Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Requisiti della beatitudine o felicità > Se per la beatitudine dell'uomo si richieda anche il corpo
Prima pars secundae partis
Quaestio 4
Articulus 5
[33638] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 1 Ad quintum sic proceditur. Videtur quod ad beatitudinem requiratur corpus. Perfectio enim virtutis et gratiae praesupponit perfectionem naturae. Sed beatitudo est perfectio virtutis et gratiae. Anima autem sine corpore non habet perfectionem naturae, cum sit pars naturaliter humanae naturae, omnis autem pars est imperfecta a suo toto separata. Ergo anima sine corpore non potest esse beata.
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Prima parte della seconda parte
Questione 4
Articolo 5
[33638] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 1
SEMBRA che per la beatitudine dell'uomo si richieda anche il corpo. Infatti:
1. La perfezione della grazia presuppone la perfezione della natura. Ma la beatitudine è la perfezione della virtù e della grazia. D'altra parte l'anima senza il corpo non ha la perfezione di natura, poiché ogni parte è imperfetta se separata dal suo tutto. Dunque l'anima senza il corpo non può essere beata.
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[33639] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 2 Praeterea, beatitudo est operatio quaedam perfecta, ut supra dictum est. Sed operatio perfecta sequitur esse perfectum, quia nihil operatur nisi secundum quod est ens in actu. Cum ergo anima non habeat esse perfectum quando est a corpore separata, sicut nec aliqua pars quando separata est a toto; videtur quod anima sine corpore non possit esse beata.
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[33639] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 2
2. La beatitudine, come si è spiegato, è un'operazione perfetta. Ma l'operazione perfetta accompagna l'essere perfetto: poiché niente può operare se non in quanto è un ente in atto. E siccome l'anima quando è separata dal corpo non possiede un essere perfetto, come non lo possiede una parte separata dal tutto, è chiaro che l'anima senza il corpo non può essere beata.
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[33640] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 3 Praeterea, beatitudo est perfectio hominis. Sed anima sine corpore non est homo. Ergo beatitudo non potest esse in anima sine corpore.
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[33640] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 3
3. La beatitudine è la perfezione dell'uomo. Ma l'anima separata dal corpo non è l'uomo. Dunque la beatitudine non può trovarsi nell'anima senza il corpo.
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[33641] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 4 Praeterea, secundum philosophum, in VII Ethic., felicitatis operatio, in qua consistit beatitudo, est non impedita. Sed operatio animae separatae est impedita, quia, ut dicit Augustinus XII super Gen. ad Litt., inest ei naturalis quidam appetitus corpus administrandi, quo appetitu retardatur quodammodo ne tota intentione pergat in illud summum caelum, idest in visionem essentiae divinae. Ergo anima sine corpore non potest esse beata.
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[33641] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 4
4. Il Filosofo afferma che "l'operazione della felicità", nella quale consiste la beatitudine, è "senza impedimenti". Invece l'operazione dell'anima separata è impedita: poiché, come scrive S. Agostino, "vi è nell'anima una tendenza naturale a governare il corpo, la quale in certo modo le impedisce di slanciarsi interamente verso il cielo supremo", cioè verso la visione dell'essenza divina. Dunque l'anima senza il corpo non può essere beata.
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[33642] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 5 Praeterea, beatitudo est sufficiens bonum, et quietat desiderium. Sed hoc non convenit animae separatae, quia adhuc appetit corporis unionem, ut Augustinus dicit. Ergo anima separata a corpore non est beata.
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[33642] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 5
5. La beatitudine è un bene esauriente, che quieta il desiderio. Ma ciò non si verifica per l'anima separata: poiché questa desidera ancora l'unione col corpo, come insegna S. Agostino. Perciò l'anima separata dal corpo non è beata.
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[33643] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 6 Praeterea, homo in beatitudine est Angelis aequalis. Sed anima sine corpore non aequatur Angelis, ut Augustinus dicit. Ergo non est beata.
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[33643] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 6
6. L'uomo nella beatitudine è equiparato agli angeli. Ma l'anima senza il corpo non è alla pari degli angeli, al dire di S. Agostino. Dunque non è beata.
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[33644] Iª-IIae q. 4 a. 5 s. c. Sed contra est quod dicitur Apoc. XIV, beati mortui qui in domino moriuntur.
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[33644] Iª-IIae q. 4 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Beati i morti che muoiono nel Signore".
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[33645] Iª-IIae q. 4 a. 5 co. Respondeo dicendum quod duplex est beatitudo, una imperfecta, quae habetur in hac vita; et alia perfecta, quae in Dei visione consistit. Manifestum est autem quod ad beatitudinem huius vitae, de necessitate requiritur corpus. Est enim beatitudo huius vitae operatio intellectus, vel speculativi vel practici. Operatio autem intellectus in hac vita non potest esse sine phantasmate, quod non est nisi in organo corporeo, ut in primo habitum est. Et sic beatitudo quae in hac vita haberi potest, dependet quodammodo ex corpore. Sed circa beatitudinem perfectam, quae in Dei visione consistit, aliqui posuerunt quod non potest animae advenire sine corpore existenti; dicentes quod animae sanctorum a corporibus separatae, ad illam beatitudinem non perveniunt usque ad diem iudicii, quando corpora resument. Quod quidem apparet esse falsum et auctoritate, et ratione. Auctoritate quidem, quia apostolus dicit, II ad Cor. V, quandiu sumus in corpore, peregrinamur a domino; et quae sit ratio peregrinationis ostendit, subdens, per fidem enim ambulamus, et non per speciem. Ex quo apparet quod quandiu aliquis ambulat per fidem et non per speciem, carens visione divinae essentiae, nondum est Deo praesens. Animae autem sanctorum a corporibus separatae, sunt Deo praesentes, unde subditur, audemus autem, et bonam voluntatem habemus peregrinari a corpore, et praesentes esse ad dominum. Unde manifestum est quod animae sanctorum separatae a corporibus, ambulant per speciem, Dei essentiam videntes, in quo est vera beatitudo. Hoc etiam per rationem apparet. Nam intellectus ad suam operationem non indiget corpore nisi propter phantasmata, in quibus veritatem intelligibilem contuetur, ut in primo dictum est. Manifestum est autem quod divina essentia per phantasmata videri non potest, ut in primo ostensum est. Unde, cum in visione divinae essentiae perfecta hominis beatitudo consistat, non dependet beatitudo perfecta hominis a corpore. Unde sine corpore potest anima esse beata. Sed sciendum quod ad perfectionem alicuius rei dupliciter aliquid pertinet. Uno modo, ad constituendam essentiam rei, sicut anima requiritur ad perfectionem hominis. Alio modo requiritur ad perfectionem rei quod pertinet ad bene esse eius, sicut pulchritudo corporis, et velocitas ingenii pertinet ad perfectionem hominis. Quamvis ergo corpus primo modo ad perfectionem beatitudinis humanae non pertineat, pertinet tamen secundo modo. Cum enim operatio dependeat ex natura rei, quando anima perfectior erit in sua natura, tanto perfectius habebit suam propriam operationem, in qua felicitas consistit. Unde Augustinus, in XII super Gen. ad Litt., cum quaesivisset, utrum spiritibus defunctorum sine corporibus possit summa illa beatitudo praeberi, respondet quod non sic possunt videre incommutabilem substantiam, ut sancti Angeli vident; sive alia latentiore causa, sive ideo quia est in eis naturalis quidam appetitus corpus administrandi.
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[33645] Iª-IIae q. 4 a. 5 co.
RISPONDO: Ci sono due sorta di beatitudini: la prima imperfetta, possibile nella vita presente; la seconda perfetta, che consiste nella visione di Dio. Ora, è evidente che per la felicità di questa vita si richiede necessariamente il corpo. Infatti questa felicità è un'operazione dell'intelletto, sia speculativo che pratico. Ma nella vita presente non è possibile un'operazione dell'intelletto senza i fantasmi, i quali non possono prescindere da un organo corporeo, come abbiamo visto nella Prima Parte. Cosicché la beatitudine possibile in questa vita dipende in qualche modo dal corpo.
Intorno alla beatitudine perfetta, che consiste nella visione di Dio, alcuni hanno pensato che non possa essere attribuita a un'anima separata dal corpo; e affermano che le anime dei Santi separate dai corpi non raggiungono quella perfetta beatitudine prima del giorno del Giudizio, quando riprenderanno i loro corpi. - Ma si dimostra la falsità di questa tesi, sia con argomenti di autorità che di ragione. Per l'autorità, ecco l'Apostolo che afferma: "Finché alberghiamo nel corpo peregriniamo lontani dal Signore"; e per mostrare di che natura sia codesta peregrinazione, aggiunge: "giacché per fede noi camminiamo, non per (diretto) intuito". Dalle quali parole si rileva che fino a quando uno cammina per fede e non per intuito, privo della visione dell'essenza divina, non è giunto ancora alla presenza di Dio. Invece le anime dei Santi separate dai corpi, sempre secondo l'Apostolo, sono presenti a Dio: "Siamo pieni di fiducia e teniamo in maggior conto peregrinare via dal corpo, per essere presenti al Signore". Perciò è evidente che le anime dei Santi, separate dai corpi, camminano per intuito, contemplando l'essenza di Dio, ciò che costituisce la vera beatitudine.
Tale conclusione s'impone anche per argomenti di ragione. Infatti l'intelletto ha bisogno del corpo nella propria operazione solo per i fantasmi nei quali scorge la verità di ordine intelligibile, come abbiamo spiegato nella Prima Parte. Ora, è evidente che l'essenza divina non si può vedere mediante i fantasmi, come già fu dimostrato. E quindi, siccome la perfetta beatitudine dell'uomo consiste nella visione dell'essenza divina, la perfetta beatitudine umana non dipende dal corpo. Perciò l'anima può essere beata senza il corpo.
Bisogna però ricordare che una cosa può appartenere alla perfezione di un dato essere in due maniere. Primo, come costitutivo della sua essenza: l'anima umana, p. es:, è così richiesta alla perfezione dell'uomo. Secondo, come elemento integrativo, cioè come appartengono alla perfezione dell'uomo la bellezza del corpo e la prontezza dell'ingegno. Sebbene, dunque, il corpo non appartenga alla perfezione della beatitudine umana nella prima maniera, vi appartiene però nella seconda. Difatti, poiché l'operazione dipende dalla natura di una cosa, l'anima avrà tanto più perfettamente la sua operazione in cui consiste la beatitudine, quanto più perfetta sarà nella sua natura. Perciò S. Agostino, essendosi posto la questione, "Se gli spiriti dei defunti possano fruire senza il corpo della suprema beatitudine", risponde che "non sono in grado di vedere la sostanza incommutabile, come la vedono gli angeli, sia per qualche altra ragione più nascosta, sia perché c'è in essi un desiderio naturale di governare un corpo".
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[33646] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod beatitudo est perfectio animae ex parte intellectus, secundum quem anima transcendit corporis organa, non autem secundum quod est forma naturalis corporis. Et ideo illa naturae perfectio manet secundum quam ei beatitudo debetur, licet non maneat illa naturae perfectio secundum quam est corporis forma.
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[33646] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La beatitudine è perfezione dell'anima non in quanto questa è forma naturale del corpo, ma in ordine all'intelletto, per il quale essa trascende gli organi corporei. Perciò le anime separate possiedono la loro perfezione naturale in rapporto a ciò che costituisce la beatitudine, sebbene non la possiedano come forme dei corpi.
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[33647] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 2 Ad secundum dicendum quod anima aliter se habet ad esse quam aliae partes. Nam esse totius non est alicuius suarum partium, unde vel pars omnino desinit esse, destructo toto, sicut partes animalis destructo animali; vel, si remanent, habent aliud esse in actu, sicut pars lineae habet aliud esse quam tota linea. Sed animae humanae remanet esse compositi post corporis destructionem, et hoc ideo, quia idem est esse formae et materia, et hoc est esse compositi. Anima autem subsistit in suo esse, ut in primo ostensum est. Unde relinquitur quod post separationem a corpore perfectum esse habeat, unde et perfectam operationem habere potest; licet non habeat perfectam naturam speciei.
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[33647] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 2
2. L'anima ha con l'essere un rapporto ben diverso da quello delle altre parti. Infatti l'essere del tutto non è l'essere di nessuna delle sue parti: cosicché, dopo la distruzione del tutto, o le parti cessano addirittura di esistere, come le parti di un animale dopo la distruzione dell'animale; oppure, se rimangono, hanno un essere attuale diverso, come la parte di una linea ha un essere diverso dalla linea intera. Invece l'anima umana, dopo la distruzione del corpo, conserva l'essere del composto: e questo perché l'essere della forma è identico anche per la materia, e per il composto. D'altronde l'anima nel suo essere è sussistente, come fu dimostrato nella Prima Parte. Rimane dunque stabilito che dopo la separazione del corpo essa conserva l'essere nella sua perfezione, quindi può avere l'operazione perfetta; sebbene non abbia della sua specie la natura completa.
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[33648] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 3 Ad tertium dicendum quod beatitudo est hominis secundum intellectum, et ideo, remanente intellectu, potest inesse ei beatitudo. Sicut dentes Aethiopis possunt esse albi, etiam post evulsionem, secundum quos Aethiops dicitur albus.
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[33648] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 3
3. La beatitudine appartiene all'uomo per il suo intelletto: perciò, finché rimane l'intelletto egli può conservare la beatitudine. Così i denti di un Etiope, per i quali costui merita l'appellativo di bianco, possono rimanere bianchi anche dopo essere stati cavati.
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[33649] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 4 Ad quartum dicendum quod dupliciter aliquid impeditur ab alio. Uno modo, per modum contrarietatis, sicut frigus impedit actionem caloris, et tale impedimentum operationis repugnat felicitati. Alio modo, per modum cuiusdam defectus, quia scilicet res impedita non habet quidquid ad omnimodam sui perfectionem requiritur, et tale impedimentum operationis non repugnat felicitati, sed omnimodae perfectioni ipsius. Et sic separatio a corpore dicitur animam retardare, ne tota intentione tendat in visionem divinae essentiae. Appetit enim anima sic frui Deo, quod etiam ipsa fruitio derivetur ad corpus per redundantiam, sicut est possibile. Et ideo quandiu ipsa fruitur Deo sine corpore, appetitus eius sic quiescit in eo quod habet, quod tamen adhuc ad participationem eius vellet suum corpus pertingere.
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[33649] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 4
4. Una cosa può essere d'impedimento a un'altra in due maniere. Primo, come un elemento contrario, cioè come il freddo che impedisce l'azione del calore: e tale impedimento dell'operazione è incompatibile con la felicità. Secondo, come una manchevolezza, cioè per il fatto che il soggetto così ostacolato non possiede tutto quello che si richiederebbe alla sua perfezione totale: e questo impedimento non è incompatibile con la felicità, ma con la perfezione completa. In questo senso si dice che la separazione dal corpo impedisce all'anima di tendere con tutto lo slancio verso la visione dell'essenza divina. Poiché l'anima desidera di godere Dio, fino al punto che il godimento ridondi sul corpo, nella misura del possibile. Perciò finché essa ha il godimento di Dio senza il corpo, il suo appetito, pur acquietandosi nell'oggetto che possiede, vorrebbe ancora che il suo corpo arrivasse a parteciparne.
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[33650] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 5 Ad quintum dicendum quod desiderium animae separatae totaliter quiescit ex parte appetibilis, quia scilicet habet id quod suo appetitui sufficit. Sed non totaliter requiescit ex parte appetentis, quia illud bonum non possidet secundum omnem modum quo possidere vellet. Et ideo, corpore resumpto, beatitudo crescit non intensive, sed extensive.
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[33650] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 5
5. Il desiderio dell'anima separata si acquieta totalmente rispettivamente all'oggetto appetibile; poiché possiede quanto sazia il suo appetito. Ma non si acquieta totalmente in rapporto al soggetto appetente; poiché questo non possiede quel bene in tutti i modi secondo cui vorrebbe possederlo. Perciò, con la riassunzione dei corpi la beatitudine non crescerà in intensità, ma in estensione.
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[33651] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 6 Ad sextum dicendum quod id quod ibidem dicitur, quod spiritus defunctorum non sic vident Deum sicut Angeli, non est intelligendum secundum inaequalitatem quantitatis, quia etiam modo aliquae animae beatorum sunt assumptae ad superiores ordines Angelorum, clarius videntes Deum quam inferiores Angeli. Sed intelligitur secundum inaequalitatem proportionis, quia Angeli, etiam infimi, habent omnem perfectionem beatitudinis quam sunt habituri, non autem animae separatae sanctorum.
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[33651] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 6
6. Le parole di S. Agostino, "gli spiriti dei defunti non vedono Dio come gli angeli", non vanno riferite a una disuguaglianza di grado: poiché anche al presente alcune anime di Beati sono state assunte agli ordini angelici più sublimi, e quindi vedono Dio con maggiore chiarezza degli angeli inferiori. Ma vanno riferite a una disuguaglianza di proporzionalità: poiché gli angeli anche se infimi, possiedono già, a differenza delle anime separate dei Santi, tutta la perfezione della beatitudine che dovranno avere in seguito.
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