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Se un abito possa dissolversi
Prima pars secundae partis
Quaestio 53
Articulus 1
[35730] Iª-IIae q. 53 a. 1 arg. 1 Ad primum sic proceditur. Videtur quod habitus corrumpi non possit. Habitus enim inest sicut natura quaedam, unde operationes secundum habitum sunt delectabiles. Sed natura non corrumpitur, manente eo cuius est natura. Ergo neque habitus corrumpi potest, manente subiecto.
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Prima parte della seconda parte
Questione 53
Articolo 1
[35730] Iª-IIae q. 53 a. 1 arg. 1
SEMBRA che un abito non possa dissolversi. Infatti:
1. L'abito si trova nel soggetto come una (seconda) natura: infatti le azioni che ne derivano sono piacevoli. Ma la natura non si dissolve finché rimane l'essere di cui è natura. Dunque neppure l'abito può dissolversi finché rimane il soggetto.
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[35731] Iª-IIae q. 53 a. 1 arg. 2 Praeterea, omnis corruptio formae vel est per corruptionem subiecti, vel est a contrario, sicut aegritudo corrumpitur corrupto animali, vel etiam superveniente sanitate. Sed scientia, quae est quidam habitus, non potest corrumpi per corruptionem subiecti, quia intellectus, qui est subiectum eius, est substantia quaedam, et non corrumpitur, ut dicitur in I de anima. Similiter etiam non potest corrumpi a contrario, nam species intelligibiles non sunt ad invicem contrariae, ut dicitur in VII Metaphys. Ergo habitus scientiae nullo modo corrumpi potest.
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[35731] Iª-IIae q. 53 a. 1 arg. 2
2. La dissoluzione di una forma, dipende, o dalla dissoluzione del suo soggetto, o dal suo contrario: la malattia, p. es., viene a cessare, o per la morte dell'animale, o per la guarigione. Ma la scienza, che pure è un abito, non può cessare per la dissoluzione del soggetto: poiché "l'intelletto", che ne è il soggetto "è una sostanza, che non si corrompe", come insegna Aristotele. Così non può distruggerla il suo contrario: perché le specie intelligibili non sono mai contrarie tra loro, come dice il medesimo Autore. Perciò l'abito della scienza in nessun modo può andare in dissoluzione.
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[35732] Iª-IIae q. 53 a. 1 arg. 3 Praeterea, omnis corruptio est per aliquem motum. Sed habitus scientiae, qui est in anima, non potest corrumpi per motum per se ipsius animae, quia anima per se non movetur. Movetur autem per accidens per motum corporis. Nulla autem transmutatio corporalis videtur posse corrumpere species intelligibiles existentes in intellectu, cum intellectus sit per se locus specierum, sine corpore, unde ponitur quod nec per senium nec per mortem corrumpuntur habitus. Ergo scientia corrumpi non potest. Et per consequens, nec habitus virtutis, qui etiam est in anima rationali, et, sicut philosophus dicit in I Ethic., virtutes sunt permanentiores disciplinis.
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[35732] Iª-IIae q. 53 a. 1 arg. 3
3. Ogni distruzione dipende da un moto. Ora, l'abito della scienza, che è nell'anima, non può essere distrutto direttamente da un moto dell'anima: perché l'anima direttamente non ha moto. Può esser mossa soltanto indirettamente dal moto del corpo. D'altra parte nessuna trasmutazione del corpo può distruggere le specie intelligibili che si trovano nell'intelletto; poiché l'intelletto per se stesso, indipendentemente dal corpo, è il luogo delle specie (intenzionali): per questo si ritiene che gli abiti non vengano distrutti né dalla vecchiaia, né dalla morte. Dunque la scienza non può essere distrutta. E per conseguenza neppure gli abiti delle virtù, che sono anch'essi nell'anima razionale: infatti, come scrive il Filosofo, "le virtù sono più persistenti delle discipline".
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[35733] Iª-IIae q. 53 a. 1 s. c. Sed contra est quod philosophus dicit, in libro de longitudine et brevitate vitae, quod scientiae corruptio est oblivio et deceptio. Peccando etiam aliquis habitum virtutis amittit. Et ex contrariis actibus virtutes generantur et corrumpuntur, ut dicitur II Ethic.
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[35733] Iª-IIae q. 53 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Aristotele afferma, che "corruzione della scienza è la dimenticanza e l'errore". Inoltre chi pecca perde l'abito della virtù. E d'altra parte, come dice il medesimo Autore, le virtù nascono e muoiono in forza di atti contrari.
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[35734] Iª-IIae q. 53 a. 1 co. Respondeo dicendum quod secundum se dicitur aliqua forma corrumpi per contrarium suum, per accidens autem, per corruptionem sui subiecti. Si igitur fuerit aliquis habitus cuius subiectum est corruptibile, et cuius causa habet contrarium, utroque modo corrumpi poterit, sicut patet de habitibus corporalibus, scilicet sanitate et aegritudine. Illi vero habitus quorum subiectum est incorruptibile, non possunt corrumpi per accidens. Sunt tamen habitus quidam qui, etsi principaliter sint in subiecto incorruptibili, secundario tamen sunt in subiecto corruptibili, sicut habitus scientiae, qui principaliter est quidem in intellectu possibili, secundario autem in viribus apprehensivis sensitivis, ut supra dictum est. Et ideo ex parte intellectus possibilis, habitus scientiae non potest corrumpi per accidens; sed solum ex parte inferiorum virium sensitivarum. Est igitur considerandum si possunt huiusmodi habitus per se corrumpi. Si igitur fuerit aliquis habitus qui habeat aliquod contrarium, vel ex parte sua vel ex parte suae causae, poterit per se corrumpi, si vero non habet contrarium, non poterit per se corrumpi. Manifestum est autem quod species intelligibilis in intellectu possibili existens, non habet aliquid contrarium. Neque iterum intellectui agenti, qui est causa eius, potest aliquid esse contrarium. Unde si aliquis habitus sit in intellectu possibili immediate ab intellectu agente causatus, talis habitus est incorruptibilis et per se et per accidens. Huiusmodi autem sunt habitus primorum principiorum, tam speculabilium quam practicorum, qui nulla oblivione vel deceptione corrumpi possunt, sicut philosophus dicit, in VI Ethic., de prudentia, quod non perditur per oblivionem. Aliquis vero habitus est in intellectu possibili ex ratione causatus, scilicet habitus conclusionum, qui dicitur scientia, cuius causae dupliciter potest aliquid contrarium esse. Uno modo, ex parte ipsarum propositionum ex quibus ratio procedit, etenim enuntiationi quae est, bonum est bonum, contraria est ea quae est, bonum non est bonum, secundum philosophum, in II Periherm. Alio modo, quantum ad ipsum processum rationis; prout syllogismus sophisticus opponitur syllogismo dialectico vel demonstrativo. Sic igitur patet quod per falsam rationem potest corrumpi habitus verae opinionis, aut etiam scientiae. Unde philosophus dicit quod deceptio est corruptio scientiae, sicut supra dictum est. Virtutum vero quaedam sunt intellectuales, quae sunt in ipsa ratione, ut dicitur in VI Ethic., de quibus est eadem ratio quae est de scientia vel opinione. Quaedam vero sunt in parte animae appetitiva, quae sunt virtutes morales, et eadem ratio est de vitiis oppositis. Habitus autem appetitivae partis causantur per hoc quod ratio nata est appetitivam partem movere. Unde per iudicium rationis in contrarium moventis quocumque modo, scilicet sive ex ignorantia, sive ex passione, vel etiam ex electione, corrumpitur habitus virtutis vel vitii.
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[35734] Iª-IIae q. 53 a. 1 co.
RISPONDO: Una forma viene distrutta direttamente dal suo contrario; e indirettamente mediante la distruzione del suo subietto. Perciò, se esiste un abito il cui subietto è corruttibile e la cui causa può essere contrariata, quest'abito è soggetto alla dissoluzione in tutti e due i modi: la cosa è evidente per gli abiti del corpo, cioè per la salute e per la malattia. - Invece gli abiti il cui subietto è incorruttibile, non possono avere una dissoluzione indiretta. Tuttavia ci sono degli abiti, i quali, pur avendo un subietto principale incorruttibile, hanno anche un subietto secondario corruttibile: gli abiti scientifici, p. es., sono principalmente nell'intelletto possibile, ma in modo secondario risiedono nelle facoltà conoscitive sensibili, come abbiamo detto sopra. Perciò un abito scientifico non può avere una dissoluzione indiretta rispetto all'intelletto possibile; ma può subirla limitatamente alle facoltà sensitive.
Ed eccoci a considerare, se codesti abiti possano subire una dissoluzione diretta. Un abito può subire una dissoluzione diretta, se ammette il suo contrario, o per se stesso, o nella propria causa: se invece non ammette contrari, non potrà subire una diretta dissoluzione. Ora, è evidente che le specie intelligibili, le quali risiedono nell'intelletto possibile, non hanno contrari. Così non ci può essere un contrario per l'intelletto agente, che è la loro causa. Perciò se nell'intelletto possibile esiste un abito causato immediatamente dall'intelletto agente, tale abito è incorruttibile, sia direttamente che indirettamente. Tali sono gli abiti dei primi principi, sia di quelli speculativi, che di quelli pratici, i quali non possono essere distrutti da nessuna dimenticanza e da nessun errore: come il Filosofo afferma a proposito della prudenza, la quale "non si può perdere per dimenticanza". - Ci sono però nell'intelletto possibile degli abiti causati dalla ragione, cioè gli abiti delle conclusioni, chiamati scienze: e le loro cause in due modi ammettono contrari. Primo, per parte degli stessi enunciati di cui la ragione si serve: infatti, come nota il Filosofo, all'enunciato "Il bene è bene", si contrappone l'altro, "Il bene non è bene". Secondo, rispetto al procedimento della ragione; poiché al sillogismo dialettico, o a quello dimostrativo, si oppone quello sofistico. Ed è per questo che mediante un ragionamento falso si può distruggere l'abito dell'opinione vera, oppure della scienza. E il Filosofo può affermare, come abbiamo già visto, che "l'errore è corruzione della scienza".
Ora, ci sono delle virtù che sono intellettuali, e che risiedono nella ragione stessa, come Aristotele insegna: la loro condizione è identica a quella della scienza e dell'opinione. - Altre invece sono nella parte appetitiva dell'anima, e sono le virtù morali: lo stesso si dica dei vizi contrari corrispettivi. Ora, gli abiti della parte appetitiva sono causati dal fatto che la ragione muove la parte appetitiva. Perciò gli abiti delle virtù e dei vizi possono essere distrutti dal giudizio della ragione che muove in direzione contraria, o per ignoranza, o per passione, oppure per una deliberazione.
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[35735] Iª-IIae q. 53 a. 1 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod, sicut dicitur in VII Ethic., habitus similitudinem habet naturae, deficit tamen ab ipsa. Et ideo, cum natura rei nullo modo removeatur ab ipsa, habitus difficile removetur.
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[35735] Iª-IIae q. 53 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'abito, come afferma Aristotele, ha una somiglianza con la natura, ma è al di sotto di essa. Perciò, come la natura di una cosa in nessun modo si separa da essa, così l'abito se ne separa con difficoltà.
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[35736] Iª-IIae q. 53 a. 1 ad 2 Ad secundum dicendum quod, etsi speciebus intelligibilibus non sit aliquid contrarium, enuntiationibus tamen et processui rationis potest aliquid esse contrarium, ut dictum est.
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[35736] Iª-IIae q. 53 a. 1 ad 2
2. Sebbene le specie intelligibili non abbiano contrari, tuttavia i contrari possono trovarsi negli enunciati e nel procedimento della ragione, come abbiamo spiegato.
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[35737] Iª-IIae q. 53 a. 1 ad 3 Ad tertium dicendum quod scientia non removetur per motum corporalem quantum ad ipsam radicem habitus, sed solum quantum ad impedimentum actus; inquantum intellectus indiget in suo actu viribus sensitivis, quibus impedimentum affertur per corporalem transmutationem. Sed per intelligibilem motum rationis potest corrumpi habitus scientiae, etiam quantum ad ipsam radicem habitus. Et similiter etiam potest corrumpi habitus virtutis. Tamen quod dicitur, virtutes esse permanentiores disciplinis, intelligendum est non ex parte subiecti vel causae, sed ex parte actus, nam virtutum usus est continuus per totam vitam, non autem usus disciplinarum.
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[35737] Iª-IIae q. 53 a. 1 ad 3
3. Dal moto del corpo la scienza non viene distrutta nella radice stessa del suo abito, ma soltanto viene impedita nei suoi atti: poiché l'intelletto nel suo esercizio ha bisogno delle potenze sensitive, che vengono ostacolate dalle trasmutazioni organiche. Ma l'abito di una scienza può essere distrutto anche nella sua radice da un moto intellettivo della ragione. E allo stesso modo può essere distrutto l'abito delle virtù. - E quando si dice, che "le virtù sono più persistenti delle discipline", si deve intendere non in rapporto al subietto o alla loro causa, ma in rapporto all'operazione: infatti l'esercizio delle virtù è continuo per tutto il corso della vita, non così l'uso del sapere.
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