[36520] Iª-IIae q. 71 a. 5 co. Respondeo dicendum quod quaestio ista principaliter movetur propter peccatum omissionis, de quo aliqui diversimode opinantur. Quidam enim dicunt quod in omni peccato omissionis est aliquis actus vel interior vel exterior. Interior quidem, sicut cum aliquis vult non ire ad Ecclesiam quando ire tenetur. Exterior autem, sicut cum aliquis illa hora qua ad Ecclesiam ire tenetur, vel etiam ante, occupat se talibus quibus ab eundo ad Ecclesiam impeditur. Et hoc quodammodo videtur in primum redire, qui enim vult aliquid cum quo aliud simul esse non potest, ex consequenti vult illo carere; nisi forte non perpendat quod per hoc quod vult facere, impeditur ab eo quod facere tenetur; in quo casu posset per negligentiam culpabilis iudicari. Alii vero dicunt quod in peccato omissionis non requiritur aliquis actus, ipsum enim non facere quod quis facere tenetur, peccatum est. Utraque autem opinio secundum aliquid veritatem habet. Si enim intelligatur in peccato omissionis illud solum quod per se pertinet ad rationem peccati, sic quandoque omissionis peccatum est cum actu interiori, ut cum aliquis vult non ire ad Ecclesiam, quandoque vero absque omni actu vel interiori vel exteriori, sicut cum aliquis hora qua tenetur ire ad Ecclesiam, nihil cogitat de eundo vel non eundo ad Ecclesiam. Si vero in peccato omissionis intelligantur etiam causae vel occasiones omittendi, sic necesse est in peccato omissionis aliquem actum esse. Non enim est peccatum omissionis nisi cum aliquis praetermittit quod potest facere et non facere. Quod autem aliquis declinet ad non faciendum illud quod potest facere et non facere, non est nisi ex aliqua causa vel occasione coniuncta vel praecedente. Et si quidem causa illa non sit in potestate hominis, omissio non habet rationem peccati, sicut cum aliquis propter infirmitatem praetermittit ad Ecclesiam ire. Si vero causa vel occasio omittendi subiaceat voluntati, omissio habet rationem peccati, et tunc semper oportet quod ista causa, inquantum est voluntaria, habeat aliquem actum, ad minus interiorem voluntatis. Qui quidem actus quandoque directe fertur in ipsam omissionem, puta cum aliquis vult non ire ad Ecclesiam, vitans laborem. Et tunc talis actus per se pertinet ad omissionem, voluntas enim cuiuscumque peccati per se pertinet ad peccatum illud, eo quod voluntarium est de ratione peccati. Quandoque autem actus voluntatis directe fertur in aliud, per quod homo impeditur ab actu debito, sive illud in quod fertur voluntas, sit coniunctum omissioni, puta cum aliquis vult ludere quando ad Ecclesiam debet ire; sive etiam sit praecedens, puta cum aliquis vult diu vigilare de sero, ex quo sequitur quod non vadat hora matutinali ad Ecclesiam. Et tunc actus iste interior vel exterior per accidens se habet ad omissionem, quia omissio sequitur praeter intentionem; hoc autem dicimus per accidens esse, quod est praeter intentionem, ut patet in II Physic. Unde manifestum est quod tunc peccatum omissionis habet quidem aliquem actum coniunctum vel praecedentem, qui tamen per accidens se habet ad peccatum omissionis. Iudicium autem de rebus dandum est secundum illud quod est per se, et non secundum illud quod est per accidens. Unde verius dici potest quod aliquod peccatum possit esse absque omni actu. Alioquin etiam ad essentiam aliorum peccatorum actualium pertinerent actus et occasiones circumstantes.
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[36520] Iª-IIae q. 71 a. 5 co.
RISPONDO: Il problema nasce principalmente per il peccato di omissione, a proposito del quale ci sono diverse opinioni. Alcuni dicono che in ogni peccato di omissione c'è un atto, o interno, o esterno. Interno, come quando uno vuole non andare in chiesa quando è tenuto ad andarci. Esterno, come quando chi è tenuto ad andare in chiesa nell'ora fissata, oppure avanti, si applica ad altre cose che gli impediscono di andare in chiesa. Anche questo, però, in qualche modo ricade nel primo caso: infatti chi vuole una cosa che è incompatibile con un'altra, logicamente vuole privarsi di quest'ultima; a meno che non avverta l'incompatibilità di quanto vuol fare con ciò che è tenuto a fare; nel quale caso potrebbe essere giudicato colpevole di negligenza. - Altri invece affermano che nel peccato di omissione non si richiede nessun atto; perché lo stesso non fare ciò che uno è tenuto a fare è già peccato.
Nell'una e nell'altra opinione c'è qualche cosa di vero. Infatti se nel peccato di omissione si considera solo ciò che costituisce direttamente la ragione di peccato, talora il peccato di omissione implica un atto interiore, come quando uno vuole positivamente non andare in chiesa: talora invece prescinde da ogni atto interno od esterno, come nel caso di chi al momento in cui dovrebbe andare in chiesa, non pensa né di andare né di non andare. Se viceversa nel peccato di omissione si considerano anche le cause o le occasioni dell'omissione stessa, allora è necessario che in ogni peccato di questo genere ci sia un atto. Non si dà, infatti, un peccato di omissione, se uno non tralascia ciò che è in grado di fare e di non fare. Ora, codesta astensione non avviene senza una causa, o un'occasione concomitante o precedente. Ma se codesta causa non è in potere dell'interessato, l'omissione non ha natura di peccato: come quando uno lascia di andare in chiesa per malattia. Se invece la causa, o l'occasione di tralasciare dipende dalla volontà, l'omissione è peccaminosa: e allora è necessario che codesta causa, in quanto volontaria, sia sempre accompagnata da un atto, almeno da un atto interiore della volontà.
Ora, codesto atto qualche volta investe direttalnente l'omissione stessa: quando, p. es., uno non vuole andare in chiesa per pigrizia. E allora codesto atto appartiene essenzialmente (per se) all'omissione: infatti la volizione di un peccato qualsiasi appartiene essenzialmente a tale atto, perché la volontarietà è essenziale al peccato. - Altre volte l'atto della volontà investe direttamente la cosa che distoglie dal compiere l'azione dovuta: sia essa concomitante all'omissione, come quando uno vuol giocare nel momento in cui ha il dovere di andare in chiesa; sia essa precedente, come quando uno vuol vegliare a lungo la sera, da cui segue il non andare in chiesa di buon mattino. E allora questo atto interno od esterno è solo accidentale all'omissione: poiché l'omissione nel caso è preterintenzionale; e noi, come Aristotele dimostra, denominiamo accidentale ciò che esula dall'intenzione. Perciò è evidente che in questo caso il peccato di omissione è legato ad un atto concomitante o precedente, ma quest'ultimo è solo accidentale al peccato di omissione. Ora, bisogna giudicare le cose dagli elementi per se (o essenziali) non già dagli elementi per accidens. Quindi è più esatto affermare che un peccato può esistere senza nessun atto. Altrimenti bisognerebbe considerare essenziali anche per gli altri peccati attuali (di commissione), gli atti e le occasioni concomitanti.
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[36521] Iª-IIae q. 71 a. 5 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod plura requiruntur ad bonum quam ad malum, eo quod bonum contingit ex tota integra causa, malum autem ex singularibus defectibus, ut Dionysius dicit, IV cap. de Div. Nom. Et ideo peccatum potest contingere sive aliquis faciat quod non debet, sive non faciendo quod debet, sed meritum non potest esse nisi aliquis faciat voluntarie quod debet. Et ideo meritum non potest esse sine actu, sed peccatum potest esse sine actu.
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[36521] Iª-IIae q. 71 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1: Per il bene si richiedono più cose che per il male: poiché, come scrive Dionigi, "il bene dipende da una causa integrale e perfetta, il male invece nasce da particolari difetti". Perciò il peccato può dipendere e dal compiere quello che non si deve, e dal non compiere ciò che si deve: il merito invece si ha soltanto quando uno compie volontariamente ciò che deve. Perciò il merito non può sussistere senza un atto, il peccato invece può capitare anche senza nessun atto.
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