod sunt haec vel talia, sed secundum quod sunt entia. Hoc igitur quod est causa rerum inquantum sunt entia, oportet esse causam rerum, non solum secundum quod sunt talia per formas accidentales, nec secundum quod sunt haec per formas substantiales, sed etiam secundum omne illud quod pertinet ad esse illorum quocumque modo. Et sic oportet ponere etiam materiam primam creatam ab universali causa entium.

 

[30295] Iª q. 44 a. 2 co.
RISPONDO: Gli antichi filosofi s'inoltrarono nel conoscimento della verità un po' per volta, e quasi passo per passo. Da principio infatti, essendo per così dire piuttosto grossolani, credevano che non esistessero altro che corpi sensibili. E quelli tra loro che accettavano il moto non lo consideravano se non sotto certi aspetti accidentali, come sarebbe la rarefazione e la condensazione, la fusione e la dissociazione. E, supponendo che la sostanza stessa dei corpi fosse increata, si limitarono a stabilire delle cause per cedeste trasformazioni accidentali, quali l'amicizia, la lite, l'intelligenza o altre cose del genere.
Procedendo oltre, i filosofi distinsero razionalmente la forma sostanziale dalla materia, che ritenevano increata; e capirono die nei corpi avvengono delle trasmutazioni di forme sostanziali. Di queste trasformazioni si stabilivano poi delle cause universali, cioè il circolo obliquo per Aristotele, e le idee per Platone.
Ma si osservi che la materia viene coartata dalla forma a una determinata specie; come pure la sostanza di una data specie viene ristretta a un determinato modo di essere dagli accidenti che ad essa si aggiungono, come il sostantivo uomo viene ristretto dall'aggettivo bianco. Gli uni e gli altri perciò considerarono l'ente sotto un aspetto particolare, o in quanto [specificamente] è questo ente, o in quanto è tale ente [determinato dai suoi accidenti]. Quindi essi assegnarono alle cose soltanto delle cause efficienti particolari.
Altri finalmente si spinsero a considerare l'ente in quanto ente: e ricercarono la causa delle cose non solo in quanto esse sono queste o sono tali, ma in quanto sono enti. Ora, la causa delle cose in quanto enti deve causarle non solo rendendole tali con i loro accidenti, o queste con le loro forme sostanziali, ma causarle in tutto ciò che in qualsiasi maniera appartiene alla loro concreta esistenza.
Quindi è necessario ammettere che anche la materia prima è stata creata dalla causa universale dell'essere.

[30296] Iª q. 44 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod philosophus in I Physic. loquitur de fieri particulari, quod est de forma in formam, sive accidentalem sive substantialem nunc autem loquimur de rebus secundum emanationem earum ab universali principio essendi. A qua quidem emanatione nec materia excluditur, licet a primo modo factionis excludatur.

 

[30296] Iª q. 44 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il Filosofo parla della produzione particolare che consiste nel succedersi di una forma ad un'altra, sia accidentale che sostanziale: qui invece si parla delle cose in quanto derivano dall'universale principio dell'essere. Dalla quale derivazione neppure la materia è esclusa, sebbene sia esente da quell’altra maniera di produzione.

[30297] Iª q. 44 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod passio est effectus actionis. Unde et rationabile est quod primum principium passivum sit effectus primi principii activi, nam omne imperfectum causatur a perfecto. Oportet enim primum principium esse perfectissimum, ut dicit Aristoteles, in XII Metaphys.

 

[30297] Iª q. 44 a. 2 ad 2
2. La passione è effetto dell'azione. Cosicché è ragionevole che il primo principio passivo sia un effetto del primo principio attivo: poiché ogni entità imperfetta viene causata da ciò che è perfetto. È infatti necessario che il primo principio sia perfettissimo, come dice Aristotele.

[30298] Iª q. 44 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod ratio illa non ostendit quod materia non sit creata, sed quod non sit creata sine forma. Licet enim omne creatum sit in actu, non tamen est actus purus. Unde oportet quod etiam illud quod se habet ex parte potentiae, sit creatum, si totum quod ad esse ipsius pertinet, creatum est.

 

[30298] Iª q. 44 a. 2 ad 3
3. Quell'argomento dimostra non che la materia non sia stata creata, ma che non è stata creata senza una forma. Sebbene infatti ogni essere creato sia in atto, non è tuttavia pura attualità. Perciò se tutto quello che appartiene al suo essere è creato, è necessario che sia creato anche quanto in esso vi ha di potenziale.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > La causa prima di tutti gli esseri > Se la causa esemplare sia qualche cosa di diverso da Dio


Prima pars
Quaestio 44
Articulus 3

[30299] Iª q. 44 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod causa exemplaris sit aliquid praeter Deum. Exemplatum enim habet similitudinem exemplaris. Sed creaturae longe sunt a divina similitudine. Non ergo Deus est causa exemplaris earum.

 
Prima parte
Questione 44
Articolo 3

[30299] Iª q. 44 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la causa esemplare [delle cose] sia qualche cosa di diverso da Dio. Infatti:
1. L'imitazione conserva la somiglianza con l'esemplare. Le creature invece sono assai distanti dalla somiglianza divina. Dunque Dio non è la loro causa esemplare.

[30300] Iª q. 44 a. 3 arg. 2
Praeterea, omne quod est per participationem, reducitur ad aliquid per se existens, ut ignitum ad ignem, sicut iam dictum est. Sed quaecumque sunt in sensibilibus rebus, sunt solum per participationem alicuius speciei, quod ex hoc patet, quod in nullo sensibilium invenitur solum id quod ad rationem speciei pertinet, sed adiunguntur principiis speciei principia individuantia. Oportet ergo ponere ipsas species per se existentes, ut per se hominem, et per se equum, et huiusmodi. Et haec dicuntur exemplaria. Sunt igitur exemplaria res quaedam extra Deum.

 

[30300] Iª q. 44 a. 3 arg. 2
2. Tutto ciò che è per partecipazione si ricollega a qualche cosa che è per essenza, p. es., ciò che è infocato al fuoco, come si è già detto. Ora, quanto si trova nella realtà sensibile, è per partecipazione di qualche specie: come dimostra il fatto che in nessuna cosa sensibile ciò che forma il costitutivo della specie si trova isolatamente, ma agli elementi specifici sono sempre uniti quelli individuali. È dunque necessario ammettere delle specie come esistenti per se stesse, p. es., l'uomo in se stesso, il cavallo in se stesso, e simili. E queste specie si chiameranno gli esemplari. Dunque gli esemplari sono cose fuori di Dio.

[30301] Iª q. 44 a. 3 arg. 3
Praeterea, scientiae et definitiones sunt de ipsis speciebus, non secundum quod sunt in particularibus, quia particularium non est scientia nec definitio. Ergo sunt quaedam entia, quae sunt entia vel species non in singularibus. Et haec dicuntur exemplaria. Ergo idem quod prius.

 

[30301] Iª q. 44 a. 3 arg. 3
3. Le scienze e le definizioni mirano direttamente alle specie, non già al loro modo di essere nei singoli individui; perché dei singolari non si dà né scienza né definizione. Dunque ci sono degli enti che sono enti e specie senza trovarsi nei singoli individui. E questi si chiamano gli esemplari. Siamo perciò alla conclusione di sopra.

[30302] Iª q. 44 a. 3 arg. 4
Praeterea, hoc idem videtur per Dionysium, qui dicit, V cap. de Div. Nom., quod ipsum secundum se esse, prius est eo quod est per se vitam esse, et eo quod est per se sapientiam esse.

 

[30302] Iª q. 44 a. 3 arg. 4
4. Lo stesso si conclude dalle parole di Dionigi che afferma: "Ciò che è essere in sé, precede ciò che è vita in sé, e ciò che è sapienza in sé".

[30303] Iª q. 44 a. 3 s. c.
Sed contra est quod exemplar est idem quod idea. Sed ideae, secundum quod Augustinus libro octoginta trium quaest. dicit, sunt formae principales, quae divina intelligentia continentur. Ergo exemplaria rerum non sunt extra Deum.

 

[30303] Iª q. 44 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: L'esemplare s'identifica con l'idea. Ma le idee, al dire di S. Agostino, "sono forme che hanno ragione di principio, contenute dalla intelligenza divina". Dunque gli esemplari delle cose non sono fuori di Dio.

[30304] Iª q. 44 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod Deus est prima causa exemplaris omnium rerum. Ad cuius evidentiam, considerandum est quod ad productionem alicuius rei ideo necessarium est exemplar, ut effectus determinatam formam consequatur, artifex enim producit determinatam formam in materia, propter exemplar ad quod inspicit, sive illud sit exemplar ad quod extra intuetur, sive sit exemplar interius mente conceptum. Manifestum est autem quod ea quae naturaliter fiunt, determinatas formas consequuntur. Haec autem formarum determinatio oportet quod reducatur, sicut in primum principium, in divinam sapientiam, quae ordinem universi excogitavit, qui in rerum distinctione consistit. Et ideo oportet dicere quod in divina sapientia sunt rationes omnium rerum, quas supra diximus ideas, id est formas exemplares in mente divina existentes. Quae quidem licet multiplicentur secundum respectum ad res, tamen non sunt realiter aliud a divina essentia, prout eius similitudo a diversis participari potest diversimode. Sic igitur ipse Deus est primum exemplar omnium. Possunt etiam in rebus creatis quaedam aliorum exemplaria dici, secundum quod quaedam sunt ad similitudinem aliorum, vel secundum eandem speciem, vel secundum analogiam alicuius imitationis.

 

[30304] Iª q. 44 a. 3 co.
RISPONDO: Dio è causa esemplare di tutte le cose. E si dimostra osservando che l'esemplare è necessario alla produzione di una cosa, perché l'effetto raggiunga una forma determinata: infatti l'artefice produce una data forma nella materia in base all'esemplare al quale s'ispira, sia esso un modello a cui guarda dall'esterno, o un esemplare concepito internamente dall'intelligenza. Ora, è chiaro che le cose prodotte dalla natura ricevono delle forme determinate. E questa determinazione di forme è necessario riportarla, come a prima causa, alla sapienza divina, la quale ha fissato l'ordine dell'universo, che consiste nella varietà delle cose. Perciò è necessario affermare che nella divina sapienza si trovano le essenze di tutte le cose: le quali sopra abbiamo chiamato idee, cioè forme esemplari esistenti nella mente di Dio. E sebbene esse siano molteplici relativamente alle cose, tuttavia non sono in realtà distinte dall'essenza divina, in quanto la somiglianza di questa può essere da più cose diversamente partecipata. Così dunque Dio stesso è la causa esemplare di tutte le cose. - Anche tra gli esseri creati però alcuni possono dirsi esemplari o modelli di altri, in quanto certe cose somigliano a certe altre, o secondo una medesima specie, ovvero per un'analogia di imitazione.

[30305] Iª q. 44 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, licet creaturae non pertingant ad hoc quod sint similes Deo secundum suam naturam, similitudine speciei, ut homo genitus homini generanti; attingunt tamen ad eius similitudinem secundum repraesentationem rationis intellectae a Deo, ut domus quae est in materia, domui quae est in mente artificis.

 

[30305] Iª q. 44 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene le creature non arrivino secondo la loro essenza a essere simili a Dio con una somiglianza specifica, come l'uomo generato a chi lo genera, tuttavia ne raggiungono la somiglianza mediante la riproduzione dell'idea che Dio ne ha; come un edificio materiale somiglia a quello che si trova nella mente dell'architetto.

[30306] Iª q. 44 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod de ratione hominis est quod sit in materia, et sic non potest inveniri homo sine materia. Licet igitur hic homo sit per participationem speciei, non tamen potest reduci ad aliquid existens per se in eadem specie; sed ad speciem superexcedentem, sicut sunt substantiae separatae. Et eadem ratio est de aliis sensibilibus.

 

[30306] Iª q. 44 a. 3 ad 2
2. E nel concetto stesso di uomo l'esistere col corpo; perciò non ci può essere un uomo senza materia. Quindi sebbene quest'uomo individuo esista per una partecipazione della specie [umana], tuttavia non può riportarsi a qualche cosa che sia capace di esistere per se stesso nell'ambito della specie; ma va riportato a una specie trascendente del genere delle sostanze separate. E lo stesso ragionamento vale per gli altri esseri sensibili.

[30307] Iª q. 44 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod, licet quaelibet scientia et definitio sit solum entium, non tamen oportet quod res eundem modum habeant in essendo, quem intellectus habet in intelligendo. Nos enim, per virtutem intellectus agentis, abstrahimus species universales a particularibus conditionibus, non tamen oportet quod universalia praeter particularia subsistant, ut particularium exemplaria.

 

[30307] Iª q. 44 a. 3 ad 3
3. Sebbene la scienza e la definizione abbiano per oggetto la realtà, non è affatto necessario che le cose abbiano nella realtà lo stesso modo di essere che hanno nell’intelligenza. Infatti per mezzo dell'intelletto agente si astraggono le specie universali dalle condizioni individuali; ma non è affatto necessario che esistano degli universali separati dai singolari, come cause esemplari di questi.

[30308] Iª q. 44 a. 3 ad 4
Ad quartum dicendum quod, sicut dicit Dionysius, XI cap. de Div. Nom., per se vitam et per se sapientiam quandoque nominat ipsum Deum, quandoque virtutes ipsis rebus datas, non autem quasdam subsistentes res, sicut antiqui posuerunt.

 

[30308] Iª q. 44 a. 3 ad 4
4. Come spiega anche Dionigi, le espressioni "la vita in se stessa" e "la sapienza in se stessa" talora indicano Dio medesimo, altre volte le perfezioni che anche le cose partecipano: però non indicano mai realtà sussistenti, come le concepivano alcuni antichi filosofi.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > La causa prima di tutti gli esseri > Se Dio sia causa finale di tutte le cose


Prima pars
Quaestio 44
Articulus 4

[30309] Iª q. 44 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod Deus non sit causa finalis omnium. Agere enim propter finem videtur esse alicuius indigentis fine. Sed Deus nullo est indigens. Ergo non competit sibi agere propter finem.

 
Prima parte
Questione 44
Articolo 4

[30309] Iª q. 44 a. 4 arg. 1
SEMBRA che Dio non sia causa finale di tutte le cose. Infatti:
1. Agire per un fine è proprio di un essere che necessita del fine. Ma Dio di niente ha bisogno. Dunque a lui non si addice operare per un fine.

[30310] Iª q. 44 a. 4 arg. 2
Praeterea, finis generationis et forma generati et agens non incidunt in idem numero, ut dicitur in II Physic., quia finis generationis est forma generati. Sed Deus est primum agens omnium. Non ergo est causa finalis omnium.

 

[30310] Iª q. 44 a. 4 arg. 2
2. Il fine di una produzione e la forma di ciò che viene prodotto non s'identificano numericamente con la causa agente, come dice Aristotele: poiché fine nella produzione di un essere è la [sola] forma della cosa prodotta. Ora, Dio è la prima causa efficiente di tutte le cose. Dunque egli non può essere il fine delle medesime.

[30311] Iª q. 44 a. 4 arg. 3
Praeterea, finem omnia appetunt. Sed Deum non omnia appetunt, quia neque omnia ipsum cognoscunt. Deus ergo non est omnium finis.

 

[30311] Iª q. 44 a. 4 arg. 3
3. Tutte le cose appetiscono il fine. Non tutte invece appetiscono Dio: perché molte neppure lo conoscono. Dunque Dio non è il fine di tutte le cose.

[30312] Iª q. 44 a. 4 arg. 4
Praeterea, finalis causa est prima causarum. Si igitur Deus sit causa agens et causa finalis, sequitur quod in eo sit prius et posterius. Quod est impossibile.

 

[30312] Iª q. 44 a. 4 arg. 4
4. La causa finale è la prima tra le cause. Se dunque Dio è causa efficiente e insieme causa finale, ne segue che in lui vi è un prima e un dopo. Il che è assurdo.

[30313] Iª q. 44 a. 4 s. c.
Sed contra est quod dicitur Prov. XVI, universa propter semetipsum operatus est dominus.

 

[30313] Iª q. 44 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Dice la sacra Scrittura: "Tutte le cose il Signore ha operato per se stesso".

[30314] Iª q. 44 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod omne agens agit propter finem, alioquin ex actione agentis non magis sequeretur hoc quam illud, nisi a casu. Est autem idem finis agentis et patientis, inquantum huiusmodi, sed aliter et aliter, unum enim et idem est quod agens intendit imprimere, et quod patiens intendit recipere. Sunt autem quaedam quae simul agunt et patiuntur, quae sunt agentia imperfecta, et his convenit quod etiam in agendo intendant aliquid acquirere. Sed primo agenti, qui est agens tantum, non convenit agere propter acquisitionem alicuius finis; sed intendit solum communicare suam perfectionem, quae est eius bonitas. Et unaquaeque creatura intendit consequi suam perfectionem, quae est similitudo perfectionis et bonitatis divinae. Sic ergo divina bonitas est finis rerum omnium.

 

[30314] Iª q. 44 a. 4 co.
RISPONDO: Ogni agente agisce per un fine: altrimenti dall'operazione non potrebbe risultare un effetto piuttosto che un altro, se non per caso. Ora, l'operante e il soggetto paziente come tale hanno l'identico fine, ma sotto aspetti diversi: infatti ciò che l'agente mira ad imprimere e quello che il paziente è disposto a ricevere è una sola e identica cosa. Ma ci sono degli esseri che nell'imprimere attivamente la propria azione ne ricevono anche [un perfezionamento], e tali sono gli agenti imperfetti: è naturale quindi che essi nell'agire mirino ad acquistare qualche cosa. Ma al primo agente, cioè a Dio, che è pura attualità, non si può attribuire l'operazione fatta per giungere al possesso di un fine; egli invece mira soltanto a comunicare la propria perfezione, che è la sua stessa bontà. E ogni creatura tende a raggiungere la propria perfezione, che è una somiglianza della perfezione e della bontà divina. In tal modo dunque la divina bontà è causa finale di tutte le cose.

[30315] Iª q. 44 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod agere propter indigentiam non est nisi agentis imperfecti, quod natum est agere et pati. Sed hoc Deo non competit. Et ideo ipse solus est maxime liberalis, quia non agit propter suam utilitatem, sed solum propter suam bonitatem.

 

[30315] Iª q. 44 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Agire per indigenza non si addice che a un agente imperfetto, il quale è portato a porre attivamente il proprio atto e a subirlo [come un perfezionamento di se stesso], Ma tutto ciò in Dio va escluso. Per conseguenza egli soltanto è sommamente liberale: poiché non agisce per propria utilità, ma solo per la sua bontà.

[30316] Iª q. 44 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod forma generati non est finis generationis nisi inquantum est similitudo formae generantis, quod suam similitudinem communicare intendit. Alioquin forma generati esset nobilior generante, cum finis sit nobilior his quae sunt ad finem.

 

[30316] Iª q. 44 a. 4 ad 2
2. La [nuova] forma dell'essere prodotto può dirsi fine della produzione, solo perché consiste in una imitazione della forma della causa agente, la quale appunto tende a comunicare la propria rassomiglianza. Altrimenti la forma dell'essere generato sarebbe più nobile del generante, essendo il fine cosa più nobile di quanto dispone al fine stesso.

[30317] Iª q. 44 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod omnia appetunt Deum ut finem, appetendo quodcumque bonum, sive appetitu intelligibili, sive sensibili, sive naturali, qui est sine cognitione, quia nihil habet rationem boni et appetibilis, nisi secundum quod participat Dei similitudinem.

 

[30317] Iª q. 44 a. 4 ad 3
3. Tutte le cose desiderano Dio come loro fine, nell'atto che desiderano qualsiasi bene o con l'appetito intellettivo o col sensitivo o con quello naturale che non è conoscitivo: perché niente riveste il carattere di bene e di desiderabile, se non in quanto partecipa una somiglianza di Dio.

[30318] Iª q. 44 a. 4 ad 4
Ad quartum dicendum quod, cum Deus sit causa efficiens, exemplaris et finalis omnium rerum, et materia prima sit ab ipso, sequitur quod primum principium omnium rerum sit unum tantum secundum rem. Nihil tamen prohibet in eo considerari multa secundum rationem, quorum quaedam prius cadunt in intellectu nostro quam alia.

 

[30318] Iª q. 44 a. 4 ad 4
4. Essendo Dio causa efficiente, esemplare e finale di tutte le cose, e derivando da lui anche la materia prima, ne segue che in realtà un identico essere sia causa prima di tutte le cose. Niente però impedisce che in lui si possano riscontrare, per una distinzione di ragione, più cose, alcune delle quali si presentano alla nostra intelligenza come anteriori alle altre.

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