Parte prima > Trattato sulla Trinità delle Persone > La nostra conoscenza delle Persone divine > Se la Trinità delle divine Persone si possa conoscere con la sola ragione naturale
Prima pars
Quaestio 32
Articulus 1
[29772] Iª q. 32 a. 1 arg. 1 Ad primum sic proceditur. Videtur quod Trinitas divinarum personarum possit per naturalem rationem cognosci. Philosophi enim non devenerunt in Dei cognitionem nisi per rationem naturalem, inveniuntur autem a philosophis multa dicta de Trinitate personarum. Dicit enim Aristoteles, in I de caelo et mundo, per hunc numerum, scilicet ternarium, adhibuimus nos ipsos magnificare Deum unum, eminentem proprietatibus eorum quae sunt creata. Augustinus etiam dicit, VII Confes., ibi legi, scilicet in libris Platonicorum, non quidem his verbis, sed hoc idem omnino, multis et multiplicibus suaderi rationibus, quod in principio erat verbum, et verbum erat apud Deum, et Deus erat verbum, et huiusmodi quae ibi sequuntur, in quibus verbis distinctio divinarum personarum traditur. Dicitur etiam in Glossa Rom. I, et Exod. VIII, quod magi Pharaonis defecerunt in tertio signo, idest in notitia tertiae personae, scilicet spiritus sancti, et sic ad minus duas cognoverunt. Trismegistus etiam dixit, monas genuit monadem, et in se suum reflexit ardorem, per quod videtur generatio filii, et spiritus sancti processio intimari. Cognitio ergo divinarum personarum potest per rationem naturalem haberi.
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Prima parte
Questione 32
Articolo 1
[29772] Iª q. 32 a. 1 arg. 1
SEMBRA che con la sola ragione naturale si possa conoscere la Trinità delle Persone divine. Infatti:
1. I filosofi non giunsero alla cognizione di Dio che con la sola ragione naturale: ora, risulta che essi hanno detto molte cose sulla Trinità delle Persone. Infatti Aristotele afferma: "Con questo numero", cioè col tre, "ci industriamo di magnificare il Dio uno, superiore a tutte le perfezioni delle cose create". - E S. Agostino riferisce: "Ed io lessi costà", cioè nei libri dei Platonici, "non con le stesse parole, ma in sostanza le stesse cose, convalidate da molte e diverse ragioni, che in principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio", e altre simili cose egli seguita a narrare: e con tali parole si indica esattamente la pluralità delle Persone divine. - Anche la Glossa (spiegando il fatto) che i maghi del faraone fallirono al terzo segno (aggiunge): cioè mancarono della cognizione della terza Persona, ossia dello Spirito Santo; dunque ne conobbero almeno due. - Anche Trismegisto disse: "la monade generò la monade e riflettè in se stessa il suo calore": con le quali parole si viene a indicare la generazione del Figlio e la processione dello Spirito Santo. Dunque con la sola ragione si possono conoscere le Persone divine.
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[29773] Iª q. 32 a. 1 arg. 2 Praeterea, Ricardus de sancto Victore dicit, in libro de Trin., credo sine dubio quod ad quamcumque explanationem veritatis, non modo probabilia, imo etiam necessaria argumenta non desint. Unde etiam ad probandum Trinitatem personarum, aliqui induxerunt rationem ex infinitate bonitatis divinae, quae seipsam infinite communicat in processione divinarum personarum. Quidam vero per hoc, quod nullius boni sine consortio potest esse iucunda possessio. Augustinus vero procedit ad manifestandum Trinitatem personarum, ex processione verbi et amoris in mente nostra, quam viam supra secuti sumus. Ergo per rationem naturalem potest cognosci Trinitas personarum.
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[29773] Iª q. 32 a. 1 arg. 2
2. Afferma Riccardo di S. Vittore: "Ritengo per indubitato che qualsiasi verità si possa provare non solo con argomenti probabili ma anche con ragioni apodittiche". Per tale motivo alcuni vollero provare anche la Trinità delle Persone appellandosi all'infinita bontà di Dio che (soltanto) nella processione delle Persone divine si comunica in modo infinito. Altri invece riuscirono a provarla rifacendosi al principio che "senza la compagnia di altri non può essere veramente giocondo il possesso di un bene qualsiasi". Ed anche S. Agostino spiega la Trinità delle Persone con la processione del verbo e dell'amore nella nostra anima: ed è la via che anche noi abbiamo seguito. Perciò la Trinità delle Persone si può conoscere con la sola ragione naturale.
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[29774] Iª q. 32 a. 1 arg. 3 Praeterea, superfluum videtur homini tradere quod humana ratione cognosci non potest. Sed non est dicendum quod traditio divina de cognitione Trinitatis sit superflua. Ergo Trinitas personarum ratione humana cognosci potest.
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[29774] Iª q. 32 a. 1 arg. 3
3. Sarebbe inutile rivelare all'uomo quello che non si può conoscere con la ragione umana. Ma non si può dire che la divina rivelazione del mistero della Trinità sia inutile. Dunque la Trinità delle Persone divine può essere conosciuta dalla ragione umana.
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[29775] Iª q. 32 a. 1 s. c. Sed contra est quod Hilarius dicit, in libro II de Trin., non putet homo sua intelligentia generationis sacramentum posse consequi. Ambrosius etiam dicit, impossibile est generationis scire secretum, mens deficit, vox silet. Sed per originem generationis et processionis distinguitur Trinitas in personis divinis, ut ex supra dictis patet. Cum ergo illud homo non possit scire et intelligentia consequi, ad quod ratio necessaria haberi non potest, sequitur quod Trinitas personarum per rationem cognosci non possit.
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[29775] Iª q. 32 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Dice S. Ilario: "Non pensi l'uomo di poter penetrare con la sua intelligenza il mistero della (eterna) generazione". E S. Ambrogio: "È impossibile capire il mistero della generazione (divina): la mente vien meno, la voce tace". Ma, come abbiamo dimostrato, è appunto dall'origine per generazione e processione che si distinguono le Persone divine. Perciò si conclude che la Trinità delle Persone non si può conoscere con la ragione, dal momento che l'uomo non è in grado di conoscere e di raggiungere con la sua intelligenza se non ciò che offre la possibilità di una dimostrazione apodittica.
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[29776] Iª q. 32 a. 1 co. Respondeo dicendum quod impossibile est per rationem naturalem ad cognitionem Trinitatis divinarum personarum pervenire. Ostensum est enim supra quod homo per rationem naturalem in cognitionem Dei pervenire non potest nisi ex creaturis. Creaturae autem ducunt in Dei cognitionem, sicut effectus in causam. Hoc igitur solum ratione naturali de Deo cognosci potest, quod competere ei necesse est secundum quod est omnium entium principium, et hoc fundamento usi sumus supra in consideratione Dei. Virtus autem creativa Dei est communis toti Trinitati, unde pertinet ad unitatem essentiae, non ad distinctionem personarum. Per rationem igitur naturalem cognosci possunt de Deo ea quae pertinent ad unitatem essentiae, non autem ea quae pertinent ad distinctionem personarum. Qui autem probare nititur Trinitatem personarum naturali ratione, fidei dupliciter derogat. Primo quidem, quantum ad dignitatem ipsius fidei, quae est ut sit de rebus invisibilibus, quae rationem humanam excedunt. Unde apostolus dicit, ad Heb. XI, quod fides est de non apparentibus. Et apostolus dicit, I Cor. II, sapientiam loquimur inter perfectos, sapientiam vero non huius saeculi, neque principum huius saeculi; sed loquimur Dei sapientiam in mysterio, quae abscondita est. Secundo, quantum ad utilitatem trahendi alios ad fidem. Cum enim aliquis ad probandam fidem inducit rationes quae non sunt cogentes, cedit in irrisionem infidelium, credunt enim quod huiusmodi rationibus innitamur, et propter eas credamus. Quae igitur fidei sunt, non sunt tentanda probare nisi per auctoritates, his qui auctoritates suscipiunt. Apud alios vero, sufficit defendere non esse impossibile quod praedicat fides. Unde Dionysius dicit, II cap. de Div. Nom., si aliquis est qui totaliter eloquiis resistit, longe erit a nostra philosophia; si autem ad veritatem eloquiorum, scilicet sacrorum, respicit, hoc et nos canone utimur.
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[29776] Iª q. 32 a. 1 co.
RISPONDO: È impossibile giungere alla cognizione della Trinità delle Persone divine con la sola ragione naturale. Si è infatti dimostrato più sopra che l'uomo con la sola ragione non può giungere alla cognizione di Dio, se non per mezzo delle creature. Ora, queste conducono a Dio come gli effetti alle loro cause. Quindi con la ragione naturale si può conoscere di Dio soltanto quei dati che necessariamente conseguono dall'essere egli principio di tutte le cose; e su questo criterio ci siamo basati nel trattato su Dio. Ora, la virtù creatrice è comune a tutta la Trinità: quindi appartiene all'unità dell'essenza e non alla pluralità delle Persone. Perciò con la ragione naturale si può conoscere solo quanto fa parte dell'essenza e non ciò che appartiene alla pluralità delle Persone.
Quelli poi, che tentano di dimostrare la Trinità delle Persone con la ragione naturale, compromettono la fede in due modi. Primo, ne compromettono la dignità, poiché la fede ha per oggetto cose affatto invisibili, che superano la capacità della ragione umana. L'Apostolo infatti afferma che "la fede è di cose che non si vedono". E altrove: "Di sapienza parliamo sì tra uomini perfetti, ma è sapienza non di questo secolo, né dei principi di questo secolo; parliamo della sapienza di Dio in mistero, la sapienza nascosta". - Secondo, ne compromettono l'efficacia nell'attirare altri alla fede. Infatti, se per indurre a credere si portano delle ragioni che non sono cogenti, ci si espone alla derisione di coloro che non credono: poiché costoro penseranno che noi ci appoggiamo su tali argomenti per credere.
Per tale motivo tutto ciò che è di fede si deve provare soltanto con i testi (della Scrittura) per coloro che la riconoscono. Per gli altri basta difendere la non assurdità di quello che la fede insegna. Perciò Dionigi ammonisce: "Se qualcuno non cede all'autorità della parola di Dio, è del tutto estraneo e lontano dalla nostra filosofia. Se invece ammette la verità della parola", cioè di quella divina, "è con noi, giacché noi pure ci serviamo di tale regola".
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[29777] Iª q. 32 a. 1 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod philosophi non cognoverunt mysterium Trinitatis divinarum personarum per propria, quae sunt paternitas, filiatio et processio; secundum illud apostoli, I ad Cor. II, loquimur Dei sapientiam, quam nemo principum huius saeculi cognovit, idest philosophorum, secundum Glossam. Cognoverunt tamen quaedam essentialia attributa quae appropriantur personis, sicut potentia patri, sapientia filio, bonitas spiritui sancto, ut infra patebit. Quod ergo Aristoteles dicit, per hunc numerum adhibuimus nos ipsos etc., non est sic intelligendum, quod ipse poneret ternarium numerum in divinis, sed vult dicere quod antiqui utebantur ternario numero in sacrificiis et orationibus, propter quandam ternarii numeri perfectionem. In libris etiam Platonicorum invenitur in principio erat verum, non secundum quod verbum significat personam genitam in divinis, sed secundum quod per verbum intelligitur ratio idealis, per quam Deus omnia condidit, quae filio appropriatur. Et licet appropriata tribus personis cognoscerent, dicuntur tamen in tertio signo defecisse, idest in cognitione tertiae personae, quia a bonitate, quae spiritui sancto appropriatur, deviaverunt, dum cognoscentes Deum, non sicut Deum glorificaverunt, ut dicitur Rom. I. Vel, quia ponebant Platonici unum primum ens, quod etiam dicebant esse patrem totius universitatis rerum, consequenter ponebant aliam substantiam sub eo, quam vocabant mentem vel paternum intellectum, in qua erant rationes omnium rerum, sicut Macrobius recitat super somnium Scipionis, non autem ponebant aliquam substantiam tertiam separatam, quae videretur spiritui sancto respondere. Sic autem nos non ponimus patrem et filium, secundum substantiam differentes, sed hoc fuit error Origenis et Arii. Sequentium in hoc Platonicos. Quod vero Trismegistus dixit, monas monadem genuit, et in se suum reflexit ardorem, non est referendum ad generationem filii vel processionem spiritus sancti, sed ad productionem mundi, nam unus Deus produxit unum mundum propter sui ipsius amorem.
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[29777] Iª q. 32 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. I filosofi non conobbero il mistero della Trinità delle divine Persone per quello che ad esse è proprio, cioè la paternità, la filiazione e la processione; secondo le parole dell'Apostolo: "Parliamo di sapienza divina, che nessuno dei principi di questo secolo ha conosciuto", cioè nessuno dei filosofi, come spiega la Glossa. Conobbero tuttavia alcuni attributi essenziali che si appropriano alle varie persone, come la potenza, la sapienza e la bontà che si appropriano (rispettivamente) al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. - Perciò l'espressione di Aristotele, "ci industriamo di magnificare Dio con quel numero..." non si deve intendere nel senso che egli ponesse il numero tre in Dio; ma vuole soltanto dire che gli antichi usavano il tre nei sacrifici e nelle preghiere, per una certa sua perfezione. - Nei libri dei Platonici poi l'espressione, "In principio era il verbo", non sta a indicare il verbo che in Dio è persona generata: ma soltanto il verbo che è idea astratta (e archetipa della realtà), secondo la quale tutte le cose furono fatte, e che si attribuisce per appropriazione al Figlio. - Ma per quanto (i filosofi) abbiano conosciuto gli attributi appropriati alle tre persone, si dice che fallirono al terzo segno, cioè nella cognizione della terza Persona, perché deviarono dalla bontà che viene appropriata allo Spirito Santo, mentre, come dice S. Paolo, pur avendo conosciuto Dio, "non lo glorificarono come Dio". Oppure perché i Platonici ammettevano un primo essere, che chiamavano padre di tutto l'universo, e dopo di lui un'altra sostanza a lui soggetta, che chiamavano mente o intelletto del padre, nella quale c'erano le idee di tutte le cose, come racconta Macrobio: e invece non parlavano affatto di una terza sostanza distinta che potesse in certo qual modo corrispondere allo Spirito Santo. Ora noi non ammettiamo che il Padre e il Figlio differiscano in tal modo per natura: ma questo fu l'errore di Origene e di Ario, che in ciò si lasciarono guidare dai Platonici. - Quanto poi all'affermazione di Trismegisto, che cioè "la monade generò la monade e riflettè in se stessa il suo calore", non è da riferirsi alla generazione del Figlio e alla processione dello Spirito Santo, ma all'origine del mondo, giacché il Dio uno produsse un universo per l'amore di se medesimo.
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[29778] Iª q. 32 a. 1 ad 2 Ad secundum dicendum quod ad aliquam rem dupliciter inducitur ratio. Uno modo, ad probandum sufficienter aliquam radicem, sicut in scientia naturali inducitur ratio sufficiens ad probandum quod motus caeli semper sit uniformis velocitatis. Alio modo inducitur ratio, non quae sufficienter probet radicem, sed quae radici iam positae ostendat congruere consequentes effectus, sicut in astrologia ponitur ratio excentricorum et epicyclorum ex hoc quod, hac positione facta, possunt salvari apparentia sensibilia circa motus caelestes, non tamen ratio haec est sufficienter probans, quia etiam forte alia positione facta salvari possent. Primo ergo modo potest induci ratio ad probandum Deum esse unum, et similia. Sed secundo modo se habet ratio quae inducitur ad manifestationem Trinitatis, quia scilicet, Trinitate posita, congruunt huiusmodi rationes; non tamen ita quod per has rationes sufficienter probetur Trinitas personarum. Et hoc patet per singula. Bonitas enim infinita Dei manifestatur etiam in productione creaturarum, quia infinitae virtutis est ex nihilo producere. Non enim oportet, si infinita bonitate se communicat, quod aliquid infinitum a Deo procedat, sed secundum modum suum recipiat divinam bonitatem. Similiter etiam quod dicitur, quod sine consortio non potest esse iucunda possessio alicuius boni, locum habet quando in una persona non invenitur perfecta bonitas; unde indiget, ad plenam iucunditatis bonitatem, bono alicuius alterius consociati sibi. Similitudo autem intellectus nostri non sufficienter probat aliquid de Deo, propter hoc quod intellectus non univoce invenitur in Deo et in nobis. Et inde est quod Augustinus, super Ioan., dicit quod per fidem venitur ad cognitionem, et non e converso.
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[29778] Iª q. 32 a. 1 ad 2
2. Si può portare un argomento per due scopi. Primo, per provare in modo rigoroso un dato principio: a tale scopo, p. es., nelle scienze naturali si portano argomenti rigorosi per dimostrare che il moto dei cieli ha sempre una velocità uniforme. Secondo, si può portare un argomento non per dimostrare scientificamente un dato principio, ma soltanto per far vedere come siano legati intimamente al principio, posto (come assioma), gli effetti che ne derivano: così, p. es., in astronomia si ammettono gli eccentrici e gli epicicli perché, accettata questa ipotesi, si può dare ragione delle irregolarità che nel moto dei corpi celesti appaiono ai sensi: tuttavia questo argomento non è apodittico, perché forse (tali irregolarità) potrebbero spiegarsi anche ammettendo un'altra ipotesi. Sono del primo genere le ragioni che si portano per provare l'unità di Dio ed altre simili verità. Invece gli argomenti con i quali si vuole provare la Trinità appartengono all'altro genere: perché, supposta la Trinità, quelle ragioni ne mostrano la congruenza; ma non sono sufficienti a provare la Trinità delle Persone. - E questo si vede benissimo esaminando i singoli argomenti. Infatti, l'infinita bontà di Dio, si manifesta anche nella sola produzione delle creature: perché solo una potenza infinita è capace di produrre dal nulla. In realtà perché Dio si comunichi con infinita bontà non è necessario che da lui proceda un infinito, ma che la cosa prodotta partecipi la bontà divina secondo tutta la propria capacità. - Così quel detto "senza compagnia non è del tutto giocondo il possesso di un bene" è vero quando in una persona non si trova la bontà nella sua perfezione, e quindi ha bisogno della bontà di un altro a sé associato per raggiungerne il pieno godimento. La somiglianza poi dell'intelletto nostro con quello divino non prova nulla in modo apodittico, perché l'intelletto non è univoco in Dio e in noi. - In conseguenza di tutto questo S. Agostino dice che la fede dà la scienza, ma la scienza non dà la fede.
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[29779] Iª q. 32 a. 1 ad 3 Ad tertium dicendum quod cognitio divinarum personarum fuit necessaria nobis dupliciter. Uno modo, ad recte sentiendum de creatione rerum. Per hoc enim quod dicimus Deum omnia fecisse verbo suo, excluditur error ponentium Deum produxisse res ex necessitate naturae. Per hoc autem quod ponimus in eo processionem amoris, ostenditur quod Deus non propter aliquam indigentiam creaturas produxit, neque propter aliquam aliam causam extrinsecam; sed propter amorem suae bonitatis. Unde et Moyses, postquam dixerat, in principio creavit Deus caelum et terram, subdit, dixit Deus, fiat lux, ad manifestationem divini verbi; et postea dixit, vidit Deus lucem, quod esset bona, ad ostendendum approbationem divini amoris; et similiter in aliis operibus. Alio modo, et principalius, ad recte sentiendum de salute generis humani, quae perficitur per filium incarnatum, et per donum spiritus sancti.
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[29779] Iª q. 32 a. 1 ad 3
3. La cognizione delle Persone divine ci è necessaria per due motivi. Primo, per avere un giusto concetto della creazione. Infatti dicendo che Dio ha fatto le cose mediante il Verbo, si evita l'errore di coloro i quali dicevano che Dio le ha create per necessità di natura. E con l'ammettere in Dio la processione dell'amore, si indica che non ha prodotto le creature per qualche sua indigenza o per qualche causa (a lui) estrinseca; ma solo per amore della sua bontà. Onde Mosè, dopo aver detto che "in principio Dio creò il cielo e la terra", soggiunge: "Disse Dio: Sia fatta la luce", per far conoscere il Verbo. E continua: "Vide Dio che la luce era buona", per mostrare l'approvazione dell'amore divino. E così (sta scritto) per le altre creature. - Secondo, e principalmente, perché si abbia una giusta idea della redenzione del genere umano avvenuta con l'incarnazione del Figlio e l'effusione dello Spirito Santo.
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