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Se l'ignoranza diminuisca il peccato
Prima pars secundae partis
Quaestio 76
Articulus 4
[36843] Iª-IIae q. 76 a. 4 arg. 1 Ad quartum sic proceditur. Videtur quod ignorantia non diminuat peccatum. Illud enim quod est commune in omni peccato, non diminuit peccatum. Sed ignorantia est communis in omni peccato, dicit enim philosophus, in III Ethic., quod omnis malus est ignorans. Ergo ignorantia non diminuit peccatum.
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Prima parte della seconda parte
Questione 76
Articolo 4
[36843] Iª-IIae q. 76 a. 4 arg. 1
SEMBRA che l'ignoranza non diminuisca il peccato. Infatti:
1. Ciò che è comune ad ogni peccato non può diminuire il peccato. Ora, l'ignoranza si trova in tutti i peccati: infatti il Filosofo scrive, che "ogni malvagio è ignorante". Perciò l'ignoranza non diminuisce il peccato.
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[36844] Iª-IIae q. 76 a. 4 arg. 2 Praeterea, peccatum additum peccato facit maius peccatum. Sed ipsa ignorantia est peccatum, ut dictum est. Ergo non diminuit peccatum.
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[36844] Iª-IIae q. 76 a. 4 arg. 2
2. Se a un peccato se ne aggiunge un altro, si ha un peccato più grave. Ma sopra abbiamo visto che l'ignoranza stessa è peccato. Dunque essa non può diminuire il peccato.
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[36845] Iª-IIae q. 76 a. 4 arg. 3 Praeterea, non est eiusdem aggravare et diminuere peccatum. Sed ignorantia aggravat peccatum, quoniam super illud apostoli, ignoras quoniam benignitas Dei, etc., dicit Ambrosius, gravissime peccas, si ignoras. Ergo ignorantia non diminuit peccatum.
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[36845] Iª-IIae q. 76 a. 4 arg. 3
3. La stessa cosa non può aggravare e attenuare la colpa. Ora, l'ignoranza aggrava la colpa; così infatti afferma S. Ambrogio a commento di un testo paolino: "Pecchi gravissimamente, se ignori". Dunque l'ignoranza non diminuisce il peccato.
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[36846] Iª-IIae q. 76 a. 4 arg. 4 Praeterea, si aliqua ignorantia diminuit peccatum, hoc maxime videtur de illa quae totaliter tollit usum rationis. Sed huiusmodi ignorantia non minuit peccatum, sed magis auget, dicit enim philosophus, in III Ethic., quod ebrius meretur duplices maledictiones. Ergo ignorantia non minuit peccatum.
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[36846] Iª-IIae q. 76 a. 4 arg. 4
4. Se l'ignoranza diminuisse il peccato, questo dovrebbe avvenire specialmente per quell'ignoranza che toglie del tutto l'uso della ragione. Ma codesta ignoranza non lo diminuisce, bensì lo aggrava: infatti il Filosofo scrive, che "l'ubriaco merita doppia condanna". Quindi l'ignoranza non diminuisce il peccato.
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[36847] Iª-IIae q. 76 a. 4 s. c. Sed contra, quidquid est ratio remissionis peccati, alleviat peccatum. Sed ignorantia est huiusmodi, ut patet I ad Tim. I, misericordiam consecutus sum, quia ignorans feci. Ergo ignorantia diminuit, vel alleviat peccatum.
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[36847] Iª-IIae q. 76 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Quanto facilita il perdono, diminuisce il peccato. Ma l'ignoranza ha codesta capacità, il che è evidente dalle parole di S. Paolo: "Ottenni misericordia, perché agii per ignoranza". Dunque l'ignoranza diminuisce o attenua il peccato.
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[36848] Iª-IIae q. 76 a. 4 co. Respondeo dicendum quod, quia omne peccatum est voluntarium, intantum ignorantia potest diminuere peccatum, inquantum diminuit voluntarium, si autem voluntarium non diminuat, nullo modo diminuet peccatum. Manifestum est autem quod ignorantia quae totaliter a peccato excusat, quia totaliter voluntarium tollit, peccatum non minuit, sed omnino aufert. Ignorantia vero quae non est causa peccati, sed concomitanter se habet ad peccatum, nec minuit peccatum nec auget. Illa igitur sola ignorantia potest peccatum minuere, quae est causa peccati, et tamen totaliter a peccato non excusat. Contingit autem quandoque quod talis ignorantia directe et per se est voluntaria, sicut cum aliquis sua sponte nescit aliquid, ut liberius peccet. Et talis ignorantia videtur augere voluntarium et peccatum, ex intensione enim voluntatis ad peccandum provenit quod aliquis vult subire ignorantiae damnum, propter libertatem peccandi. Quandoque vero ignorantia quae est causa peccati, non est directe voluntaria, sed indirecte vel per accidens, puta cum aliquis non vult laborare in studio, ex quo sequitur eum esse ignorantem; vel cum aliquis vult bibere vinum immoderate, ex quo sequitur eum inebriari et discretione carere. Et talis ignorantia diminuit voluntarium, et per consequens peccatum. Cum enim aliquid non cognoscitur esse peccatum, non potest dici quod voluntas directe et per se feratur in peccatum, sed per accidens, unde est ibi minor contemptus, et per consequens minus peccatum.
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[36848] Iª-IIae q. 76 a. 4 co.
RISPONDO: In tanto l'ignoranza può diminuire il peccato, in quanto diminuisce la volontarietà; poiché ogni peccato è volontario: se invece non diminuisce la volontarietà, in nessun modo può diminuire il peccato. È chiaro quindi che l'ignoranza, la quale scusa totalmente dal peccato, eliminando del tutto la volontarietà, non diminuisce il peccato, ma lo esclude. Invece l'ignoranza che non causa il peccato, ma è ad esso concomitante, né lo diminuisce, né lo aggrava. Cosicché può diminuire il peccato la sola ignoranza che lo causa, senza però scusare totalmente da esso.
Ora, codesta ignoranza in certi casi è direttamente ed essenzialmente volontaria: come quando uno cerca apposta di non conoscere una cosa, per peccare più liberamente. Codesta ignoranza aumenta la volontarietà e il peccato; poiché l'intensità del volere peccaminoso lo spinge a subire il danno dell'ignoranza, per la libertà di peccare. Invece in altri casi l'ignoranza che è causa del peccato non è voluta direttamente, bensì indirettamente, o in maniera accidentale. Questo capita, p. es., quando uno per non faticare nello studio, rimane ignorante; oppure quando per voler bere troppo vino, si ubriaca e perde il discernimento. Ebbene, codesta ignoranza diminuisce la volontarietà, e quindi il peccato. Infatti, quando non si sa che una cosa è peccato, non si può dire che la volontà direttamente la cerca, ma la vuole solo indirettamente; perciò vi è minore disprezzo, e quindi minore peccato.
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[36849] Iª-IIae q. 76 a. 4 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod ignorantia secundum quam omnis malus est ignorans, non est causa peccati; sed aliquid consequens ad causam, scilicet ad passionem vel habitum inclinantem in peccatum.
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[36849] Iª-IIae q. 76 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'ignoranza comune a tutti i peccatori non è causa del peccato; ma piuttosto conseguente alla causa di esso, cioè alle passioni, o agli abiti che spingono al peccato.
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[36850] Iª-IIae q. 76 a. 4 ad 2 Ad secundum dicendum quod peccatum peccato additum facit plura peccata, non tamen facit semper maius peccatum, quia forte non coincidunt in idem peccatum, sed sunt plura. Et potest contingere, si primum diminuat secundum, quod ambo simul non habeant tantam gravitatem quantam unum solum haberet. Sicut homicidium gravius peccatum est a sobrio homine factum, quam si fiat ab ebrio, quamvis haec sint duo peccata, quia ebrietas plus diminuit de ratione sequentis peccati, quam sit sua gravitas.
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[36850] Iª-IIae q. 76 a. 4 ad 2
2. L'aggiunta di un peccato a un altro produce più peccati, ma non sempre ne produce uno più grave: poiché non sempre coincidono nel medesimo oggetto, ma sono diversi. E può capitare, se il primo diminuisce il secondo, che tutti e due insieme non abbiano la gravità che avrebbe uno di essi da solo. L'omicidio, p. es., è più grave, se è commesso da un uomo in sé, che se è commesso da un ubriaco; sebbene in quest'ultimo caso i peccati siano due: e questo perché l'ubriacatura, per quanto grave possa essere, concorre piuttosto a diminuire la colpevolezza del peccato seguente.
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[36851] Iª-IIae q. 76 a. 4 ad 3 Ad tertium dicendum quod verbum Ambrosii potest intelligi de ignorantia simpliciter affectata. Vel potest intelligi in genere peccati ingratitudinis, in qua summus gradus est quod homo etiam beneficia non recognoscat. Vel potest intelligi de ignorantia infidelitatis, quae fundamentum spiritualis aedificii subvertit.
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[36851] Iª-IIae q. 76 a. 4 ad 3
3. Le parole di S. Ambrogio si possono intendere dell'ignoranza affettata. Oppure vanno applicate al genere dei peccati d'ingratitudine, al sommo dei quali troviamo il misconoscimento dei benefici ricevuti. Oppure devono intendersi dell'ignoranza dell'incredulità, la quale scalza le fondamenta della vita spirituale.
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[36852] Iª-IIae q. 76 a. 4 ad 4 Ad quartum dicendum quod ebrius meretur quidem duplices maledictiones, propter duo peccata quae committit, scilicet ebrietatem et aliud peccatum quod ex ebrietate sequitur. Tamen ebrietas, ratione ignorantiae adiunctae, diminuit sequens peccatum, et forte plus quam sit gravitas ipsius ebrietatis, ut dictum est. Vel potest dici quod illud verbum inducitur secundum ordinationem cuiusdam Pittaci legislatoris, qui statuit ebrios, si percusserint, amplius puniendos; non ad veniam respiciens, quam ebrii debent magis habere; sed ad utilitatem, quia plures iniuriantur ebrii quam sobrii; ut patet per philosophum, in II politicorum.
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[36852] Iª-IIae q. 76 a. 4 ad 4
4. L'ubriaco merita doppia condanna per i due peccati che commette, cioè per l'ubriacatura e per il peccato che essa provoca. Tuttavia l'ubriachezza diminuisce il peccato successivo, per l'ignoranza che l'accompagna, e tanto più lo diminuisce forse quanto più grave è l'ubriachezza. - Si potrebbe però anche rispondere che le parole riportate ricapitolano le disposizioni di Pittaco, antico legislatore, il quale stabiliva, come Aristotele riferisce, che "se gli ubriachi avessero ferito qualcuno, fossero puniti più gravemente; non guardando tanto alla scusa, che gli ubriachi dovrebbero avere maggiore; ma piuttosto all'utilità, poiché commettono più ingiurie gli ubriachi che i non ubriachi".
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