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Se la virtù sia ben definita
Prima pars secundae partis
Quaestio 55
Articulus 4
[35816] Iª-IIae q. 55 a. 4 arg. 1 Ad quartum sic proceditur. Videtur quod non sit conveniens definitio virtutis quae solet assignari, scilicet, virtus est bona qualitas mentis, qua recte vivitur, qua nullus male utitur, quam Deus in nobis sine nobis operatur. Virtus enim est bonitas hominis, ipsa enim est quae bonum facit habentem. Sed bonitas non videtur esse bona, sicut nec albedo est alba. Igitur inconvenienter dicitur quod virtus est bona qualitas.
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Prima parte della seconda parte
Questione 55
Articolo 4
[35816] Iª-IIae q. 55 a. 4 arg. 1
SEMBRA che non sia buona la definizione che si è soliti dare della virtù, e cioè: "La virtù è una qualità buona della mente umana, con la quale rettamente si vive, e di cui nessuno malamente usa, e che Dio produce in noi senza di noi". Infatti:
1. La virtù è la bontà di un uomo: poiché "rende buono chi la possiede". Ora, la bontà non può dirsi buona; come la bianchezza non è bianca. Dunque non sta bene l'affermazione che la virtù è "una qualità buona".
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[35817] Iª-IIae q. 55 a. 4 arg. 2 Praeterea, nulla differentia est communior suo genere, cum sit generis divisiva. Sed bonum est communius quam qualitas, convertitur enim cum ente. Ergo bonum non debet poni in definitione virtutis, ut differentia qualitatis.
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[35817] Iª-IIae q. 55 a. 4 arg. 2
2. Una differenza non può essere più estesa del suo genere: essendo una suddivisione del genere. Ora, la bontà è più estesa della qualità: infatti il bene coincide con l'ente. Dunque la bontà non deve entrare nella definizione della virtù come differenza della qualità.
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[35818] Iª-IIae q. 55 a. 4 arg. 3 Praeterea, sicut Augustinus dicit, in XII de Trin., ubi primo occurrit aliquid quod non sit nobis pecoribusque commune, illud ad mentem pertinet. Sed quaedam virtutes sunt etiam irrationabilium partium; ut philosophus dicit, in III Ethic. Non ergo omnis virtus est bona qualitas mentis.
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[35818] Iª-IIae q. 55 a. 4 arg. 3
3. S. Agostino scrive: "Quando troviamo che un elemento non è comune a noi e alle bestie, esso appartiene all'anima". Ora, certe virtù appartengono anche alle facoltà inferiori, come il Filosofo dimostra. Perciò non tutte le virtù sono buone qualità "della mente".
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[35819] Iª-IIae q. 55 a. 4 arg. 4 Praeterea, rectitudo videtur ad iustitiam pertinere, unde idem dicuntur recti, et iusti. Sed iustitia est species virtutis. Inconvenienter ergo ponitur rectum in definitione virtutis, cum dicitur, qua recte vivitur.
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[35819] Iª-IIae q. 55 a. 4 arg. 4
4. La rettitudine fa parte della giustizia: difatti le stesse persone si dicono insieme rette e giuste. Ma la giustizia è una specie della virtù. Non è, dunque, a proposito mettere la rettitudine nella definizione della virtù, nell'espressione "con la quale si vive rettamente".
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[35820] Iª-IIae q. 55 a. 4 arg. 5 Praeterea, quicumque superbit de aliquo, male utitur eo. Sed multi superbiunt de virtute, dicit enim Augustinus, in regula, quod superbia etiam bonis operibus insidiatur, ut pereant. Falsum est ergo quod nemo virtute male utatur.
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[35820] Iª-IIae q. 55 a. 4 arg. 5
5. Chiunque s'insuperbisce di una cosa, ne usa male. Ma sono molti quelli che s'insuperbiscono della virtù: infatti S. Agostino afferma, che "la superbia tende insidie anche alle opere buone, per renderle vane". Quindi è falso che "della virtù nessuno malamente usa".
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[35821] Iª-IIae q. 55 a. 4 arg. 6 Praeterea, homo per virtutem iustificatur. Sed Augustinus dicit, super illud Ioan., maiora horum faciet, qui creavit te sine te, non iustificabit te sine te. Inconvenienter ergo dicitur quod virtutem Deus in nobis sine nobis operatur.
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[35821] Iª-IIae q. 55 a. 4 arg. 6
6. L'uomo viene giustificato mediante la virtù. Infatti S. Agostino afferma, spiegando quel passo evangelico, "ne farà anche di maggiori": "Colui che ha creato te senza di te, non giustificherà te senza di te". Perciò non è a proposito l'affermazione, che "Dio produce in noi la virtù senza di noi".
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[35822] Iª-IIae q. 55 a. 4 s. c. Sed contra est auctoritas Augustini, ex cuius verbis praedicta definitio colligitur, et praecipue in II de libero arbitrio.
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[35822] Iª-IIae q. 55 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Sta l'autorità di S. Agostino, dalle cui parole codesta definizione è stata raccolta, e specialmente dal secondo libro del De Libero Arbitrio.
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[35823] Iª-IIae q. 55 a. 4 co. Respondeo dicendum quod ista definitio perfecte complectitur totam rationem virtutis. Perfecta enim ratio uniuscuiusque rei colligitur ex omnibus causis eius. Comprehendit autem praedicta definitio omnes causas virtutis. Causa namque formalis virtutis, sicut et cuiuslibet rei, accipitur ex eius genere et differentia, cum dicitur qualitas bona, genus enim virtutis qualitas est, differentia autem bonum. Esset tamen convenientior definitio, si loco qualitatis habitus poneretur, qui est genus propinquum. Virtus autem non habet materiam ex qua, sicut nec alia accidentia, sed habet materiam circa quam; et materiam in qua, scilicet subiectum. Materia autem circa quam est obiectum virtutis; quod non potuit in praedicta definitione poni, eo quod per obiectum determinatur virtus ad speciem; hic autem assignatur definitio virtutis in communi. Unde ponitur subiectum loco causae materialis, cum dicitur quod est bona qualitas mentis. Finis autem virtutis, cum sit habitus operativus, est ipsa operatio. Sed notandum quod habituum operativorum aliqui sunt semper ad malum, sicut habitus vitiosi; aliqui vero quandoque ad bonum, et quandoque ad malum, sicut opinio se habet ad verum et ad falsum; virtus autem est habitus semper se habens ad bonum. Et ideo, ut discernatur virtus ab his quae semper se habent ad malum, dicitur, qua recte vivitur, ut autem discernatur ab his quae se habent quandoque ad bonum, quandoque ad malum, dicitur, qua nullus male utitur. Causa autem efficiens virtutis infusae, de qua definitio datur, Deus est. Propter quod dicitur, quam Deus in nobis sine nobis operatur. Quae quidem particula si auferatur, reliquum definitionis erit commune omnibus virtutibus, et acquisitis et infusis.
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[35823] Iª-IIae q. 55 a. 4 co.
RISPONDO: Questa definizione abbraccia perfettamente tutto ciò che è essenziale alla virtù. Infatti la perfetta nozione di una cosa si desume dalle cause di essa. Ora, la suddetta definizione abbraccia tutte le cause della virtù. E poiché la causa formale della virtù, come di qualsiasi altra cosa, si desume dal genere e dalla differenza di essa, nell'espressione: "qualità buona", troviamo il genere della virtù nella qualità, e la differenza nella bontà. Tuttavia la definizione sarebbe più appropriata se al posto di qualità si mettesse abito, che è il genere prossimo.
Si noti però che la virtù, come qualsiasi accidente, non ha una materia da cui deriva (ex qua): ha solo una materia che la interessa (circa quam, oggetto), e una materia in cui risiede (in qua), vale a dire il subietto. Ora, la materia che la riguarda è l'oggetto della virtù; e non era possibile indicarlo nella suddetta definizione, perché l'oggetto serve a determinare la specie della virtù; qui invece si tratta di definire la virtù in generale. Perciò come causa materiale viene indicato il subietto, quando si afferma che la virtù è una buona qualità "della mente".
Fine poi della virtù, che è un abito operativo, è l'operazione stessa. Si osservi, però, che tra gli abiti operativi alcuni sono sempre volti al male, cioè gli abiti viziosi; e altri sono indifferenti al bene e al male, come l'opinione, che può essere sia vera che falsa; la virtù invece è sempre ordinata al bene. Perciò per distinguere la virtù dagli abiti che sono sempre cattivi, si dice che "con essa si vive rettamente": e per distinguerla da quelli che possono essere sia buoni che cattivi, si dice che "di essa nessuno malamente usa".
Finalmente la causa efficiente della virtù infusa, che qui viene definita, è Dio. Ecco perché si dice, che "Dio la produce in noi senza di noi". Ma se togliamo quest'ultima parte. il resto della definizione è comune a tutte le virtù, sia acquisite che infuse.
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[35824] Iª-IIae q. 55 a. 4 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod id quod primo cadit in intellectu, est ens, unde unicuique apprehenso a nobis attribuimus quod sit ens; et per consequens quod sit unum et bonum, quae convertuntur cum ente. Unde dicimus quod essentia est ens et una et bona; et quod unitas est ens et una et bona; et similiter de bonitate. Non autem hoc habet locum in specialibus formis, sicut est albedo et sanitas, non enim omne quod apprehendimus, sub ratione albi et sani apprehendimus. Sed tamen considerandum quod sicut accidentia et formae non subsistentes dicuntur entia, non quia ipsa habeant esse, sed quia eis aliquid est; ita etiam dicuntur bona vel una, non quidem aliqua alia bonitate vel unitate, sed quia eis est aliquid bonum vel unum. Sic igitur et virtus dicitur bona, quia ea aliquid est bonum.
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[35824] Iª-IIae q. 55 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La prima nozione che viene appresa dall'intelletto è l'ente: difatti di ciascun essere diciamo che è un ente; e per conseguenza diciamo che è uno e che è bene, nozioni queste che coincidono con l'ente. Per questo possiamo affermare che l'essenza come l'unità e la bontà, è ente, è una ed è buona. Ma questo non avviene per le forme particolari, quali sono la bianchezza e la salute: infatti non tutto ciò che conosciamo, lo conosciamo sotto l'aspetto di bianco e di sano. - Si deve però notare che gli accidenti e le forme prive di sussistenza non si dicono enti perché hanno l'essere in se stessi, ma perché alcune cose l'hanno in forza di essi; e allo stesso modo si attribuisce loro la bontà e l'unità, in forza della bontà o dell'unità stessa con la quale rendono buono o uno l'essere in cui si trovano. Ed è in questo senso che si dice buona la virtù, poiché in forza di essa un essere è buono.
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[35825] Iª-IIae q. 55 a. 4 ad 2 Ad secundum dicendum quod bonum quod ponitur in definitione virtutis, non est bonum commune, quod convertitur cum ente, et est in plus quam qualitas, sed est bonum rationis, secundum quod Dionysius dicit, in IV cap. de Div. Nom., quod bonum animae est secundum rationem esse.
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[35825] Iª-IIae q. 55 a. 4 ad 2
2. La bontà che è posta nella definizione della virtù non è il bene in generale, che coincide con l'ente, e che è più esteso della qualità: ma è il bene di ordine razionale, di cui Dionigi afferma, che "il bene dell'anima è d'essere secondo la ragione".
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[35826] Iª-IIae q. 55 a. 4 ad 3 Ad tertium dicendum quod virtus non potest esse in irrationali parte animae, nisi inquantum participat rationem, ut dicitur in I Ethic. Et ideo ratio, sive mens, est proprium subiectum virtutis humanae.
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[35826] Iª-IIae q. 55 a. 4 ad 3
3. La virtù non può trovarsi nelle parti irrazionali dell'anima, se non in quanto partecipano della ragione, come nota Aristotele. Perciò la ragione, o mente, è il soggetto proprio delle virtù umane.
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[35827] Iª-IIae q. 55 a. 4 ad 4 Ad quartum dicendum quod iustitiae est propria rectitudo quae constituitur circa res exteriores quae in usum hominis veniunt, quae sunt propria materia iustitiae, ut infra patebit. Sed rectitudo quae importat ordinem ad finem debitum et ad legem divinam, quae est regula voluntatis humanae, ut supra dictum est, communis est omni virtuti.
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[35827] Iª-IIae q. 55 a. 4 ad 4
4. La rettitudine propria della giustizia si riferisce alle cose esterne deputate all'uso dell'uomo, e che costituiscono la materia specifica della giustizia, come vedremo. Ma la rettitudine che dice ordine al debito fine e alla legge divina, la quale, secondo le spiegazioni già date, forma la regola della volontà umana, è una qualità comune a tutte le virtù.
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[35828] Iª-IIae q. 55 a. 4 ad 5 Ad quintum dicendum quod virtute potest aliquis male uti tanquam obiecto, puta cum male sentit de virtute, cum odit eam, vel superbit de ea, non autem tanquam principio usus, ita scilicet quod malus sit actus virtutis.
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[35828] Iª-IIae q. 55 a. 4 ad 5
5. Si può fare un cattivo uso della virtù come oggetto, cioè nel senso che uno può non stimarla, odiarla, oppure insuperbirsi di essa: ma se si considera come principio operativo, nessuno può farne cattivo uso, nel senso di rendere cattivo l'atto stesso della virtù.
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[35829] Iª-IIae q. 55 a. 4 ad 6 Ad sextum dicendum quod virtus infusa causatur in nobis a Deo sine nobis agentibus, non tamen sine nobis consentientibus. Et sic est intelligendum quod dicitur, quam Deus in nobis sine nobis operatur. Quae vero per nos aguntur, Deus in nobis causat non sine nobis agentibus, ipse enim operatur in omni voluntate et natura.
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[35829] Iª-IIae q. 55 a. 4 ad 6
6. Le virtù infuse vengono causate in noi da Dio, senza la nostra opera, però non senza il nostro consenso. È così che vanno intese le parole: "che Dio produce in noi senza di noi". Invece le operazioni che compiamo noi, Dio le causa in noi, non senza l'opera nostra: poiché egli agisce in ogni volere come in tutta la natura.
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