I, 32

Parte prima > Trattato sulla Trinità delle Persone > La nostra conoscenza delle Persone divine


Prima pars
Quaestio 32
Prooemium

[29771] Iª q. 32 pr.
Consequenter inquirendum est de cognitione divinarum personarum. Et circa hoc quaeruntur quatuor.
Primo, utrum per rationem naturalem possint cognosci divinae personae.
Secundo, utrum sint aliquae notiones divinis personis attribuendae.
Tertio, de numero notionum.
Quarto, utrum liceat diversimode circa notiones opinari.

 
Prima parte
Questione 32
Proemio

[29771] Iª q. 32 pr.
Logicamente passiamo ora a trattare della cognizione che possiamo avere delle divine Persone. E a questo riguardo si pongono quattro quesiti:
1. Se con la ragione naturale si possano conoscere le Persone divine;
2. Se si debbano attribuire alle Persone divine delle nozioni;
3. Sul numero di queste nozioni;
4. Se circa le nozioni si possano avere opinioni differenti.




Parte prima > Trattato sulla Trinità delle Persone > La nostra conoscenza delle Persone divine > Se la Trinità delle divine Persone si possa conoscere con la sola ragione naturale


Prima pars
Quaestio 32
Articulus 1

[29772] Iª q. 32 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod Trinitas divinarum personarum possit per naturalem rationem cognosci. Philosophi enim non devenerunt in Dei cognitionem nisi per rationem naturalem, inveniuntur autem a philosophis multa dicta de Trinitate personarum. Dicit enim Aristoteles, in I de caelo et mundo, per hunc numerum, scilicet ternarium, adhibuimus nos ipsos magnificare Deum unum, eminentem proprietatibus eorum quae sunt creata. Augustinus etiam dicit, VII Confes., ibi legi, scilicet in libris Platonicorum, non quidem his verbis, sed hoc idem omnino, multis et multiplicibus suaderi rationibus, quod in principio erat verbum, et verbum erat apud Deum, et Deus erat verbum, et huiusmodi quae ibi sequuntur, in quibus verbis distinctio divinarum personarum traditur. Dicitur etiam in Glossa Rom. I, et Exod. VIII, quod magi Pharaonis defecerunt in tertio signo, idest in notitia tertiae personae, scilicet spiritus sancti, et sic ad minus duas cognoverunt. Trismegistus etiam dixit, monas genuit monadem, et in se suum reflexit ardorem, per quod videtur generatio filii, et spiritus sancti processio intimari. Cognitio ergo divinarum personarum potest per rationem naturalem haberi.

 
Prima parte
Questione 32
Articolo 1

[29772] Iª q. 32 a. 1 arg. 1
SEMBRA che con la sola ragione naturale si possa conoscere la Trinità delle Persone divine. Infatti:
1. I filosofi non giunsero alla cognizione di Dio che con la sola ragione naturale: ora, risulta che essi hanno detto molte cose sulla Trinità delle Persone. Infatti Aristotele afferma: "Con questo numero", cioè col tre, "ci industriamo di magnificare il Dio uno, superiore a tutte le perfezioni delle cose create". - E S. Agostino riferisce: "Ed io lessi costà", cioè nei libri dei Platonici, "non con le stesse parole, ma in sostanza le stesse cose, convalidate da molte e diverse ragioni, che in principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio", e altre simili cose egli seguita a narrare: e con tali parole si indica esattamente la pluralità delle Persone divine. - Anche la Glossa (spiegando il fatto) che i maghi del faraone fallirono al terzo segno (aggiunge): cioè mancarono della cognizione della terza Persona, ossia dello Spirito Santo; dunque ne conobbero almeno due. - Anche Trismegisto disse: "la monade generò la monade e riflettè in se stessa il suo calore": con le quali parole si viene a indicare la generazione del Figlio e la processione dello Spirito Santo. Dunque con la sola ragione si possono conoscere le Persone divine.

[29773] Iª q. 32 a. 1 arg. 2
Praeterea, Ricardus de sancto Victore dicit, in libro de Trin., credo sine dubio quod ad quamcumque explanationem veritatis, non modo probabilia, imo etiam necessaria argumenta non desint. Unde etiam ad probandum Trinitatem personarum, aliqui induxerunt rationem ex infinitate bonitatis divinae, quae seipsam infinite communicat in processione divinarum personarum. Quidam vero per hoc, quod nullius boni sine consortio potest esse iucunda possessio. Augustinus vero procedit ad manifestandum Trinitatem personarum, ex processione verbi et amoris in mente nostra, quam viam supra secuti sumus. Ergo per rationem naturalem potest cognosci Trinitas personarum.

 

[29773] Iª q. 32 a. 1 arg. 2
2. Afferma Riccardo di S. Vittore: "Ritengo per indubitato che qualsiasi verità si possa provare non solo con argomenti probabili ma anche con ragioni apodittiche". Per tale motivo alcuni vollero provare anche la Trinità delle Persone appellandosi all'infinita bontà di Dio che (soltanto) nella processione delle Persone divine si comunica in modo infinito. Altri invece riuscirono a provarla rifacendosi al principio che "senza la compagnia di altri non può essere veramente giocondo il possesso di un bene qualsiasi". Ed anche S. Agostino spiega la Trinità delle Persone con la processione del verbo e dell'amore nella nostra anima: ed è la via che anche noi abbiamo seguito. Perciò la Trinità delle Persone si può conoscere con la sola ragione naturale.

[29774] Iª q. 32 a. 1 arg. 3
Praeterea, superfluum videtur homini tradere quod humana ratione cognosci non potest. Sed non est dicendum quod traditio divina de cognitione Trinitatis sit superflua. Ergo Trinitas personarum ratione humana cognosci potest.

 

[29774] Iª q. 32 a. 1 arg. 3
3. Sarebbe inutile rivelare all'uomo quello che non si può conoscere con la ragione umana. Ma non si può dire che la divina rivelazione del mistero della Trinità sia inutile. Dunque la Trinità delle Persone divine può essere conosciuta dalla ragione umana.

[29775] Iª q. 32 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Hilarius dicit, in libro II de Trin., non putet homo sua intelligentia generationis sacramentum posse consequi. Ambrosius etiam dicit, impossibile est generationis scire secretum, mens deficit, vox silet. Sed per originem generationis et processionis distinguitur Trinitas in personis divinis, ut ex supra dictis patet. Cum ergo illud homo non possit scire et intelligentia consequi, ad quod ratio necessaria haberi non potest, sequitur quod Trinitas personarum per rationem cognosci non possit.

 

[29775] Iª q. 32 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Dice S. Ilario: "Non pensi l'uomo di poter penetrare con la sua intelligenza il mistero della (eterna) generazione". E S. Ambrogio: "È impossibile capire il mistero della generazione (divina): la mente vien meno, la voce tace". Ma, come abbiamo dimostrato, è appunto dall'origine per generazione e processione che si distinguono le Persone divine. Perciò si conclude che la Trinità delle Persone non si può conoscere con la ragione, dal momento che l'uomo non è in grado di conoscere e di raggiungere con la sua intelligenza se non ciò che offre la possibilità di una dimostrazione apodittica.

[29776] Iª q. 32 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod impossibile est per rationem naturalem ad cognitionem Trinitatis divinarum personarum pervenire. Ostensum est enim supra quod homo per rationem naturalem in cognitionem Dei pervenire non potest nisi ex creaturis. Creaturae autem ducunt in Dei cognitionem, sicut effectus in causam. Hoc igitur solum ratione naturali de Deo cognosci potest, quod competere ei necesse est secundum quod est omnium entium principium, et hoc fundamento usi sumus supra in consideratione Dei. Virtus autem creativa Dei est communis toti Trinitati, unde pertinet ad unitatem essentiae, non ad distinctionem personarum. Per rationem igitur naturalem cognosci possunt de Deo ea quae pertinent ad unitatem essentiae, non autem ea quae pertinent ad distinctionem personarum. Qui autem probare nititur Trinitatem personarum naturali ratione, fidei dupliciter derogat. Primo quidem, quantum ad dignitatem ipsius fidei, quae est ut sit de rebus invisibilibus, quae rationem humanam excedunt. Unde apostolus dicit, ad Heb. XI, quod fides est de non apparentibus. Et apostolus dicit, I Cor. II, sapientiam loquimur inter perfectos, sapientiam vero non huius saeculi, neque principum huius saeculi; sed loquimur Dei sapientiam in mysterio, quae abscondita est. Secundo, quantum ad utilitatem trahendi alios ad fidem. Cum enim aliquis ad probandam fidem inducit rationes quae non sunt cogentes, cedit in irrisionem infidelium, credunt enim quod huiusmodi rationibus innitamur, et propter eas credamus. Quae igitur fidei sunt, non sunt tentanda probare nisi per auctoritates, his qui auctoritates suscipiunt. Apud alios vero, sufficit defendere non esse impossibile quod praedicat fides. Unde Dionysius dicit, II cap. de Div. Nom., si aliquis est qui totaliter eloquiis resistit, longe erit a nostra philosophia; si autem ad veritatem eloquiorum, scilicet sacrorum, respicit, hoc et nos canone utimur.

 

[29776] Iª q. 32 a. 1 co.
RISPONDO: È impossibile giungere alla cognizione della Trinità delle Persone divine con la sola ragione naturale. Si è infatti dimostrato più sopra che l'uomo con la sola ragione non può giungere alla cognizione di Dio, se non per mezzo delle creature. Ora, queste conducono a Dio come gli effetti alle loro cause. Quindi con la ragione naturale si può conoscere di Dio soltanto quei dati che necessariamente conseguono dall'essere egli principio di tutte le cose; e su questo criterio ci siamo basati nel trattato su Dio. Ora, la virtù creatrice è comune a tutta la Trinità: quindi appartiene all'unità dell'essenza e non alla pluralità delle Persone. Perciò con la ragione naturale si può conoscere solo quanto fa parte dell'essenza e non ciò che appartiene alla pluralità delle Persone.
Quelli poi, che tentano di dimostrare la Trinità delle Persone con la ragione naturale, compromettono la fede in due modi. Primo, ne compromettono la dignità, poiché la fede ha per oggetto cose affatto invisibili, che superano la capacità della ragione umana. L'Apostolo infatti afferma che "la fede è di cose che non si vedono". E altrove: "Di sapienza parliamo sì tra uomini perfetti, ma è sapienza non di questo secolo, né dei principi di questo secolo; parliamo della sapienza di Dio in mistero, la sapienza nascosta". - Secondo, ne compromettono l'efficacia nell'attirare altri alla fede. Infatti, se per indurre a credere si portano delle ragioni che non sono cogenti, ci si espone alla derisione di coloro che non credono: poiché costoro penseranno che noi ci appoggiamo su tali argomenti per credere.
Per tale motivo tutto ciò che è di fede si deve provare soltanto con i testi (della Scrittura) per coloro che la riconoscono. Per gli altri basta difendere la non assurdità di quello che la fede insegna. Perciò Dionigi ammonisce: "Se qualcuno non cede all'autorità della parola di Dio, è del tutto estraneo e lontano dalla nostra filosofia. Se invece ammette la verità della parola", cioè di quella divina, "è con noi, giacché noi pure ci serviamo di tale regola".

[29777] Iª q. 32 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod philosophi non cognoverunt mysterium Trinitatis divinarum personarum per propria, quae sunt paternitas, filiatio et processio; secundum illud apostoli, I ad Cor. II, loquimur Dei sapientiam, quam nemo principum huius saeculi cognovit, idest philosophorum, secundum Glossam. Cognoverunt tamen quaedam essentialia attributa quae appropriantur personis, sicut potentia patri, sapientia filio, bonitas spiritui sancto, ut infra patebit. Quod ergo Aristoteles dicit, per hunc numerum adhibuimus nos ipsos etc., non est sic intelligendum, quod ipse poneret ternarium numerum in divinis, sed vult dicere quod antiqui utebantur ternario numero in sacrificiis et orationibus, propter quandam ternarii numeri perfectionem. In libris etiam Platonicorum invenitur in principio erat verum, non secundum quod verbum significat personam genitam in divinis, sed secundum quod per verbum intelligitur ratio idealis, per quam Deus omnia condidit, quae filio appropriatur. Et licet appropriata tribus personis cognoscerent, dicuntur tamen in tertio signo defecisse, idest in cognitione tertiae personae, quia a bonitate, quae spiritui sancto appropriatur, deviaverunt, dum cognoscentes Deum, non sicut Deum glorificaverunt, ut dicitur Rom. I. Vel, quia ponebant Platonici unum primum ens, quod etiam dicebant esse patrem totius universitatis rerum, consequenter ponebant aliam substantiam sub eo, quam vocabant mentem vel paternum intellectum, in qua erant rationes omnium rerum, sicut Macrobius recitat super somnium Scipionis, non autem ponebant aliquam substantiam tertiam separatam, quae videretur spiritui sancto respondere. Sic autem nos non ponimus patrem et filium, secundum substantiam differentes, sed hoc fuit error Origenis et Arii. Sequentium in hoc Platonicos. Quod vero Trismegistus dixit, monas monadem genuit, et in se suum reflexit ardorem, non est referendum ad generationem filii vel processionem spiritus sancti, sed ad productionem mundi, nam unus Deus produxit unum mundum propter sui ipsius amorem.

 

[29777] Iª q. 32 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. I filosofi non conobbero il mistero della Trinità delle divine Persone per quello che ad esse è proprio, cioè la paternità, la filiazione e la processione; secondo le parole dell'Apostolo: "Parliamo di sapienza divina, che nessuno dei principi di questo secolo ha conosciuto", cioè nessuno dei filosofi, come spiega la Glossa. Conobbero tuttavia alcuni attributi essenziali che si appropriano alle varie persone, come la potenza, la sapienza e la bontà che si appropriano (rispettivamente) al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. - Perciò l'espressione di Aristotele, "ci industriamo di magnificare Dio con quel numero..." non si deve intendere nel senso che egli ponesse il numero tre in Dio; ma vuole soltanto dire che gli antichi usavano il tre nei sacrifici e nelle preghiere, per una certa sua perfezione. - Nei libri dei Platonici poi l'espressione, "In principio era il verbo", non sta a indicare il verbo che in Dio è persona generata: ma soltanto il verbo che è idea astratta (e archetipa della realtà), secondo la quale tutte le cose furono fatte, e che si attribuisce per appropriazione al Figlio. - Ma per quanto (i filosofi) abbiano conosciuto gli attributi appropriati alle tre persone, si dice che fallirono al terzo segno, cioè nella cognizione della terza Persona, perché deviarono dalla bontà che viene appropriata allo Spirito Santo, mentre, come dice S. Paolo, pur avendo conosciuto Dio, "non lo glorificarono come Dio". Oppure perché i Platonici ammettevano un primo essere, che chiamavano padre di tutto l'universo, e dopo di lui un'altra sostanza a lui soggetta, che chiamavano mente o intelletto del padre, nella quale c'erano le idee di tutte le cose, come racconta Macrobio: e invece non parlavano affatto di una terza sostanza distinta che potesse in certo qual modo corrispondere allo Spirito Santo. Ora noi non ammettiamo che il Padre e il Figlio differiscano in tal modo per natura: ma questo fu l'errore di Origene e di Ario, che in ciò si lasciarono guidare dai Platonici. - Quanto poi all'affermazione di Trismegisto, che cioè "la monade generò la monade e riflettè in se stessa il suo calore", non è da riferirsi alla generazione del Figlio e alla processione dello Spirito Santo, ma all'origine del mondo, giacché il Dio uno produsse un universo per l'amore di se medesimo.

[29778] Iª q. 32 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod ad aliquam rem dupliciter inducitur ratio. Uno modo, ad probandum sufficienter aliquam radicem, sicut in scientia naturali inducitur ratio sufficiens ad probandum quod motus caeli semper sit uniformis velocitatis. Alio modo inducitur ratio, non quae sufficienter probet radicem, sed quae radici iam positae ostendat congruere consequentes effectus, sicut in astrologia ponitur ratio excentricorum et epicyclorum ex hoc quod, hac positione facta, possunt salvari apparentia sensibilia circa motus caelestes, non tamen ratio haec est sufficienter probans, quia etiam forte alia positione facta salvari possent. Primo ergo modo potest induci ratio ad probandum Deum esse unum, et similia. Sed secundo modo se habet ratio quae inducitur ad manifestationem Trinitatis, quia scilicet, Trinitate posita, congruunt huiusmodi rationes; non tamen ita quod per has rationes sufficienter probetur Trinitas personarum. Et hoc patet per singula. Bonitas enim infinita Dei manifestatur etiam in productione creaturarum, quia infinitae virtutis est ex nihilo producere. Non enim oportet, si infinita bonitate se communicat, quod aliquid infinitum a Deo procedat, sed secundum modum suum recipiat divinam bonitatem. Similiter etiam quod dicitur, quod sine consortio non potest esse iucunda possessio alicuius boni, locum habet quando in una persona non invenitur perfecta bonitas; unde indiget, ad plenam iucunditatis bonitatem, bono alicuius alterius consociati sibi. Similitudo autem intellectus nostri non sufficienter probat aliquid de Deo, propter hoc quod intellectus non univoce invenitur in Deo et in nobis. Et inde est quod Augustinus, super Ioan., dicit quod per fidem venitur ad cognitionem, et non e converso.

 

[29778] Iª q. 32 a. 1 ad 2
2. Si può portare un argomento per due scopi. Primo, per provare in modo rigoroso un dato principio: a tale scopo, p. es., nelle scienze naturali si portano argomenti rigorosi per dimostrare che il moto dei cieli ha sempre una velocità uniforme. Secondo, si può portare un argomento non per dimostrare scientificamente un dato principio, ma soltanto per far vedere come siano legati intimamente al principio, posto (come assioma), gli effetti che ne derivano: così, p. es., in astronomia si ammettono gli eccentrici e gli epicicli perché, accettata questa ipotesi, si può dare ragione delle irregolarità che nel moto dei corpi celesti appaiono ai sensi: tuttavia questo argomento non è apodittico, perché forse (tali irregolarità) potrebbero spiegarsi anche ammettendo un'altra ipotesi. Sono del primo genere le ragioni che si portano per provare l'unità di Dio ed altre simili verità. Invece gli argomenti con i quali si vuole provare la Trinità appartengono all'altro genere: perché, supposta la Trinità, quelle ragioni ne mostrano la congruenza; ma non sono sufficienti a provare la Trinità delle Persone. - E questo si vede benissimo esaminando i singoli argomenti. Infatti, l'infinita bontà di Dio, si manifesta anche nella sola produzione delle creature: perché solo una potenza infinita è capace di produrre dal nulla. In realtà perché Dio si comunichi con infinita bontà non è necessario che da lui proceda un infinito, ma che la cosa prodotta partecipi la bontà divina secondo tutta la propria capacità. - Così quel detto "senza compagnia non è del tutto giocondo il possesso di un bene" è vero quando in una persona non si trova la bontà nella sua perfezione, e quindi ha bisogno della bontà di un altro a sé associato per raggiungerne il pieno godimento. La somiglianza poi dell'intelletto nostro con quello divino non prova nulla in modo apodittico, perché l'intelletto non è univoco in Dio e in noi. - In conseguenza di tutto questo S. Agostino dice che la fede dà la scienza, ma la scienza non dà la fede.

[29779] Iª q. 32 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod cognitio divinarum personarum fuit necessaria nobis dupliciter. Uno modo, ad recte sentiendum de creatione rerum. Per hoc enim quod dicimus Deum omnia fecisse verbo suo, excluditur error ponentium Deum produxisse res ex necessitate naturae. Per hoc autem quod ponimus in eo processionem amoris, ostenditur quod Deus non propter aliquam indigentiam creaturas produxit, neque propter aliquam aliam causam extrinsecam; sed propter amorem suae bonitatis. Unde et Moyses, postquam dixerat, in principio creavit Deus caelum et terram, subdit, dixit Deus, fiat lux, ad manifestationem divini verbi; et postea dixit, vidit Deus lucem, quod esset bona, ad ostendendum approbationem divini amoris; et similiter in aliis operibus. Alio modo, et principalius, ad recte sentiendum de salute generis humani, quae perficitur per filium incarnatum, et per donum spiritus sancti.

 

[29779] Iª q. 32 a. 1 ad 3
3. La cognizione delle Persone divine ci è necessaria per due motivi. Primo, per avere un giusto concetto della creazione. Infatti dicendo che Dio ha fatto le cose mediante il Verbo, si evita l'errore di coloro i quali dicevano che Dio le ha create per necessità di natura. E con l'ammettere in Dio la processione dell'amore, si indica che non ha prodotto le creature per qualche sua indigenza o per qualche causa (a lui) estrinseca; ma solo per amore della sua bontà. Onde Mosè, dopo aver detto che "in principio Dio creò il cielo e la terra", soggiunge: "Disse Dio: Sia fatta la luce", per far conoscere il Verbo. E continua: "Vide Dio che la luce era buona", per mostrare l'approvazione dell'amore divino. E così (sta scritto) per le altre creature. - Secondo, e principalmente, perché si abbia una giusta idea della redenzione del genere umano avvenuta con l'incarnazione del Figlio e l'effusione dello Spirito Santo.




Parte prima > Trattato sulla Trinità delle Persone > La nostra conoscenza delle Persone divine > Se in Dio si debbano ammettere delle nozioni


Prima pars
Quaestio 32
Articulus 2

[29780] Iª q. 32 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod non sint ponendae notiones in divinis. Dicit enim Dionysius, in I cap. de Div. Nom., quod non est audendum dicere aliquid de Deo, praeter ea quae nobis ex sacris eloquiis sunt expressa. Sed de notionibus nulla fit mentio in eloquiis sacrae Scripturae. Ergo non sunt ponendae notiones in divinis.

 
Prima parte
Questione 32
Articolo 2

[29780] Iª q. 32 a. 2 arg. 1
SEMBRA che in Dio non si debbano ammettere delle nozioni. Infatti:
1. Dionigi scrive: "Non si deve aver l'ardire di attribuire a Dio nulla all'infuori di ciò che è espresso nella Scrittura". Ma nella Scrittura non si fa cenno delle nozioni. Perciò queste non si devono attribuire a Dio.

[29781] Iª q. 32 a. 2 arg. 2
Praeterea, quidquid ponitur in divinis, aut pertinet ad unitatem essentiae, aut ad Trinitatem personarum. Sed notiones non pertinent ad unitatem essentiae, nec ad Trinitatem personarum. De notionibus enim neque praedicantur ea quae sunt essentiae, non enim dicimus quod paternitas sit sapiens vel creet, neque etiam ea quae sunt personae; non enim dicimus quod paternitas generet et filiatio generetur. Ergo non sunt ponendae notiones in divinis.

 

[29781] Iª q. 32 a. 2 arg. 2
2. Tutto ciò che si attribuisce a Dio appartiene o all'unità dell'essenza o alla trinità delle persone. Ora, le nozioni non appartengono né all'unità dell'essenza né alla trinità delle persone. Infatti non si predicano delle nozioni gli attributi dell'essenza, poiché non si dice che la paternità è sapiente o che crea; e neppure quelli delle persone; poiché non diciamo che la paternità genera o che la filiazione è generata. Perciò le nozioni non si devono attribuire a Dio.

[29782] Iª q. 32 a. 2 arg. 3
Praeterea, in simplicibus non sunt ponenda aliqua abstracta, quae sint principia cognoscendi, quia cognoscuntur seipsis. Sed divinae personae sunt simplicissimae. Ergo non sunt ponendae in divinis personis notiones.

 

[29782] Iª q. 32 a. 2 arg. 3
3. Poiché ciò che è semplice si conosce per se stesso, non gli si devono attribuire dei termini astratti (come le nozioni) che sono (soltanto) mezzi per conoscere. Ora le persone divine sono semplicissime. Non si devono dunque ammettere delle nozioni nella divinità.

[29783] Iª q. 32 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dicit Ioannes Damascenus, differentiam hypostaseon, idest personarum, in tribus proprietatibus, idest paternali et filiali et processionali, recognoscimus. Sunt ergo ponendae proprietates et notiones in divinis.

 

[29783] Iª q. 32 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Dice S. Giovanni Damasceno: "Rileviamo la differenza delle ipostasi", cioè delle persone, "dalle tre proprietà di paternità, filiazione e processione". Perciò in Dio si devono ammettere le proprietà e le nozioni.

[29784] Iª q. 32 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod Praepositivus, attendens simplicitatem personarum, dixit non esse ponendas proprietates et notiones in divinis, et sicubi inveniantur, exponit abstractum pro concreto, sicut enim consuevimus dicere, rogo benignitatem tuam, idest te benignum, ita cum dicitur in divinis paternitas, intelligitur Deus pater. Sed, sicut ostensum est supra, divinae simplicitati non praeiudicat quod in divinis utamur nominibus concretis et abstractis. Quia secundum quod intelligimus, sic nominamus. Intellectus autem noster non potest pertingere ad ipsam simplicitatem divinam, secundum quod in se est consideranda, et ideo secundum modum suum divina apprehendit et nominat, idest secundum quod invenitur in rebus sensibilibus, a quibus cognitionem accipit. In quibus, ad significandum simplices formas, nominibus abstractis utimur, ad significandum vero res subsistentes, utimur nominibus concretis. Unde et divina, sicut supra dictum est, ratione simplicitatis, per nomina abstracta significamus, ratione vero subsistentiae et complementi, per nomina concreta. Oportet autem non solum nomina essentialia in abstracto et in concreto significare, ut cum dicimus deitatem et Deum, vel sapientiam et sapientem; sed etiam personalia, ut dicamus paternitatem et patrem. Ad quod duo praecipue nos cogunt. Primo quidem, haereticorum instantia. Cum enim confiteamur patrem et filium et spiritum sanctum esse unum Deum et tres personas, quaerentibus quo sunt unus Deus, et quo sunt tres personae, sicut respondetur quod sunt essentia vel deitate unum, ita oportuit esse aliqua nomina abstracta, quibus responderi possit personas distingui. Et huiusmodi sunt proprietates vel notiones in abstracto significatae, ut paternitas et filiatio. Et ideo essentia significatur in divinis ut quid, persona vero ut quis, proprietas autem ut quo. Secundo, quia una persona invenitur in divinis referri ad duas personas, scilicet persona patris ad personam filii et personam spiritus sancti. Non autem una relatione, quia sic sequeretur quod etiam filius et spiritus sanctus una et eadem relatione referrentur ad patrem; et sic, cum sola relatio in divinis multiplicet Trinitatem, sequeretur quod filius et spiritus sanctus non essent duae personae. Neque potest dici, ut Praepositivus dicebat, quod sicut Deus uno modo se habet ad creaturas, cum tamen creaturae diversimode se habeant ad ipsum, sic pater una relatione refertur ad filium et ad spiritum sanctum, cum tamen illi duo duabus relationibus referantur ad patrem. Quia cum ratio specifica relativi consistat in hoc quod ad aliud se habet, necesse est dicere quod duae relationes non sunt diversae secundum speciem, si ex opposito una relatio eis correspondeat, oportet enim aliam speciem relationis esse domini et patris, secundum diversitatem filiationis et servitutis. Omnes autem creaturae sub una specie relationis referuntur ad Deum, ut sunt creaturae ipsius, filius autem et spiritus sanctus non secundum relationes unius rationis referuntur ad patrem, unde non est simile. Et iterum, in Deo non requiritur relatio realis ad creaturam, ut supra dictum est, relationes autem rationis in Deo multiplicare non est inconveniens. Sed in patre oportet esse relationem realem qua refertur ad filium et spiritum sanctum, unde secundum duas relationes filii et spiritus sancti quibus referuntur ad patrem, oportet intelligi duas relationes in patre, quibus referatur ad filium et spiritum sanctum. Unde, cum non sit nisi una patris persona, necesse fuit seorsum significari relationes in abstracto, quae dicuntur proprietates et notiones.

 

[29784] Iª q. 32 a. 2 co.
RISPONDO: Prevostino, badando alla semplicità delle persone divine, pensò che a Dio non si dovessero attribuire le nozioni, e dove le trovava prendeva l'astratto per il concreto: perché, come usiamo dire, prego la tua benignità, invece di te benigno, così quando si parla di paternità, in Dio, si intenderebbe Dio Padre.
Però, come si è già dimostrato, nel parlare di Dio non si pregiudica affatto alla sua semplicità con l'uso dei termini astratti e concreti; perché denominiamo le cose come le conosciamo. Ora, il nostro intelletto non può giungere alla semplicità divina come va considerata in se stessa: e perciò le cose divine le apprende e le denomina secondo la sua natura, cioè come portano le cose sensibili dalle quali dipende il suo conoscere. In queste per indicare le sole forme usiamo termini astratti: invece per indicare le cose sussistenti usiamo termini concreti. Perciò, come si è detto, le cose divine, a motivo della loro semplicità, le designamo con termini astratti: e a motivo della loro sussistenza e completezza, con termini concreti.
È poi necessario esprimere all'astratto o al concreto non solo i termini essenziali, dicendo deità e Dio, sapienza e sapiente; ma anche quelli personali, dicendo paternità e Padre. A questo ci obbligano principalmente due motivi. Primo, le obiezioni degli eretici. Infatti noi professiamo che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono un Dio solo e tre Persone; allora, come alla domanda: "che cos'è che li fa essere un solo Dio?", si risponde che è la natura o deità, così si dovette ricorrere ad altri termini astratti con i quali si potesse rispondere in forza di che cosa le persone si distinguono. Tali sono appunto le proprietà o nozioni, espresse all'astratto, come la paternità e la filiazione. Per questo in Dio la natura si esprime come quid (o sostanza), la persona invece come quis (o subietto), e la proprietà come quo (ovvero come forma).
Secondo, perché in Dio una stessa persona, il Padre, dice relazione a due persone, cioè al Figlio e allo Spirito Santo. Ora, non (può riferirsi a queste due persone) con una sola relazione: perché allora anche il Figlio e lo Spirito Santo si riferirebbero al Padre con una stessa relazione; e così ne seguirebbe che il Figlio e lo Spirito Santo non sono due persone distinte, poiché le sole relazioni distinguono le persone della Trinità. E non si può neppure dire con Prevostino che, come Dio ha riferimento alle creature in un modo solo, mentre le creature si riferiscono a lui in diversi modi, così il Padre con un'unica relazione si riferisce al Figlio e allo Spirito Santo, mentre questi due si riferiscono a lui con due relazioni. Perché non si può dire che due relazioni sono specificamente diverse, se nel termine correlativo corrisponde loro una sola relazione, poiché la relazione consiste essenzialmente nel suo riferirsi all'altro termine: difatti le relazioni di padrone e di padre sono distinte, come sono distinte quelle di servo e di figlio. Ora, tutte le creature si riferiscono a Dio con la stessa specifica relazione, quella cioè di sue creature; invece il Figlio e lo Spirito Santo non si riferiscono al Padre con relazioni di identica natura: e quindi il paragone non regge. Di più, come abbiamo già spiegato, non c'è motivo di ammettere che la relazione di Dio alle creature sia reale: che poi quelle di ragione siano molte non presenta inconvenienti. Invece la relazione del Padre al Figlio e allo Spirito Santo deve essere reale. Perciò è necessario che alle due relazioni del Figlio e dello Spirito Santo col Padre corrispondano nel Padre due relazioni, una al Figlio e l'altra allo Spirito Santo. Di conseguenza, non essendo che una la persona del Padre, si dovettero indicare separatamente con termini astratti le relazioni, denominate appunto proprietà e nozioni.

[29785] Iª q. 32 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, licet de notionibus non fiat mentio in sacra Scriptura, fit tamen mentio de personis, in quibus intelliguntur notiones, sicut abstractum in concreto.

 

[29785] Iª q. 32 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene delle nozioni non si parli nella Sacra Scrittura, tuttavia vi si nominano le Persone, nelle quali queste nozioni si trovano come l'astratto nel concreto.

[29786] Iª q. 32 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod notiones significantur in divinis, non ut res, sed ut rationes quaedam quibus cognoscuntur personae; licet ipsae notiones vel relationes realiter sint in Deo, ut supra dictum est. Et ideo ea quae habent ordinem aliquem ad actum aliquem essentialem vel personalem, non possunt dici de notionibus, quia hoc repugnat modo significandi ipsarum. Unde non possumus dicere quod paternitas generet vel creet, sit sapiens vel intelligens. Essentialia vero quae non habent ordinem ad aliquem actum, sed removent conditiones creaturae a Deo possunt praedicari de notionibus, possumus enim dicere quod paternitas est aeterna vel immensa, vel quodcumque huiusmodi. Et similiter, propter identitatem rei, possunt substantiva personalia et essentialia praedicari de notionibus, possumus enim dicere quod paternitas est Deus, et paternitas est pater.

 

[29786] Iª q. 32 a. 2 ad 2
2. Le nozioni in Dio non stanno a indicare delle realtà concrete, ma (soltanto) delle forme ideali, che servono a far conoscere le Persone; sebbene queste nozioni o relazioni esistano realmente in Dio, come abbiamo spiegato. Perciò tutto quello che dice ordine a qualche atto essenziale o personale, non si può attribuire alle nozioni: perché il significato particolare di queste ultime non lo comporta. Cosicché non si può dire che la paternità genera o che crea, e neppure che è sapiente o intelligente. Invece si possono attribuire alle nozioni gli attributi essenziali che non hanno stretto rapporto con un atto, ma escludono soltanto da Dio le condizioni delle creature: così possiamo dire che la paternità è eterna o immensa, e altre simili affermazioni. Allo stesso modo, data la loro identità reale, i sostantivi personali o essenziali si possono predicare delle nozioni; infatti si può dire: la paternità è Dio, la paternità è il Padre.

[29787] Iª q. 32 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod, licet personae sint simplices, tamen absque praeiudicio simplicitatis possunt propriae rationes personarum in abstracto significari, ut dictum est.

 

[29787] Iª q. 32 a. 2 ad 3
3. Quantunque le persone divine siano semplicissime, tuttavia, senza pregiudicare a tale loro semplicità, come si è già detto, si possono esprimere in termini astratti le ragioni (o i costitutivi) delle persone.




Parte prima > Trattato sulla Trinità delle Persone > La nostra conoscenza delle Persone divine > Se le nozioni siano cinque


Prima pars
Quaestio 32
Articulus 3

[29788] Iª q. 32 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod non sint quinque notiones. Propriae enim notiones personarum sunt relationes quibus distinguuntur. Sed relationes in divinis non sunt nisi quatuor, ut supra dictum est. Ergo et notiones sunt tantum quatuor.

 
Prima parte
Questione 32
Articolo 3

[29788] Iª q. 32 a. 3 arg. 1
SEMBRA che le nozioni non siano cinque. Infatti:
1. Le nozioni proprie delle persone sono le relazioni che le distinguono; ma queste sono soltanto quattro. Dunque anche le nozioni sono soltanto quattro.

[29789] Iª q. 32 a. 3 arg. 2
Praeterea, propter hoc quod in divinis est una essentia, dicitur Deus unus, propter hoc autem quod sunt tres personae, dicitur Deus trinus. Si ergo in divinis sunt quinque notiones, dicetur quinus, quod est inconveniens.

 

[29789] Iª q. 32 a. 3 arg. 2
2. Dio si dice uno perché una è l'essenza, e trino perché sono tre le persone. Se dunque in Dio vi sono cinque nozioni, dovrebbe dirsi cinquino; ma questo è inammissibile.

[29790] Iª q. 32 a. 3 arg. 3
Praeterea, si, tribus personis existentibus in divinis, sunt quinque notiones, oportet quod in aliqua personarum sint aliquae notiones duae vel plures; sicut in persona patris ponitur innascibilitas et paternitas et communis spiratio. Aut igitur istae tres notiones differunt re, aut non. Si differunt re, sequitur quod persona patris sit composita ex pluribus rebus. Si autem differunt ratione tantum, sequitur quod una earum possit de alia praedicari, ut dicamus quod, sicut bonitas divina est eius sapientia propter indifferentiam rei, ita communis spiratio sit paternitas, quod non conceditur. Igitur non sunt quinque notiones.

 

[29790] Iª q. 32 a. 3 arg. 3
3. Se essendo tre le persone, le nozioni sono cinque, è necessario che in qualche persona vi siano due o più nozioni; così nella persona del Padre si ammette l'innascibilità, la paternità e la spirazione comune. Ora, queste tre nozioni differiscono o realmente o concettualmente. Se differiscono realmente, allora la persona del Padre è composta di più cose. Se differiscono soltanto concettualmente, allora una si potrà predicare dell'altra, e come diciamo che la bontà di Dio è la sua sapienza, non differendo realmente una dall'altra, così potremmo dire che la spirazione comune è la paternità: ma questo non si può ammettere. Dunque le nozioni non possono essere cinque.

[29791] Iª q. 32 a. 3 s. c. 1
Sed contra, videtur quod sint plures. Quia sicut pater a nullo est, et secundum hoc accipitur notio quae dicitur innascibilitas, ita a spiritu sancto non est alia persona. Et secundum hoc oportebit accipere sextam notionem.

 

[29791] Iª q. 32 a. 3 s. c. 1
IN CONTRARIO: 1. Pare che siano più (di cinque). Infatti come ammettiamo la nozione di innascibilità dal fatto che il Padre non procede da nessuno, così si deve ammettere una sesta nozione per il fatto che dallo Spirito Santo non procede un'altra persona.

[29792] Iª q. 32 a. 3 s. c. 2
Praeterea, sicut patri et filio commune est quod ab eis procedat spiritus sanctus, ita commune est filio et spiritui sancto quod procedant a patre. Ergo, sicut una notio ponitur communis patri et filio, ita debet poni una notio communis filio et spiritui sancto.

 

[29792] Iª q. 32 a. 3 s. c. 2
2. Come è comune al Padre e al Figlio che da essi proceda lo Spirito Santo, così è comune al Figlio e allo Spirito Santo il procedere dal Padre. Perciò, come si ammette una nozione comune al Padre e al Figlio (la spirazione comune), così se ne deve ammettere anche una comune al Figlio e allo Spirito Santo (la comune processione).

[29793] Iª q. 32 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod notio dicitur id quod est propria ratio cognoscendi divinam personam. Divinae autem personae multiplicantur secundum originem. Ad originem autem pertinet a quo alius, et qui ab alio, et secundum hos duos modos potest innotescere persona. Igitur persona patris non potest innotescere per hoc quod sit ab alio, sed per hoc quod a nullo est, et sic ex hac parte eius notio est innascibilitas. Sed inquantum aliquis est ab eo, innotescit dupliciter. Quia inquantum filius est ab eo, innotescit notione paternitatis, inquantum autem spiritus sanctus est ab eo, innotescit notione communis spirationis. Filius autem potest innotescere per hoc quod est ab alio nascendo, et sic innotescit per filiationem. Et per hoc quod est alius ab eo, scilicet spiritus sanctus, et per hoc innotescit eodem modo sicut et pater, scilicet communi spiratione. Spiritus sanctus autem innotescere potest per hoc quod est ab alio vel ab aliis, et sic innotescit processione. Non autem per hoc quod alius sit ab eo, quia nulla divina persona procedit ab eo. Sunt igitur quinque notiones in divinis, scilicet innascibilitas, paternitas, filiatio, communis spiratio et processio. Harum autem tantum quatuor sunt relationes, nam innascibilitas non est relatio nisi per reductionem, ut infra dicetur. Quatuor autem tantum proprietates sunt, nam communis spiratio non est proprietas, quia convenit duabus personis. Tres autem sunt notiones personales, idest constituentes personas, scilicet paternitas, filiatio et processio, nam communis spiratio et innascibilitas dicuntur notiones personarum, non autem personales, ut infra magis patebit.

 

[29793] Iª q. 32 a. 3 co.
RISPONDO: Si chiama nozione la ragione formale che serve a conoscere una persona divina. Ora, la pluralità delle persone divine dipende dall'origine. Il concetto di origine importa un principio (a quo alius) e un termine (qui ab alio): e da questi due lati si può conoscere una persona. Ora, non si viene a conoscere la persona del Padre perché deriva da un altro, ma perché non deriva da nessuno. E da questo lato la sua nozione è l'innascibilità. In quanto poi da lui derivano altri, (il Padre) si manifesta in due modi. Perché, in quanto da lui procede il Figlio si rende noto mediante la nozione di paternità: e in quanto da lui procede lo Spirito Santo si rende noto mediante la nozione di spirazione comune. Così pure si viene a conoscere il Figlio per il fatto che nascendo deriva da un altro: cioè si rende noto mediante la filiazione. E si rende noto allo stesso modo del Padre, cioè mediante la spirazione comune, in quanto un altro, cioè lo Spirito Santo, procede da lui. Si viene poi a conoscere lo Spirito Santo in quanto procede da un altro o da altri: e così ci si rende noto mediante la processione. Ma non (si viene a conoscere) per il fatto che altri proceda da lui: perché nessuna persona divina da lui procede. - Dunque in Dio ci sono cinque nozioni, cioè l'innascibilità, la paternità, la filiazione, la spirazione comune e la processione.
Di queste solo quattro sono relazioni, perché l'innascibilità è una relazione solo per riduzione, come si dirà in seguito. Quattro sole sono anche le proprietà: perché la spirazione comune, per ciò stesso che conviene a due persone, non è una proprietà. Tre soltanto sono nozioni personali, cioè costitutive delle persone, vale a dire paternità, filiazione e processione: giacché la spirazione comune e l'innascibilità sono nozioni di persone, ma non personali, come meglio si spiegherà in seguito.

[29794] Iª q. 32 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod praeter quatuor relationes oportet ponere aliam notionem, ut dictum est.

 

[29794] Iª q. 32 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Oltre le quattro relazioni bisogna ammettere, come si è spiegato, un'altra nozione (l'innascibilità).

[29795] Iª q. 32 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod essentia in divinis significatur ut res quaedam; et similiter personae significantur ut res quaedam sed notiones significantur ut rationes notificantes personas. Et ideo, licet dicatur Deus unus propter unitatem essentiae, et trinus propter Trinitatem personarum; non tamen dicitur quinus propter quinque notiones.

 

[29795] Iª q. 32 a. 3 ad 2
2. L'essenza divina e le persone divine sono espresse come cose; ma le nozioni sono come ragioni formali che notificano le persone. Perciò, sebbene si dica che Dio è uno per l'unità dell'essenza, e trino per la trinità delle persone, non si può dire cinquino per le cinque nozioni.

[29796] Iª q. 32 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod, cum sola oppositio relativa faciat pluralitatem realem in divinis, plures proprietates unius personae, cum non opponantur ad invicem relative, non differunt realiter. Nec tamen de invicem praedicantur, quia significantur ut diversae rationes personarum. Sicut etiam non dicimus quod attributum potentiae sit attributum scientiae, licet dicamus quod scientia sit potentia.

 

[29796] Iª q. 32 a. 3 ad 3
3. Siccome soltanto l'opposizione delle relazioni produce pluralità reale in Dio, più proprietà di una stessa persona non si distinguono realmente perché tra loro non esiste opposizione di relazioni. Tuttavia non si predicano l'una dell'altra, perché stanno a indicare formalità diverse della stessa persona; come anche non diciamo che l'attributo di potenza è l'attributo della scienza, sebbene diciamo che la scienza è la potenza.

[29797] Iª q. 32 a. 3 ad 4
Ad quartum dicendum quod, cum persona importet dignitatem, ut supra dictum est, non potest accipi notio aliqua spiritus sancti ex hoc quod nulla persona est ab ipso. Hoc enim non pertinet ad dignitatem ipsius; sicut pertinet ad auctoritatem patris quod sit a nullo.

 

[29797] Iª q. 32 a. 3 ad 4
4. Come abbiamo visto, la persona importa dignità, perciò non si può ritenere come nozione dello Spirito Santo il non procedere da lui altra persona. Questo non conferisce nulla alla sua dignità, come (all'opposto) mette in evidenza l'autorità del Padre il non essere da altri.

[29798] Iª q. 32 a. 3 ad 5
Ad quintum dicendum quod filius et spiritus sanctus non conveniunt in uno speciali modo existendi a patre; sicut pater et filius conveniunt in uno speciali modo producendi spiritum sanctum. Id autem quod est principium innotescendi, oportet esse aliquid speciale. Et ideo non est simile.

 

[29798] Iª q. 32 a. 3 ad 5
5. Il Figlio e lo Spirito Santo non hanno in comune un unico e speciale modo di essere originati dal Padre; come (al contrario) il Padre e il Figlio hanno in comune un modo speciale di produrre lo Spirito Santo. Ora, ciò che è causa di cognizione (di una persona) deve essere qualche cosa di speciale, perciò il paragone non torna.




Parte prima > Trattato sulla Trinità delle Persone > La nostra conoscenza delle Persone divine > Se siano permesse opinioni contrastanti circa le nozioni


Prima pars
Quaestio 32
Articulus 4

[29799] Iª q. 32 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod non liceat contrarie opinari de notionibus. Dicit enim Augustinus, in I de Trin., quod non erratur alicubi periculosius quam in materia Trinitatis, ad quam certum est notiones pertinere. Sed contrariae opiniones non possunt esse absque errore. Ergo contrarie opinari circa notiones non licet.

 
Prima parte
Questione 32
Articolo 4

[29799] Iª q. 32 a. 4 arg. 1
SEMBRA che non siano permesse opinioni contrastanti circa le nozioni. Infatti: 1. S. Agostino dice che "in nessun altro caso è tanto pericoloso l'errore" come in materia di Trinità, alla quale materia certamente appartengono le nozioni. Ma non si danno opinioni in contrasto senza che si abbia l'errore. Quindi non è lecita la libertà di opinione sulle nozioni.

[29800] Iª q. 32 a. 4 arg. 2
Praeterea, per notiones cognoscuntur personae, ut dictum est. Sed circa personas non licet contrarie opinari. Ergo nec circa notiones.

 

[29800] Iª q. 32 a. 4 arg. 2
2. Mediante le nozioni si conoscono le persone, come abbiamo spiegato. Ma circa le persone non è lecito seguire opinioni contrastanti. Dunque neppure circa le nozioni.

[29801] Iª q. 32 a. 4 s. c.
Sed contra, articuli fidei non sunt de notionibus. Ergo circa notiones licet sic vel aliter opinari.

 

[29801] Iª q. 32 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Negli articoli di fede non vi è nulla che riguardi le nozioni. Dunque a proposito di nozioni è lecito pensarla in un modo o in un altro.

[29802] Iª q. 32 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod ad fidem pertinet aliquid dupliciter. Uno modo, directe; sicut ea quae nobis sunt principaliter divinitus tradita, ut Deum esse trinum et unum, filium Dei esse incarnatum, et huiusmodi. Et circa haec opinari falsum, hoc ipso inducit haeresim, maxime si pertinacia adiungatur. Indirecte vero ad fidem pertinent ea ex quibus consequitur aliquid contrarium fidei; sicut si quis diceret Samuelem non fuisse filium Elcanae; ex hoc enim sequitur Scripturam divinam esse falsam. Circa huiusmodi ergo absque periculo haeresis aliquis falsum potest opinari, antequam consideretur, vel determinatum sit, quod ex hoc sequitur aliquid contrarium fidei, et maxime si non pertinaciter adhaereat. Sed postquam manifestum est, et praecipue si sit per Ecclesiam determinatum, quod ex hoc sequitur aliquid contrarium fidei, in hoc errare non esset absque haeresi. Et propter hoc, multa nunc reputantur haeretica, quae prius non reputabantur, propter hoc quod nunc est magis manifestum quid ex eis sequatur. Sic igitur dicendum est quod circa notiones aliqui absque periculo haeresis contrarie sunt opinati, non intendentes sustinere aliquid contrarium fidei. Sed si quis falsum opinaretur circa notiones, considerans quod ex hoc sequatur aliquid contrarium fidei, in haeresim laberetur.

 

[29802] Iª q. 32 a. 4 co.
RISPONDO: Una cosa può appartenere alla fede in due modi. Primo, direttamente: in qualità di oggetto principale della rivelazione divina, come l'unità e la trinità di Dio, l'incarnazione del Figlio di Dio, e simili. E (naturalmente) è eresia sostenere un'opinione sbagliata su tali argomenti: specialmente se vi si unisce la pertinacia. - Indirettamente invece appartengono alla fede quelle cose dalla cui negazione deriva qualche conseguenza contraria alla fede; come, p. es., se qualcuno negasse che Samuele fu figlio di Elcana: infatti ne verrebbe che la divina Scrittura contiene degli errori. Perciò su quello che appartiene alla fede in questo secondo modo uno può seguire opinioni erronee, senza pericolo di eresia, quando non è chiarito, o non è stato ancora determinato che da esse segue qualche cosa di contrario alla fede: tanto più se non vi aderisce con pertinacia. Ma se è chiaro, e specialmente se è stato determinato dalla Chiesa, che da tali idee deriva qualche cosa di opposto alla fede, il ritenerle sarebbe eresia. Per questo molte sentenze, che prima non si ritenevano eretiche, ora lo sono, perché adesso si vedono più chiaramente le conseguenze che ne derivano. Perciò si deve concludere che anche circa le nozioni alcuni, senza pericolo di eresia, hanno potuto seguire opinioni contrastanti, non avendo essi l'intenzione di sostenere con ciò nulla di contrario alla fede. Se però qualcuno ne avesse un'opinione sbagliata avvertendo che ne deriva qualche cosa di contrario alla fede, costui cadrebbe nell'eresia.

[29803] Iª q. 32 a. 4 ad arg.
Et per hoc patet responsio ad obiecta.

 

[29803] Iª q. 32 a. 4 ad arg.
Con ciò risulta evidente la risposta alle difficoltà.

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