Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le virtù > Distinzione delle virtù morali da quelle intellettuali >
Se le virtù morali siano distinte dalle virtù intellettuali
Prima pars secundae partis
Quaestio 58
Articulus 2
[35941] Iª-IIae q. 58 a. 2 arg. 1 Ad secundum sic proceditur. Videtur quod virtus moralis ab intellectuali non distinguatur. Dicit enim Augustinus, in libro de Civ. Dei, quod virtus est ars recte vivendi. Sed ars est virtus intellectualis. Ergo virtus moralis ab intellectuali non differt.
|
|
Prima parte della seconda parte
Questione 58
Articolo 2
[35941] Iª-IIae q. 58 a. 2 arg. 1
SEMBRA che le virtù morali non siano distinte dalle virtù intellettuali. Infatti:
1. Scrive S. Agostino che "la virtù è l'arte di ben vivere". Ma l'arte è una virtù intellettuale. Dunque le virtù morali non sono distinte dalle virtù intellettuali.
|
[35942] Iª-IIae q. 58 a. 2 arg. 2 Praeterea, plerique in definitione virtutum moralium ponunt scientiam, sicut quidam definiunt quod perseverantia est scientia vel habitus eorum quibus est immanendum vel non immanendum; et sanctitas est scientia faciens fideles et servantes quae ad Deum iusta. Scientia autem est virtus intellectualis. Ergo virtus moralis non debet distingui ab intellectuali.
|
|
[35942] Iª-IIae q. 58 a. 2 arg. 2
2. Molti parlano di scienza nel definire le virtù morali: alcuni, p. es., dicono che la perseveranza è "la scienza o l'abito di cose in cui si deve o non si deve persistere"; e dicono che la santità è "la scienza che rende fedeli e osservanti rispetto ai diritti di Dio". Ora, la scienza è una virtù intellettuale. Perciò le virtù morali non devono essere distinte da quelle intellettuali.
|
[35943] Iª-IIae q. 58 a. 2 arg. 3 Praeterea, Augustinus dicit, in I Soliloq., quod virtus est recta et perfecta ratio. Sed hoc pertinet ad virtutem intellectualem, ut patet in VI Ethic. ergo virtus moralis non est distincta ab intellectuali.
|
|
[35943] Iª-IIae q. 58 a. 2 arg. 3
3. S. Agostino scrive che "la virtù è la ragione retta e perfetta". Ma questo è proprio delle virtù intellettuali, come Aristotele dimostra. Dunque le virtù morali non sono distinte da quelle intellettuali.
|
[35944] Iª-IIae q. 58 a. 2 arg. 4 Praeterea, nihil distinguitur ab eo quod in eius definitione ponitur. Sed virtus intellectualis ponitur in definitione virtutis moralis, dicit enim philosophus, in II Ethic., quod virtus moralis est habitus electivus existens in medietate determinata ratione, prout sapiens determinabit. Huiusmodi autem recta ratio determinans medium virtutis moralis, pertinet ad virtutem intellectualem, ut dicitur in VI Ethic. Ergo virtus moralis non distinguitur ab intellectuali.
|
|
[35944] Iª-IIae q. 58 a. 2 arg. 4
4. Nessuna cosa è distinta da ciò che fa parte della sua definizione. Ma le virtù intellettuali rientrano nella definizione delle virtù morali: infatti il Filosofo insegna che "la virtù morale è un abito che ha il compito di eleggere stando al giusto mezzo fissato dalla ragione, secondo che l'uomo saggio avrà determinato". Ora codesta retta ragione, che determina il giusto mezzo della virtù morale, a detta del medesimo appartiene a una virtù intellettuale. Quindi le virtù morali non si distinguono da quelle intellettuali.
|
[35945] Iª-IIae q. 58 a. 2 s. c. Sed contra est quod dicitur in I Ethic., determinatur virtus secundum differentiam hanc, dicimus enim harum has quidem intellectuales, has vero morales.
|
|
[35945] Iª-IIae q. 58 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Aristotele ha scritto: "Le virtù si dividono secondo questa differenza: alcune di esse si dicono intellettuali, ed altre morali".
|
[35946] Iª-IIae q. 58 a. 2 co. Respondeo dicendum quod omnium humanorum operum principium primum ratio est, et quaecumque alia principia humanorum operum inveniantur, quodammodo rationi obediunt; diversimode tamen. Nam quaedam rationi obediunt omnino ad nutum, absque omni contradictione, sicut corporis membra, si fuerint in sua natura consistentia; statim enim ad imperium rationis, manus aut pes movetur ad opus. Unde philosophus dicit, in I Polit., quod anima regit corpus despotico principatu, idest sicut dominus servum, qui ius contradicendi non habet. Posuerunt igitur quidam quod omnia principia activa quae sunt in homine, hoc modo se habent ad rationem. Quod quidem si verum esset, sufficeret quod ratio esset perfecta, ad bene agendum. Unde, cum virtus sit habitus quo perficimur ad bene agendum, sequeretur quod in sola ratione esset, et sic nulla virtus esset nisi intellectualis. Et haec fuit opinio Socratis, qui dixit omnes virtutes esse prudentias, ut dicitur in VI Ethic. Unde ponebat quod homo, scientia in eo existente, peccare non poterat; sed quicumque peccabat, peccabat propter ignorantiam. Hoc autem procedit ex suppositione falsi. Pars enim appetitiva obedit rationi non omnino ad nutum, sed cum aliqua contradictione, unde philosophus dicit, in I Polit., quod ratio imperat appetitivae principatu politico, quo scilicet aliquis praeest liberis, qui habent ius in aliquo contradicendi. Unde Augustinus dicit, super Psalm., quod interdum praecedit intellectus, et sequitur tardus aut nullus affectus, intantum quod quandoque passionibus vel habitibus appetitivae partis hoc agitur, ut usus rationis in particulari impediatur. Et secundum hoc, aliqualiter verum est quod Socrates dixit, quod scientia praesente, non peccatur, si tamen hoc extendatur usque ad usum rationis in particulari eligibili. Sic igitur ad hoc quod homo bene agat, requiritur quod non solum ratio sit bene disposita per habitum virtutis intellectualis; sed etiam quod vis appetitiva sit bene disposita per habitum virtutis moralis. Sicut igitur appetitus distinguitur a ratione, ita virtus moralis distinguitur ab intellectuali. Unde sicut appetitus est principium humani actus secundum quod participat aliqualiter rationem, ita habitus moralis habet rationem virtutis humanae, inquantum rationi conformatur.
|
|
[35946] Iª-IIae q. 58 a. 2 co.
RISPONDO: Il primo principio di tutto l'agire umano è la ragione: e qualsiasi altro principio in qualche modo deve obbedire alla ragione: però in maniera diversa. Infatti alcune potenze obbediscono pienamente alla ragione, senza contraddire: così è per le membra del corpo, purché si trovino nelle loro condizioni naturali; la mano e il piede subito si muovono ad agire dietro il comando della ragione. Per questo il Filosofo afferma, che "l'anima governa il corpo con un dominio dispotico", cioè come uno schiavo, il quale non ha il diritto di contraddire il suo padrone. Ora, ci furono alcuni i quali sostennero che tutti i principi operativi dell'uomo si trovano in queste condizioni rispetto alla ragione. Se ciò fosse vero, basterebbe, per agir bene, che la ragione fosse perfetta. Perciò, essendo la virtù l'abito che ci rende perfetti in ordine al ben operare, essa verrebbe a trovarsi nella sola ragione: e così non esisterebbero altro che virtù intellettuali. Questa era l'opinione di Socrate, il quale insegnava che "tutte le virtù sono saggezza", come riferisce Aristotele. Ecco perché riteneva che un uomo, avendo in sé la scienza, non avrebbe potuto peccare; ma chiunque pecchi pecca per ignoranza.
Questo deriva da una falsa supposizione. Infatti la parte appetitiva non obbedisce pienamente alla ragione, ma con una certa opposizione: cosicché il Filosofo può scrivere che "la ragione comanda la parte appetitiva con un dominio politico", come quello sugli uomini liberi, i quali hanno il diritto di contraddire. E S. Agostino nota, che "spesso l'intelletto precede, ma l'affetto si attarda o non segue affatto": fino al punto che talora le passioni e le abitudini della parte appetitiva ostacolano l'uso della ragione nel giudicare dei singolari. E in questi casi è vero in qualche modo quanto Socrate diceva, cioè che la presenza del sapere avrebbe impedito il peccato: purché questo si estenda all'uso della ragione nell'atto di eleggere un bene particolare.
Quindi, affinché uno possa agir bene non si richiede soltanto che la ragione sia predisposta dagli abiti delle virtù intellettuali; ma che anche le potenze appetitive siano ben disposte mediante gli abiti delle virtù morali. Perciò, come l'appetito è distinto dalla ragione, così le virtù morali sono distinte da quelle intellettuali. Cosicché, allo stesso modo che l'appetito è principio degli atti umani in quanto partecipa della ragione, così gli abiti morali sono virtù umane in quanto conformi alla ragione.
|
[35947] Iª-IIae q. 58 a. 2 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod Augustinus communiter accipit artem, pro qualibet recta ratione. Et sic sub arte includitur etiam prudentia, quae ita est recta ratio agibilium, sicut ars est recta ratio factibilium. Et secundum hoc, quod dicit quod virtus est ars recte vivendi, essentialiter convenit prudentiae, participative autem aliis virtutibus, prout secundum prudentiam diriguntur.
|
|
[35947] Iª-IIae q. 58 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Agostino prende il termine arte nel significato vago di retta norma. E allora nell'arte è inclusa anche la prudenza, la quale è la retta norma delle azioni da compiere, come l'arte è la retta norma delle cose da fare. E in questo senso, l'affermazione che la virtù è l'arte di ben vivere essenzialmente si riferisce alla prudenza: ma può estendersi a tutte le altre virtù, in quanto sono regolate secondo la prudenza.
|
[35948] Iª-IIae q. 58 a. 2 ad 2 Ad secundum dicendum quod tales definitiones, a quibuscumque inveniantur datae, processerunt ex opinione Socratica, et sunt exponendae eo modo quo de arte praedictum est.
|
|
[35948] Iª-IIae q. 58 a. 2 ad 2
2. Codeste definizioni, da chiunque siano usate, derivano dall'opinione di Socrate: e devono essere spiegate così come ora abbiamo fatto per l'arte.
|
[35949] Iª-IIae q. 58 a. 2 ad 3 Et similiter dicendum est ad tertium.
|
|
[35949] Iª-IIae q. 58 a. 2 ad 3
3. Lo stesso valga per la terza difficoltà.
|
[35950] Iª-IIae q. 58 a. 2 ad 4 Ad quartum dicendum quod recta ratio, quae est secundum prudentiam, ponitur in definitione virtutis moralis, non tanquam pars essentiae eius, sed sicut quiddam participatum in omnibus virtutibus moralibus, inquantum prudentia dirigit omnes virtutes morales.
|
|
[35950] Iª-IIae q. 58 a. 2 ad 4
4. La retta ragione, che è legata alla prudenza, entra nella definizione delle virtù morali non come parte essenziale, ma come un elemento integrativo di tutte le virtù morali, in quanto la prudenza tutte le dirige.
|
|
|