[35996] Iª-IIae q. 59 a. 3 co. Respondeo dicendum quod sicut dicit Augustinus, XIV de Civ. Dei, Stoici voluerunt, pro tribus perturbationibus, in animo sapientis esse tres eupathias, idest tres bonas passiones, pro cupiditate scilicet voluntatem; pro laetitia, gaudium; pro metu, cautionem. Pro tristitia vero, negaverunt posse aliquid esse in animo sapientis, duplici ratione. Primo quidem, quia tristitia est de malo quod iam accidit. Nullum autem malum aestimant posse accidere sapienti, crediderunt enim quod, sicut solum hominis bonum est virtus, bona autem corporalia nulla bona hominis sunt; ita solum inhonestum est hominis malum, quod in virtuoso esse non potest. Sed hoc irrationabiliter dicitur. Cum enim homo sit ex anima et corpore compositus, id quod confert ad vitam corporis conservandam, aliquod bonum hominis est, non tamen maximum, quia eo potest homo male uti. Unde et malum huic bono contrarium in sapiente esse potest, et tristitiam moderatam inducere. Praeterea, etsi virtuosus sine gravi peccato esse possit, nullus tamen invenitur qui absque levibus peccatis vitam ducat, secundum illud I Ioan. I, si dixerimus quia peccatum non habemus, nos ipsos seducimus. Tertio, quia virtuosus, etsi peccatum non habeat, forte quandoque habuit. Et de hoc laudabiliter dolet; secundum illud II ad Cor. VII, quae secundum Deum est tristitia, poenitentiam in salutem stabilem operatur. Quarto, quia potest etiam dolere laudabiliter de peccato alterius. Unde eo modo quo virtus moralis compatitur alias passiones ratione moderatas, compatitur etiam tristitiam. Secundo, movebantur ex hoc, quod tristitia est de praesenti malo, timor autem de malo futuro, sicut delectatio de bono praesenti, desiderium vero de bono futuro. Potest autem hoc ad virtutem pertinere, quod aliquis bono habito fruatur, vel non habitum habere desideret, vel quod etiam malum futurum caveat. Sed quod malo praesenti animus hominis substernatur, quod fit per tristitiam, omnino videtur contrarium rationi, unde cum virtute esse non potest. Sed hoc irrationabiliter dicitur. Est enim aliquod malum quod potest esse virtuoso praesens, ut dictum est. Quod quidem malum ratio detestatur. Unde appetitus sensitivus in hoc sequitur detestationem rationis, quod de huiusmodi malo tristatur, moderate tamen, secundum rationis iudicium. Hoc autem pertinet ad virtutem, ut appetitus sensitivus rationi conformetur, ut dictum est. Unde ad virtutem pertinet quod tristetur moderate in quibus tristandum est, sicut etiam philosophus dicit in II Ethic. Et hoc etiam utile est ad fugiendum mala. Sicut enim bona propter delectationem promptius quaeruntur, ita mala propter tristitiam fortius fugiuntur. Sic igitur dicendum est quod tristitia de his quae conveniunt virtuti, non potest simul esse cum virtute, quia virtus in propriis delectatur. Sed de his quae quocumque modo repugnant virtuti, virtus moderate tristatur.
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[35996] Iª-IIae q. 59 a. 3 co.
RISPONDO: Come riferisce S. Agostino, "gli Stoici vollero sostituire con tre eupatie", cioè con tre buone passioni "tre turbamenti nell'animo del savio: al posto della concupiscenza misero la volontà; del godimento, la gioia; del timore, la cautela. Ma al posto della tristezza affermavano che non si poteva sostituire nulla nell'animo del sapiente", e questo per due motivi. Primo, perché la tristezza, o dolore, ha per oggetto un male già accaduto. Ora, essi pensavano che all'uomo saggio non potesse accadere nessun male: infatti credevano che i beni del corpo non siano beni per l'uomo, essendo la virtù l'unico suo bene; e quindi l'unico male per l'uomo sarebbe la disonestà, che non può trovarsi nell'uomo virtuoso.
Ma questo non è ragionevole. Infatti essendo l'uomo composto di anima e corpo, quanto giova alla conservazione della vita fisica, è un bene per l'uomo: non è però il suo bene supremo, poiché l'uomo può usarne male. E quindi, potendosi ritrovare nell'uomo saggio il male contrario a codesto bene, può trovarsi in lui una moderata tristezza. - Inoltre, sebbene l'uomo virtuoso possa stare senza gravi peccati, tuttavia non si trova nessuno che viva senza peccati leggeri, secondo l'affermazione di S. Giovanni: "Se diremo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi". - In terzo luogo perché anche se la persona virtuosa ora non ha peccati, probabilmente li ha avuti in passato. E di ciò può giustamente dolersi, come nota S. Paolo: "Il dolore secondo Dio produce un ravvedimento che conduce alla salvezza". - Infine perché può giustamente addolorarsi dei peccati altrui. - Perciò come le virtù morali sono compatibili con le altre passioni moderate dalla ragione, così sono compatibili con la tristezza.
Secondo, gli Stoici insistevano sul fatto che la tristezza ha per oggetto un male presente, il timore invece un male futuro: parallelamente al piacere che ha per oggetto il bene presente, e al desiderio che si riferisce a un bene futuro. Ora, si può ammettere che la virtù porti a fruire di un bene che si possiede, a desiderare il bene che manca, o a scansare un male futuro. Ma sembra del tutto contrario alla ragione che l'animo dell'uomo si lasci dominare dal male presente con la tristezza: perciò la tristezza è incompatibile con la virtù.
Ma anche questo argomentare non è ragionevole. Infatti certi mali possono realmente trovarsi nella persona virtuosa, come abbiamo visto. E la ragione li detesta. Perciò quando l'appetito sensitivo se ne rattrista, non fa che seguire l'impulso della ragione: purché la tristezza sia moderata, secondo il giudizio della ragione. Ora, il conformarsi dell'appetito sensitivo alla ragione spetta alla virtù, come abbiamo detto. Dunque spetta alla virtù che uno si rattristi moderatamente di ciò che esige dolore, o tristezza: come lo stesso Filosofo insegna. - Anzi questo serve anche a fuggire il male. Infatti come per il piacere si cerca il bene con maggior prontezza, così per il dolore si fugge il male con più forza.
Perciò si deve concludere che addolorarsi di quanto alla virtù si addice non è compatibile con la virtù: poiché la virtù prende gusto a quanto le appartiene. Ma la virtù deve moderatamente rattristarsi per quanto ad essa in qualsiasi modo ripugna.
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