[33290] Iª q. 116 a. 1 arg. 2 Praeterea, ea quae fato aguntur, non sunt improvisa, quia, ut Augustinus dicit V de Civ. Dei, fatum a fando dictum intelligimus, idest a loquendo; ut ea fato fieri dicantur, quae ab aliquo determinante sunt ante praelocuta. Quae autem sunt provisa, non sunt fortuita neque casualia. Si igitur res fato aguntur, excludetur casus et fortuna a rebus.
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[33290] Iª q. 116 a. 1 arg. 2
2. Le cose soggette al fato non sono degl'imprevisti: perché, come osserva S. Agostino, "sappiamo che fato deriva da fari, dire"; cosicché si attribuiscono al fato gli eventi preordinati e predetti da qualcuno. Ma quello che è oggetto di provvidenza, non è né fortuito né casuale. Quindi, se si ammettesse che le cose sono soggette al fato, si escluderebbero dalle cose il caso e la fortuna.
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[33292] Iª q. 116 a. 1 co. Respondeo dicendum quod in rebus inferioribus videntur quaedam a fortuna vel casu provenire. Contingit autem quandoque quod aliquid, ad inferiores causas relatum, est fortuitum vel casuale, quod tamen, relatum ad causam aliquam superiorem, invenitur esse per se intentum. Sicut si duo servi alicuius domini mittantur ab eo ad eundem locum, uno de altero ignorante; concursus duorum servorum, si ad ipsos servos referatur, casualis est, quia accidit praeter utriusque intentionem; si autem referatur ad dominum, qui hoc praeordinavit, non est casuale, sed per se intentum. Fuerunt igitur aliqui qui huiusmodi casualia et fortuita, quae in his inferioribus accidunt, in nullam superiorem causam reducere voluerunt. Et hi fatum et providentiam negaverunt; ut de Tullio Augustinus recitat in V de Civ. Dei. Quod est contra ea quae superius de providentia dicta sunt. Quidam vero omnia fortuita et casualia quae in istis inferioribus accidunt, sive in rebus naturalibus sive in rebus humanis, reducere voluerunt in superiorem causam, idest in caelestia corpora. Et secundum hos, fatum nihil aliud est quam dispositio siderum in qua quisque conceptus est vel natus. Sed hoc stare non potest, propter duo. Primo quidem, quantum ad res humanas. Quia iam ostensum est quod humani actus non subduntur actioni caelestium corporum, nisi per accidens et indirecte. Causa autem fatalis, cum habeat ordinationem super ea quae fato aguntur, necesse est quod sit directe et per se causa eius quod agitur. Secundo, quantum ad omnia quae per accidens aguntur. Dictum est enim supra quod id quod est per accidens, non est proprie ens neque unum. Omnis autem naturae actio terminatur ad aliquid unum. Unde impossibile est quod id quod est per accidens, sit effectus per se alicuius naturalis principii agentis. Nulla ergo natura per se hoc facere potest, quod intendens fodere sepulcrum, inveniat thesaurum. Manifestum est autem quod corpus caeleste agit per modum naturalis principii, unde et effectus eius in hoc mundo sunt naturales. Impossibile est ergo quod aliqua virtus activa caelestis corporis sit causa eorum quae hic aguntur per accidens, sive a casu sive a fortuna. Et ideo dicendum est quod ea quae hic per accidens aguntur, sive in rebus naturalibus sive in rebus humanis, reducuntur in aliquam causam praeordinantem, quae est providentia divina. Quia nihil prohibet id quod est per accidens, accipi ut unum ab aliquo intellectu, alioquin intellectus formare non posset hanc propositionem, fodiens sepulcrum invenit thesaurum. Et sicut hoc potest intellectus apprehendere, ita potest efficere, sicut si aliquis sciens in quo loco sit thesaurus absconditus, instiget aliquem rusticum hoc ignorantem, ut ibi fodiat sepulcrum. Et sic nihil prohibet ea quae hic per accidens aguntur, ut fortuita vel casualia, reduci in aliquam causam ordinantem, quae per intellectum agat; et praecipue intellectum divinum. Nam solus Deus potest voluntatem immutare, ut supra habitum est. Et per consequens ordinatio humanorum actuum, quorum principium est voluntas, soli Deo attribui debet. Sic igitur inquantum omnia quae hic aguntur, divinae providentiae subduntur, tanquam per eam praeordinata et quasi praelocuta, fatum ponere possumus, licet hoc nomine sancti doctores uti recusaverint, propter eos qui ad vim positionis siderum hoc nomen retorquebant. Unde Augustinus dicit, in V de Civ. Dei, si propterea quisquam res humanas fato tribuit, quia ipsam Dei voluntatem vel potestatem fati nomine appellat, sententiam teneat, linguam corrigat. Et sic etiam Gregorius fatum esse negat.
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[33292] Iª q. 116 a. 1 co.
RISPONDO: È evidente che nel mondo alcuni eventi dipendono dalla fortuna e dal caso. Capita però, qualche volta, che un evento, in rapporto alle cause inferiori è fortuito o casuale, in rapporto invece a una causa superiore, si scopre che è voluto direttamente. Si pensi, p. es., a due servi mandati dal padrone, in una stessa località, l'uno all'insaputa dell'altro; l'incontro dei due servi, per loro è casuale, perché avviene senza che essi lo vogliano; per il padrone invece che lo ha preordinato non è casuale, ma voluto direttamente.
Vi furono dunque alcuni i quali non vollero ricondurre a nessuna causa superiore gli eventi terrestri fortuiti o casuali. Essi negarono il fato e la provvidenza, come S. Agostino dice di Cicerone. - Ma tale sentenza è contraria a quanto si disse trattando della provvidenza.
Altri poi vollero ricondurre gli eventi fortuiti e casuali, sia quelli del mondo fisico, sia quelli del mondo umano, a una causa superiore, e cioè ai corpi celesti. Secondo costoro, dunque, il fato non sarebbe altro che "la posizione degli astri sotto la quale uno fu concepito o venne alla luce". - Ma anche questa sentenza è insostenibile in questi due casi. Primo, in rapporto alle cose umane. Infatti, si è già dimostrato che gli atti umani sono soggetti all'azione dei corpi celesti soltanto in maniera accidentale e indiretta. Invece la causa fatale, essendo ordinata ad eventi fatali, deve essere causa diretta e per se dell'evento. - Secondo, in rapporto a tutto ciò che si verifica per accidens. Si è detto infatti che un per accidens non è propriamente né ente né uno. Invece ogni operazione della natura tende a produrre un effetto [determinato e quindi] unico. Perciò è impossibile che un per accidens sia effetto per se di una causa agente naturale. Cosicché nessun agente naturale può causare il fatto che uno, scavando una fossa sepolcrale, debba trovare un tesoro. Ora, è evidente che i corpi celesti agiscono come cause naturali: perciò anche i loro effetti sulla terra sono naturali. Quindi è impossibile che una virtù attiva dei corpi celesti sia causa di quanto nel mondo avviene per accidens, vale a dire per combinazione o per caso.
Bisogna perciò affermare che gli eventi casuali, sia quelli del mondo fisico, sia quelli del mondo umano, dipendono da una causa preordinante, che è la provvidenza divina. Niente infatti impedisce che una cosa capitata per accidens, sia concepita come un tutt'uno da una intelligenza - altrimenti l'intelletto non potrebbe neppure formulare questa proposizione: "Colui che scavava un sepolcro ha trovato un tesoro". E come un intelletto può concepire questo fatto, così può anche provocarlo: sapendo infatti uno dov'è nascosto un tesoro, potrebbe spingere un contadino che lo ignora, a scavare il sepolcro in quel punto. Perciò niente impedisce che gli eventi che accadono quaggiù per accidens, quali sono le cose fortuite e casuali, dipendano da una causa intellettiva predeterminante; e specialmente dall'intelletto divino. Infatti solo Dio può influire direttamente sulla volontà, come si è dimostrato. Per conseguenza, la coordinazione causale degli atti umani, che dipendono dalla volontà, deve attribuirsi a Dio soltanto.
Concludendo, noi possiamo ammettere il fato, perché quanto accade quaggiù è soggetto alla provvidenza divina, e accade come un evento preordinato e quasi pre-detto da essa: sebbene i santi Dottori abbiano ricusato di servirsi di questo vocabolo, a cagione di coloro che attribuivano il fato all'influsso e alla posizione degli astri. Ecco perché S. Agostino ammoniva: "Chi attribuisce gli eventi umani al fato, perché con tale vocabolo intende significare la stessa volontà e potenza di Dio, pensi pure così, ma corregga il suo linguaggio", Ed è questa la ragione per cui nega il fato S. Gregorio.
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