I-II, 77

Seconda parte > Gli atti umani in generale > Vizi e peccati > Le passioni dell'appetito sensitivo come causa di peccato


Prima pars secundae partis
Quaestio 77
Prooemium

[36853] Iª-IIae q. 77 pr.
Deinde considerandum est de causa peccati ex parte appetitus sensitivi, utrum passio animae sit causa peccati. Et circa hoc quaeruntur octo.
Primo, utrum passio appetitus sensitivi possit movere vel inclinare voluntatem.
Secundo, utrum possit superare rationem contra eius scientiam.
Tertio, utrum peccatum quod ex passione provenit, sit peccatum ex infirmitate.
Quarto, utrum haec passio quae est amor sui, sit causa omnis peccati.
Quinto, de illis tribus causis quae ponuntur I Ioan. II, concupiscentia oculorum, concupiscentia carnis, et superbia vitae.
Sexto, utrum passio quae est causa peccati, diminuat ipsum.
Septimo, utrum totaliter excuset.
Octavo, utrum peccatum quod ex passione est, possit esse mortale.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 77
Proemio

[36853] Iª-IIae q. 77 pr.
Passiamo così a trattare dell'appetito sensitivo come causa del peccato; vediamo, cioè, se una passione possa essere causa di peccato.
In proposito tratteremo otto argomenti:

1. Se una passione dell'appetito sensitivo possa muovere, o inclinare la volontà;
2. Se possa prevalere sulla ragione e sulla sua scienza;
3. Se il peccato di passione sia un peccato di fragilità;
4. Se la passione dell'amor proprio sia causa di tutti i peccati;
5. Le tre cause enumerate da S. Giovanni: "concupiscenza degli occhi, concupiscenza della carne, e superbia della vita";
6. Se la passione che causa un peccato ne diminuisca la gravità;
7. Se lo scusi totalmente;
8. Se un peccato di passione possa essere mortale.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Vizi e peccati > Le passioni dell'appetito sensitivo come causa di peccato > Se la volontà possa essere mossa dall'appetito sensitivo


Prima pars secundae partis
Quaestio 77
Articulus 1

[36854] Iª-IIae q. 77 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod voluntas non moveatur a passione appetitus sensitivi. Nulla enim potentia passiva movetur nisi a suo obiecto. Voluntas autem est potentia passiva et activa simul, inquantum est movens et mota, sicut in III de anima philosophus dicit universaliter de vi appetitiva. Cum ergo obiectum voluntatis non sit passio appetitus sensitivi, sed magis bonum rationis; videtur quod passio appetitus sensitivi non moveat voluntatem.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 77
Articolo 1

[36854] Iª-IIae q. 77 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la volontà non possa esser mossa da una passione dell'appetito sensitivo. Infatti:
1. Una potenza passiva è mossa soltanto dal proprio oggetto. Ora, la volontà è una potenza simultaneamente attiva e passiva, come il Filosofo insegna parlando in generale delle potenze appetitive. E poiché oggetto della volontà non sono le passioni dell'appetito sensitivo, ma il bene di ordine razionale; è chiaro che codeste passioni non possono muovere la volontà.

[36855] Iª-IIae q. 77 a. 1 arg. 2
Praeterea, superior motor non movetur ab inferiori, sicut anima non movetur a corpore. Sed voluntas, quae est appetitus rationis, comparatur ad appetitum sensitivum sicut motor superior ad inferiorem, dicit enim philosophus, in III de anima, quod appetitus rationis movet appetitum sensitivum, sicut in corporibus caelestibus sphaera movet sphaeram. Ergo voluntas non potest moveri a passione appetitus sensitivi.

 

[36855] Iª-IIae q. 77 a. 1 arg. 2
2. Un principio motore più alto non può esser mosso da un principio inferiore: l'anima, p. es., non è mossa dal corpo. Ma la volontà, appetito razionale, sta all'appetito sensitivo come un principio motore più alto a quello più basso: infatti il Filosofo scrive, che "l'appetito della ragione muove l'appetito sensitivo, come nei corpi celesti una sfera muove l'altra". Dunque la volontà non può esser mossa dalla passione dell'appetito sensitivo.

[36856] Iª-IIae q. 77 a. 1 arg. 3
Praeterea, nullum immateriale potest moveri ab aliquo materiali. Sed voluntas est quaedam potentia immaterialis, non enim utitur organo corporali, cum sit in ratione, ut dicitur in III de anima. Appetitus autem sensitivus est vis materialis, utpote fundata in organo corporali. Ergo passio appetitus sensitivi non potest movere appetitum intellectivum.

 

[36856] Iª-IIae q. 77 a. 1 arg. 3
3. Nessuna realtà immateriale può subire la mozione di un essere materiale. Ora, la volontà è una potenza immateriale; poiché, essendo nella ragione, come Aristotele insegna, non si serve di un organo corporeo. Invece l'appetito sensitivo è una facoltà materiale, essendo legata a un organo. Perciò una passione dell'appettio sensitivo non può muovere l'appetito intellettivo.

[36857] Iª-IIae q. 77 a. 1 s. c.
Sed contra est quod dicitur Dan. XIII, concupiscentia subvertit cor tuum.

 

[36857] Iª-IIae q. 77 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Si legge in Daniele: "La concupiscenza ha sconvolto il tuo cuore".

[36858] Iª-IIae q. 77 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod passio appetitus sensitivi non potest directe trahere aut movere voluntatem, sed indirecte potest. Et hoc dupliciter. Uno quidem modo, secundum quandam abstractionem. Cum enim omnes potentiae animae in una essentia animae radicentur, necesse est quod quando una potentia intenditur in suo actu, altera in suo actu remittatur, vel etiam totaliter impediatur. Tum quia omnis virtus ad plura dispersa fit minor, unde e contrario, quando intenditur circa unum, minus potest ad alia dispergi. Tum quia in operibus animae requiritur quaedam intentio, quae dum vehementer applicatur ad unum, non potest alteri vehementer attendere. Et secundum hunc modum, per quandam distractionem, quando motus appetitus sensitivi fortificatur secundum quamcumque passionem, necesse est quod remittatur, vel totaliter impediatur motus proprius appetitus rationalis, qui est voluntas. Alio modo, ex parte obiecti voluntatis, quod est bonum ratione apprehensum. Impeditur enim iudicium et apprehensio rationis propter vehementem et inordinatam apprehensionem imaginationis, et iudicium virtutis aestimativae, ut patet in amentibus. Manifestum est autem quod passionem appetitus sensitivi sequitur imaginationis apprehensio, et iudicium aestimativae, sicut etiam dispositionem linguae sequitur iudicium gustus. Unde videmus quod homines in aliqua passione existentes, non facile imaginationem avertunt ab his circa quae afficiuntur. Unde per consequens iudicium rationis plerumque sequitur passionem appetitus sensitivi; et per consequens motus voluntatis, qui natus est sequi iudicium rationis.

 

[36858] Iª-IIae q. 77 a. 1 co.
RISPONDO: Le passioni dell'appetito non possono trascinare o muovere la volontà direttamente, lo possono però indirettamente. E ciò in due maniere. Primo, provocando una distrazione. Infatti trovandosi, le potenze, radicate nell'unica essenza dell'anima, è necessario che la concentrazione di una di esse verso il proprio atto, riduca d'intensità l'attività delle altre, o la impedisca totalmente. E questo, sia perché l'estendersi di una virtù è sempre a scapito della sua intensità: mentre l'intensità di essa in un punto solo ne riduce l'estensione; sia perché nell'attività psicologica si richiede l'attenzione, la quale, se si applica a una cosa, non può applicarsi con rigore ad un'altra. Ecco perché, quando un moto dell'appetito sensitivo s'intensifica secondo una data passione, determina necessariamente mediante una distrazione il rilassamento, o la sospensione completa del moto proprio dell'appetito razionale, cioè della volontà.
Secondo, influendo sull'oggetto della volontà, che è il bene appreso dalla ragione. Infatti, come è evidente nei casi di follia, il giudizio e la conoscenza di ordine razionale sono ostacolati dall'apprensione violenta e disordinata dell'immaginativa, e dal giudizio dell'estimativa. Ora, è chiaro che la passione dell'appetito sensitivo segue codesta conoscenza e codesto giudizio; come il parere sui gusti segue le disposizioni della lingua. Difatti vediamo che gli uomini, sotto l'influsso di una data passione, non distolgono facilmente l'immaginazione dalle cose che li hanno colpiti. Ecco perché spesso il giudizio della ragione, e di conseguenza il moto della volontà che ne deriva, segue la passione dell'appetito sensitivo.

[36859] Iª-IIae q. 77 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod per passionem appetitus sensitivi fit aliqua immutatio circa iudicium de obiecto voluntatis, sicut dictum est; quamvis ipsa passio appetitus sensitivi non sit directe voluntatis obiectum.

 

[36859] Iª-IIae q. 77 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come abbiamo spiegato, la passione dell'appetito sensitivo provoca un mutamento del giudizio relativo all'oggetto della volontà; sebbene la passione dell'appetito sensitivo non sia direttamente oggetto della volontà.

[36860] Iª-IIae q. 77 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod superius non movetur ab inferiori directe, sed indirecte quodammodo moveri potest, sicut dictum est.

 

[36860] Iª-IIae q. 77 a. 1 ad 2
2. Un principio superiore non può subire direttamente la mozione di un principio inferiore: ma può subirla indirettamente, come abbiamo visto.

[36861] Iª-IIae q. 77 a. 1 ad 3
Et similiter dicendum est ad tertium.

 

[36861] Iª-IIae q. 77 a. 1 ad 3
3. Lo stesso vale per la terza difficoltà.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Vizi e peccati > Le passioni dell'appetito sensitivo come causa di peccato > Se la ragione nella sua scienza possa esser vinta dalle passioni


Prima pars secundae partis
Quaestio 77
Articulus 2

[36862] Iª-IIae q. 77 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod ratio non possit superari a passione contra suam scientiam. Fortius enim non vincitur a debiliori. Sed scientia, propter suam certitudinem, est fortissimum eorum quae in nobis sunt. Ergo non potest superari a passione, quae est debilis et cito transiens.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 77
Articolo 2

[36862] Iª-IIae q. 77 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la ragione nella sua scienza non possa esser vinta dalle passioni. Infatti:
1. Il più forte non può essere vinto dal più debole. Ora, la scienza per la sua certezza è in noi la cosa più forte. Dunque non può esser vinta dalla passione, che è "debole e transitoria".

[36863] Iª-IIae q. 77 a. 2 arg. 2
Praeterea, voluntas non est nisi boni vel apparentis boni. Sed cum passio trahit voluntatem in id quod est vere bonum, non inclinat rationem contra scientiam. Cum autem trahit eam in id quod est apparens bonum et non existens, trahit eam in id quod rationi videtur, hoc autem est in scientia rationis, quod ei videtur. Ergo passio nunquam inclinat rationem contra suam scientiam.

 

[36863] Iª-IIae q. 77 a. 2 arg. 2
2. La volontà ha per oggetto il bene vero, o apparente. Ma quando la passione spinge la volontà verso un bene vero, non lo piega contro il suo sapere. E quando la spinge verso un bene solo apparente, la spinge verso ciò che appare alla ragione: ma anche questo apparire rientra nella scienza di essa. Perciò la passione non inclina mai la ragione contro il sapere di essa.

[36864] Iª-IIae q. 77 a. 2 arg. 3
Si dicatur quod trahit rationem scientem aliquid in universali, ut contrarium iudicet in particulari, contra, universalis et particularis propositio, si opponantur, opponuntur secundum contradictionem, sicut omnis homo et non omnis homo. Sed duae opiniones quae sunt contradictoriarum, sunt contrariae, ut dicitur in II peri Herm. Si igitur aliquis sciens aliquid in universali, iudicaret oppositum in singulari, sequeretur quod haberet simul contrarias opiniones, quod est impossibile.

 

[36864] Iª-IIae q. 77 a. 2 arg. 3
3. Se uno obiettasse che spinge la ragione a giudicare in particolare il contrario di quanto conosce in universale, si risponde: Se c'è opposizione tra una proposizione universale e una proposizione particolare, si tratta di una contraddizione, come tra le espressioni tutti gli uomini e non tutti. Ora, come Aristotele dimostra, due opinioni contradditorie sono contrarie. Perciò se uno che ha la scienza universale di una cosa giudicasse il contrario in particolare, dovrebbe avere simultaneamente opinioni contrarie: il che è impossibile.

[36865] Iª-IIae q. 77 a. 2 arg. 4
Praeterea, quicumque scit universale, scit etiam particulare quod novit sub universali contineri; sicut quicumque scit omnem mulam esse sterilem, scit hoc animal esse sterile, dummodo sciat quod sit mula; ut patet per id quod dicitur in I Poster. Sed ille qui scit aliquid in universali, puta nullam fornicationem esse faciendam, scit hoc particulare sub universali contineri, puta hunc actum esse fornicarium. Ergo videtur quod etiam in particulari sciat.

 

[36865] Iª-IIae q. 77 a. 2 arg. 4
4. Chi ha una nozione universale conosce pure il particolare che è contenuto in essa; per dirla con Aristotele, chi sa che la mula è sterile, sa pure che questo animale qui è sterile, purché sappia che è una mula. Ora, lo stesso avviene in campo morale: chi sa, p. es., che nessuna fornicazione è da farsi, sa pure che questo fatto singolare rientra nella nozione universale, conosce cioè che questo atto è una fornicazione. Dunque ha una conoscenza anche in particolare.

[36866] Iª-IIae q. 77 a. 2 arg. 5
Praeterea, ea quae sunt in voce, sunt signa intellectus animae, secundum philosophum. Sed homo in passione existens frequenter confitetur id quod eligit esse malum etiam in particulari. Ergo etiam in particulari habet scientiam. Sic igitur videtur quod passiones non possint trahere rationem contra scientiam universalem, quia non potest esse quod habeat scientiam universalem, et existimet oppositum in particulari.

 

[36866] Iª-IIae q. 77 a. 2 arg. 5
5. Come insegna il Filosofo, "le parole sono segni del pensiero". Ma l'uomo sotto l'impeto della passione spesso confessa che quanto attira la sua elezione è cattivo anche in particolare. Quindi egli ne ha una conoscenza anche in particolare. Perciò è evidente che le passioni non possono trascinare la ragione contro le sue nozioni universali: poiché non è compatibile codesta scienza con un giudizio contrario nei casi particolari.

[36867] Iª-IIae q. 77 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dicit apostolus, Rom. VII, video aliam legem in membris meis repugnantem legi mentis meae, et captivantem me in lege peccati. Lex autem quae est in membris, est concupiscentia, de qua supra locutus fuerat. Cum igitur concupiscentia sit passio quaedam, videtur quod passio trahat rationem etiam contra hoc quod scit.

 

[36867] Iª-IIae q. 77 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Scrive l'Apostolo: "Vedo un'altra legge nelle mie memorie che fa guerra alla legge della mia mente, e mi rende schiavo nella legge del peccato". Ora, la legge esistente nelle membra è la concupiscenza, della quale abbiamo già parlato. Ma essendo la concupiscenza una passione, è chiaro che la passione trascina la ragione anche contro il suo sapere.

[36868] Iª-IIae q. 77 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod opinio Socratis fuit, ut philosophus dicit in VII Ethic., quod scientia nunquam posset superari a passione. Unde ponebat omnes virtutes esse scientias, et omnia peccata esse ignorantias. In quo quidem aliqualiter recte sapiebat. Quia cum voluntas sit boni vel apparentis boni, nunquam voluntas in malum moveretur, nisi id quod non est bonum, aliqualiter rationi bonum appareret, et propter hoc voluntas nunquam in malum tenderet, nisi cum aliqua ignorantia vel errore rationis. Unde dicitur Prov. XIV, errant qui operantur malum. Sed quia experimento patet quod multi agunt contra ea quorum scientiam habent; et hoc etiam auctoritate divina confirmatur, secundum illud Luc. XII, servus qui cognovit voluntatem domini sui et non fecit, plagis vapulabit multis; et Iac. IV dicitur, scienti bonum facere et non facienti, peccatum est illi, non simpliciter verum dixit, sed oportet distinguere, ut philosophus tradit in VII Ethic. Cum enim ad recte agendum homo dirigatur duplici scientia, scilicet universali et particulari; utriusque defectus sufficit ad hoc quod impediatur rectitudo operis et voluntatis, ut supra dictum est. Contingit igitur quod aliquis habeat scientiam in universali, puta nullam fornicationem esse faciendam; sed tamen non cognoscat in particulari hunc actum qui est fornicatio, non esse faciendum. Et hoc sufficit ad hoc quod voluntas non sequatur universalem scientiam rationis. Iterum considerandum est quod nihil prohibet aliquid sciri in habitu, quod tamen actu non consideratur. Potest igitur contingere quod aliquis etiam rectam scientiam habeat in singulari, et non solum in universali, sed tamen in actu non consideret. Et tunc non videtur difficile quod praeter id quod actu non considerat, homo agat. Quod autem homo non consideret in particulari id quod habitualiter scit, quandoque quidem contingit ex solo defectu intentionis, puta cum homo sciens geometriam, non intendit ad considerandum geometriae conclusiones, quas statim in promptu habet considerare. Quandoque autem homo non considerat id quod habet in habitu propter aliquod impedimentum superveniens, puta propter aliquam occupationem exteriorem, vel propter aliquam infirmitatem corporalem. Et hoc modo ille qui est in passione constitutus, non considerat in particulari id quod scit in universali, inquantum passio impedit talem considerationem. Impedit autem tripliciter. Primo, per quandam distractionem, sicut supra expositum est. Secundo, per contrarietatem, quia plerumque passio inclinat ad contrarium huius quod scientia universalis habet. Tertio, per quandam immutationem corporalem, ex qua ratio quodammodo ligatur, ne libere in actum exeat, sicut etiam somnus vel ebrietas, quadam corporali transmutatione facta, ligant usum rationis. Et quod hoc contingat in passionibus, patet ex hoc quod aliquando, cum passiones multum intenduntur, homo amittit totaliter usum rationis, multi enim propter abundantiam amoris et irae, sunt in insaniam conversi. Et per hunc modum passio trahit rationem ad iudicandum in particulari contra scientiam quam habet in universali.

 

[36868] Iª-IIae q. 77 a. 2 co.
RISPONDO: Come riferisce Aristotele, era opinione di Socrate che la scienza non può mai essere vinta dalla passione. E quindi affermava che tutte le virtù sono scienza, e che tutti i peccati non sono che ignoranza. E in questo c'era del vero. Poiché la volontà, avendo per oggetto il bene, vero o apparente, mai può volgersi al male, senza che esso si presenti alla ragione sotto l'aspetto di bene: e quindi la volontà non tenderebbe mai al male, senza un'ignoranza, o un errore della ragione. Difatti sta scritto nei Proverbi: "Errano quelli che operano il male". - È però evidente che molti agiscono contro la loro scienza; e anche questo trova conferma nella Scrittura: "Il servo che ha conosciuto la volontà del padrone e non l'ha fatta, sarà aspramente battuto"; e altrove: "Chi dunque sa come fare il bene e non lo fa, commette peccato". Perciò Socrate propriamente non era nel giusto, ma è necessario distinguere, come fa il Filosofo nell'Etica.
Infatti per agire rettamente l'uomo deve essere diretto da due tipi di conoscenza, universale e particolare; e quindi basta la mancanza di una di esse, per impedire la rettitudine di un atto volontario, come sopra abbiamo spiegato. Perciò può capitare che uno abbia la nozione universale che non si può ammettere nessuna fornicazione; e tuttavia non riconosca in particolare che questo atto di fornicazione non è da compiersi. E questo basta a far sì che la volontà non segua la conoscenza universale della ragione. - Inoltre si deve notare che può esserci la conoscenza abituale di una cosa, senza la sua considerazione attuale. E quindi può capitare che uno abbia la giusta conoscenza non solo universale, ma anche particolare di una cosa, e tuttavia non ci pensi attualmente. E allora non è difficile capire come l'uomo agisca prescindendo da quanto attualmente non considera.
Ora, codesta inconsiderazione di quanto uno conosce abitualmente qualche volta è dovuta alla mancanza di attenzione: è il caso p. es., del geometra il quale non pensa alle conclusioni della geometria, che subito potrebbe considerare. - Altre volte codesta inconsiderazione dipende dal sopravvenire di un ostacolo: mettiamo da un'occupazione esterna, o da un'infermità del corpo. Ed è proprio così che l'uomo soggetto alla passione è impedito dal considerare in particolare ciò che universalmente conosce: la passione ostacola la sua considerazione attuale.
E ciò può avvenire in tre modi. Primo, mediante una distrazione, come sopra abbiamo spiegato. Secondo, per un motivo di contrarietà: spesso, infatti, la passione spinge in direzione opposta a quella delle nostre nozioni universali. Terzo, mediante un'alterazione fisiologica, che in qualche modo lega la ragione, ostacolandone l'esercizio, analogamente a quanto avviene nel sonno e nell'ubriachezza. Se ne ha la riprova nel fatto che talora, quando le passioni sono molto intense, l'uomo perde totalmente l'uso della ragione: infatti molti sono diventati pazzi per eccesso di amore o d'ira. Perciò anche in questo modo la passione spinge la ragione a giudicare nei casi particolari contro le sue nozioni universali.

[36869] Iª-IIae q. 77 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod scientia universalis, quae est certissima, non habet principalitatem in operatione, sed magis scientia particularis, eo quod operationes sunt circa singularia. Unde non est mirum si in operabilibus passio agit contra scientiam universalem, absente consideratione in particulari.

 

[36869] Iª-IIae q. 77 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nell'operare non ha un'importanza primaria la scienza degli universali, la quale è certissima, bensì la conoscenza dei singolari: poiché le operazioni hanno per oggetto i singolari. Perciò non c'è da meravigliarsi che in questo campo la passione agisca contro la scienza universale, in assenza di una considerazione particolare.

[36870] Iª-IIae q. 77 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod hoc ipsum quod rationi videatur in particulari aliquid bonum quod non est bonum, contingit ex aliqua passione. Et tamen hoc particulare iudicium est contra universalem scientiam rationis.

 

[36870] Iª-IIae q. 77 a. 2 ad 2
2. Il fatto stesso che una cosa non buona appaia alla ragione in particolare come un bene, dipende anch'esso da una passione. Tuttavia codesto particolare giudizio è contrario alla scienza universale della ragione.

[36871] Iª-IIae q. 77 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod non posset contingere quod aliquis haberet simul in actu scientiam aut opinionem veram de universali affirmativo, et opinionem falsam de particulari negativo, aut e converso. Sed bene potest contingere quod aliquis habeat veram scientiam habitualiter de universali affirmativo, et falsam opinionem in actu de particulari negativo, actus enim directe non contrariatur habitui, sed actui.

 

[36871] Iª-IIae q. 77 a. 2 ad 3
3. Non può avvenire che uno abbia attualmente la scienza o l'opinione vera di un principio universale affermativo, e un'opinione falsa di un particolare negativo, o viceversa. Però può darsi che uno abbia la vera scienza abituale di un principio universale affermativo, e l'opinione falsa attuale di un particolare negativo: poiché l'atto direttamente non si oppone all'abito, ma a un altro atto.

[36872] Iª-IIae q. 77 a. 2 ad 4
Ad quartum dicendum quod ille qui habet scientiam in universali, propter passionem impeditur ne possit sub illa universali sumere, et ad conclusionem pervenire, sed assumit sub alia universali, quam suggerit inclinatio passionis, et sub ea concludit. Unde philosophus dicit, in VII Ethic., quod syllogismus incontinentis habet quatuor propositiones, duas universales, quarum una est rationis, puta nullam fornicationem esse committendam; alia est passionis, puta delectationem esse sectandam. Passio igitur ligat rationem ne assumat et concludat sub prima, unde, ea durante, assumit et concludit sub secunda.

 

[36872] Iª-IIae q. 77 a. 2 ad 4
4. La passione impedisce a chi è in possesso di una nozione universale di desumere da essa, e di giungere alla logica conclusione; ma pone la minore sotto un'altra proposizione universale, suggerita dalla passione, e conclude da questa. Perciò il Filosofo afferma che il sillogismo di chi pecca d'incontinenza ha quattro proposizioni, di cui due universali: una dettata dalla ragione, p. es., non si può commettere nessuna fornicazione; e l'altra dalla passione, p. es., bisogna assecondare il piacere. La passione, dunque, impedisce alla ragione di arguire e di concludere dalla prima; ma sotto il suo influsso si arguisce e si desume dalla seconda.

[36873] Iª-IIae q. 77 a. 2 ad 5
Ad quintum dicendum quod, sicut ebrius quandoque proferre potest verba significantia profundas sententias, quas tamen mente diiudicare non potest, ebrietate prohibente; ita in passione existens, etsi ore proferat hoc non esse faciendum, tamen interius hoc animo sentit quod sit faciendum, ut dicitur in VII Ethic.

 

[36873] Iª-IIae q. 77 a. 2 ad 5
5. Come gli ubriachi esprimono talora delle sentenze profonde, che però sono incapaci di giudicare con la loro mente sconvolta dall'ubriachezza, così chi è sotto il dominio di una passione, sebbene a parole condanni una data cosa, tuttavia internamente nel suo cuore la giudica degna di essere compiuta.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Vizi e peccati > Le passioni dell'appetito sensitivo come causa di peccato > Se il peccato di passione debba dirsi d'infermità, o di fragilità


Prima pars secundae partis
Quaestio 77
Articulus 3

[36874] Iª-IIae q. 77 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod peccatum quod est ex passione, non debeat dici ex infirmitate. Passio enim est quidam vehemens motus appetitus sensitivi, ut dictum est. Vehementia autem motus magis attestatur fortitudini quam infirmitati. Ergo peccatum quod est ex passione, non debet dici ex infirmitate.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 77
Articolo 3

[36874] Iª-IIae q. 77 a. 3 arg. 1
SEMBRA che il peccato di passione non debba dirsi d'infermità. Infatti:
1. La passione, come si è detto, è un moto intenso dell'appetito sensitivo. Ora, l'intensità di un moto dice più fortezza che infermità, o fragilità. Dunque il peccato di passione non deve denominarsi peccato di fragilità.

[36875] Iª-IIae q. 77 a. 3 arg. 2
Praeterea, infirmitas hominis maxime attenditur secundum illud quod est in eo fragilius. Hoc autem est caro, unde dicitur in Psalmo LXXVII, recordatus est quia caro sunt. Ergo magis debet dici peccatum ex infirmitate quod est ex aliquo corporis defectu, quam quod est ex animae passione.

 

[36875] Iª-IIae q. 77 a. 3 arg. 2
2. L'infermità dell'uomo si constata in base a quello che vi è di più debole in lui. Ed essendo tale appunto la carne, secondo il detto della Scrittura: "Si ricordò ch'eran carne"; si deve denominare peccato d'infermità più quello derivante da un difetto del corpo, che quello dovuto a una passione dell'anima.

[36876] Iª-IIae q. 77 a. 3 arg. 3
Praeterea, ad ea non videtur homo esse infirmus, quae eius voluntati subduntur. Sed facere vel non facere ea ad quae passio inclinat, hominis voluntati subditur, secundum illud Gen. IV, sub te erit appetitus tuus, et tu dominaberis illius. Ergo peccatum quod est ex passione, non est ex infirmitate.

 

[36876] Iª-IIae q. 77 a. 3 arg. 3
3. Non si vede come un uomo possa essere infermo, o fragile a proposito di cose dipendenti dalla sua volontà. Ora, come dice la Scrittura, dipende dalla volontà dell'uomo fare o non fare le cose alle quali trascinano le passioni: "L'appetito tuo ti sarà sottoposto, e tu potrai dominarlo". Perciò il peccato di passione non è di fragilità.

[36877] Iª-IIae q. 77 a. 3 s. c.
Sed contra est quod Tullius, in IV libro de Tuscul. quaest., passiones animae aegritudines vocat. Aegritudines autem alio nomine infirmitates dicuntur. Ergo peccatum quod est ex passione, debet dici ex infirmitate.

 

[36877] Iª-IIae q. 77 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Cicerone chiama "malattie" le passioni dell'anima. Ora, le malattie con altro nome si dicono infermità. Dunque il peccato di passione deve dirsi d'infermità (o fragilità).

[36878] Iª-IIae q. 77 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod causa peccati propria est ex parte animae in qua principaliter est peccatum. Potest autem dici infirmitas in anima ad similitudinem infirmitatis corporis. Dicitur autem corpus hominis esse infirmum, quando debilitatur vel impeditur in executione propriae operationis, propter aliquam inordinationem partium corporis, ita scilicet quod humores et membra hominis non subduntur virtuti regitivae et motivae corporis. Unde et membrum dicitur esse infirmum, quando non potest perficere operationem membri sani, sicut oculus quando non potest clare videre, ut dicit philosophus, in X de historiis animalium. Unde et infirmitas animae dicitur quando impeditur anima in propria operatione, propter inordinationem partium ipsius. Sicut autem partes corporis dicuntur esse inordinatae, quando non sequuntur ordinem naturae; ita et partes animae dicuntur inordinatae, quando non subduntur ordini rationis, ratio enim est vis regitiva partium animae. Sic ergo quando extra ordinem rationis vis concupiscibilis aut irascibilis aliqua passione afficitur, et per hoc impedimentum praestatur modo praedicto debitae actioni hominis, dicitur peccatum esse ex infirmitate. Unde et philosophus, in I Ethic., comparat incontinentem paralytico, cuius partes moventur in contrarium eius quod ipse disponit.

 

[36878] Iª-IIae q. 77 a. 3 co.
RISPONDO: La causa propria del peccato va riscontrata nell'anima, nella quale esso principalmente risiede. Ebbene si può parlare d'infermità dell'anima per analogia con le infermità del corpo. Ora, si dice che il corpo umàno è infermo, quando è reso fiacco o incapace rispetto all'esercizio delle proprie attività da una indisposizione delle sue parti, cosicché gli umori e le membra non sottostanno alla virtù motrice e direttiva del corpo. Si dice infatti che un membro è infermo, quando è incapace di compiere l'operazione di un membro sano: è infermo l'occhio, direbbe il Filosofo, quando non può vedere con chiarezza. Perciò si parla di infermità dell'anima, quando essa viene ostacolata nella propria operazione dall'indisposizione delle sue parti.
Ora, come le parti del corpo si dicono indisposte quando non seguono l'ordine di natura; così si dicono mal disposte le parti dell'anima quando non sottostanno all'ordine della ragione: essendo quest'ultima la virtù direttiva delle parti dell'anima. Perciò quando la facoltà del concupiscibile e dell'irascibile sono dominate dalle passioni contro l'ordine della ragione, ostacolando la debita attività dell'uomo nel modo sopraindicato, si parla di peccato d'infermità. Difatti anche il Filosofo paragona l'incontinente al paralitico, le cui membra si muovono in senso diverso da quello che egli dispone.

[36879] Iª-IIae q. 77 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut quanto fuerit motus fortior in corpore praeter ordinem naturae, tanto est maior infirmitas; ita quanto fuerit motus fortior passionis praeter ordinem rationis, tanto est maior infirmitas animae.

 

[36879] Iª-IIae q. 77 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come l'intensità maggiore di un moto innaturale aggrava l'infermità nel corpo; così la maggiore intensità dei moti passionali aumenta proporzionalmente l'infermità dell'anima.

[36880] Iª-IIae q. 77 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod peccatum principaliter consistit in actu voluntatis, qui non impeditur per corporis infirmitatem, potest enim qui est corpore infirmus, promptam habere voluntatem ad aliquid faciendum. Impeditur autem per passionem, ut supra dictum est. Unde cum dicitur peccatum esse ex infirmitate, magis est referendum ad infirmitatem animae quam ad infirmitatem corporis. Dicitur tamen etiam ipsa infirmitas animae infirmitas carnis, inquantum ex conditione carnis passiones animae insurgunt in nobis, eo quod appetitus sensitivus est virtus utens organo corporali.

 

[36880] Iª-IIae q. 77 a. 3 ad 2
2. Il peccato è principalmente un atto della volontà, la quale non trova ostacolo nell'infermità del corpo: infatti un infermo può avere la volontà pronta a compiere determinate cose. Trova ostacolo invece nella passione, come abbiamo visto sopra. Perciò quando si parla di peccato di fragilità, o d'infermità, si deve pensare più all'infermità dell'anima che a quella del corpo. - Tuttavia la stessa infermità dell'anima si può denominare infermità della carne, in quanto le passioni dell'anima insorgono in noi per la condizione della nostra carne, e cioè dall'essere l'appetito sensitivo una facoltà organica.

[36881] Iª-IIae q. 77 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod in potestate quidem voluntatis est assentire vel non assentire his in quae passio inclinat, et pro tanto dicitur noster appetitus sub nobis esse. Sed tamen ipse assensus vel dissensus voluntatis impeditur per passionem, modo praedicto.

 

[36881] Iª-IIae q. 77 a. 3 ad 3
3. È in potere della volontà consentire, o dissentire da quello che attira la passione: e in tal senso si dice che il nostro appetito ci è sottoposto. Tuttavia anche il consenso, o il dissenso della volontà è impedito, come abbiamo visto, dalla passione.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Vizi e peccati > Le passioni dell'appetito sensitivo come causa di peccato > Se l'amor proprio sia il principio di ogni peccato


Prima pars secundae partis
Quaestio 77
Articulus 4

[36882] Iª-IIae q. 77 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod amor sui non sit principium omnis peccati. Id enim quod est secundum se bonum et debitum, non est propria causa peccati. Sed amor sui est secundum se bonum et debitum, unde et praecipitur homini ut diligat proximum sicut seipsum, Levit. XIX. Ergo amor sui non potest esse propria causa peccati.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 77
Articolo 4

[36882] Iª-IIae q. 77 a. 4 arg. 1
SEMBRA che l'amor proprio non sia il principio di ogni peccato. Infatti:
1. Non può essere causa propria di peccato ciò che di per sé è cosa buona e doverosa. Ora, l'amore di se stessi di suo è una cosa buona e doverosa: infatti all'uomo viene comandato di amare il prossimo come se stesso. Dunque l'amor proprio non può esser causa di peccato.

[36883] Iª-IIae q. 77 a. 4 arg. 2
Praeterea, apostolus dicit, Rom. VII, occasione accepta, peccatum per mandatum operatum est in me omnem concupiscentiam, ubi Glossa dicit quod bona est lex, quae, dum concupiscentiam prohibet, omne malum prohibet, quod dicitur propter hoc, quia concupiscentia est causa omnis peccati. Sed concupiscentia est alia passio ab amore, ut supra habitum est. Ergo amor sui non est causa omnis peccati.

 

[36883] Iª-IIae q. 77 a. 4 arg. 2
2. L'Apostolo insegna: "Il peccato, prese le mosse da quel comandamento, produsse in me tutte le concupiscenze"; e la Glossa spiega, che "è buona la legge, la quale col proibire la concupiscenza, proibisce ogni male"; questo perché la concupiscenza è causa di tutti i peccati. Ma la concupiscenza, come sopra abbiamo visto, è una passione diversa dall'amore. Dunque causa di tutti i peccati non è l'amor proprio.

[36884] Iª-IIae q. 77 a. 4 arg. 3
Praeterea, Augustinus, super illud Psalmi, incensa igni et suffossa, dicit quod omne peccatum est ex amore male inflammante, vel ex timore male humiliante. Non ergo solus amor sui est causa peccati.

 

[36884] Iª-IIae q. 77 a. 4 arg. 3
3. S. Agostino spiegando l'espressione del Salmo: "bruciata col fuoco e divelta", afferma che "ogni peccato deriva da un amore che malamente infiamma, o da un timore che malamente umilia". Quindi non il solo amor proprio è causa di peccato.

[36885] Iª-IIae q. 77 a. 4 arg. 4
Praeterea, sicut homo quandoque peccat propter inordinatum sui amorem, ita etiam interdum peccat propter inordinatum amorem proximi. Ergo amor sui non est causa omnis peccati.

 

[36885] Iª-IIae q. 77 a. 4 arg. 4
4. L'uomo, come pecca qualche volta per l'amore disordinato di sé, così altre volte pecca per l'amore disordinato del prossimo. Perciò l'amor proprio non è la causa di tutti i peccati.

[36886] Iª-IIae q. 77 a. 4 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, XIV de Civ. Dei, quod amor sui usque ad contemptum Dei, facit civitatem Babylonis. Sed per quodlibet peccatum pertinet homo ad civitatem Babylonis. Ergo amor sui est causa omnis peccati.

 

[36886] Iª-IIae q. 77 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino insegna che "l'amor proprio di sé fino al disprezzo di Dio costituisce la città di Babilonia". Ma l'uomo appartiene alla città di Babilonia con qualsiasi peccato. Dunque l'amor proprio è la causa di ogni peccato.

[36887] Iª-IIae q. 77 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, propria et per se causa peccati accipienda est ex parte conversionis ad commutabile bonum; ex qua quidem parte omnis actus peccati procedit ex aliquo inordinato appetitu alicuius temporalis boni. Quod autem aliquis appetat inordinate aliquod temporale bonum, procedit ex hoc quod inordinate amat seipsum, hoc enim est amare aliquem, velle ei bonum. Unde manifestum est quod inordinatus amor sui est causa omnis peccati.

 

[36887] Iª-IIae q. 77 a. 4 co.
RISPONDO: Abbiamo già precisato che la causa propria e diretta del peccato va ricercata dal lato della conversione al bene transitorio cioè dall'affetto disordinato per un bene temporale. Ora, codesto affetto disordinato per un bene temporale deriva dal fatto che uno ama disordinatamente se stesso: infatti amare qualcuno significa volere a lui del bene. È perciò evidente che l'amore disordinato di sé è causa di tutti i peccati.

[36888] Iª-IIae q. 77 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod amor sui ordinatus est debitus et naturalis, ita scilicet quod velit sibi bonum quod congruit. Sed amor sui inordinatus, qui perducit ad contemptum Dei, ponitur esse causa peccati secundum Augustinum.

 

[36888] Iª-IIae q. 77 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'amore ordinato di sé, che consiste nel volere a se stessi il bene conveniente, è doveroso e naturale. Ma bisogna ammettere con S. Agostino che l'amor proprio disordinato, il quale porta fino al disprezzo di Dio, è causa del peccato.

[36889] Iª-IIae q. 77 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod concupiscentia, qua aliquis appetit sibi bonum, reducitur ad amorem sui sicut ad causam, ut iam dictum est.

 

[36889] Iª-IIae q. 77 a. 4 ad 2
2. La concupiscenza, con la quale uno desidera a se stesso del bene, ha come causa l'amor proprio, secondo le spiegazioni date.

[36890] Iª-IIae q. 77 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod aliquis dicitur amare et illud bonum quod optat sibi, et se, cui bonum optat. Amor igitur secundum quod dicitur eius esse quod optatur, puta quod aliquis dicitur amare vinum vel pecuniam, recipit pro causa timorem, qui pertinet ad fugam mali. Omne enim peccatum provenit vel ex inordinato appetitu alicuius boni, vel ex inordinata fuga alicuius mali. Sed utrumque horum reducitur ad amorem sui. Propter hoc enim homo vel appetit bona vel fugit mala, quia amat seipsum.

 

[36890] Iª-IIae q. 77 a. 4 ad 3
3. Nell'amare uno ha per oggetto e il bene che brama a se stesso, e se medesimo al quale lo brama. Ora, l'amore in quanto si riferisce all'oggetto bramato, p. es. al vino o al danaro, può anche essere causato dal timore, avente per oggetto la fuga del male. Infatti ogni peccato deriva, o dal desiderio disordinato di un bene, o dalla fuga disordinata di un male. Ma le due cose si riallacciano entrambe all'amor proprio. Infatti un uomo desidera il bene e fugge il male, perché ama se stesso.

[36891] Iª-IIae q. 77 a. 4 ad 4
Ad quartum dicendum quod amicus est quasi alter ipse. Et ideo quod peccatur propter amorem amici, videtur propter amorem sui peccari.

 

[36891] Iª-IIae q. 77 a. 4 ad 4
4. L'amico è come "un altro io". Perciò chi pecca per amore di un amico, praticamente pecca per amore di se stesso.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Vizi e peccati > Le passioni dell'appetito sensitivo come causa di peccato > Se sia giusto enumerare tra le cause dei peccati "la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, e la superbia della vita"


Prima pars secundae partis
Quaestio 77
Articulus 5

[36892] Iª-IIae q. 77 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod inconvenienter ponantur causae peccatorum esse concupiscentia carnis, concupiscentia oculorum, et superbia vitae. Quia secundum apostolum, I ad Tim. ult., radix omnium malorum est cupiditas. Sed superbia vitae sub cupiditate non continetur. Ergo non oportet poni inter causas peccatorum.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 77
Articolo 5

[36892] Iª-IIae q. 77 a. 5 arg. 1
SEMBRA che non sia giusto enumerare come cause dei peccati "la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita". Infatti:
1. A detta dell'Apostolo, "radice di tutti i mali è la cupidigia". Ora, la superbia della vita non rientra nella cupidigia. Dunque essa non doveva essere enumerata tra le cause dei peccati.

[36893] Iª-IIae q. 77 a. 5 arg. 2
Praeterea, concupiscentia carnis maxime ex visione oculorum excitatur, secundum illud Dan. XIII, species decepit te. Ergo non debet dividi concupiscentia oculorum contra concupiscentiam carnis.

 

[36893] Iª-IIae q. 77 a. 5 arg. 2
2. La concupiscenza della carne trova l'incentivo più forte nel vedere, secondo l'espressione di Daniele: "La bellezza ti ha sedotto". Perciò la concupiscenza degli occhi non va distinta dalla concupiscenza della carne.

[36894] Iª-IIae q. 77 a. 5 arg. 3
Praeterea, concupiscentia est delectabilis appetitus, ut supra habitum est. Delectationes autem contingunt non solum secundum visum, sed etiam secundum alios sensus. Ergo deberet etiam poni concupiscentia auditus, et aliorum sensuum.

 

[36894] Iª-IIae q. 77 a. 5 arg. 3
3. La concupiscenza è l'appetito di ciò che piace, come sopra abbiamo spiegato. Ora, il piacere non si limita alla vista, ma interessa anche gli altri sensi. Quindi bisognerebbe mettere anche la concupiscenza dell'udito, e degli altri sensi.

[36895] Iª-IIae q. 77 a. 5 arg. 4
Praeterea, sicut homo inducitur ad peccandum ex inordinata concupiscentia boni, ita etiam ex inordinata fuga mali, ut dictum est. Sed nihil hic enumeratur pertinens ad fugam mali. Ergo insufficienter causae peccatorum tanguntur.

 

[36895] Iª-IIae q. 77 a. 5 arg. 4
4. Sopra abbiamo detto che l'uomo è indotto a peccare, e dalla disordinata concupiscenza del bene, e dalla disordinata fuga del male. Invece in questa enumerazione si trascura del tutto quanto riguarda la fuga del male: Dunque l'enumerazione è incompleta.

[36896] Iª-IIae q. 77 a. 5 s. c.
Sed contra est quod dicitur I Ioan. II, omne quod est in mundo, aut est concupiscentia carnis, aut concupiscentia oculorum, aut superbia vitae. In mundo autem dicitur aliquid esse propter peccatum, unde et ibidem, dicit quod totus mundus in maligno positus est. Ergo praedicta tria sunt causae peccatorum.

 

[36896] Iª-IIae q. 77 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: S. Giovanni ha scritto: "Tutto quello che è nel mondo è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e superbia della vita". E si dice che una cosa è nel mondo per il peccato; poiché nella stessa lettera egli aggiunge, che "tutto il mondo sta sotto al maligno". Perciò le tre cose indicate sono causa dei peccati.

[36897] Iª-IIae q. 77 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod, sicut iam dictum est, inordinatus amor sui est causa omnis peccati. In amore autem sui includitur inordinatus appetitus boni, unusquisque enim appetit bonum ei quem amat. Unde manifestum est quod inordinatus appetitus boni est causa omnis peccati. Bonum autem dupliciter est obiectum sensibilis appetitus, in quo sunt animae passiones, quae sunt causa peccati, uno modo, absolute, secundum quod est obiectum concupiscibilis; alio modo, sub ratione ardui, prout est obiectum irascibilis, ut supra dictum est. Est autem duplex concupiscentia, sicut supra habitum est. Una quidem naturalis, quae est eorum quibus natura corporis sustentatur; sive quantum ad conservationem individui, sicut cibus et potus et alia huiusmodi; sive quantum ad conservationem speciei, sicut in venereis. Et horum inordinatus appetitus dicitur concupiscentia carnis. Alia est concupiscentia animalis, eorum scilicet quae per sensum carnis sustentationem aut delectationem non afferunt, sed sunt delectabilia secundum apprehensionem imaginationis, aut alicuius huiusmodi acceptionis, sicut sunt pecunia, ornatus vestium, et alia huiusmodi. Et haec quidem animalis concupiscentia vocatur concupiscentia oculorum, sive intelligatur concupiscentia oculorum, idest ipsius visionis, quae fit per oculos, ut referatur ad curiositatem, secundum quod Augustinus exponit, X Confess.; sive referatur ad concupiscentiam rerum quae exterius oculis proponuntur, ut referatur ad cupiditatem, secundum quod ab aliis exponitur. Appetitus autem inordinatus boni ardui pertinet ad superbiam vitae, nam superbia est appetitus inordinatus excellentiae, ut inferius dicetur. Et sic patet quod ad ista tria reduci possunt omnes passiones, quae sunt causa peccati. Nam ad duo prima reducuntur omnes passiones concupiscibilis, ad tertium autem omnes passiones irascibilis; quod ideo non dividitur in duo, quia omnes passiones irascibilis conformantur concupiscentiae animali.

 

[36897] Iª-IIae q. 77 a. 5 co.
RISPONDO: Nell'articolo precedente abbiamo visto che l'amor proprio è causa di tutti i peccati. Ora, in codesto amore è incluso l'appetito disordinato di un bene: infatti ciascuno desidera un bene a colui che ama. Perciò è evidente che causa di ogni peccato è l'appetito disordinato di un bene. Ma in due maniere un bene può essere oggetto dell'appetito sensitivo, in cui risiedono le passioni, che sono causa del peccato: primo, in ordine assoluto, come oggetto del concupiscibile; secondo, sotto l'aspetto di bene arduo, cioè come oggetto dell'irascibile, in base alle spiegazioni date in precedenza.
Notammo ancora, però, che ci sono due tipi di concupiscenza. La prima è naturale o fisica, avente per oggetto le cose atte a sostentare la natura del corpo: o per la conservazione dell'individuo, come il cibo, la bevanda e simili; o per la conservazione della specie, come i piaceri venerei. Ebbene, l'appetito disordinato di codeste cose viene chiamato "concupiscenza della carne". - L'altra concupiscenza è spirituale, e ha per oggetto cose che non danno né sostentamento, né piacere carnale mediante i sensi, ma che sono piacevoli per una percezione dell'immaginativa, o per altre apprensioni del genere: tali sono il danaro, la bellezza delle vesti, e altre cose consimili. Questa concupiscenza spirituale (animalis) è chiamata "concupiscenza degli occhi": sia che s'intenda come concupiscenza degli occhi, cioè della vista medesima, effettuata mediante gli occhi, per indicare la curiosità, secondo la spiegazione di S. Agostino; sia che si riferisca alla concupiscenza delle cose presentate agli occhi dall'esterno, per indicare la cupidigia, secondo la spiegazione di altri esegeti. Invece l'appetito disordinato del bene arduo si riduce alla "superbia della vita": infatti la superbia è l'appetito disordinato della propria eccellenza, come vedremo in seguito.
È evidente perciò che a queste tre cose si possono ridurre tutte le passioni che sono causa di peccato. Infatti alle prime due si riducono tutte le passioni del concupiscibile: e alla terza tutte quelle dell'irascibile; il quale non si divide in due, perché tutte le passioni dell'irascibile dipendono in tutto dalle concupiscenze corrispettive.

[36898] Iª-IIae q. 77 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod secundum quod cupiditas importat universaliter appetitum cuiuscumque boni, sic etiam superbia vitae continetur sub cupiditate. Quomodo autem cupiditas, secundum quod est speciale vitium, quod avaritia nominatur, sit radix omnium peccatorum, infra dicetur.

 

[36898] Iª-IIae q. 77 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La cupidigia, in quanto include universalmente l'appetito di ogni bene, abbraccia anche la superbia. In seguito, poi, vedremo come la cupidigia, in quanto vizio speciale che si denomina avarizia, sia radice di tutti i peccati.

[36899] Iª-IIae q. 77 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod concupiscentia oculorum non dicitur hic concupiscentia omnium rerum quae oculis videri possunt, sed solum earum in quibus non quaeritur delectatio carnis, quae est secundum tactum, sed solum delectatio oculi, idest cuiuscumque apprehensivae virtutis.

 

[36899] Iª-IIae q. 77 a. 5 ad 2
2. Concupiscenza degli occhi qui non sta a indicare la concupiscenza di quanto si può vedere con gli occhi, ma la sola concupiscenza di quelle cose nelle quali non si cerca il piacere della carne, che si soddisfa col tatto, bensì solo quello dell'occhio, cioè di una qualsiasi facoltà conoscitiva.

[36900] Iª-IIae q. 77 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod sensus visus est excellentior inter omnes sensus, et ad plura se extendens, ut dicitur in I Metaphys. Et ideo nomen eius transfertur ad omnes alios sensus, et etiam ad omnes interiores apprehensiones, ut Augustinus dicit, in libro de verbis domini.

 

[36900] Iª-IIae q. 77 a. 5 ad 3
3. Come diceva il Filosofo, la vista è il più eccellente dei sensi, e si estende a un maggior numero di oggetti. Perciò si usa per indicare tutti gli altri sensi, e persino le percezioni interiori, come nota S. Agostino.

[36901] Iª-IIae q. 77 a. 5 ad 4
Ad quartum dicendum quod fuga mali causatur ex appetitu boni, ut supra dictum est. Et ideo ponuntur solum passiones inclinantes ad bonum, tanquam causae earum quae faciunt inordinate fugam mali.

 

[36901] Iª-IIae q. 77 a. 5 ad 4
4. La fuga del male, come abbiamo già visto, è causata dall'appetito del bene. Ecco perché sono elencate le sole passioni che inclinano al bene, quali cause di quelle che producono la fuga disordinata del male.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Vizi e peccati > Le passioni dell'appetito sensitivo come causa di peccato > Se la passione diminuisca il peccato


Prima pars secundae partis
Quaestio 77
Articulus 6

[36902] Iª-IIae q. 77 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod peccatum non allevietur propter passionem. Augmentum enim causae auget effectum, si enim calidum dissolvit, magis calidum magis dissolvit. Sed passio est causa peccati, ut habitum est. Ergo quanto est intensior passio, tanto est maius peccatum. Passio igitur non minuit peccatum, sed auget.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 77
Articolo 6

[36902] Iª-IIae q. 77 a. 6 arg. 1
SEMBRA che la passione non diminuisca il peccato. Infatti:
1. Col crescere della causa cresce anche l'effetto: se il calore dissolve, un calore più grande dissolve di più. Ora, la passione è causa del peccato, come abbiamo visto. Dunque più essa è intensa, più il peccato è grande. Perciò la passione non diminuisce, ma aggrava il peccato.

[36903] Iª-IIae q. 77 a. 6 arg. 2
Praeterea, sicut se habet passio bona ad meritum, ita se habet mala passio ad peccatum. Sed bona passio auget meritum, tanto enim aliquis magis videtur mereri, quanto ex maiori misericordia pauperi subvenit. Ergo etiam mala passio magis aggravat peccatum quam alleviat.

 

[36903] Iª-IIae q. 77 a. 6 arg. 2
2. La passione cattiva sta al peccato, come la passione buona sta al merito. Ma questa passione aumenta il merito: infatti più grande è la misericordia con la quale uno soccorre il povero, più cresce il suo merito. Perciò anche la passione cattiva è fatta più per aggravare che per diminuire il peccato.

[36904] Iª-IIae q. 77 a. 6 arg. 3
Praeterea, quanto intensiori voluntate aliquis facit peccatum, tanto gravius videtur peccare. Sed passio impellens voluntatem, facit eam vehementius ferri in actum peccati. Ergo passio aggravat peccatum.

 

[36904] Iª-IIae q. 77 a. 6 arg. 3
3. Un peccato è tanto più grave, quanto più intensa è la volontà con cui uno lo commette. Ora, la passione che spinge la volontà, la porta con maggiore intensità all'atto del peccato. Dunque la passione aggrava il peccato.

[36905] Iª-IIae q. 77 a. 6 s. c.
Sed contra, passio ipsa concupiscentiae vocatur tentatio carnis. Sed quanto aliquis maiori tentatione prosternitur, tanto minus peccat, ut patet per Augustinum. Ergo passio diminuit peccatum.

 

[36905] Iª-IIae q. 77 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: La passione della concupiscenza è chiamata anche tentazione della carne. Ma quanto più uno è prostrato da una tentazione più forte, tanto pecca meno gravemente, come insegna S. Agostino. Dunque la passione diminuisce il peccato.

[36906] Iª-IIae q. 77 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod peccatum essentialiter consistit in actu liberi arbitrii, quod est facultas voluntatis et rationis. Passio autem est motus appetitus sensitivi. Appetitus autem sensitivus potest se habere ad liberum arbitrium et antecedenter, et consequenter. Antecedenter quidem, secundum quod passio appetitus sensitivi trahit vel inclinat rationem et voluntatem, ut supra dictum est. Consequenter autem, secundum quod motus superiorum virium, si sint vehementes, redundant in inferiores, non enim potest voluntas intense moveri in aliquid, quin excitetur aliqua passio in appetitu sensitivo. Si igitur accipiatur passio secundum quod praecedit actum peccati, sic necesse est quod diminuat peccatum. Actus enim intantum est peccatum, inquantum est voluntarium et in nobis existens. In nobis autem aliquid esse dicitur per rationem et voluntatem. Unde quanto ratio et voluntas ex se aliquid agunt, non ex impulsu passionis, magis est voluntarium et in nobis existens. Et secundum hoc passio minuit peccatum, inquantum minuit voluntarium. Passio autem consequens non diminuit peccatum, sed magis auget, vel potius est signum magnitudinis eius, inquantum scilicet demonstrat intensionem voluntatis ad actum peccati. Et sic verum est quod quanto aliquis maiori libidine vel concupiscentia peccat, tanto magis peccat.

 

[36906] Iª-IIae q. 77 a. 6 co.
RISPONDO: Il peccato consiste essenzialmente in un atto del libero arbitrio, "facoltà del volere e della ragione". Invece la passione è un moto dell'appetito sensitivo. Ora, l'appetito sensitivo può essere antecedente, o conseguente rispetto al libero arbitrio. È antecedente, quando la passione dell'appetito sensitivo trascina o inclina la ragione e la volontà, come sopra abbiamo spiegato. È conseguente, quando i moti delle facoltà superiori, per la loro intensità, ridondano su quelle inferiori: infatti la volontà non può muoversi intensamente verso un oggetto, senza eccitare una passione nell'appetito sensitivo. Perciò, se consideriamo la passione in quanto precede l'atto peccaminoso, allora è necessario che diminuisca il peccato. Infatti un atto è peccato nella misura che è volontario ed è in nostro potere. Ora, una cosa è in nostro potere in forza della ragione e della volontà. Quindi più la ragione e la volontà agiscono per se stesse, senza impulsi di passione, più l'atto è volontario, e in nostro potere. E sotto quest'aspetto la passione diminuisce il peccato, riducendone la volontarietà. Invece la passione conseguente non diminuisce il peccato, ma piuttosto lo aggrava: anzi, è un segno della sua gravità, poiché mostra l'intensità del volere nell'atto del peccato. E da questo lato è vero che uno pecca tanto più gravemente, quanto più forte è il piacere e la concupiscenza con cui pecca.

[36907] Iª-IIae q. 77 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod passio est causa peccati ex parte conversionis. Gravitas autem peccati magis attenditur ex parte aversionis; quae quidem ex conversione sequitur per accidens, idest praeter intentionem peccantis. Causae autem per accidens augmentatae non augmentant effectus, sed solum causae per se.

 

[36907] Iª-IIae q. 77 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La passione è causa del peccato sotto l'aspetto di conversione (alle creature). Invece la gravità del peccato si considera piuttosto dal lato dell'aversione (da Dio): la quale deriva dalla conversione, ma solo per accidens, cioè senza intenzione da parte di chi pecca. Ora, non accresce il peccato il crescere delle cause per accidens, ma il solo accrescersi delle cause per se.

[36908] Iª-IIae q. 77 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod bona passio consequens iudicium rationis, augmentat meritum. Si autem praecedat, ut scilicet homo magis ex passione quam ex iudicio rationis moveatur ad bene agendum, talis passio diminuit bonitatem et laudem actus.

 

[36908] Iª-IIae q. 77 a. 6 ad 2
2. Una passione buona conseguente al giudizio della ragione aumenta il merito. Se invece lo precede, cosicché uno è portato ad agir bene più dalla passione che dal giudizio della ragione, allora essa diminuisce la bontà e il valore dell'atto.

[36909] Iª-IIae q. 77 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod, etsi motus voluntatis sit intensior ex passione incitatus, non tamen ita est voluntatis proprius, sicut si sola ratione moveretur ad peccandum.

 

[36909] Iª-IIae q. 77 a. 6 ad 3
3. Sebbene il moto della volontà suscitato dalla passione sia più intenso, tuttavia appartiene meno propriamente alla volontà, che se fosse stata mossa a peccare dalla sola ragione.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Vizi e peccati > Le passioni dell'appetito sensitivo come causa di peccato > Se la passione scusi totalmente dal peccato


Prima pars secundae partis
Quaestio 77
Articulus 7

[36910] Iª-IIae q. 77 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod passio totaliter excuset a peccato. Quidquid enim causat involuntarium, excusat totaliter a peccato. Sed concupiscentia carnis, quae est quaedam passio, causat involuntarium, secundum illud Gal. V, caro concupiscit adversus spiritum, ut non quaecumque vultis, illa faciatis. Ergo passio totaliter excusat a peccato.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 77
Articolo 7

[36910] Iª-IIae q. 77 a. 7 arg. 1
SEMBRA che la passione scusi totalmente dal peccato. Infatti:
1. Tutto ciò che causa un atto involontario scusa totalmente dal peccato. Ora, la concupiscenza della carne, che è una passione, causa atti involontari, secondo l'espressione di S. Paolo: "La carne ha desideri contrari allo spirito, sicché voi non potete fare quello che vorreste". Dunque la passione scusa totalmente dal peccato.

[36911] Iª-IIae q. 77 a. 7 arg. 2
Praeterea, passio causat ignorantiam quandam in particulari, ut dictum est. Sed ignorantia particularis totaliter excusat a peccato, sicut supra habitum est. Ergo passio totaliter excusat a peccato.

 

[36911] Iª-IIae q. 77 a. 7 arg. 2
2. La passione, come abbiamo detto, causa l'ignoranza dei casi particolari. Ma l'ignoranza del caso particolare scusa totalmente dal peccato, come spiegammo a suo tempo. Quindi la passione scusa totalmente dal peccato.

[36912] Iª-IIae q. 77 a. 7 arg. 3
Praeterea, infirmitas animae gravior est quam infirmitas corporis. Sed infirmitas corporis totaliter excusat a peccato, ut patet in phreneticis. Ergo multo magis passio, quae est infirmitas animae.

 

[36912] Iª-IIae q. 77 a. 7 arg. 3
3. L'infermità dell'anima è più grave di quella del corpo. Ora, l'infermità del corpo scusa totalmente dal peccato, com'è evidente nel caso dei pazzi furiosi. Molto più, dunque, scusa la passione che è un'infermità dell'anima.

[36913] Iª-IIae q. 77 a. 7 s. c.
Sed contra est quod apostolus, Rom. VII, vocat passiones peccatorum, non nisi quia peccata causant. Quod non esset, si a peccato totaliter excusarent. Ergo passiones non totaliter a peccato excusant.

 

[36913] Iª-IIae q. 77 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO: L'Apostolo chiama "peccaminose" le passioni, solo perché causano i peccati. E questo non avverrebbe, se scusassero totalmente dal peccato. Dunque le passioni non scusano totalmente dal peccato.

[36914] Iª-IIae q. 77 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod secundum hoc solum actus aliquis qui de genere suo est malus, totaliter a peccato excusatur, quod totaliter involuntarius redditur. Unde si sit talis passio quae totaliter involuntarium reddat actum sequentem, totaliter a peccato excusat, alioquin, non totaliter. Circa quod duo consideranda videntur. Primo quidem, quod aliquid potest esse voluntarium vel secundum se, sicut quando voluntas directe in ipsum fertur, vel secundum suam causam, quando voluntas fertur in causam et non in effectum, ut patet in eo qui voluntarie inebriatur; ex hoc enim quasi voluntarium ei imputatur quod per ebrietatem committit. Secundo considerandum est quod aliquid dicitur voluntarium directe, vel indirecte, directe quidem, id in quod voluntas fertur; indirecte autem, illud quod voluntas potuit prohibere, sed non prohibet. Secundum hoc igitur distinguendum est. Quia passio quandoque quidem est tanta quod totaliter aufert usum rationis, sicut patet in his qui propter amorem vel iram insaniunt. Et tunc si talis passio a principio fuit voluntaria, imputatur actus ad peccatum, quia est voluntarius in sua causa, sicut etiam de ebrietate dictum est. Si vero causa non fuit voluntaria, sed naturalis, puta cum aliquis ex aegritudine, vel aliqua huiusmodi causa, incidit in talem passionem quae totaliter aufert usum rationis; actus omnino redditur involuntarius, et per consequens totaliter a peccato excusatur. Quandoque vero passio non est tanta quod totaliter intercipiat usum rationis. Et tunc ratio potest passionem excludere, divertendo ad alias cogitationes; vel impedire ne suum consequatur effectum, quia membra non applicantur operi nisi per consensum rationis, ut supra dictum est. Unde talis passio non totaliter excusat a peccato.

 

[36914] Iª-IIae q. 77 a. 7 co.
RISPONDO: Un atto che nel suo genere è cattivo è scusato totalmente dal peccato, per il fatto che viene reso del tutto involontario. Perciò se la passione è tale, da rendere del tutto involontario l'atto che l'accompagna, scusa totalmente dal peccato; altrimenti non lo scusa del tutto.
Sull'argomento si devono considerare due cose. Primo, che un'azione può essere volontaria, o per se stessa: come quando la volontà direttamente la cerca; o nella sua causa: quando la volontà ha di mira la causa e non l'effetto, com'è evidente nel caso di chi volontariamente si ubriaca. Ecco perché gli viene imputato ciò che commette nell'ubriachezza, come se fosse cosa volontaria. Secondo, si deve osservare che una cosa può essere volontaria direttamente o indirettamente: direttamente volontario è ciò che la volontà persegue; lo è indirettamente ciò che la volontà potrebbe impedire, ma non impedisce.
In base a questo dobbiamo distinguere. Poiché talora la passione è così forte da togliere totalmente l'uso della ragione: e ciò è evidente nel caso di coloro che impazziscono per amore o per ira. In questi casi, se la passione da principio fu volontaria, l'atto viene imputato come peccaminoso, perché volontario in causa: come abbiamo detto per l'ubriachezza. Se invece la causa non fu volontaria, ma naturale: perché uno, p. es., è incorso nella passione che gli ha tolto del tutto l'uso della ragione per una malattia o per altre cause del genere; i suoi atti allora sono del tutto involontari, e quindi sono scusati totalmente dal peccato.
Talora invece la passione non è tale da togliere del tutto l'uso della ragione. E allora la ragione può eliminare la passione pensando ad altro; oppure può impedirle di conseguire il suo effetto, poiché le membra vengono applicate all'operazione solo col consenso della ragione, come abbiamo visto nelle questioni precedenti. Perciò codesta passione non scusa totalmente dal peccato.

[36915] Iª-IIae q. 77 a. 7 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod hoc quod dicitur, ut non quaecumque vultis, illa faciatis, non est referendum ad ea quae fiunt per exteriorem actum, sed ad interiorem concupiscentiae motum, vellet enim homo nunquam concupiscere malum. Sicut etiam exponitur id quod dicitur Rom. VII, quod odi malum, illud facio. Vel potest referri ad voluntatem praecedentem passionem, ut patet in continentibus qui contra suum propositum agunt propter suam concupiscentiam.

 

[36915] Iª-IIae q. 77 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'espressione "sicché voi non potete fare quello che vorreste" non va riferita agli atti esterni, ma ai moti interiori della concupiscenza: infatti l'uomo (giusto) vorrebbe non provare mai la concupiscenza del male. Lo stesso pensiero è espresso nella lettera ai Romani: "Quel male che odio, io faccio". Oppure si può riferire alla volontà precedente lo stato passionale: ed è il caso patente dei continenti, i quali per la loro concupiscenza agiscono poi contro il loro proposito.

[36916] Iª-IIae q. 77 a. 7 ad 2
Ad secundum dicendum quod ignorantia particularis quae totaliter excusat, est ignorantia circumstantiae quam quidem quis scire non potest, debita diligentia adhibita. Sed passio causat ignorantiam iuris in particulari, dum impedit applicationem communis scientiae ad particularem actum. Quam quidem passionem ratio repellere potest, ut dictum est.

 

[36916] Iª-IIae q. 77 a. 7 ad 2
2. L'ignoranza del caso particolare, che scusa totalmente dalla colpa, è l'ignoranza di circostanze che uno non è in grado di conoscere, pur usando la debita diligenza. Invece la passione causa una ignoranza della legge in casi particolari, con l'impedire l'applicazione delle nozioni universali ad atti particolari. E la ragione, come abbiamo visto, è in grado di reprimerla.

[36917] Iª-IIae q. 77 a. 7 ad 3
Ad tertium dicendum quod infirmitas corporis est involuntaria. Esset autem simile, si esset voluntaria, sicut de ebrietate dictum est, quae est quaedam corporalis infirmitas.

 

[36917] Iª-IIae q. 77 a. 7 ad 3
3. L'infermità del corpo è involontaria. Il caso sarebbe analogo, se fosse invece volontaria: come abbiamo detto a proposito dell'ubriachezza, che è un'infermità corporale.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Vizi e peccati > Le passioni dell'appetito sensitivo come causa di peccato > Se un peccato di passione possa essere mortale


Prima pars secundae partis
Quaestio 77
Articulus 8

[36918] Iª-IIae q. 77 a. 8 arg. 1
Ad octavum sic proceditur. Videtur quod peccatum quod est ex passione, non possit esse mortale. Veniale enim peccatum dividitur contra mortale. Sed peccatum quod est ex infirmitate, est veniale, cum habeat in se causam veniae. Cum igitur peccatum quod est ex passione, sit ex infirmitate, videtur quod non possit esse mortale.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 77
Articolo 8

[36918] Iª-IIae q. 77 a. 8 arg. 1
SEMBRA che un peccato di passione non possa essere mortale. Infatti:
1. Il peçcato veniale si contrappone al mortale. Ora, il peccato di fragilità è veniale, o perdonabile, avendo in se stesso un motivo di perdono. Ma il peccato di passione, essendo di fragilità, è chiaro che non può essere mortale.

[36919] Iª-IIae q. 77 a. 8 arg. 2
Praeterea, causa non est potior effectu. Sed passio non potest esse peccatum mortale, non enim in sensualitate est peccatum mortale, ut supra habitum est. Ergo peccatum quod est ex passione, non potest esse mortale.

 

[36919] Iª-IIae q. 77 a. 8 arg. 2
2. La causa non può essere inferiore all'effetto. Ora, la passione non può essere peccato mortale; poiché nella sensualità, come abbiamo visto, esso non può risiedere. Dunque un peccato di passione non può essere mortale.

[36920] Iª-IIae q. 77 a. 8 arg. 3
Praeterea, passio abducit a ratione, ut ex dictis patet. Sed rationis est converti ad Deum vel averti ab eo, in quo consistit ratio peccati mortalis. Peccatum ergo quod est ex passione, non potest esse mortale.

 

[36920] Iª-IIae q. 77 a. 8 arg. 3
3. Abbiamo detto che la passione allontana dalla ragione. Ma spetta alla ragione volgersi a Dio, o scostarsi da lui, commettendo così un peccato mortale. Quindi il peccato di passione non può essere mortale.

[36921] Iª-IIae q. 77 a. 8 s. c.
Sed contra est quod apostolus dicit, Rom. VII, quod passiones peccatorum operantur in membris nostris ad fructificandum morti. Hoc autem est proprium mortalis peccati, quod fructificet morti. Ergo peccatum quod est ex passione, potest esse mortale.

 

[36921] Iª-IIae q. 77 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: L'Apostolo scrive, che "le passioni peccaminose agiscono nelle nostre membra così da portar frutti alla morte". Ora, portar frutti alla morte è proprio del peccato mortale. Dunque il peccato di passione può essere mortale.

[36922] Iª-IIae q. 77 a. 8 co.
Respondeo dicendum quod peccatum mortale, ut supra dictum est, consistit in aversione ab ultimo fine, qui est Deus, quae quidem aversio pertinet ad rationem deliberantem, cuius etiam est ordinare in finem. Hoc igitur solo modo potest contingere quod inclinatio animae in aliquid quod contrariatur ultimo fini, non sit peccatum mortale quia ratio deliberans non potest occurrere, quod contingit in subitis motibus. Cum autem ex passione aliquis procedit ad actum peccati, vel ad consensum deliberatum, hoc non fit subito. Unde ratio deliberans potest hic occurrere, potest enim excludere, vel saltem impedire passionem, ut dictum est. Unde si non occurrat, est peccatum mortale, sicut videmus quod multa homicidia et adulteria per passionem committuntur.

 

[36922] Iª-IIae q. 77 a. 8 co.
RISPONDO: Abbiamo già spiegato che il peccato mortale consiste nel volgere le spalle all'ultimo fine, che è Dio: e codesto gesto spetta alla deliberazione della ragione, che ha il compito di ordinare al fine. Perciò può capitare che il volgersi dell'anima verso quanto è contrario all'ultimo fine non sia peccato mortale, solo nel caso che la ragione non possa intervenire a deliberare: e questo avviene nei moti improvvisi. Ora, quando per passione uno passa all'atto peccaminoso, o al consenso deliberato, il fatto non è improvviso. Quindi la ragione può intervenire a deliberare: infatti può reprimere, oppure ostacolare la passione, come abbiamo visto. Perciò, se non interviene, è peccato mortale: e difatti vediamo che per passione si commettono molti omicidi e adulteri.

[36923] Iª-IIae q. 77 a. 8 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod veniale dicitur tripliciter. Uno modo, ex causa, quia scilicet habet aliquam causam veniae, quae diminuit peccatum, et sic peccatum ex infirmitate et ignorantia dicitur veniale. Alio modo, ex eventu, sicut omne peccatum per poenitentiam fit veniale, idest veniam consecutum. Tertio modo dicitur veniale ex genere, sicut verbum otiosum. Et hoc solum veniale opponitur mortali, obiectio autem procedit de primo.

 

[36923] Iª-IIae q. 77 a. 8 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Un peccato può dirsi veniale o perdonabile in tre maniere diverse. Primo, a motivo della causa; e cioè dal fatto che ha una causa di perdono, la quale diminuisce il peccato: e in questo senso si dice veniale il peccato di fragilità e d'ignoranza. Secondo, dal fatto del perdono: e allora tutti i peccati diventano veniali col pentimento, cioè in forza del perdono ricevuto. Terzo, può essere veniale nel suo genere, come, p. es., le parole oziose. Ora, soltanto questo tipo di peccato veniale si contrappone al mortale: invece l'obiezione partiva dal primo.

[36924] Iª-IIae q. 77 a. 8 ad 2
Ad secundum dicendum quod passio est causa peccati ex parte conversionis. Quod autem sit mortale, est ex parte aversionis, quae per accidens sequitur ad conversionem, ut dictum est. Unde ratio non sequitur.

 

[36924] Iª-IIae q. 77 a. 8 ad 2
2. La passione è causa del peccato sotto l'aspetto di conversione. Ma il suo essere mortale, come abbiamo visto, dipende dall'aspetto di aversione da Dio, che indirettamente segue la conversione alle creature. Perciò l'argomento non regge.

[36925] Iª-IIae q. 77 a. 8 ad 3
Ad tertium dicendum quod ratio non semper in suo actu totaliter a passione impeditur, unde remanet ei liberum arbitrium, ut possit averti vel converti ad Deum. Si autem totaliter tolleretur usus rationis, iam non esset peccatum nec mortale nec veniale.

 

[36925] Iª-IIae q. 77 a. 8 ad 3
3. Non sempre la ragione viene impedita totalmente nei suoi atti dalla passione: perciò le rimane il libero arbitrio per aderire a Dio, o per fuggire da lui. Se invece venisse tolto completamente l'uso della ragione, allora non ci sarebbe più peccato, né mortale, né veniale.

Alla Questione precedente

 

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