Prima pars secundae partis
Quaestio 72
Articulus 5
[36571] Iª-IIae q. 72 a. 5 arg. 1 Ad quintum sic proceditur. Videtur quod divisio peccatorum quae est secundum reatum, diversificet speciem, puta cum dividitur secundum veniale et mortale. Ea enim quae in infinitum differunt, non possunt esse unius speciei, nec etiam unius generis. Sed veniale et mortale peccatum differunt in infinitum, veniali enim debetur poena temporalis, mortali poena aeterna; mensura autem poenae respondet quantitati culpae, secundum illud Deut. XXV, pro mensura delicti erit et plagarum modus. Ergo veniale et mortale non sunt unius generis, nedum quod sint unius speciei.
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Prima parte della seconda parte
Questione 72
Articolo 5
[36571] Iª-IIae q. 72 a. 5 arg. 1
SEMBRA che la divisione dei peccati secondo la pena (la divisione, p. es., tra veniale e mortale) importi una diversità specifica. Infatti:
1. Cose che differiscono all'infinito non possono essere né di una sola specie né di un unico genere. Ora, i peccati veniali e quelli mortali differiscono all'infinito: poiché il primo merita una pena temporale, il secondo la pena eterna. E si sa che la gravità della pena corrisponde alla gravità della colpa, poiché sta scritto "Secondo la gravità del peccato sarà la misura della pena". Dunque veniale e mortale non possono essere di un unico genere, e molto meno di un'unica specie.
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[36575] Iª-IIae q. 72 a. 5 co. Respondeo dicendum quod eorum quae specie differunt, duplex differentia invenitur. Una quidem quae constituit diversitatem specierum, et talis differentia nunquam invenitur nisi in speciebus diversis; sicut rationale et irrationale, animatum et inanimatum. Alia autem differentia est consequens diversitatem speciei, et talis differentia, etsi in aliquibus consequatur diversitatem speciei, in aliis tamen potest inveniri in eadem specie; sicut album et nigrum consequuntur diversitatem speciei corvi et cygni, tamen invenitur huiusmodi differentia in eadem hominis specie. Dicendum est ergo quod differentia venialis et mortalis peccati, vel quaecumque alia differentia sumitur penes reatum, non potest esse differentia constituens diversitatem speciei. Nunquam enim id quod est per accidens, constituit speciem. Id autem quod est praeter intentionem agentis, est per accidens, ut patet in II Physic. Manifestum est autem quod poena est praeter intentionem peccantis. Unde per accidens se habet ad peccatum, ex parte ipsius peccantis. Ordinatur tamen ad peccatum ab exteriori, scilicet ex iustitia iudicantis, qui secundum diversas conditiones peccatorum diversas poenas infligit. Unde differentia quae est ex reatu poenae, potest consequi diversam speciem peccatorum; non autem constituit diversitatem speciei. Differentia autem peccati venialis et mortalis consequitur diversitatem inordinationis, quae complet rationem peccati. Duplex enim est inordinatio, una per subtractionem principii ordinis; alia qua, salvato principio ordinis, fit inordinatio circa ea quae sunt post principium. Sicut in corpore animalis quandoque quidem inordinatio complexionis procedit usque ad destructionem principii vitalis, et haec est mors, quandoque vero, salvo principio vitae, fit inordinatio quaedam in humoribus, et tunc est aegritudo. Principium autem totius ordinis in moralibus est finis ultimus, qui ita se habet in operativis, sicut principium indemonstrabile in speculativis, ut dicitur in VII Ethic. Unde quando anima deordinatur per peccatum usque ad aversionem ab ultimo fine, scilicet Deo, cui unimur per caritatem, tunc est peccatum mortale, quando vero fit deordinatio citra aversionem a Deo, tunc est peccatum veniale. Sicut enim in corporalibus deordinatio mortis, quae est per remotionem principii vitae, est irreparabilis secundum naturam; inordinatio autem aegritudinis reparari potest, propter id quod salvatur principium vitae; similiter est in his quae pertinent ad animam. Nam in speculativis qui errat circa principia, impersuasibilis est, qui autem errat salvatis principiis, per ipsa principia revocari potest. Et similiter in operativis qui peccando avertitur ab ultimo fine, quantum est ex natura peccati, habet lapsum irreparabilem, et ideo dicitur peccare mortaliter, aeternaliter puniendus. Qui vero peccat citra aversionem a Deo, ex ipsa ratione peccati reparabiliter deordinatur, quia salvatur principium, et ideo dicitur peccare venialiter, quia scilicet non ita peccat ut mereatur interminabilem poenam.
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[36575] Iª-IIae q. 72 a. 5 co.
RISPONDO: Le cose che differiscono specificamente tra loro hanno due tipi di differenza. La prima che costituisce la diversità specifica: e codesta differenza non può trovarsi che tra cose di specie diverse come, p. es., le differenze tra razionale ed irrazionale, tra animato e inanimato. Invece la seconda differenza segue la diversità specifica: e tale differenza, sebbene in certi casi accompagni la diversità specifica, in altri può trovarsi anche in individui della medesima specie; bianco e nero, p. es., accompagnano la diversità specifica del corvo e del cigno, ma codesta differenza può trovarsi entro la medesima specie umana.
Perciò la differenza tra peccato veniale e mortale, e qualsiasi altra differenza desunta dalla punizione, non può essere costitutiva di una diversità specifica. Infatti un elemento accidentale non può mai costituire la specie. Ora, come Aristotele dimostra, ciò che è estraneo all'intenzione dell'agente è cosa accidentale. Ed è ben evidente che la pena non rientra nell'intenzione di chi pecca. Quindi è un elemento accidentale al peccato rispetto al peccatore medesimo. - È invece ordinata al peccato da un principio esterno, cioè dalla giustizia del giudice, il quale infligge pene diverse secondo le diverse proporzioni dei peccati. Perciò le differenze che si verificano nella punibilità possono derivare dalla specie diversa dei peccati, ma non possono costituire codesta diversità specifica.
Però la distinzione tra peccato veniale e mortale deriva dalla diversa gravità del disordine, che è un elemento integrante della nozione di peccato. Il disordine infatti è di due specie: il primo deriva dall'eliminazione del principio dell'ordine; il secondo consiste nella distruzione di quanto deriva da codesto principio, salvo però il principio stesso. Per portare un esempio, in un animale qualche volta il disordine della complessione giunge fino alla distruzione del principio vitale, ed è la morte; altre volte, invece, capita un disordine negli umori, salvo restando il principio vitale, ed è la malattia. Ora, il principio di tutto l'ordine morale è il fine ultimo che in campo pratico ha le stesse funzioni dei principi indimostrabili in campo speculativo, come spiega Aristotele. Perciò quando un'anima viene disordinata dal peccato fino al distacco dall'ultimo fine, cioè da Dio, al quale si aderisce con la carità, allora si ha il peccato mortale. Invece quando il disordine non raggiunge il distacco da Dio, allora il peccato è veniale. Infatti come nel mondo corporeo il disordine della morte, provocato dall'eliminazione del principio vitale, è per natura irreparabile, mentre il disordine della malattia si può riparare in forza di quanto rimane del principio vitale, così avviene nelle cose dell'anima. In campo speculativo, p. es., chi sbaglia nei principi è incorreggibile; chi invece sbaglia, salvando i principi, può essere corretto mediante i principi stessi. Così pure in campo pratico: chi col peccato si distacca dall'ultimo fine, commette una caduta di per sé irreparabile: perciò si dice che pecca mortalmente, e merita una pena eterna. Chi invece nel peccare non arriva a un distacco da Dio, produce un disordine per sua natura riparabile, poiché è salvo il principio: e quindi si dice che pecca venialmente, in quanto non pecca al punto di meritare una pena senza flne.
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[36576] Iª-IIae q. 72 a. 5 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod peccatum mortale et veniale differunt in infinitum ex parte aversionis, non autem ex parte conversionis, per quam respicit obiectum, unde peccatum speciem habet. Unde nihil prohibet in eadem specie inveniri aliquod peccatum mortale et veniale, sicut primus motus in genere adulterii est peccatum veniale; et verbum otiosum, quod plerumque est veniale, potest etiam esse mortale.
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[36576] Iª-IIae q. 72 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il peccato veniale e mortale differiscono all'infinito rispetto all'aversione (da Dio); non già in rapporto alla conversione, o al volgersi verso le creature, sotto il quale aspetto il peccato considera il proprio oggetto, e riceve la specie. Perciò niente impedisce che nella medesima specie si trovino peccati veniali e mortali: i primi moti di adulterio, p. es., sono peccati veniali; mentre le parole oziose, che per lo più sono veniali, in certi casi possono essere peccato mortale.
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