I, 105

Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Mozione delle creature da parte di Dio


Prima pars
Quaestio 105
Prooemium

[32791] Iª q. 105 pr.
Deinde considerandum est de secundo effectu gubernationis divinae qui est mutatio creaturarum. Et primo, de mutatione creaturarum a Deo; secundo, de mutatione unius creaturae ab alia. Circa primum quaeruntur octo.
Primo, utrum Deus immediate possit movere materiam ad formam.
Secundo, utrum immediate possit movere aliquod corpus.
Tertio, utrum possit movere intellectum.
Quarto, utrum possit movere voluntatem.
Quinto, utrum Deus operetur in omni operante.
Sexto, utrum possit aliquid facere praeter ordinem rebus inditum.
Septimo, utrum omnia quae sic Deus facit, sint miracula.
Octavo, de diversitate miraculorum.

 
Prima parte
Questione 105
Proemio

[32791] Iª q. 105 pr.
Dobbiamo ora trattare del secondo effetto del governo divino che riguarda la mozione delle creature. Primo, parleremo delle mozioni causate da Dio; secondo, dell'influsso di una creatura sull'altra.
Sul primo punto si pongono otto quesiti:

1. Se Dio possa muovere immediatamente la materia verso la forma;
2. Se egli possa muovere immediatamente un corpo;
3. Se possa muovere 1'intelletto;
4. Se possa muovere la volontà;
5. Se Dio operi in ogni operante;
6. Se possa compiere qualche cosa al di fuori dell'ordine impresso alle cose;
7. Se tutte le cose che Dio compie in questo modo siano miracoli;
8. Sulla diversità dei miracoli.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Mozione delle creature da parte di Dio > Se Dio immediatamente possa muovere la materia verso la forma


Prima pars
Quaestio 105
Articulus 1

[32792] Iª q. 105 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod Deus non possit immediate movere materiam ad formam. Sicut enim probat philosophus in VII Metaphys., formam in hac materia nihil facere potest nisi forma quae est in materia, quia simile facit sibi simile. Sed Deus non est forma in materia. Ergo non potest causare formam in materia.

 
Prima parte
Questione 105
Articolo 1

[32792] Iª q. 105 a. 1 arg. 1
SEMBRA che Dio non possa muovere immediatamente la materia verso la forma. Infatti:
1. Come il Filosofo dimostra, solo una forma esistente nella materia può produrre la forma in una data materia: perché per produrre una cosa ci vuole un essere consimile. Ma Dio non è una forma esistente nella materia. Perciò non può causare una forma nella materia.

[32793] Iª q. 105 a. 1 arg. 2
Praeterea, si aliquod agens se habeat ad multa, nullum eorum producet, nisi determinetur ad ipsum per aliquid aliud, ut enim in III de anima dicitur, universalis opinio non movet nisi mediante aliqua particulari apprehensione. Sed virtus divina est universalis causa omnium. Ergo non potest producere aliquam particularem formam, nisi mediante aliquo particulari agente.

 

[32793] Iª q. 105 a. 1 arg. 2
2. Quando un agente è orientato verso molti effetti, non ne produce alcuno, se non venga determinato da altri: poiché, come dice Aristotele, un'idea universale non ha capacità di muovere se non mediante un'apprensione particolare. Ora, la virtù divina è causa universale di tutte le cose. Dunque non può produrre una particolare forma, se non servendosi di una causa particolare.

[32794] Iª q. 105 a. 1 arg. 3
Praeterea, sicut esse commune dependet a prima causa universali, ita esse determinatum dependet a determinatis causis particularibus, ut supra habitum est. Sed determinatum esse alicuius rei est per propriam eius formam. Ergo propriae rerum formae non producuntur a Deo, nisi mediantibus causis particularibus.

 

[32794] Iª q. 105 a. 1 arg. 3
3. Come l'essere nella sua universalità dipende dalla prima causa universale, così un essere determinato dipende da cause particolari, come abbiamo già spiegato. Ma l'essere determinato di una cosa dipende dalla forma propria di essa. Quindi le forme proprie delle cose sono prodotte da Dio, solo per mezzo di cause particolari.

[32795] Iª q. 105 a. 1 s. c.
Sed contra est quod dicitur Gen. II, formavit Deus hominem de limo terrae.

 

[32795] Iª q. 105 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Dio formò l'uomo dal fango della terra".

[32796] Iª q. 105 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod Deus immediate potest movere materiam ad formam. Quia ens in potentia passiva reduci potest in actum, a potentia activa quae eam sub sua potestate continet. Cum igitur materia contineatur sub potestate divina, utpote a Deo producta, potest reduci in actum per divinam potentiam. Et hoc est moveri materiam ad formam, quia forma nihil aliud est quam actus materiae.

 

[32796] Iª q. 105 a. 1 co.
RISPONDO: Dio può muovere immediatamente la materia verso la forma. Infatti un ente, che è in potenza passiva, può essere portato all'atto da quella potenza attiva che lo tiene in suo potere. Ora, siccome la materia ricade, in quanto prodotta da Dio, sotto il potere divino, essa può essere portata all'atto dalla potenza divina. E questo è, per la materia, l'essere mossa verso la forma: poiché la forma non è altro che l’atto della materia.

[32797] Iª q. 105 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod effectus aliquis invenitur assimilari causae agenti dupliciter. Uno modo, secundum eandem speciem; ut homo generatur ab homine, et ignis ab igne. Alio modo, secundum virtualem continentiam, prout scilicet forma effectus virtualiter continetur in causa, et sic animalia ex putrefactione generata, et plantae et corpora mineralia assimilantur soli et stellis, quorum virtute generantur. Sic igitur effectus causae agenti similatur secundum totum illud ad quod se extendit virtus agentis. Virtus autem Dei se extendit ad formam et materiam, ut supra habitum est. Unde compositum quod generatur, similatur Deo secundum virtualem continentiam, sicut similatur composito generanti per similitudinem speciei. Unde sicut compositum generans potest movere materiam ad formam generando compositum sibi simile, ita et Deus. Non autem aliqua alia forma non in materia existens, quia materia non continetur in virtute alterius substantiae separatae. Et ideo Daemones et Angeli operantur circa haec visibilia, non quidem imprimendo formas, sed adhibendo corporalia semina.

 

[32797] Iª q. 105 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Un effetto può somigliare alla sua causa in due modi. Primo, nell'identità della specie; come l'uomo e il fuoco, generati rispettivamente dall'uomo e dal fuoco. Secondo, in forza di una "precontenenza" virtuale, in quanto cioè la forma dell'effetto è precontenuta virtualmente nella causa: gli animali sorti dalla putrefazione, le piante e i corpi minerali hanno una somiglianza di questo genere col sole e con le stelle, per la cui virtù sono generati. L'effetto pertanto prende una somiglianza con la causa agente in tutto quello cui si estende la virtù dell'agente. Ora, noi abbiamo già visto che la virtù di Dio si estende alla materia e alla forma. Il composto, dunque, [di materia, e forma], che nasce per generazione, come somiglia al composto che lo ha generato in forza della somiglianza nella specie, così somiglia a Dio in forza della "precontenenza" virtuale. Perciò, come il composto generante può muovere la materia alla forma col generare un altro composto simile, così può farlo Dio. Non può farlo invece un'altra forma immateriale: perché la materia non è contenuta nella virtù di nessun'altra sostanza separata. Per conseguenza, tanto i demoni che gli angeli, quando operano sulle cose visibili, non comunicano direttamente le forme, ma si servono del seme delle sostanze corporee.

[32798] Iª q. 105 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod ratio illa procederet, si Deus ageret, ex necessitate naturae. Sed quia agit per voluntatem et intellectum, qui cognoscit rationes proprias omnium formarum, et non solum universales; inde est quod potest determinate hanc vel illam formam materiae imprimere.

 

[32798] Iª q. 105 a. 1 ad 2
2. L'argomento varrebbe, se Dio agisse per necessità di natura. Ma siccome egli agisce per volontà e per intelligenza, e l'intelletto conosce non solo le ragioni universali, ma anche quelle particolari di tutte le forme, ne segue che egli può imprimere alla materia questa o quella forma determinata.

[32799] Iª q. 105 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod hoc ipsum quod causae secundae ordinantur ad determinatos effectus est illis a Deo. Unde Deus, quia alias causas ordinat ad determinatos effectus, potest etiam determinatos effectus producere per seipsum.

 

[32799] Iª q. 105 a. 1 ad 3
3. Il fatto stesso che le cause seconde sono ordinate a determinati effetti, proviene loro da Dio. Quindi Dio, proprio perché ordina le cause seconde a determinati effetti, può anche produrre questi effetti da se medesimo.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Mozione delle creature da parte di Dio > Se Dio possa direttamente muovere un corpo


Prima pars
Quaestio 105
Articulus 2

[32800] Iª q. 105 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Deus non possit immediate movere aliquod corpus. Cum enim movens et motum oporteat esse simul, ut probatur in VII Physic., oportet esse contactum quendam moventis et moti. Sed non potest esse contactus Dei, et corporis alicuius, dicit enim Dionysius, in I cap. de Div. Nom., quod Dei non est aliquis tactus. Ergo Deus non potest immediate movere aliquod corpus.

 
Prima parte
Questione 105
Articolo 2

[32800] Iª q. 105 a. 2 arg. 1
SEMBRA che Dio non possa direttamente muovere un corpo. Infatti:
1. Motore e mobile devono essere insieme, come Aristotele dimostra; perciò è necessario che tra il motore e il mobile vi sia un contatto. Ora, non è possibile un contatto tra Dio e un corpo: perché, come scrive Dionigi, "Dio non ammette contatti". Dunque Dio non può muovere un corpo direttamente.

[32801] Iª q. 105 a. 2 arg. 2
Praeterea, Deus est movens non motum. Tale autem est appetibile apprehensum. Movet igitur Deus sicut desideratum et apprehensum. Sed non apprehenditur nisi ab intellectu, qui non est corpus, nec virtus corporis. Ergo Deus non potest movere aliquod corpus immediate.

 

[32801] Iª q. 105 a. 2 arg. 2
2. Dio è motore non mosso. E tale è l'oggetto appetibile conosciuto. Quindi Dio muove in quanto oggetto di desiderio e di conoscenza. Ma l'intelletto, che solo può conoscerlo, non è corpo né potenza corporea. Dunque Dio non può immediatamente muovere un corpo.

[32802] Iª q. 105 a. 2 arg. 3
Praeterea, philosophus probat in VIII Physic., quod potentia infinita movet in instanti. Sed impossibile est aliquod corpus in instanti moveri, quia, cum omnis motus sit inter opposita, sequeretur quod duo opposita simul inessent eidem; quod est impossibile. Ergo corpus non potest immediate moveri a potentia infinita. Potentia autem Dei est infinita, ut supra habitum est. Ergo Deus non potest immediate movere aliquod corpus.

 

[32802] Iª q. 105 a. 2 arg. 3
3. Il Filosofo prova che il moto di una potenza infinita è istantaneo. Ora, non è possibile che tale sia il moto di un corpo: perché, attuandosi il moto tra due termini opposti, ne verrebbe che due opposti termini si troverebbero insieme nello stesso soggetto; e ciò è assurdo.
Quindi un corpo non può essere mosso direttamente da una potenza infinita, quale è la potenza di Dio, come si è visto. Dunque Dio non può muovere un corpo direttamente.

[32803] Iª q. 105 a. 2 s. c.
Sed contra, opera sex dierum Deus fecit immediate; in quibus continetur motus corporum, ut patet per hoc quod dicitur Gen. I, congregentur aquae in locum unum. Ergo Deus immediate potest movere corpus.

 

[32803] Iª q. 105 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Dio compì direttamente le opere dei sei giorni, tra le quali è incluso anche il movimento dei corpi, come appare evidente dalle parole: "Si raccolgano le acque in un sol luogo". Dunque Dio direttamente può muovere un corpo.

[32804] Iª q. 105 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod erroneum est dicere Deum non posse facere per seipsum omnes determinatos effectus qui fiunt per quamcumque causam creatam. Unde cum corpora moveantur immediate a causis creatis, nulli debet venire in dubium quin Deus possit movere immediate quodcumque corpus. Et hoc quidem consequens est ad ea quae supra dicta sunt. Nam omnis motus corporis cuiuscumque vel consequitur ad aliquam formam, sicut motus localis gravium et levium consequitur formam quae datur a generante, ratione cuius generans dicitur movens, vel est via ad formam aliquam, sicut calefactio est via ad formam ignis. Eiusdem autem est imprimere formam, et disponere ad formam, et dare motum consequentem formam, ignis enim non solum generat alium ignem, sed etiam calefacit, et sursum movet. Cum igitur Deus possit immediate formam materiae imprimere, consequens est ut possit, secundum quemcumque motum, corpus quodcumque movere.

 

[32804] Iª q. 105 a. 2 co.
RISPONDO: È erroneo affermare che Dio non può produrre da se stesso tutti gli effetti particolari prodotti da una qualsiasi causa creata. E poiché i corpi sono mossi immediatamente da cause create, non c’è dubbio che Dio può muovere immediatamente qualsiasi corpo.
E ciò deriva da quanto abbiamo già detto. Intatti, ogni movimento di qualsiasi corpo, o deriva da una data forma, come il moto locale dei corpi gravi e leggeri deriva dalla forma impressa dal generante, denominato motore per questo, o costituisce il passaggio a una nuova forma, come il riscaldamento è il passaggio alla forma del fuoco. Orbene, imprimere la forma, disporre alla forma e dare il moto susseguente alla forma, appartengono a una stessa causa: il fuoco, infatti, non solo genera altro fuoco, ma riscalda e muove verso l'alto. Ora, Dio può imprimere immediatamente la forma nella materia; quindi può muovere qualunque corpo secondo ogni specie di moto.

[32805] Iª q. 105 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod duplex est tactus, scilicet corporalis, sicut duo corpora se tangunt; et virtualis, sicut dicitur quod contristans tangit contristatum. Secundum igitur primum contactum, Deus, cum sit incorporeus, nec tangit nec tangitur. Secundum autem virtualem contactum, tangit quidem movendo creaturas, sed non tangitur, quia nullius creaturae virtus naturalis potest ad ipsum pertingere. Et sic intellexit Dionysius quod non est tactus Dei, ut scilicet tangatur.

 

[32805] Iª q. 105 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il contatto è di due specie: fisico, come quello che avviene tra due corpi che si toccano; e "virtuale" come quello che avviene tra chi rattrista e chi viene rattristato. Se parliamo della prima specie di contatto, allora Dio non può né toccare né essere toccato, essendo incorporeo. Se invece parliamo del contatto virtuale, allora egli può toccare, movendole, le creature, ma non può essere toccato: perché la virtù naturale di nessuna creatura può raggiungerlo. E questo è il senso delle parole di Dionigi, "Dio non ammette contatti", egli cioè non può essere toccato.

[32806] Iª q. 105 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod movet Deus sicut desideratum et intellectum. Sed non oportet quod semper moveat sicut desideratum et intellectum ab eo quod movetur; sed sicut desideratum et notum a seipso; quia omnia operatur propter suam bonitatem.

 

[32806] Iª q. 105 a. 2 ad 2
2. È vero che Dio muove quale oggetto desiderato e conosciuto. È necessario però che egli muova sempre così, come oggetto desiderato e conosciuto, non da parte delle cose che si muovono, ma da parte di se stesso; poiché egli tutto compie in vista della sua bontà.

[32807] Iª q. 105 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod philosophus in VIII Physic. intendit probare quod virtus primi motoris non sit virtus in magnitudine, tali ratione, virtus primi motoris est infinita (quod probat per hoc quod potest movere tempore infinito); virtus autem infinita, si esset in aliqua magnitudine, moveret in non tempore, quod est impossibile; ergo oportet quod infinita virtus primi motoris sit non in magnitudine. Ex quo patet quod corpus moveri in non tempore, non consequitur nisi virtutem infinitam in magnitudine. Cuius ratio est, quia omnis virtus quae est in magnitudine, movet secundum se totam, cum moveat per necessitatem naturae. Potentia autem infinita improportionabiliter excedit quamlibet potentiam finitam. Quanto autem maior est potentia moventis, tanto est maior velocitas motus. Cum igitur potentia finita moveat tempore determinato, sequitur quod potentia infinita non moveat in aliquo tempore, quia cuiuscumque temporis ad aliud tempus est aliqua proportio. Sed virtus quae non est in magnitudine, est virtus alicuius intelligentis, qui operatur in effectibus secundum quod eis convenit. Et ideo, cum corpori non possit esse conveniens moveri in non tempore, non sequitur quod moveat in non tempore.

 

[32807] Iª q. 105 a. 2 ad 3
3. Nel luogo citato il Filosofo intende provare che la virtù del primo motore non è una virtù legata all'estensione; e fa questo ragionamento: La virtù del primo motore è infinita (e lo prova dal fatto che essa può muovere per un tempo infinito); ma una virtù che fosse infinita in estensione muoverebbe fuori [della misura] del tempo: cosa questa impossibile; quindi bisogna che la virtù del primo motore non sia legata all'estensione. E da ciò appare chiaramente che il moto di un corpo fuori del tempo potrebbe derivare soltanto da una virtù infinita in estensione. E la prova l'abbiamo nel fatto che ogni virtù legata all'estensione, o quantità, muove con tutta se stessa; perché muove per necessità di natura. Ora, una potenza infinita supera qualsiasi potenza finita in modo da escludere ogni proporzione. Inoltre, quanto maggiore è la potenza di chi muove, tanto è più accentuata la velocità del movimento. Ora, una potenza finita muove sempre in un tempo determinato, quindi una potenza infinita deve muovere fuori del tempo: giacché tra un tempo e un altro tempo vi è sempre una qualche proporzione. - Invece la virtù che non è legata a un corpo esteso è virtù di un essere intellettivo, il quale opera su gli effetti secondo la loro natura. Perciò, dall'impossibilità che ha un corpo di muoversi fuori del tempo [e cioè istantaneamente], non segue che sia mosso così dalla virtù suddetta.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Mozione delle creature da parte di Dio > Se Dio muova immediatamente l'intelletto creato


Prima pars
Quaestio 105
Articulus 3

[32808] Iª q. 105 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod Deus non moveat immediate intellectum creatum. Actio enim intellectus est ab eo in quo est, non enim transit in exteriorem materiam, ut dicitur in IX Metaphys. Actio autem eius quod movetur ab alio, non est ab eo in quo est, sed a movente. Non ergo intellectus movetur ab alio. Et ita videtur quod Deus non possit movere intellectum.

 
Prima parte
Questione 105
Articolo 3

[32808] Iª q. 105 a. 3 arg. 1
SEMBRA che Dio non muova immediatamente l'intelletto creato. Infatti:
1. L'azione dell'intelletto proviene dal soggetto in cui si produce: poiché non passa in una materia esteriore, come fa osservare Aristotele. Invece l'azione di chi è mosso da un altro non deriva dal soggetto in cui si produce, ma da colui che muove. Quindi l'intelletto non è mosso da altri. E perciò Dio non può muovere l'intelletto.

[32809] Iª q. 105 a. 3 arg. 2
Praeterea, id quod habet in se principium sufficiens sui motus, non movetur ab alio. Sed motus intellectus est ipsum intelligere eius, sicut dicitur quod intelligere vel sentire est motus quidam, secundum philosophum, in III de anima. Sufficiens autem principium intelligendi est lumen intelligibile inditum intellectui. Ergo non movetur ab alio.

 

[32809] Iª q. 105 a. 3 arg. 2
2. Chi possiede in se stesso il principio sufficiente del proprio movimento non è mosso da altri. Ora, il moto dell'intelletto non è che la sua azione intellettiva, nel senso in cui, secondo le espressioni del Filosofo, diciamo che anche l'intendere e il sentire sono una specie di moto. Ma il lume intellettuale, di cui è dotato l'intelletto, è un principio sufficiente dell'atto intellettivo. Dunque l'intelletto non è mosso da altri.

[32810] Iª q. 105 a. 3 arg. 3
Praeterea, sicut sensus movetur a sensibili, ita intellectus ab intelligibili. Sed Deus non est intelligibilis nobis, sed nostrum intellectum excedit. Ergo Deus non potest movere nostrum intellectum.

 

[32810] Iª q. 105 a. 3 arg. 3
3. L'intelletto è mosso dall'oggetto intelligibile, come il senso da quello sensibile. Ma Dio non è intelligibile per noi, perché trascende il nostro intelletto. Perciò Dio non può muovere 1' intelletto nostro.

[32811] Iª q. 105 a. 3 s. c.
Sed contra, docens movet intellectum addiscentis. Sed Deus docet hominem scientiam, sicut dicitur in Psalmo. Ergo Deus movet intellectum hominis.

 

[32811] Iª q. 105 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: L'insegnante muove la mente del discepolo. Ora Dio, come si legge nei Salmi, "insegna all'uomo la sapienza". Dunque Dio muove l'intelletto dell'uomo.

[32812] Iª q. 105 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod, sicut in motibus corporalibus movens dicitur quod dat formam quae est principium motus; ita dicitur movere intellectum, quod causat formam quae est principium intellectualis operationis, quae dicitur motus intellectus. Operationis autem intellectus est duplex principium in intelligente, unum scilicet quod est ipsa virtus intellectualis, quod quidem principium est etiam in intelligente in potentia; aliud autem est principium intelligendi in actu, scilicet similitudo rei intellectae in intelligente. Dicitur ergo aliquid movere intellectum, sive det intelligenti virtutem ad intelligendum, sive imprimat ei similitudinem rei intellectae. Utroque autem modo Deus movet intellectum creatum. Ipse enim est primum ens immateriale. Et quia intellectualitas consequitur immaterialitatem, sequitur quod ipse sit primum intelligens. Unde cum primum in quolibet ordine sit causa eorum quae consequuntur, sequitur quod ab ipso sit omnis virtus intelligendi. Similiter cum ipse sit primum ens, et omnia entia praeexistant in ipso sicut in prima causa, oportet quod sint in eo intelligibiliter secundum modum eius. Sicut enim omnes rationes rerum intelligibiles primo existunt in Deo, et ab derivantur in alios intellectus, ut actu intelligant; sic etiam derivantur in creaturas ut subsistant. Sic igitur Deus movet intellectum creatum, inquantum dat ei virtutem ad intelligendum, vel naturalem vel superadditam; et inquantum imprimit ei species intelligibiles; et utrumque tenet et conservat in esse.

 

[32812] Iª q. 105 a. 3 co.
RISPONDO: Anche nel moto fisico, motore è chi imprime la forma principio del moto; perciò diciamo che muove l'intelletto ciò che imprime la forma principio delle operazioni intellettive, chiamate anche moti intellettivi. Ora nel soggetto intelligente vi sono due principii dell'atto intellettivo: il primo è la stessa virtù intellettiva presente anche in chi è soltanto in potenza all’intellezione; l'altro invece è il principio dell'intellezione attuale, ed è l'immagine ideale dell'oggetto nel soggetto che intende. Si dice dunque che uno muove l'intelletto, o perché gli dona la virtù di intendere, o perché gli imprime l'immagine della cosa intesa.
Ora, Dio muove l'intelletto creato in ambedue i modi. Egli è, infatti, il primo ente immateriale. E poiché l'intellettualità scaturisce dalla immaterialità, ne segue che egli è pure il primo intelligente.
Ma in qualsiasi genere di cose il primo è causa di tutta la serie che segue; perciò da lui proviene ogni virtù intellettiva. Parimente, essendo egli il primo ente, e preesistendo tutti gli altri enti in lui come nella prima loro causa, è necessario che essi si trovino in lui come intelligibili, nel modo che a lui compete. Infatti come si richiede che le ragioni ideali di tutte le cose esistano prima in Dio, e vengano da lui comunicate agli altri intelletti per avere l'intellezione attuale, così devono essere partecipate alle creature perché queste possano sussistere. Dunque Dio muove l'intelletto creato in quanto gli dà la virtù naturale o soprannaturale di intendere, in quanto gli comunica le specie intelligibili, e in quanto governa e conserva nell'essere la virtù e le specie.

[32813] Iª q. 105 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod operatio intellectualis est quidem ab intellectu in quo est, sicut a causa secunda, sed a Deo sicut a causa prima. Ab ipso enim datur intelligenti quod intelligere possit.

 

[32813] Iª q. 105 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'operazione intellettiva proviene dall'intelligenza in cui si produce, come da causa seconda; ma proviene da Dio come da causa prima. È lui infatti che dà al soggetto il potere di intendere.

[32814] Iª q. 105 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod lumen intellectuale, simul cum similitudine rei intellectae, est sufficiens principium intelligendi; secundarium tamen, et a primo principio dependens.

 

[32814] Iª q. 105 a. 3 ad 2
2. Il lume intellettuale unito all’immagine della cosa intesa è principio sufficiente dell'intellezione; ma è secondario e dipende dal primo principio.

[32815] Iª q. 105 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod intelligibile movet intellectum nostrum, inquantum quodammodo imprimit ei suam similitudinem, per quam intelligi potest. Sed similitudines quas Deus imprimit intellectui creato, non sufficiunt ad ipsum Deum intelligendum per essentiam, ut supra habitum est. Unde movet intellectum creatum, cum tamen non sit ei intelligibilis, ut dictum est.

 

[32815] Iª q. 105 a. 3 ad 3
3. L'oggetto intelligibile muove il nostro intelletto comunicandogli in qualche modo la sua immagine, mediante la quale può essere conosciuto. Ma le immagini, che Dio imprime nell’intelletto creato, non sono bastanti a farci conoscere Dio nella sua essenza, come già altrove abbiamo spiegato. Perciò Dio muove l'intelletto creato, sebbene questo non sia in grado di averne l’intellezione, come abbiamo dimostrato.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Mozione delle creature da parte di Dio > Se Dio possa muovere la volontà creata


Prima pars
Quaestio 105
Articulus 4

[32816] Iª q. 105 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod Deus non possit movere voluntatem creatam. Omne enim quod movetur ab extrinseco, cogitur. Sed voluntas non potest cogi. Ergo non movetur ab aliquo extrinseco. Et ita non potest moveri a Deo.

 
Prima parte
Questione 105
Articolo 4

[32816] Iª q. 105 a. 4 arg. 1
SEMBRA che Dio non possa muovere la volontà creata. Infatti:
1. Tutto ciò che è mosso dall'esterno, subisce una costrizione. Ma la volontà non può subire costrizioni. Quindi non è mossa da agenti esterni. Perciò non può essere mossa da Dio.

[32817] Iª q. 105 a. 4 arg. 2
Praeterea, Deus non potest facere quod contradictoria sint simul vera. Hoc autem sequeretur, si voluntatem moveret, nam voluntarie moveri est ex se moveri, et non ab alio. Ergo Deus non potest voluntatem movere.

 

[32817] Iª q. 105 a. 4 arg. 2
2. Dio non può fare che due cose contraddittorie si verifichino tutte e due insieme. Ma questo accadrebbe, se egli movesse la volontà: perché muoversi volontariamente vuoi dire muoversi da sé, e non per opera altrui. Quindi Dio non può muovere la volontà.

[32818] Iª q. 105 a. 4 arg. 3
Praeterea, motus magis attribuitur moventi quam mobili, unde homicidium non attribuitur lapidi, sed proiicienti. Si igitur Deus moveat voluntatem, sequitur quod opera voluntaria non imputentur homini ad meritum vel demeritum. Hoc autem est falsum. Non igitur Deus movet voluntatem.

 

[32818] Iª q. 105 a. 4 arg. 3
3. Il movimento si attribuisce più a chi muove che a chi è mosso: così l'uccisione di un uomo non si attribuisce al sasso, ma a chi l'ha scagliato. Ora, se Dio movesse la volontà, ne seguirebbe che le opere volontarie non potrebbero essere imputate all'uomo come merito e come demerito. Ma ciò è falso. Dunque Dio non muove la volontà.

[32819] Iª q. 105 a. 4 s. c.
Sed contra est quod dicitur ad Philipp. II, Deus est qui operatur in nobis velle et perficere.

 

[32819] Iª q. 105 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Dio è che produce in noi e il volere e l'agire con buona volontà".

[32820] Iª q. 105 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod, sicut intellectus, ut dictum est, movetur ab obiecto, et ab eo qui dedit virtutem intelligendi; ita voluntas movetur ab obiecto, quod est bonum, et ab eo qui creat virtutem volendi. Potest autem voluntas moveri sicut ab obiecto, a quocumque bono; non tamen sufficienter et efficaciter nisi a Deo. Non enim sufficienter aliquid potest movere aliquod mobile, nisi virtus activa moventis excedat, vel saltem adaequet virtutem passivam mobilis. Virtus autem passiva voluntatis se extendit ad bonum in universali, est enim eius obiectum bonum universale, sicut et intellectus obiectum est ens universale. Quodlibet autem bonum creatum est quoddam particulare bonum, solus autem Deus est bonum universale. Unde ipse solus implet voluntatem, et sufficienter eam movet ut obiectum. Similiter autem et virtus volendi a solo Deo causatur. Velle enim nihil aliud est quam inclinatio quaedam in obiectum voluntatis, quod est bonum universale. Inclinare autem in bonum universale est primi moventis cui proportionatur ultimus finis, sicut in rebus humanis dirigere ad bonum commune est eius qui praeest multitudini. Unde utroque modo proprium est Dei movere voluntatem, sed maxime secundo modo, interius eam inclinando.

 

[32820] Iª q. 105 a. 4 co.
RISPONDO: Come abbiamo visto, l'intelletto è mosso e dall'oggetto e da colui che conferisce la virtù intellettiva; allo stesso modo la volontà è mossa e dal proprio oggetto, che è il bene, e da colui che crea la virtù del volere. Ora, la volontà può esser mossa da qualunque bene, come da suo oggetto; ma Dio soltanto può muoverla in modo irresistibile ed efficace. Infatti una cosa non può muovere irresistibilmente un soggetto mobile, se la virtù attiva del movente non è superiore, o per lo meno non sia uguale alla virtù passiva del mobile. Ora, la virtù passiva della volontà si estende al bene in tutta la sua universalità; avendo essa per oggetto il bene universale, come l'intelletto l'ente universale. Ma qualunque bene creato è un bene particolare: mentre Dio solo è il bene universale. Perciò Dio solo, come oggetto, riempie la volontà, e la muove irresistibilmente.
Parimente, la virtù del volere è causata da Dio solo. Infatti il volere non è altro che l’inclinazione della volontà verso il proprio oggetto, che è il bene nella sua universalità. Ora, questa inclinazione al bene universale deriva dal primo motore, al quale deve attribuirsi l'ultimo fine: infatti anche tra gli uomini dirigere al bene comune spetta al capo della moltitudine. E così, in ambedue i modi, è proprio di Dio muovere la volontà: ma soprattutto in questa seconda maniera, piegandola interiormente.

[32821] Iª q. 105 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod illud quod movetur ab altero dicitur cogi, si moveatur contra inclinationem propriam, sed si moveatur ab alio quod sibi dat propriam inclinationem, non dicitur cogi; sicut grave, cum movetur deorsum a generante, non cogitur. Sic igitur Deus, movendo voluntatem, non cogit ipsam, quia dat ei eius propriam inclinationem.

 

[32821] Iª q. 105 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ciò che è mosso da altri subisce una costrizione, se è mosso contro la propria inclinazione: ma se è mosso da chi gli conferisce la sua stessa inclinazione, non si può dire che viene costretto; così i corpi gravi non subiscono costrizione quando dalla causa che li produce sono mossi verso il basso. In modo analogo, quando Dio muove la volontà, non la costringe: perché è lui stesso che le conferisce la sua inclinazione naturale.

[32822] Iª q. 105 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod moveri voluntarie est moveri ex se, idest a principio intrinseco, sed illud principium intrinsecum potest esse ab alio principio extrinseco. Et sic moveri ex se non repugnat ei quod movetur ab alio.

 

[32822] Iª q. 105 a. 4 ad 2
2. Muoversi volontariamente significa muoversi da se stesso, cioè per impulso del proprio principio intrinseco: ma tale principio intrinseco può anche derivare da un principio estrinseco. E allora muoversi da sé non è in contraddizione con l'esser mosso da altri.

[32823] Iª q. 105 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod, si voluntas ita moveretur ab alio quod ex se nullatenus moveretur, opera voluntatis non imputarentur ad meritum vel demeritum. Sed quia per hoc quod movetur ab alio, non excluditur quin moveatur ex se, ut dictum est; ideo per consequens non tollitur ratio meriti vel demeriti.

 

[32823] Iª q. 105 a. 4 ad 3
3. Se la volontà fosse mossa da altri in modo da non muoversi da se stessa, allora le opere della volontà non potrebbero essere ascritte a merito o a demerito. Ma siccome, per essa, l'esser mossa da altri non esclude il muoversi da sé, come si è spiegato, non cessa per questo il principio del merito e del demerito.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Mozione delle creature da parte di Dio > Se Dio operi in ogni operante


Prima pars
Quaestio 105
Articulus 5

[32824] Iª q. 105 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod Deus non operetur in omni operante. Nulla enim insufficientia est Deo attribuenda. Si igitur Deus operatur in omni operante, sufficienter in quolibet operatur. Superfluum igitur esset quod agens creatum aliquid operaretur.

 
Prima parte
Questione 105
Articolo 5

[32824] Iª q. 105 a. 5 arg. 1
SEMBRA che Dio non operi in ogni operante. Infatti:
1. Non si può attribuire a Dio nessuna inefficacia. Perciò, supposto che egli operi in ogni operante, vi opera in modo efficace. Ma allora sarebbe superflua qualsiasi operazione della creatura.

[32825] Iª q. 105 a. 5 arg. 2
Praeterea, una operatio non est simul a duobus operantibus, sicut nec unus numero motus potest esse duorum mobilium. Si igitur operatio creaturae est a Deo in creatura operante, non potest esse simul a creatura. Et ita nulla creatura aliquid operatur.

 

[32825] Iª q. 105 a. 5 arg. 2
2. Un'operazione non può derivare simultaneamente da due cause operanti: come un movimento unico non può appartenere a due soggetti mobili distinti. Ma se l'operazione della creatura proviene da Dio che opera in essa, non può insieme provenire dalla creatura. A niente perciò si ridurrebbe l'attività di tutte le creature.

[32826] Iª q. 105 a. 5 arg. 3
Praeterea, faciens dicitur esse causa operationis facti, inquantum dat ei formam qua operatur. Si igitur Deus est causa operationis rerum factarum ab ipso, hoc erit inquantum dat eis virtutem operandi. Sed hoc est a principio, quando rem facit. Ergo videtur quod ulterius non operetur in creatura operante.

 

[32826] Iª q. 105 a. 5 arg. 3
3. Colui che produce una cosa si dice che è pure causa dell'operazione di questa, in quanto le dà la forma con la quale essa opera.
Quindi, se Dio è causa dell'attività esplicata da tutte le cose da lui prodotte, ciò proverrà dal fatto che egli ha dato loro la virtù per agire. Ma questo si verifica da principio, nel momento in cui egli produce la cosa. Dunque non è vero che in seguito operi ancora nella creatura operante.

[32827] Iª q. 105 a. 5 s. c.
Sed contra est quod dicitur Isaiae XXVI, omnia opera nostra operatus es in nobis, domine.

 

[32827] Iª q. 105 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Leggiamo nella Scrittura: "O Signore, tu hai operato in noi tutte le opere nostre".

[32828] Iª q. 105 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod Deum operari in quolibet operante aliqui sic intellexerunt, quod nulla virtus creata aliquid operaretur in rebus, sed solus Deus immediate omnia operaretur; puta quod ignis non calefaceret, sed Deus in igne, et similiter de omnibus aliis. Hoc autem est impossibile. Primo quidem, quia sic subtraheretur ordo causae et causati a rebus creatis. Quod pertinet ad impotentiam creantis, ex virtute enim agentis est, quod suo effectui det virtutem agendi. Secundo, quia virtutes operativae quae in rebus inveniuntur, frustra essent rebus attributae, si per eas nihil operarentur. Quinimmo omnes res creatae viderentur quodammodo esse frustra, si propria operatione destituerentur, cum omnis res sit propter suam operationem. Semper enim imperfectum est propter perfectius, sicut igitur materia est propter formam, ita forma, quae est actus primus, est propter suam operationem, quae est actus secundus; et sic operatio est finis rei creatae. Sic igitur intelligendum est Deum operari in rebus, quod tamen ipsae res propriam habeant operationem. Ad cuius evidentiam, considerandum est quod, cum sint causarum quatuor genera, materia quidem non est principium actionis, sed se habet ut subiectum recipiens actionis effectum. Finis vero et agens et forma se habent ut actionis principium, sed ordine quodam. Nam primo quidem, principium actionis est finis, qui movet agentem; secundo vero, agens; tertio autem, forma eius quod ab agente applicatur ad agendum (quamvis et ipsum agens per formam suam agat); ut patet in artificialibus. Artifex enim movetur ad agendum a fine, qui est ipsum operatum, puta arca vel lectus; et applicat ad actionem securim quae incidit per suum acumen. Sic igitur secundum haec tria Deus in quolibet operante operatur. Primo quidem, secundum rationem finis. Cum enim omnis operatio sit propter aliquod bonum verum vel apparens; nihil autem est vel apparet bonum, nisi secundum quod participat aliquam similitudinem summi boni, quod est Deus; sequitur quod ipse Deus sit cuiuslibet operationis causa ut finis. Similiter etiam considerandum est quod, si sint multa agentia ordinata, semper secundum agens agit in virtute primi, nam primum agens movet secundum ad agendum. Et secundum hoc, omnia agunt in virtute ipsius Dei; et ita ipse est causa actionum omnium agentium. Tertio, considerandum est quod Deus movet non solum res ad operandum, quasi applicando formas et virtutes rerum ad operationem, sicut etiam artifex applicat securim ad scindendum, qui tamen interdum formam securi non tribuit; sed etiam dat formam creaturis agentibus, et eas tenet in esse. Unde non solum est causa actionum inquantum dat formam quae est principium actionis, sicut generans dicitur esse causa motus gravium et levium; sed etiam sicut conservans formas et virtutes rerum; prout sol dicitur esse causa manifestationis colorum, inquantum dat et conservat lumen, quo manifestantur colores. Et quia forma rei est intra rem, et tanto magis quanto consideratur ut prior et universalior; et ipse Deus est proprie causa ipsius esse universalis in rebus omnibus, quod inter omnia est magis intimum rebus; sequitur quod Deus in omnibus intime operetur. Et propter hoc in sacra Scriptura operationes naturae Deo attribuuntur quasi operanti in natura; secundum illud Iob X, pelle et carnibus vestisti me, ossibus et nervis compegisti me.

 

[32828] Iª q. 105 a. 5 co.
RISPONDO: Che Dio opera in ogni operante fu inteso da alcuni nel senso che nessuna virtù creata possa compiere qualche cosa nel mondo, e che sia Dio solo direttamente a far tutto; cosicché non sarebbe il fuoco a riscaldare, ma Dio nel fuoco, e così in tutti gli altri casi. - Ma questo è impossibile. Primo, perché sarebbe tolto dal creato il rapporto tra causa ed effetto. Fatto, questo, che denoterebbe l'impotenza del creatore: perché la capacità di operare deriva negli effetti dalla virtù di chi li produce. - Secondo, perché le facoltà operative che si trovano nelle cose, sarebbero state conferite loro invano, se le cose non potessero far niente per loro mezzo.
Anzi, tutte le cose create in certo modo non avrebbero più ragione di essere, se fossero destituite della propria attività: poiché ogni ente è per la sua operazione. Infatti le cose meno perfette sono sempre ordinate a quelle più perfette: perciò, come la materia è per la forma, così la forma, che è l'atto primo, è per la sua operazione, che è l'atto secondo; e in tal modo l'operazione è il fine delle cose create. Quindi, l'affermazione che Dio opera in tutte le cose, va intesa in modo da non pregiudicare il fatto che le cose stesse hanno la propria operazione.
Per averne l'evidenza, bisogna considerare i quattro generi di cause, e notiamo subito che la materia non è un principio operativo, ma fa soltanto da soggetto delle altrui operazioni. Invece, il fine, l'agente e la forma sono principii operativi, ma secondo un certo ordine. Infatti, il primo principio di un'operazione, come è evidente nelle manifatture, è il fine, il quale muove la causa agente; segue la causa agente; e finalmente la forma dello strumento che viene applicato all'azione dall'agente (sebbene lo stesso agente operi in forza della sua forma). Infatti l'artigiano è spinto ad agire dal fine, che è l'opera da produrre, p. es., una cassa o un letto; poi applica all'azione la scure, la quale incide [il legno] mediante l'acutezza del suo taglio.
Orbene, anche Dio opera in ogni operante secondo questi tre generi di causalità. Primo, come causa finale. Infatti ogni operazione tende a un bene vero o apparente; e poiché nessuna cosa costituisce un bene vero o apparente, se non in quanto partecipa una qualche somiglianza cui sommo bene che è Dio, ne segue che Dio stesso è causa finale di qualunque operazione. - Secondo, in ogni serie di cause agenti subordinate tra loro la seconda agisce sempre in virtù della prima: infatti, è il primo agente che muove il secondo ad agire. Quindi, sotto questo punto di vista, tutte le cose agiscono in virtù di Dio stesso; ed egli è perciò causa delle operazioni di tutte le cause agenti. - Terzo, bisogna ricordare che Dio non soltanto muove gli esseri a operare applicando all'operazione le loro forme e le loro virtù, come fa l'artigiano che adopera la scure senza forse aver costruito lui stesso la scure; ma dà anche la forma alla creatura che opera, e la conserva nell'essere. Quindi, non solo è causa delle operazioni in quanto dà la forma che è principio di operazione, come il corpo generante che produce il moto dei corpi gravi e leggeri; ma anche perché conserva nell'essere le forme e le virtù delle cose; nel modo stesso in cui il sole è detto causa della manifestazione dei colori, perché dà e conserva la luce che li manifesta. E poiché la forma è dentro la cosa, e tanto maggiormente quanto più una forma viene prima ed è più universale; ed essendo Dio stesso direttamente in tutte le cose causa dell'essere nella sua universalità, costitutivo di ciò che vi è di più intimo nelle cose; ne segue che Dio opera intimamente in tutte le creature. Ed è per questo motivo che nella sacra Scrittura le operazioni della natura vengono attribuite a Dio quasi operante nella natura stessa, come in quel passo: "Di pelle e di carni tu m'hai rivestito; con ossa e con nervi tu m'hai tessuto".

[32829] Iª q. 105 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Deus sufficienter operatur in rebus ad modum primi agentis, nec propter hoc superfluit operatio secundorum agentium.

 

[32829] Iª q. 105 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ. 1. Dio opera efficacemente nelle cose come causa prima; ma questo non rende superflua l'operazione delle cause seconde.

[32830] Iª q. 105 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod una actio non procedit a duobus agentibus unius ordinis, sed nihil prohibet quin una et eadem actio procedat a primo et secundo agente.

 

[32830] Iª q. 105 a. 5 ad 2
2. Un'operazione non può procedere da due cause dello stesso ordine: ma niente impedisce che essa proceda insieme dalla causa prima e dalla causa seconda.

[32831] Iª q. 105 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod Deus non solum dat formas rebus, sed etiam conservat eas in esse, et applicat eas ad agendum, et est finis omnium actionum, ut dictum est.

 

[32831] Iª q. 105 a. 5 ad 3
3. Dio non soltanto dà la forma alle cose create, ma le conserva nell'essere, le applica all'azione ed è il fine di ogni operazione, come abbiamo dimostrato.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Mozione delle creature da parte di Dio > Se Dio possa compiere qualche cosa fuori dell'ordine stabilito nel creato


Prima pars
Quaestio 105
Articulus 6

[32832] Iª q. 105 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod Deus non possit facere aliquid praeter ordinem rebus inditum. Dicit enim Augustinus, XXVI contra Faustum, Deus, conditor et creator omnium naturarum, nihil contra naturam facit. Sed hoc videtur esse contra naturam, quod est praeter ordinem naturaliter rebus inditum. Ergo Deus non potest facere aliquid praeter ordinem rebus inditum.

 
Prima parte
Questione 105
Articolo 6

[32832] Iª q. 105 a. 6 arg. 1
SEMBRA che Dio non possa compiere nulla fuori dell'ordine stabilito nel creato. Infatti:
1. Dice S. Agostino: "Dio, fondatore e creatore di tutte le nature, non fa niente contro la natura". Ora, ciò che è al di fuori dell'ordine stabilito naturalmente nel creato, sembra essere contro la natura. Dunque Dio non può far nulla fuori dell'ordine stabilito nel creato.

[32833] Iª q. 105 a. 6 arg. 2
Praeterea, sicut ordo iustitiae est a Deo, ita et ordo naturae. Sed Deus non potest facere aliquid praeter ordinem iustitiae, faceret enim tunc aliquid iniustum. Ergo non potest facere aliquid praeter ordinem naturae.

 

[32833] Iª q. 105 a. 6 arg. 2
2. L'ordine di natura procede da Dio come l'ordine di giustizia. Ma Dio non può far nulla fuori dell'ordine della giustizia: perché, nel caso, commetterebbe ingiustizia. Quindi neppure può fare qualche cosa fuori dell'ordine della natura.

[32834] Iª q. 105 a. 6 arg. 3
Praeterea, ordinem naturae Deus instituit. Si igitur praeter ordinem naturae Deus aliquid faciat, videtur quod ipse sit mutabilis. Quod est inconveniens.

 

[32834] Iª q. 105 a. 6 arg. 3
3. L'ordine della natura l’ha stabilito Dio. Ora, se Dio facesse qualche cosa fuori di quest'ordine, egli si mostrerebbe mutabile. E ciò è inammissibile.

[32835] Iª q. 105 a. 6 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, XXVI contra Faustum, quod Deus aliquando aliquid facit contra solitum cursum naturae.

 

[32835] Iª q. 105 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino insegna che "Dio talvolta opera contro il consueto corso della natura".

[32836] Iª q. 105 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod a qualibet causa derivatur aliquis ordo in suos effectus, cum quaelibet causa habeat rationem principii. Et ideo secundum multiplicationem causarum, multiplicantur et ordines, quorum unus continetur sub altero, sicut et causa continetur sub causa. Unde causa superior non continetur sub ordine causae inferioris, sed e converso. Cuius exemplum apparet in rebus humanis, nam ex patrefamilias dependet ordo domus, qui continetur sub ordine civitatis, qui procedit a civitatis rectore, cum et hic contineatur sub ordine regis, a quo totum regnum ordinatur. Si ergo ordo rerum consideretur prout dependet a prima causa, sic contra rerum ordinem Deus facere non potest, sic enim si faceret, faceret contra suam praescientiam aut voluntatem aut bonitatem. Si vero consideretur rerum ordo prout dependet a qualibet secundarum causarum, sic Deus potest facere praeter ordinem rerum. Quia ordini secundarum causarum ipse non est subiectus, sed talis ordo ei subiicitur, quasi ab eo procedens non per necessitatem naturae, sed per arbitrium voluntatis, potuisset enim et alium ordinem rerum instituere. Unde et potest praeter hunc ordinem institutum agere, cum voluerit; puta agendo effectus secundarum causarum sine ipsis, vel producendo aliquos effectus ad quos causae secundae non se extendunt. Unde et Augustinus dicit, XXVI contra Faustum, quod Deus contra solitum cursum naturae facit; sed contra summam legem tam nullo modo facit, quam contra seipsum non facit.

 

[32836] Iª q. 105 a. 6 co.
RISPONDO: Ogni causa determina un certo ordine nei suoi effetti: poiché ogni causa ha ragione di principio. Perciò, ci saranno tanti ordini, quante sono le cause: e un ordine sarà contenuto nell'altro, come una causa è all'altra subordinata. Per conseguenza, una causa superiore non rientra nell'ordine di una causa inferiore, ma accadrà invece il contrario. E di ciò abbiamo un esempio evidente nei rapporti umani: infatti dal capo di famiglia dipende l'ordinamento della casa, questo è contenuto sotto l'ordinamento della città che dipende dal governatore, che a sua volta ricade sotto l'ordine del re, dal quale deriva l'ordinamento di tutto il regno.
Se si considera perciò l'ordine delle cose in quanto dipende dalla prima causa, allora Dio non può far nulla fuori di esso: poiché, se così agisse, andrebbe contro la sua prescienza, volontà e bontà. – Se si considera invece l'ordine delle cose come dipendente da una qualsiasi causa seconda, allora Dio può operare fuori dell'ordine stabilito. Perché non lui è soggetto all'ordine delle cause seconde, ma tale ordine è a lui soggetto, essendo derivato da lui non per necessità di natura, ma per libera volontà: Dio infatti avrebbe potuto benissimo stabilire anche un altro ordine del creato. Per conseguenza egli può operare, quando vuole, fuori di esso, o producendo gli effetti delle cause seconde senza di esse, o producendone altri che sorpassano le loro capacità. In questo senso S. Agostino scrive che "Dio opera contro il consueto corso della natura; ma non fa assolutamente niente contro la legge suprema, come non fa niente contro se stesso".

[32837] Iª q. 105 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, cum aliquid contingit in rebus naturalibus praeter naturam inditam, hoc potest dupliciter contingere. Uno modo, per actionem agentis qui inclinationem naturalem non dedit, sicut cum homo movet corpus grave sursum, quod non habet ab eo ut moveatur deorsum, et hoc est contra naturam. Alio modo, per actionem illius agentis a quo dependet actio naturalis. Et hoc non est contra naturam, ut patet in fluxu et refluxu maris, qui non est contra naturam, quamvis sit praeter motum naturalem aquae, quae movetur deorsum; est enim ex impressione caelestis corporis, a quo dependet naturalis inclinatio inferiorum corporum. Cum igitur naturae ordo sit a Deo rebus inditus, si quid praeter hunc ordinem faciat, non est contra naturam. Unde Augustinus dicit, XXVI contra Faustum, quod id est cuique rei naturale, quod ille fecerit a quo est omnis modus, numerus et ordo naturae.

 

[32837] Iª q. 105 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Un fatto può verificarsi nelle cose fuori della loro natura in due modi. Primo, per opera di una causa dalla quale non dipende l’inclinazione naturale dell'essere sul quale agisce, come quando un uomo spinge verso l'alto un corpo grave, che da altre cause ha ricevuto l'inclinazione verso il basso: e allora abbiamo un fatto contro natura. Secondo, per influsso della causa da cui dipende l'azione naturale della cosa. E in questo caso il fatto non è contro natura: come appare chiaramente nel flusso e riflusso del mare, movimento, che, sebbene sia estraneo all’inclinazione dell'acqua, cui è connaturale il muoversi verso il basso, non si può dire affatto contro natura; perché esso proviene dall'influsso di un corpo celeste, dal quale dipende l'inclinazione naturale dei corpi inferiori. - Ora, siccome l'ordine naturale è stato posto da Dio nelle cose, quello che egli opera fuori di quest'ordine non è contro natura. "Per ogni essere", dice perciò S. Agostino "è naturale tutto ciò che è fatto da colui dal quale deriva ogni specie, numero e ordine della natura".

[32838] Iª q. 105 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod ordo iustitiae est secundum relationem ad causam primam, quae est regula omnis iustitiae. Et ideo praeter hunc ordinem, Deus nihil facere potest.

 

[32838] Iª q. 105 a. 6 ad 2
2. L'ordine di giustizia dice [immediata] relazione alla causa prima, che è la regola di ogni giustizia. Perciò Dio non può fare niente contro tale ordine.

[32839] Iª q. 105 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod Deus sic rebus certum ordinem indidit, ut tamen sibi reservaret quid ipse aliquando aliter ex causa esset facturus. Unde cum praeter hunc ordinem agit, non mutatur.

 

[32839] Iª q. 105 a. 6 ad 3
3. Dio ha impresso un ordine stabile nelle creature, in modo però da riservarsi una motivata libertà di agire altrimenti. Egli perciò non muta quando opera qualche cosa al di fuori di esso.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Mozione delle creature da parte di Dio > Se tutte le opere compiute da Dio fuori dell'ordine naturale siano miracoli


Prima pars
Quaestio 105
Articulus 7

[32840] Iª q. 105 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod non omnia quae Deus facit praeter ordinem naturalem rerum, sint miracula. Creatio enim mundi, et etiam animarum, et iustificatio impii fiunt a Deo praeter ordinem naturalem, non enim fiunt per actionem alicuius causae naturalis. Et tamen haec miracula non dicuntur. Ergo non omnia quae facit Deus praeter ordinem naturalem rerum, sunt miracula.

 
Prima parte
Questione 105
Articolo 7

[32840] Iª q. 105 a. 7 arg. 1
SEMBRA che non tutte le opere, compiute da Dio fuori dell'ordine naturale delle cose, siano miracoli. Infatti:
1. La creazione del mondo, e quella delle anime, come la giustificazione del peccatore, sono opere compiute da Dio al di fuori dell'ordine naturale: poiché non vi è, in esse, intervento di cause naturali. E tuttavia non sono chiamate miracoli. Quindi non tutte le opere compiute da Dio fuori dell'ordine naturale sono miracoli.

[32841] Iª q. 105 a. 7 arg. 2
Praeterea, miraculum dicitur aliquid arduum et insolitum supra facultatem naturae et spem admirantis proveniens. Sed quaedam fiunt praeter naturae ordinem, quae tamen non sunt ardua, sunt enim in minimis rebus, sicut in restauratione gemmarum, vel sanatione aegrorum. Nec etiam sunt insolita, cum frequenter eveniant, sicut cum infirmi in plateis ponebantur ut ad umbram Petri sanarentur. Nec etiam sunt supra facultatem naturae, ut cum aliqui sanantur a febribus. Nec etiam supra spem, sicut resurrectionem mortuorum omnes speramus, quae tamen fiet praeter ordinem naturae. Ergo non omnia quae fiunt praeter naturae ordinem, sunt miracula.

 

[32841] Iª q. 105 a. 7 arg. 2
2. Si dice miracolo "un fatto arduo e insolito che si verifica oltre le forze della natura e oltre l'aspettativa o speranza degli uomini, e che genera, perciò, meraviglia". Ora vi sono dei fatti che escono sì dall'ordine, della natura, ma che non sono affatto ardui: perché avvengono in cose minime, come il rifiorimento delle gemme, o la guarigione dei malati. - E neppure sono insoliti: perché avvengono con frequenza, come accadeva con i malati che venivano collocati nelle piazze per essere risanati dall'ombra di Pietro. - Non superano le forze della natura: come le guarigioni dalle febbri. - E neppure superano l'aspettativa: tutti, p. es., speriamo nella resurrezione dei morti, sebbene debba avvenire fuori dell'ordine della natura. Quindi non tutti i fatti che superano l'ordine della natura sono miracoli.

[32842] Iª q. 105 a. 7 arg. 3
Praeterea, miraculi nomen ab admiratione sumitur. Sed admiratio est de rebus sensui manifestis. Sed quandoque aliqua accidunt praeter ordinem naturalem in rebus sensui non manifestis, sicut cum apostoli facti sunt scientes, neque invenientes neque discentes. Ergo non omnia quae fiunt praeter ordinem naturae, sunt miracula.

 

[32842] Iª q. 105 a. 7 arg. 3
3. La parola miracolo deriva da meraviglia. Ora la meraviglia deriva da fatti sensibili. Invece talvolta capitano dei fatti che, pur accadendo al di fuori dell'ordine della natura, non sono tuttavia sensibili: come quando gli Apostoli divennero dotti all’istante, senza studio e senza insegnamento. Dunque non tutti i fatti che sorpassano i limiti delle forze naturali, sono miracoli.

[32843] Iª q. 105 a. 7 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, XXVI contra Faustum, quod cum Deus aliquid facit contra cognitum nobis cursum solitumque naturae, magnalia, vel mirabilia nominantur.

 

[32843] Iª q. 105 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO: Afferma S. Agostino che "quando Dio opera contro il corso consueto della natura a noi noto, i fatti cosi prodotti vengono chiamati fatti sorprendenti, o meraviglie".

[32844] Iª q. 105 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod nomen miraculi ab admiratione sumitur. Admiratio autem consurgit, cum effectus sunt manifesti et causa occulta; sicut aliquis admiratur cum videt eclipsim solis et ignorat causam, ut dicitur in principio Metaphys. Potest autem causa effectus alicuius apparentis alicui esse nota, quae tamen est aliis incognita. Unde aliquid est mirum uni, quod non est mirum aliis; sicut eclipsim solis miratur rusticus, non autem astrologus. Miraculum autem dicitur quasi admiratione plenum, quod scilicet habet causam simpliciter et omnibus occultam. Haec autem est Deus. Unde illa quae a Deo fiunt praeter causas nobis notas, miracula dicuntur.

 

[32844] Iª q. 105 a. 7 co.
RISPONDO: La parola miracolo deriva da meraviglia. E la meraviglia sorge dinanzi a effetti evidenti, le cui cause rimangono occulte; così capita di meravigliarsi a chi vede un'eclisse di sole e ne ignora la causa, come fa osservare Aristotele. Può darsi però che la causa di un fatto sia nota a qualcuno, pur rimanendo occulta per altri.
Allora il fatto può riuscire meraviglioso per alcuni, ma non per tutti; appunto come di un'eclisse di sole resta meravigliato l'ignorante, ma non l'astronomo. Il miracolo è, invece, un fatto totalmente meraviglioso, perché ha una causa veramente occulta per tutti. E tale causa è Dio. Perciò, le opere compiute da Dio, fuori dell'ordine delle cause da noi conosciute, si chiamano miracoli.

[32845] Iª q. 105 a. 7 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod creatio, et iustificatio impii, etsi a solo Deo fiant, non tamen, proprie loquendo, miracula dicuntur. Quia non sunt nata fieri per alias causas, et ita non contingunt praeter ordinem naturae, cum haec ad ordinem naturae non pertineant.

 

[32845] Iª q. 105 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene la creazione e la giustificazione del peccatore siano opere compiute da Dio soltanto, tuttavia, a rigore di termini, non si chiamano miracoli. Esse infatti per natura non possono avere altre cause; quindi non avvengono mai fuori dell'ordine della natura, appunto perché non vi appartengono.

[32846] Iª q. 105 a. 7 ad 2
Ad secundum dicendum quod arduum dicitur miraculum, non propter dignitatem rei in qua fit; sed quia excedit facultatem naturae. Similiter etiam insolitum dicitur, non quia frequenter non eveniat sed quia est praeter naturalem consuetudinem. Supra facultatem autem naturae dicitur aliquid, non solum propter substantiam facti sed etiam propter modum et ordinem faciendi. Supra spem etiam naturae miraculum esse dicitur; non supra spem gratiae, quae est ex fide, per quam credimus resurrectionem futuram.

 

[32846] Iª q. 105 a. 7 ad 2
2. Il miracolo si dice arduo, non per l'importanza della cosa in cui avviene, ma perché supera le forze della natura. - Si dice insolito, non perché non avvenga di frequente, ma perché è fuori del consueto ordine di natura. - Si dice inoltre che un'opera sorpassa le forze della natura, non soltanto per la sostanza del fatto; ma anche per il modo e l'ordine della sua produzione. - Si dice poi che il miracolo supera la speranza, ma quella della natura, non quella della grazia; perché questa scaturisce dalla fede, per la quale noi crediamo nella futura resurrezione.

[32847] Iª q. 105 a. 7 ad 3
Ad tertium dicendum quod scientia apostolorum, quamvis secundum se non fuerit manifesta, manifestabatur tamen in effectibus, ex quibus mirabilis apparebat.

 

[32847] Iª q. 105 a. 7 ad 3
3. Sebbene la scienza degli Apostoli non fosse cosa evidente in se stessa, lo era tuttavia nei suoi effetti, mediante i quali destava meraviglia.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Mozione delle creature da parte di Dio > Se i miracoli siano uno maggiore dell'altro


Prima pars
Quaestio 105
Articulus 8

[32848] Iª q. 105 a. 8 arg. 1
Ad octavum sic proceditur. Videtur quod unum miraculum non sit maius alio. Dicit enim Augustinus, in epistola ad Volusianum, in rebus mirabiliter factis tota ratio facti est potentia facientis. Sed eadem potentia, scilicet Dei, fiunt omnia miracula. Ergo unum non est maius alio.

 
Prima parte
Questione 105
Articolo 8

[32848] Iª q. 105 a. 8 arg. 1
SEMBRA che i miracoli non siano uno maggiore dell'altro. Infatti:
1. Scrive S. Agostino: "Nel portento tutta la ragione del fatto è la potenza di chi lo compie". Ora i miracoli si devono tutti alla sola potenza di Dio. Perciò non v'è gradazione tra essi.

[32849] Iª q. 105 a. 8 arg. 2
Praeterea, potentia Dei est infinita. Sed infinitum improportionabiliter excedit omne finitum. Ergo non magis est mirandum quod faciat hunc effectum, quam illum. Ergo unum miraculum non est maius altero.

 

[32849] Iª q. 105 a. 8 arg. 2
2. La potenza di Dio è infinita. Ma l'infinito supera tutto ciò che è finito senza misura. Quindi non v'è ragione di ammirare un effetto più di un altro. Dunque un miracolo non è maggiore di un altro.

[32850] Iª q. 105 a. 8 s. c.
Sed contra est quod dominus dicit, Ioan. XIV, de operibus miraculosis loquens, opera quae ego facio, et ipse faciet, et maiora horum faciet.

 

[32850] Iª q. 105 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: Parlando il Signore delle opere miracolose, dice: "Anch'egli [chi crede in me] farà le opere che faccio io, anzi ne farà anche di maggiori".

[32851] Iª q. 105 a. 8 co.
Respondeo dicendum quod nihil potest dici miraculum ex comparatione potentiae divinae, quia quodcumque factum, divinae potentiae comparatum, est minimum; secundum illud Isaiae XL, ecce gentes quasi stilla situlae, et quasi momentum staterae reputatae sunt. Sed dicitur aliquid miraculum per comparationem ad facultatem naturae, quam excedit. Et ideo secundum quod magis excedit facultatem naturae, secundum hoc maius miraculum dicitur. Excedit autem aliquid facultatem naturae tripliciter. Uno modo, quantum ad substantiam facti, sicut quod duo corpora sint simul, vel quod sol retrocedat, aut quod corpus humanum glorificetur; quod nullo modo natura facere potest. Et ista tenent summum gradum in miraculis. Secundo aliquid excedit facultatem naturae, non quantum ad id quod fit, sed quantum ad id in quo fit, sicut resuscitatio mortuorum, et illuminatio caecorum, et similia. Potest enim natura causare vitam, sed non in mortuo, et potest praestare visum, sed non caeco. Et haec tenent secundum locum in miraculis. Tertio modo excedit aliquid facultatem naturae, quantum ad modum et ordinem faciendi, sicut cum aliquis subito per virtutem divinam a febre curatur absque curatione et consueto processu naturae in talibus, et cum statim aer divina virtute in pluvias densatur absque naturalibus causis, sicut factum est ad preces Samuelis et Eliae. Et huiusmodi tenent infimum locum in miraculis. Quaelibet tamen horum habent diversos gradus, secundum quod diversimode excedunt facultatem naturae.

 

[32851] Iª q. 105 a. 8 co.
RISPONDO: In rapporto alla potenza divina, niente può chiamarsi miracolo: poiché, in rapporto alla potenza divina, ogni fatto non è che minima cosa, secondo quel detto di Isaia: "Ecco che le nazioni sono come la goccia d'una secchia e contano quanto un pulviscolo nella bilancia". Ma un fatto viene detto miracolo in rapporto alle capacità della natura che esso supera. E si dice maggiore di un altro, a seconda del grado in cui supera le capacità della natura.
Ora un fatto può superare le forze della natura in tre modi. Primo, nella sostanza stessa del fatto, che la natura non può assolutamente compiere: fare, p. es., che due corpi occupino uno stesso luogo nello stesso tempo, o che il sole torni indietro nella sua corsa, o che il corpo umano diventi glorioso. E tali fatti tengono il primo posto tra i miracoli. - Secondo, un fatto può superare le forze della natura, non per la cosa prodotta, ma per il soggetto in cui viene prodotta: come, p. es., la risurrezione dei morti, la guarigione dei ciechi, e simili. Infatti la natura può causare la vita ma non in un cadavere; può dare la vista, ma non a un cieco. E questi fatti occupano il secondo posto tra i miracoli. - Terzo, un fatto può superare le forze della natura [soltanto] per il modo e per il procedimento con cui è prodotto: quando p. es., uno guarisce istantaneamente dalla febbre per virtù divina, senza cure e fuori del decorso normale della malattia in casi simili; oppure quando l'atmosfera, con tempo sereno, si addensi e precipiti in piogge all’istante, per sola virtù divina e senza intervento di cause naturali, come avvenne alle preghiere di Samuele e di Elia. Fatti di questo genere occupano l'ultimo posto tra i miracoli. - Tuttavia, ciascuna di queste serie di miracoli ammette diversi gradi, a seconda del grado diverso in cui vengono superate le forze della natura.

[32852] Iª q. 105 a. 8 ad arg.
Et per hoc patet solutio ad obiecta, quae procedunt ex parte divinae potentiae.

 

[32852] Iª q. 105 a. 8 ad arg.
E così si è risposto anche alle difficoltà, che considerano il miracolo solo da parte della potenza divina.

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