I-II, 3

Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Che cosa sia


Prima pars secundae partis
Quaestio 3
Prooemium

[33533] Iª-IIae q. 3 pr.
Deinde considerandum est quid sit beatitudo; et quae requirantur ad ipsam. Circa primum quaeruntur octo.
Primo, utrum beatitudo sit aliquid increatum.
Secundo, si est aliquid creatum, utrum sit operatio.
Tertio, utrum sit operatio sensitivae partis, an intellectivae tantum.
Quarto, si est operatio intellectivae partis, utrum sit operatio intellectus, an voluntatis.
Quinto, si est operatio intellectus, utrum sit operatio intellectus speculativi, aut practici.
Sexto, si est operatio intellectus speculativi, utrum consistat in speculatione scientiarum speculativarum.
Septimo, utrum consistat in speculatione substantiarum separatarum, scilicet Angelorum.
Octavo, utrum in sola speculatione Dei qua per essentiam videtur.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 3
Proemio

[33533] Iª-IIae q. 3 pr.
Passiamo a considerare che cosa sia la beatitudine, e quali elementi essa richieda.
Sul primo argomento si presentano otto quesiti:

1. Se la beatitudine sia qualche cosa di increato;
2. Ammesso che sia qualche cosa di creato, se sia un'operazione;
3. Se sia un'operazione della parte sensitiva, o soltanto di quella intellettiva;
4. Trattandosi di un'operazione della parte intellettiva, si chiede se sia un atto dell'intelletto o della volontà;
5. Posto che sia un atto dell'intelletto, se sia un atto dell'intelletto speculativo o dell'intelletto pratico;
6. Ammesso che sia un atto dell'intelletto speculativo, se consista nell'esercizio delle scienze speculative;
7. Se consista nella contemplazione delle sostanze separate, cioè degli angeli;
8. Se consista nella sola contemplazione di Dio visto nella sua essenza.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Che cosa sia > Se la beatitudine sia un bene increato


Prima pars secundae partis
Quaestio 3
Articulus 1

[33534] Iª-IIae q. 3 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod beatitudo sit aliquid increatum. Dicit enim Boetius, in III de Consol., Deum esse ipsam beatitudinem necesse est confiteri.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 3
Articolo 1

[33534] Iª-IIae q. 3 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la beatitudine sia un bene increato. Infatti:
1. Boezio scrive: "È necessario affermare che Dio è la stessa beatitudine".

[33535] Iª-IIae q. 3 a. 1 arg. 2
Praeterea, beatitudo est summum bonum. Sed esse summum bonum convenit Deo. Cum ergo non sint plura summa bona, videtur quod beatitudo sit idem quod Deus.

 

[33535] Iª-IIae q. 3 a. 1 arg. 2
2. La beatitudine è il sommo bene. Ma è proprio di Dio essere il sommo bene. E siccome non possono esserci più sommi beni, è evidente che la beatitudine si identifica con Dio.

[33536] Iª-IIae q. 3 a. 1 arg. 3
Praeterea, beatitudo est ultimus finis, in quem naturaliter humana voluntas tendit. Sed in nullum aliud voluntas tanquam in finem tendere debet nisi in Deum; quo solo fruendum est, ut Augustinus dicit. Ergo beatitudo est idem quod Deus.

 

[33536] Iª-IIae q. 3 a. 1 arg. 3
3. La beatitudine è l'ultimo fine, al quale tende per natura la volontà umana. Ma la volontà non deve avere come fine un oggetto diverso da Dio; poiché di lui soltanto dobbiamo fruire, secondo l'espressione di S. Agostino. Dunque la beatitudine è Dio stesso.

[33537] Iª-IIae q. 3 a. 1 s. c.
Sed contra, nullum factum est increatum. Sed beatitudo hominis est aliquid factum, quia secundum Augustinum, I de Doctr. Christ., illis rebus fruendum est, quae nos beatos faciunt. Ergo beatitudo non est aliquid increatum.

 

[33537] Iª-IIae q. 3 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Ciò che è fatto non è increato. Ora, la beatitudine dell'uomo è qualche cosa di fatto; poiché secondo S. Agostino, "noi dobbiamo fruire di quelle cose che ci fanno beati". Dunque la beatitudine non è increata.

[33538] Iª-IIae q. 3 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, finis dicitur dupliciter. Uno modo, ipsa res quam cupimus adipisci, sicut avaro est finis pecunia. Alio modo, ipsa adeptio vel possessio, seu usus aut fruitio eius rei quae desideratur, sicut si dicatur quod possessio pecuniae est finis avari, et frui re voluptuosa est finis intemperati. Primo ergo modo, ultimus hominis finis est bonum increatum, scilicet Deus, qui solus sua infinita bonitate potest voluntatem hominis perfecte implere. Secundo autem modo, ultimus finis hominis est aliquid creatum in ipso existens, quod nihil est aliud quam adeptio vel fruitio finis ultimi. Ultimus autem finis vocatur beatitudo. Si ergo beatitudo hominis consideretur quantum ad causam vel obiectum, sic est aliquid increatum, si autem consideretur quantum ad ipsam essentiam beatitudinis, sic est aliquid creatum.

 

[33538] Iª-IIae q. 3 a. 1 co.
RISPONDO: Come abbiamo già spiegato, il fine può indicare due cose. L'oggetto che desideriamo conseguire: e così l'avaro ha il suo fine nelle ricchezze. Oppure il conseguimento stesso, il possesso, ovvero l'uso o godimento dell'oggetto desiderato: e allora il possesso delle ricchezze è il fine dell'avaro, e il godimento dei piaceri quello dell'intemperante. Fine ultimo dell'uomo nel primo senso è il bene increato, cioè Dio, il quale nella sua bontà infinita è il solo capace di saziare perfettamente la volontà umana. Invece nel secondo senso l'ultimo fine dell'uomo è qualche cosa di creato esistente in lui, è cioè il conseguimento, o fruizione dell'ultimo fine. Perciò, se consideriamo la beatitudine umana in rapporto alla sua causa o al suo oggetto, allora è qualche cosa di increato: se invece ne consideriamo l'essenza, allora la beatitudine è qualche cosa di creato.

[33539] Iª-IIae q. 3 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Deus est beatitudo per essentiam suam, non enim per adeptionem aut participationem alicuius alterius beatus est, sed per essentiam suam. Homines autem sunt beati, sicut ibidem dicit Boetius, per participationem; sicut et dii per participationem dicuntur. Ipsa autem participatio beatitudinis secundum quam homo dicitur beatus, aliquid creatum est.

 

[33539] Iª-IIae q. 3 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dio è la beatitudine in forza della propria essenza. Egli infatti non è beato per il conseguimento o la partecipazione di qualche altra cosa, ma lo è per essenza. Gli uomini invece, come aggiunge Boezio, sono beati per partecipazione; come per partecipazione sono chiamati dei. Ma la partecipazione stessa della beatitudine, in forza della quale l'uomo è beato, è una realtà creata.

[33540] Iª-IIae q. 3 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod beatitudo dicitur esse summum hominis bonum, quia est adeptio vel fruitio summi boni.

 

[33540] Iª-IIae q. 3 a. 1 ad 2
2. Si dice che la beatitudine è il sommo bene per l'uomo, perché è il conseguimento, o il godimento del sommo bene.

[33541] Iª-IIae q. 3 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod beatitudo dicitur ultimus finis, per modum quo adeptio finis dicitur finis.

 

[33541] Iª-IIae q. 3 a. 1 ad 3
3. La beatitudine può chiamarsi fine ultimo, come si può chiamare fine il conseguimento del fine.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Che cosa sia > Se la beatitudine sia un'operazione


Prima pars secundae partis
Quaestio 3
Articulus 2

[33542] Iª-IIae q. 3 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod beatitudo non sit operatio. Dicit enim apostolus, Rom. VI, habetis fructum vestrum in sanctificationem, finem vero vitam aeternam. Sed vita non est operatio, sed ipsum esse viventium. Ergo ultimus finis, qui est beatitudo, non est operatio.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 3
Articolo 2

[33542] Iª-IIae q. 3 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la beatitudine non sia un'operazione. Infatti:
1. Dice l'Apostolo: "Avete il frutto nella vostra santificazione, e il fine è una vita sempiterna". Ma la vita non è un'operazione, bensì l'essere stesso dei viventi. Dunque l'ultimo fine, cioè la beatitudine, non è un'operazione.

[33543] Iª-IIae q. 3 a. 2 arg. 2
Praeterea, Boetius dicit, in III de Consol., quod beatitudo est status omnium bonorum aggregatione perfectus. Sed status non nominat operationem. Ergo beatitudo non est operatio.

 

[33543] Iª-IIae q. 3 a. 2 arg. 2
2. Insegna Boezio che la beatitudine "è uno stato risultante perfetto dalla combinazione di tutti i beni". Ora, uno stato non indica un'operazione. Perciò la beatitudine non è un'operazione.

[33544] Iª-IIae q. 3 a. 2 arg. 3
Praeterea, beatitudo significat aliquid in beato existens, cum sit ultima perfectio hominis. Sed operatio non significat ut aliquid existens in operante, sed magis ut ab ipso procedens. Ergo beatitudo non est operatio.

 

[33544] Iª-IIae q. 3 a. 2 arg. 3
3. La beatitudine, essendo l'ultima perfezione dell'uomo, sta a indicare una proprietà esistente nei beati. L'operazione invece non indica un fatto esistente in chi opera, ma piuttosto un fatto che da lui procede. Dunque la beatitudine non è un'operazione.

[33545] Iª-IIae q. 3 a. 2 arg. 4
Praeterea, beatitudo permanet in beato. Operatio autem non permanet, sed transit. Ergo beatitudo non est operatio.

 

[33545] Iª-IIae q. 3 a. 2 arg. 4
4. La beatitudine rimane stabilmente nei beati. L'operazione invece è transitoria. Perciò la beatitudine non è un'operazione.

[33546] Iª-IIae q. 3 a. 2 arg. 5
Praeterea, unius hominis est una beatitudo. Operationes autem sunt multae. Ergo beatitudo non est operatio.

 

[33546] Iª-IIae q. 3 a. 2 arg. 5
5. Un uomo non può avere che un'unica beatitudine. Le operazioni invece sono molteplici. Dunque la beatitudine non è un'operazione.

[33547] Iª-IIae q. 3 a. 2 arg. 6
Praeterea, beatitudo inest beato absque interruptione. Sed operatio humana frequenter interrumpitur puta somno, vel aliqua alia occupatione, vel quiete. Ergo beatitudo non est operatio.

 

[33547] Iª-IIae q. 3 a. 2 arg. 6
6. La beatitudine si trova nei beati senza interruzione. Ora, l'operazione umana spesso si interrompe, per il sonno, per altre occupazioni, o per il riposo. Dunque la beatitudine non è un'operazione.

[33548] Iª-IIae q. 3 a. 2 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, in I Ethic., quod felicitas est operatio secundum virtutem perfectam.

 

[33548] Iª-IIae q. 3 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo scrive che "la felicità è un'operazione che promana da una virtù perfetta".

[33549] Iª-IIae q. 3 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, secundum quod beatitudo hominis est aliquid creatum in ipso existens necesse est dicere quod beatitudo hominis sit operatio. Est enim beatitudo ultima hominis perfectio. Unumquodque autem intantum perfectum est, inquantum est actu, nam potentia sine actu imperfecta est. Oportet ergo beatitudinem in ultimo actu hominis consistere. Manifestum est autem quod operatio est ultimus actus operantis; unde et actus secundus a philosopho nominatur, in II de anima, nam habens formam potest esse in potentia operans, sicut sciens est in potentia considerans. Et inde est quod in aliis quoque rebus res unaquaeque dicitur esse propter suam operationem, ut dicitur in II de caelo. Necesse est ergo beatitudinem hominis operationem esse.

 

[33549] Iª-IIae q. 3 a. 2 co.
RISPONDO: È necessario affermare che la beatitudine dell'uomo, in quanto è qualche cosa di creato esistente in lui, è un'operazione. Infatti la beatitudine è l'ultima perfezione dell'uomo. Ma ogni essere è perfetto nella misura della sua attualità: poiché la potenza priva dell'atto è imperfetta. Dunque è necessario che la beatitudine consista nell'atto ultimo dell'uomo. Ora, è evidente che l'operazione è l'ultimo atto dell'operante; tanto è vero che dal Filosofo viene chiamata "atto secondo": un essere infatti dal momento che ha una forma è operante in potenza, chi, p. es., ha la scienza è virtualmente pensante. Per tale motivo anche a proposito degli altri esseri Aristotele afferma che ogni cosa è "per la sua operazione". Perciò è necessario che la beatitudine dell'uomo sia un'operazione.

[33550] Iª-IIae q. 3 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod vita dicitur dupliciter. Uno modo, ipsum esse viventis. Et sic beatitudo non est vita, ostensum est enim quod esse unius hominis, qualecumque sit, non est hominis beatitudo; solius enim Dei beatitudo est suum esse. Alio modo dicitur vita ipsa operatio viventis, secundum quam principium vitae in actum reducitur, et sic nominamus vitam activam, vel contemplativam, vel voluptuosam. Et hoc modo vita aeterna dicitur ultimus finis. Quod patet per hoc quod dicitur Ioan. XVII, haec est vita aeterna, ut cognoscant te, Deum verum unum.

 

[33550] Iª-IIae q. 3 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il termine vita ha due significati. Prima di tutto significa l'essere stesso del vivente. E in questo senso la beatitudine non è una vita: infatti abbiamo già dimostrato che l'essere di un uomo, quale che sia, non è la beatitudine dell'uomo; poiché solo in Dio la beatitudine s'identifica col proprio essere. - Altre volte vita significa le operazioni del vivente, nelle quali il principio vitale si attua: e in questo senso parliamo di vita attiva, contemplativa, o godereccia. Ebbene la vita eterna è l'ultimo fine in questo senso. Ciò si rileva da quelle parole del Signore: "Questa è la vita eterna, che conoscano te, unico vero Dio".

[33551] Iª-IIae q. 3 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod Boetius, definiendo beatitudinem, consideravit ipsam communem beatitudinis rationem. Est enim communis ratio beatitudinis quod sit bonum commune perfectum; et hoc significavit cum dixit quod est status omnium bonorum aggregatione perfectus, per quod nihil aliud significatur nisi quod beatus est in statu boni perfecti. Sed Aristoteles expressit ipsam essentiam beatitudinis, ostendens per quid homo sit in huiusmodi statu, quia per operationem quandam. Et ideo in I Ethic. ipse etiam ostendit quod beatitudo est bonum perfectum.

 

[33551] Iª-IIae q. 3 a. 2 ad 2
2. Boezio, nel definire la beatitudine ha di mira la sola nozione generica della felicità. Infatti il concetto generico di beatitudine importa solo un bene universale perfetto; e ciò è indicato da quelle parole: "stato risultante perfetto dalla cumulazione di tutti i beni", espressione la quale significa soltanto che i beati sono nello stato del bene perfetto. Aristotele invece volle esprimere l'essenza stessa della beatitudine, mettendo in evidenza il fatto per cui l'uomo viene a trovarsi in codesto stato, che è precisamente un'operazione. Perciò nell'Etica dimostra che la beatitudine è "un bene perfetto".

[33552] Iª-IIae q. 3 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut dicitur in IX Metaphys., duplex est actio. Una quae procedit ab operante in exteriorem materiam, sicut urere et secare. Et talis operatio non potest esse beatitudo, nam talis operatio non est actio et perfectio agentis, sed magis patientis, ut ibidem dicitur. Alia est actio manens in ipso agente, ut sentire, intelligere et velle, et huiusmodi actio est perfectio et actus agentis. Et talis operatio potest esse beatitudo.

 

[33552] Iª-IIae q. 3 a. 2 ad 3
3. Come spiega Aristotele, le azioni sono di due specie. Le une (transitive) si riversano dall'agente sulla materia esteriore, come bruciare e segare. E la beatitudine non può essere una di queste: poiché tali azioni, e lo nota lo stesso Aristotele, non costituiscono una perfezione per l'agente, ma per il paziente. Ci sono altre azioni (intransitive o immanenti) che rimangono nell'agente medesimo, come sentire, intendere, e volere: e tali azioni sono perfezioni e atti dell'agente. La beatitudine quindi può essere una di queste.

[33553] Iª-IIae q. 3 a. 2 ad 4
Ad quartum dicendum quod, cum beatitudo dicat quandam ultimam perfectionem, secundum quod diversae res beatitudinis capaces ad diversos gradus perfectionis pertingere possunt, secundum hoc necesse est quod diversimode beatitudo dicatur. Nam in Deo est beatitudo per essentiam, quia ipsum esse eius est operatio eius, qua non fruitur alio, sed seipso. In Angelis autem beatis est ultima perfectio secundum aliquam operationem, qua coniunguntur bono increato, et haec operatio in eis est unica et sempiterna. In hominibus autem, secundum statum praesentis vitae, est ultima perfectio secundum operationem qua homo coniungitur Deo, sed haec operatio nec continua potest esse, et per consequens nec unica est, quia operatio intercisione multiplicatur. Et propter hoc in statu praesentis vitae, perfecta beatitudo ab homine haberi non potest. Unde philosophus, in I Ethic., ponens beatitudinem hominis in hac vita, dicit eam imperfectam, post multa concludens, beatos autem dicimus ut homines. Sed promittitur nobis a Deo beatitudo perfecta, quando erimus sicut Angeli in caelo, sicut dicitur Matth. XXII. Quantum ergo ad illam beatitudinem perfectam, cessat obiectio, quia una et continua et sempiterna operatione in illo beatitudinis statu mens hominis Deo coniungetur. Sed in praesenti vita, quantum deficimus ab unitate et continuitate talis operationis, tantum deficimus a beatitudinis perfectione. Est tamen aliqua participatio beatitudinis, et tanto maior, quanto operatio potest esse magis continua et una. Et ideo in activa vita, quae circa multa occupatur, est minus de ratione beatitudinis quam in vita contemplativa, quae versatur circa unum, idest circa veritatis contemplationem. Et si aliquando homo actu non operetur huiusmodi operationem, tamen quia in promptu habet eam semper operari; et quia etiam ipsam cessationem, puta somni vel occupationis alicuius naturalis, ad operationem praedictam ordinat; quasi videtur operatio continua esse.

 

[33553] Iª-IIae q. 3 a. 2 ad 4
4. La beatitudine indica perfezione ultima; perciò essa dovrà avere applicazioni diverse, nei vari esseri capaci di raggiungere la felicità, secondo i diversi gradi di perfezione. Infatti la beatitudine trovasi in Dio per essenza: poiché l'essere stesso in lui è la sua operazione, mediante la quale non gode di altro che di se stesso. Negli angeli beati invece è la perfezione ultima attuata nell'operazione mediante la quale si uniscono al bene increato: operazione che in essi è unica e sempiterna. Negli uomini poi, la beatitudine della vita presente è l'ultima perfezione raggiunta nell'atto mediante il quale l'uomo aderisce a Dio: ma tale atto non è continuo, e quindi non è unico, perché un'operazione interrompendosi diviene molteplice. Perciò nella vita presente non ci può essere nell'uomo la beatitudine perfetta. Difatti il Filosofo, nel determinare la beatitudine dell'uomo in questa vita, la dice imperfetta, concludendo dopo molte riflessioni: "Li chiamiamo beati, come possono esserlo gli uomini". Ma il Signore nel Vangelo ci ha promesso la perfetta beatitudine, quando saremo "come gli angeli nel cielo".
Riguardo alla beatitudine perfetta l'obiezione cade; poiché in quello stato di beatitudine la mente umana sarà unita a Dio mediante un'operazione unica, continua e sempiterna. E nella vita presente tanto siamo lontani dalla perfetta beatitudine, quanto lo siamo dall'unità e dalla continuità di tale operazione. Vi è tuttavia una certa partecipazione della beatitudine: e tanto maggiore quanto l'operazione viene ad essere più unitaria e continua. Perciò nella vita attiva, la quale si occupa di molte cose, si trova minore affinità con la beatitudine che nella vita contemplativa, la quale ha un unico oggetto, cioè la contemplazione della verità. Anche se l'uomo non sempre compie codesta operazione, tuttavia essa si presenta come un'azione continuata, perché egli è sempre preparato a compierla; e perché ordina le stesse pause del sonno o di altre occupazioni alla predetta operazione.

[33554] Iª-IIae q. 3 a. 2 ad 5
Et per hoc patet solutio ad quintum, et ad sextum.

 

[33554] Iª-IIae q. 3 a. 2 ad 5
5, 6. Sono così risolte anche la quinta e la sesta difficoltà.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Che cosa sia > Se la beatitudine sia un'operazione della parte sensitiva o soltanto di quella intellettiva


Prima pars secundae partis
Quaestio 3
Articulus 3

[33555] Iª-IIae q. 3 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod beatitudo consistat etiam in operatione sensus. Nulla enim operatio invenitur in homine nobilior operatione sensitiva, nisi intellectiva. Sed operatio intellectiva dependet in nobis ab operatione sensitiva, quia non possumus intelligere sine phantasmate, ut dicitur in III de anima. Ergo beatitudo consistit etiam in operatione sensitiva.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 3
Articolo 3

[33555] Iª-IIae q. 3 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la beatitudine debba anche consistere in qualche operazione dei sensi. Infatti:
1. Nell'uomo le uniche operazioni più nobili di quelle dei sensi sono le operazioni dell'intelletto. Ora, in noi gli atti intellettivi dipendono dalle operazioni dei sensi; poiché come dice Aristotele, "noi non possiamo intendere senza i fantasmi". Dunque la beatitudine deve trovarsi anche nelle operazioni dei sensi.

[33556] Iª-IIae q. 3 a. 3 arg. 2
Praeterea, Boetius dicit, in III de Consol., quod beatitudo est status omnium bonorum aggregatione perfectus. Sed quaedam bona sunt sensibilia, quae attingimus per sensus operationem. Ergo videtur quod operatio sensus requiratur ad beatitudinem.

 

[33556] Iª-IIae q. 3 a. 3 arg. 2
2. Insegna Boezio che la beatitudine è "lo stato di perfezione risultante dal cumulo di tutti i beni". Ma certi beni sono sensibili, e raggiungibili mediante l'operazione dei sensi. Dunque l'operazione dei sensi è richiesta per la beatitudine.

[33557] Iª-IIae q. 3 a. 3 arg. 3
Praeterea, beatitudo est bonum perfectum, ut probatur in I Ethic., quod non esset, nisi homo perficeretur per ipsam secundum omnes partes suas. Sed per operationes sensitivas quaedam partes animae perficiuntur. Ergo operatio sensitiva requiritur ad beatitudinem.

 

[33557] Iª-IIae q. 3 a. 3 arg. 3
3. Aristotele dimostra che la beatitudine è "un bene perfetto": e questo non si ottiene senza che l'uomo venga da essa attuato in tutte le sue parti. Ora, alcune parti dell'anima sono attuate da operazioni sensitive. Dunque le operazioni sensitive sono richieste per la beatitudine.

[33558] Iª-IIae q. 3 a. 3 s. c.
Sed contra, in operatione sensitiva communicant nobiscum bruta animalia. Non autem in beatitudine. Ergo beatitudo non consistit in operatione sensitiva.

 

[33558] Iª-IIae q. 3 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Gli animali bruti hanno con noi in comune le operazioni sensitive. Essi però non partecipano la beatitudine. Dunque la beatitudine non consiste in operazioni sensitive.

[33559] Iª-IIae q. 3 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod ad beatitudinem potest aliquid pertinere tripliciter, uno modo, essentialiter; alio modo, antecedenter; tertio modo, consequenter. Essentialiter quidem non potest pertinere operatio sensus ad beatitudinem. Nam beatitudo hominis consistit essentialiter in coniunctione ipsius ad bonum increatum, quod est ultimus finis, ut supra ostensum est, cui homo coniungi non potest per sensus operationem. Similiter etiam quia, sicut ostensum est, in corporalibus bonis beatitudo hominis non consistit, quae tamen sola per operationem sensus attingimus. Possunt autem operationes sensus pertinere ad beatitudinem antecedenter et consequenter. Antecedenter quidem, secundum beatitudinem imperfectam, qualis in praesenti vita haberi potest, nam operatio intellectus praeexigit operationem sensus. Consequenter autem, in illa perfecta beatitudine quae expectatur in caelo, quia post resurrectionem, ex ipsa beatitudine animae, ut Augustinus dicit in epistola ad Dioscorum, fiet quaedam refluentia in corpus et in sensus corporeos, ut in suis operationibus perficiantur; ut infra magis patebit, cum de resurrectione agetur. Non autem tunc operatio qua mens humana Deo coniungetur, a sensu dependebit.

 

[33559] Iª-IIae q. 3 a. 3 co.
RISPONDO: Una cosa può far parte della beatitudine in tre modi: in maniera essenziale, come antecedente, o come conseguenza. Ora, l'operazione sensitiva non può appartenere alla beatitudine in maniera essenziale. Infatti la beatitudine dell'uomo consiste essenzialmente nella sua unione col bene increato, suo ultimo fine, come abbiamo dimostrato: e tale unione non può avvenire mediante l'operazione dei sensi. Inoltre, abbiamo già visto che la felicità dell'uomo non consiste nei beni materiali, i soli raggiungibili con le operazioni dei sensi.
Invece le operazioni dei sensi possono far parte della beatitudine, o come antecedenti o come conseguenze. Come antecedenti fanno parte della beatitudine imperfetta raggiungibile nella vita presente: infatti l'operazione dell'intelletto ha come suo prerequisito l'operazione dei sensi. - Fanno parte invece come conseguenze della beatitudine perfetta che avremo in cielo: infatti dopo la resurrezione, al dire di S. Agostino, "la stessa beatitudine dell'anima avrà una ridondanza sul corpo e sui sensi corporei, che saranno attuati nelle loro operazioni", come vedremo meglio quando parleremo della resurrezione. Tuttavia l'operazione che unirà allora la mente umana con Dio non avrà nessuna dipendenza dai sensi.

[33560] Iª-IIae q. 3 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod obiectio illa probat quod operatio sensus requiritur antecedenter ad beatitudinem imperfectam, qualis in hac vita haberi potest.

 

[33560] Iª-IIae q. 3 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'obiezione dimostra soltanto che l'operazione dei sensi è richiesta come antecedente alla beatitudine imperfetta, raggiungibile nella vita presente.

[33561] Iª-IIae q. 3 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod beatitudo perfecta, qualem Angeli habent, habet congregationem omnium bonorum per coniunctionem ad universalem fontem totius boni; non quod indigeat singulis particularibus bonis. Sed in hac beatitudine imperfecta, requiritur congregatio bonorum sufficientium ad perfectissimam operationem huius vitae.

 

[33561] Iª-IIae q. 3 a. 3 ad 2
2. Nella beatitudine perfetta, qual'è quella degli angeli, si trova il cumulo di tutti i beni, mediante l'unione con la fonte universale di ogni bene, senza bisogno dei singoli beni particolari. Invece per la beatitudine imperfetta di quaggiù si richiede il cumulo di tutti quei beni, che sono necessari all'operazione più perfetta di questa vita.

[33562] Iª-IIae q. 3 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod in perfecta beatitudine perficitur totus homo, sed in inferiori parte per redundantiam a superiori. In beatitudine autem imperfecta praesentis vitae, e converso a perfectione inferioris partis proceditur ad perfectionem superioris.

 

[33562] Iª-IIae q. 3 a. 3 ad 3
3. Nella beatitudine perfetta tutto l'uomo ha il suo compimento, ma la sua parte inferiore lo deriva per ridondanza dalla parte superiore. Invece nella beatitudine imperfetta della vita presente si procede dall'attuazione della parte inferiore al compimento di quella superiore.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Che cosa sia > Se la beatitudine sia un atto dell'intelletto o della volontà


Prima pars secundae partis
Quaestio 3
Articulus 4

[33563] Iª-IIae q. 3 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod beatitudo consistat in actu voluntatis. Dicit enim Augustinus, XIX de Civ. Dei, quod beatitudo hominis in pace consistit, unde in Psalmo CXLVII, qui posuit fines tuos pacem. Sed pax ad voluntatem pertinet. Ergo beatitudo hominis in voluntate consistit.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 3
Articolo 4

[33563] Iª-IIae q. 3 a. 4 arg. 1
SEMBRA che la beatitudine consista in un atto della volontà. Infatti:
1. S. Agostino insegna che la beatitudine o felicità dell'uomo consiste nella pace; sicché leggiamo nei Salmi: "Ha messo come tuoi confini la pace". Ora, la pace rientra nell'ambito del volere. Dunque la felicità umana è riposta nel volere.

[33564] Iª-IIae q. 3 a. 4 arg. 2
Praeterea, beatitudo est summum bonum. Sed bonum est obiectum voluntatis. Ergo beatitudo in operatione voluntatis consistit.

 

[33564] Iª-IIae q. 3 a. 4 arg. 2
2. La beatitudine è il bene supremo. Ma il bene è oggetto della volontà. Dunque la beatitudine consiste in un'operazione della volontà.

[33565] Iª-IIae q. 3 a. 4 arg. 3
Praeterea, primo moventi respondet ultimus finis, sicut ultimus finis totius exercitus est victoria, quae est finis ducis, qui omnes movet. Sed primum movens ad operandum est voluntas, quia movet alias vires, ut infra dicetur. Ergo beatitudo ad voluntatem pertinet.

 

[33565] Iª-IIae q. 3 a. 4 arg. 3
3. L'ultimo fine deve corrispondere alla prima causa motrice; l'ultimo fine dell'esercito, p. es., è la vittoria, la quale è il fine del comandante, primo motore di tutto l'esercito. Ora, la volontà è la prima causa motrice nell'operare; poiché spetta alla volontà muovere le altre potenze, come vedremo. Dunque la beatitudine appartiene alla volontà.

[33566] Iª-IIae q. 3 a. 4 arg. 4
Praeterea, si beatitudo est aliqua operatio, oportet quod sit nobilissima operatio hominis. Sed nobilior operatio est dilectio Dei, quae est actus voluntatis, quam cognitio, quae est operatio intellectus, ut patet per apostolum, I ad Cor. XIII. Ergo videtur quod beatitudo consistat in actu voluntatis.

 

[33566] Iª-IIae q. 3 a. 4 arg. 4
4. Se la beatitudine è un'operazione, deve essere la più nobile operazione dell'uomo. Ma l'amore di Dio, che è un atto della volontà, è, come insegna l'Apostolo, un'operazione più nobile della sua conoscenza, che è un atto dell'intelletto. Dunque la beatitudine consiste in un atto della volontà.

[33567] Iª-IIae q. 3 a. 4 arg. 5
Praeterea, Augustinus dicit, in XIII de Trin., quod beatus est qui habet omnia quae vult, et nihil vult male. Et post pauca subdit, propinquat beato qui bene vult quodcumque vult, bona enim beatum faciunt, quorum bonorum iam habet aliquid, ipsam scilicet bonam voluntatem. Ergo beatitudo in actu voluntatis consistit.

 

[33567] Iª-IIae q. 3 a. 4 arg. 5
5. Scrive S. Agostino che "è felice colui che possiede tutto ciò che vuole, senza voler niente malamente". E aggiunge poco dopo: "Si avvicina alla felicità chi ben vuole tutto ciò che vuole; infatti rendono felici soltanto quei beni di cui già si possiede un elemento, cioè la buona volontà". Quindi la felicità si riduce a un atto della volontà.

[33568] Iª-IIae q. 3 a. 4 s. c.
Sed contra est quod dominus dicit, Ioan. XVII, haec est vita aeterna, ut cognoscant te, Deum verum unum. Vita autem aeterna est ultimus finis, ut dictum est. Ergo beatitudo hominis in cognitione Dei consistit, quae est actus intellectus.

 

[33568] Iª-IIae q. 3 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Dice il Signore: "La vita eterna è questa, che conoscano te, solo vero Dio". Ma la vita eterna è l'ultimo fine, come abbiamo detto. Dunque la beatitudine dell'uomo consiste nella conoscenza di Dio, che è un atto dell'intelletto.

[33569] Iª-IIae q. 3 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod ad beatitudinem, sicut supra dictum est, duo requiruntur, unum quod est essentia beatitudinis; aliud quod est quasi per se accidens eius, scilicet delectatio ei adiuncta. Dico ergo quod, quantum ad id quod est essentialiter ipsa beatitudo, impossibile est quod consistat in actu voluntatis. Manifestum est enim ex praemissis quod beatitudo est consecutio finis ultimi. Consecutio autem finis non consistit in ipso actu voluntatis. Voluntas enim fertur in finem et absentem, cum ipsum desiderat; et praesentem, cum in ipso requiescens delectatur. Manifestum est autem quod ipsum desiderium finis non est consecutio finis, sed est motus ad finem. Delectatio autem advenit voluntati ex hoc quod finis est praesens, non autem e converso ex hoc aliquid fit praesens, quia voluntas delectatur in ipso. Oportet igitur aliquid aliud esse quam actum voluntatis, per quod fit ipse finis praesens volenti. Et hoc manifeste apparet circa fines sensibiles. Si enim consequi pecuniam esset per actum voluntatis, statim a principio cupidus consecutus esset pecuniam, quando vult eam habere. Sed a principio quidem est absens ei; consequitur autem ipsam per hoc quod manu ipsam apprehendit, vel aliquo huiusmodi; et tunc iam delectatur in pecunia habita. Sic igitur et circa intelligibilem finem contingit. Nam a principio volumus consequi finem intelligibilem; consequimur autem ipsum per hoc quod fit praesens nobis per actum intellectus; et tunc voluntas delectata conquiescit in fine iam adepto. Sic igitur essentia beatitudinis in actu intellectus consistit, sed ad voluntatem pertinet delectatio beatitudinem consequens; secundum quod Augustinus dicit, X Confess., quod beatitudo est gaudium de veritate; quia scilicet ipsum gaudium est consummatio beatitudinis.

 

[33569] Iª-IIae q. 3 a. 4 co.
RISPONDO: Si è già detto che per la felicità si richiedono due cose: la prima, che ne costituisce l'essenza, e la seconda, che ne costituisce l'accidente proprio, e cioè il godimento che l'accompagna. Affermo dunque essere impossibile che la felicità stessa nella sua essenza consista in un atto della volontà. Infatti è evidente da quanto si è detto che la felicità è il conseguimento dell'ultimo fine. Ma il conseguimento dell'ultimo fine non è un atto della volontà. Poiché la volontà si volge al fine, o per desiderarlo, se assente, o per quietarsi in esso, se presente. Ora, è chiaro che il desiderio del fine non è il conseguimento del fine, ma piuttosto un moto verso il fine. Il godimento poi sopravviene alla volontà per il fatto che il fine è presente; e non è affatto vero, al contrario, che una cosa diventa presente perché la volontà ne gode. Si richiede perciò un atto diverso da quello della volontà per rendere il fine presente alla volontà medesima.
La cosa è evidente per i fini di ordine sensibile. Se infatti dipendesse da un atto della volontà il conseguimento del denaro, un avaro lo potrebbe avere fin da principio, dal momento che vuole possederlo. Ma da principio gli manca; e arriva a conseguirlo per il fatto che lo stringe nelle mani, o per altri atti consimili; e allora finalmente gode del denaro posseduto. Lo stesso avviene per il fine di ordine (spirituale e) intellettuale. Infatti dapprima c'è la volontà di conseguirlo; ne abbiamo poi il conseguimento per il fatto che diviene a noi presente mediante un atto dell'intelletto; e finalmente la volontà appagata si acquieta nel fine già posseduto. Ecco dunque che l'essenza della beatitudine consiste in un atto dell'intelletto: alla volontà invece spetta il godimento che accompagna la felicità; e in tal senso S. Agostino afferma che la beatitudine è "la gioia della verità"; poiché la gioia è il coronamento della beatitudine.

[33570] Iª-IIae q. 3 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod pax pertinet ad ultimum hominis finem, non quasi essentialiter sit ipsa beatitudo; sed quia antecedenter et consequenter se habet ad ipsam. Antecedenter quidem, inquantum iam sunt remota omnia perturbantia, et impedientia ab ultimo fine. Consequenter vero, inquantum iam homo, adepto ultimo fine, remanet pacatus, suo desiderio quietato.

 

[33570] Iª-IIae q. 3 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La pace rientra nell'ultimo fine dell'uomo, però non per essere essenzialmente la beatitudine stessa; ma perché ne è un prerequisito, o una conseguenza. Prerequisito, in quanto la felicità presuppone già rimossi tutti gli elementi che distraevano o trattenevano dall'ultimo fine. Conseguenza, in quanto l'uomo, avendo raggiunto l'ultimo fine, rimane pacificato con l'appagamento del suo desiderio.

[33571] Iª-IIae q. 3 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod primum obiectum voluntatis non est actus eius sicut nec primum obiectum visus est visio, sed visibile. Unde ex hoc ipso quod beatitudo pertinet ad voluntatem tanquam primum obiectum eius, sequitur quod non pertineat ad ipsam tanquam actus ipsius.

 

[33571] Iª-IIae q. 3 a. 4 ad 2
2. Il primo oggetto della volontà non è il proprio atto; come il primo oggetto della vista non è il vedere, ma il visibile. Perciò dal fatto stesso che la felicità appartiene alla volontà come suo primo oggetto, ne segue che non le può appartenere come atto.

[33572] Iª-IIae q. 3 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod finem primo apprehendit intellectus quam voluntas, tamen motus ad finem incipit in voluntate. Et ideo voluntati debetur id quod ultimo consequitur consecutionem finis, scilicet delectatio vel fruitio.

 

[33572] Iª-IIae q. 3 a. 4 ad 3
3. Il fine è percepito prima dall'intelletto che dalla volontà; tuttavia il moto verso il fine comincia dalla volontà. Perciò è dovuta alla volontà l'ultima conseguenza derivante dal conseguimento del fine, e cioè il godimento, o fruizione.

[33573] Iª-IIae q. 3 a. 4 ad 4
Ad quartum dicendum quod dilectio praeeminet cognitioni in movendo, sed cognitio praevia est dilectioni in attingendo, non enim diligitur nisi cognitum, ut dicit Augustinus in X de Trin. Et ideo intelligibilem finem primo attingimus per actionem intellectus; sicut et finem sensibilem primo attingimus per actionem sensus.

 

[33573] Iª-IIae q. 3 a. 4 ad 4
4. L'amore supera la conoscenza nell'ordine del causare, ma la conoscenza è anteriore all'amore nel conseguire; infatti, come scrive S. Agostino, "non si ama se non quello che si conosce". Perciò il fine di ordine intelligibile da noi viene raggiunto prima di tutto mediante un atto dell'intelletto; così come un fine di ordine sensibile prima viene raggiunto da una percezione dei sensi.

[33574] Iª-IIae q. 3 a. 4 ad 5
Ad quintum dicendum quod ille qui habet omnia quae vult, ex hoc est beatus, quod habet ea quae vult, quod quidem est per aliud quam per actum voluntatis. Sed nihil male velle requiritur ad beatitudinem sicut quaedam debita dispositio ad ipsam. Voluntas autem bona ponitur in numero bonorum quae beatum faciunt, prout est inclinatio quaedam in ipsa, sicut motus reducitur ad genus sui termini, ut alteratio ad qualitatem.

 

[33574] Iª-IIae q. 3 a. 4 ad 5
5. Colui che possiede tutto ciò che vuole, è beato per il fatto che possiede le cose che vuole: ma questo fatto avviene mediante una operazione diversa da un atto della volontà. Il non volere poi niente malamente è un prerequisito della beatitudine, come debita disposizione verso di essa. La buona volontà è posta tra i beni che rendono felici, quale propensione verso di essi: poiché i vari moti rientrano nel genere dei termini rispettivi; l'alterazione, p. es., rientra nel genere della qualità.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Che cosa sia > Se la beatitudine sia un'operazione dell'intelletto speculativo, o dell'intelletto pratico


Prima pars secundae partis
Quaestio 3
Articulus 5

[33575] Iª-IIae q. 3 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod beatitudo consistat in operatione intellectus practici. Finis enim ultimus cuiuslibet creaturae consistit in assimilatione ad Deum. Sed homo magis assimilatur Deo per intellectum practicum, qui est causa rerum intellectarum, quam per intellectum speculativum, cuius scientia accipitur a rebus. Ergo beatitudo hominis magis consistit in operatione intellectus practici quam speculativi.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 3
Articolo 5

[33575] Iª-IIae q. 3 a. 5 arg. 1
SEMBRA che la beatitudine consista in un'operazione dell'intelletto pratico. Infatti:
1. L'ultimo fine di ogni creatura consiste nella somiglianza con Dio. Ora, l'uomo diventa più simile a Dio mediante l'intelletto pratico, il quale causa le cose conosciute, che mediante quello speculativo, la cui scienza deriva dalle cose. Dunque la felicità dell'uomo consiste più nell'operazione dell'intelletto pratico, che in quella dell'intelletto speculativo.

[33576] Iª-IIae q. 3 a. 5 arg. 2
Praeterea, beatitudo est perfectum hominis bonum. Sed intellectus practicus magis ordinatur ad bonum quam speculativus, qui ordinatur ad verum. Unde et secundum perfectionem practici intellectus, dicimur boni, non autem secundum perfectionem speculativi intellectus, sed secundum eam dicimur scientes vel intelligentes. Ergo beatitudo hominis magis consistit in actu intellectus practici quam speculativi.

 

[33576] Iª-IIae q. 3 a. 5 arg. 2
2. La beatitudine è il bene umano perfetto. Ma l'intelletto pratico è più ordinato al bene di quello speculativo, che è ordinato al vero. Difatti siamo denominati buoni in base alla perfezione dell'intelletto pratico; non già in base all'eccellenza dell'intelletto speculativo, dalla quale risulta piuttosto la denominazione di sapienti o di intelligenti. Dunque la felicità dell'uomo consiste più nell'atto dell'intelletto pratico che in quello dell'intelletto speculativo.

[33577] Iª-IIae q. 3 a. 5 arg. 3
Praeterea, beatitudo est quoddam bonum ipsius hominis. Sed speculativus intellectus occupatur magis circa ea quae sunt extra hominem, practicus autem intellectus occupatur circa ea quae sunt ipsius hominis, scilicet circa operationes et passiones eius. Ergo beatitudo hominis magis consistit in operatione intellectus practici quam intellectus speculativi.

 

[33577] Iª-IIae q. 3 a. 5 arg. 3
3. La felicità è un bene dell'uomo stesso. Ma l'intelletto speculativo s'interessa piuttosto delle cose che sono fuori dell'uomo; mentre l'intelletto pratico si occupa di quelle che appartengono all'uomo stesso, cioè delle sue operazioni e delle sue passioni. Perciò la felicità dell'uomo consiste più in un'operazione dell'intelletto pratico, che in un'operazione di quello speculativo.

[33578] Iª-IIae q. 3 a. 5 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in I de Trin., quod contemplatio promittitur nobis, actionum omnium finis, atque aeterna perfectio gaudiorum.

 

[33578] Iª-IIae q. 3 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino scrive: "Ci è promessa la contemplazione, fine di tutte le azioni, ed eterna perfezione del godimento".

[33579] Iª-IIae q. 3 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod beatitudo magis consistit in operatione speculativi intellectus quam practici. Quod patet ex tribus. Primo quidem, ex hoc quod, si beatitudo hominis est operatio, oportet quod sit optima operatio hominis. Optima autem operatio hominis est quae est optimae potentiae respectu optimi obiecti. Optima autem potentia est intellectus, cuius optimum obiectum est bonum divinum, quod quidem non est obiectum practici intellectus, sed speculativi. Unde in tali operatione, scilicet in contemplatione divinorum, maxime consistit beatitudo. Et quia unusquisque videtur esse id quod est optimum in eo, ut dicitur in IX et X Ethic., ideo talis operatio est maxime propria homini, et maxime delectabilis. Secundo apparet idem ex hoc quod contemplatio maxime quaeritur propter seipsam. Actus autem intellectus practici non quaeritur propter seipsum, sed propter actionem. Ipsae etiam actiones ordinantur ad aliquem finem. Unde manifestum est quod ultimus finis non potest consistere in vita activa, quae pertinet ad intellectum practicum. Tertio idem apparet ex hoc quod in vita contemplativa homo communicat cum superioribus, scilicet cum Deo et Angelis, quibus per beatitudinem assimilatur. Sed in his quae pertinent ad vitam activam, etiam alia animalia cum homine aliqualiter communicant, licet imperfectae. Et ideo ultima et perfecta beatitudo, quae expectatur in futura vita, tota consistit in contemplatione. Beatitudo autem imperfecta, qualis hic haberi potest, primo quidem et principaliter consistit in contemplatione, secundario vero in operatione practici intellectus ordinantis actiones et passiones humanas, ut dicitur in X Ethic.

 

[33579] Iª-IIae q. 3 a. 5 co.
RISPONDO: La beatitudine consiste di più in un'operazione dell'intelletto speculativo che in un'operazione dell'intelletto pratico. E ciò è evidente per tre ragioni. Primo, perché se la felicità è un'operazione umana, è necessario che sia l'operazione umana più nobile. Ora, l'operazione umana più nobile è quella che spetta alla facoltà più nobile in rapporto al più nobile oggetto. Ma la facoltà più nobile è l'intelletto, e il suo più nobile oggetto è il bene divino, il quale non è oggetto dell'intelletto pratico, bensì di quello speculativo. Perciò la beatitudine consiste principalmente in tale operazione, cioè nella contemplazione delle cose divine. E poiché, come dice Aristotele, "ogni essere sembra identificarsi con quello che in esso c'è di più nobile", tale operazione è massimamente propria dell'uomo, e sommamente dilettevole.
Secondo, la stessa conclusione deriva dal fatto che la contemplazione più di ogni altra cosa viene desiderata per se stessa. Invece le operazioni dell'intelletto pratico non sono desiderate per se stesse, ma per le azioni (esterne). E queste azioni sono ordinate a qualche fine. Dunque è evidente che l'ultimo fine non può consistere nella vita attiva, la quale è di competenza dell'intelletto pratico.
Terzo, la vita contemplativa affianca l'uomo agli esseri superiori, cioè a Dio e agli angeli, ai quali egli diviene simile in forza della beatitudine. Invece nelle operazioni della vita attiva gli animali stessi si affiancano all'uomo, sebbene in un grado inferiore.
Perciò la felicità ultima e perfetta, che ci attende nella vita futura, consiste totalmente nella contemplazione. Invece la beatitudine imperfetta, quale è possibile avere al presente, consiste innanzi tutto e principalmente nella contemplazione; in modo secondario, però, consiste anche nelle operazioni dell'intelletto pratico che regola le azioni e le passioni umane, come dice Aristotele.

[33580] Iª-IIae q. 3 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod similitudo praedicta intellectus practici ad Deum, est secundum proportionalitatem; quia scilicet se habet ad suum cognitum, sicut Deus ad suum. Sed assimilatio intellectus speculativi ad Deum, est secundum unionem vel informationem; quae est multo maior assimilatio. Et tamen dici potest quod, respectu principalis cogniti, quod est sua essentia, non habet Deus practicam cognitionem, sed speculativam tantum.

 

[33580] Iª-IIae q. 3 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Codesta somiglianza dell'intelletto pratico con Dio è di sola proporzionalità; esso cioè sta al proprio oggetto, come Dio sta al suo. Invece la somiglianza dell'intelletto speculativo con Dio ha carattere di unione e di "informazione"; la quale è ben più intima. - Del resto si potrebbe anche rispondere che in rapporto all'oggetto suo principale, che è la propria essenza, Dio non ha una conoscenza pratica, ma soltanto speculativa.

[33581] Iª-IIae q. 3 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod intellectus practicus ordinatur ad bonum quod est extra ipsum, sed intellectus speculativus habet bonum in seipso, scilicet contemplationem veritatis. Et si illud bonum sit perfectum, ex eo totus homo perficitur et fit bonus, quod quidem intellectus practicus non habet sed ad illud ordinat.

 

[33581] Iª-IIae q. 3 a. 5 ad 2
2. L'intelletto pratico è ordinato a un bene esterno ad esso; invece l'intelletto speculativo possiede il bene in se stesso e cioè la contemplazione della verità. E se questo bene è perfetto, tutto l'uomo viene ad essere perfezionato e diventa buono: cosa che non si verifica per l'intelletto pratico, il quale può soltanto predisporre a quel bene.

[33582] Iª-IIae q. 3 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod ratio illa procederet, si ipsemet homo esset ultimus finis suus, tunc enim consideratio et ordinatio actuum et passionum eius esset eius beatitudo. Sed quia ultimus hominis finis est aliquod bonum extrinsecum, scilicet Deus, ad quem per operationem intellectus speculativi attingimus; ideo magis beatitudo hominis in operatione intellectus speculativi consistit, quam in operatione intellectus practici.

 

[33582] Iª-IIae q. 3 a. 5 ad 3
3. L'argomento potrebbe valere se l'uomo fosse l'ultimo fine di se stesso: allora la considerazione e la disciplina delle proprie azioni e passioni potrebbe essere la sua felicità. Ma siccome l'ultimo fine dell'uomo è un bene estrinseco, e cioè Dio, raggiungibile mediante l'operazione dell'intelletto speculativo, è evidente che la beatitudine dell'uomo consiste più nelle operazioni dell'intelletto speculativo che in quelle dell'intelletto pratico.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Che cosa sia > Se la beatitudine consista nell'esercizio delle scienze speculative


Prima pars secundae partis
Quaestio 3
Articulus 6

[33583] Iª-IIae q. 3 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod beatitudo hominis consistat in consideratione speculativarum scientiarum. Philosophus enim dicit, in libro Ethic., quod felicitas est operatio secundum perfectam virtutem. Et distinguens virtutes, non ponit speculativas nisi tres, scientiam, sapientiam et intellectum; quae omnes pertinent ad considerationem scientiarum speculativarum. Ergo ultima hominis beatitudo in consideratione scientiarum speculativarum consistit.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 3
Articolo 6

[33583] Iª-IIae q. 3 a. 6 arg. 1
SEMBRA che la beatitudine consista nell'esercizio delle scienze speculative. Infatti:
1. Il Filosofo scrive che "la felicità è un'operazione procedente dalla virtù perfetta". E nel classificare le virtù si limita a ricordare tra quelle speculative, "la scienza, la sapienza e l'intelletto"; le quali rientrano tutte nell'esercizio delle scienze speculative. Dunque l'ultima beatitudine dell'uomo consiste nell'esercizio delle scienze speculative.

[33584] Iª-IIae q. 3 a. 6 arg. 2
Praeterea, illud videtur esse ultima hominis beatitudo, quod naturaliter desideratur ab omnibus propter seipsum. Sed huiusmodi est consideratio speculativarum scientiarum, quia, ut dicitur in I Metaphys., omnes homines natura scire desiderant; et post pauca subditur quod speculativae scientiae propter seipsas quaeruntur. Ergo in consideratione scientiarum speculativarum consistit beatitudo.

 

[33584] Iª-IIae q. 3 a. 6 arg. 2
2. L'ultima felicità dell'uomo è costituita da quel bene che tutti desiderano per se stesso. Ma tale è precisamente l'esercizio delle scienze speculative: poiché, "tutti gli uomini desiderano naturalmente il sapere", come Aristotele scrive; e nel medesimo libro aggiunge che le scienze speculative sono ricercate per se stesse. Dunque la felicità consiste nell'esercizio delle scienze speculative.

[33585] Iª-IIae q. 3 a. 6 arg. 3
Praeterea, beatitudo est ultima hominis perfectio. Unumquodque autem perficitur secundum quod reducitur de potentia in actum. Intellectus autem humanus reducitur in actum per considerationem scientiarum speculativarum. Ergo videtur quod in huiusmodi consideratione ultima hominis beatitudo consistat.

 

[33585] Iª-IIae q. 3 a. 6 arg. 3
3. La felicità è l'ultima perfezione dell'uomo. Ora, ogni essere viene reso perfetto in quanto passa dalla potenza all'atto. Ma l'intelletto umano passa dalla potenza all'atto mediante l'esercizio delle scienze speculative. Dunque in codesto esercizio consiste l'ultima beatitudine dell'uomo.

[33586] Iª-IIae q. 3 a. 6 s. c.
Sed contra est quod dicitur Ierem. IX, non glorietur sapiens in sapientia sua; et loquitur de sapientia speculativarum scientiarum. Non ergo consistit in harum consideratione ultima hominis beatitudo.

 

[33586] Iª-IIae q. 3 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: Geremia ha scritto: "Il sapiente non vanti la sua sapienza"; e parlava della sapienza delle scienze speculative. Dunque l'ultima felicità dell'uomo non consiste nell'esercizio di codeste scienze.

[33587] Iª-IIae q. 3 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, duplex est hominis beatitudo, una perfecta, et alia imperfecta. Oportet autem intelligere perfectam beatitudinem, quae attingit ad veram beatitudinis rationem, beatitudinem autem imperfectam, quae non attingit, sed participat quandam particularem beatitudinis similitudinem. Sicut perfecta prudentia invenitur in homine, apud quem est ratio rerum agibilium, imperfecta autem prudentia est in quibusdam animalibus brutis, in quibus sunt quidam particulares instinctus ad quaedam opera similia operibus prudentiae. Perfecta igitur beatitudo in consideratione scientiarum speculativarum essentialiter consistere non potest. Ad cuius evidentiam, considerandum est quod consideratio speculativae scientiae non se extendit ultra virtutem principiorum illius scientiae, quia in principiis scientiae virtualiter tota scientia continetur. Prima autem principia scientiarum speculativarum sunt per sensum accepta; ut patet per philosophum in principio Metaphys., et in fine Poster. Unde tota consideratio scientiarum speculativarum non potest ultra extendi quam sensibilium cognitio ducere potest. In cognitione autem sensibilium non potest consistere ultima hominis beatitudo, quae est ultima eius perfectio. Non enim aliquid perficitur ab aliquo inferiori, nisi secundum quod in inferiori est aliqua participatio superioris. Manifestum est autem quod forma lapidis, vel cuiuslibet rei sensibilis, est inferior homine. Unde per formam lapidis non perficitur intellectus inquantum est talis forma, sed inquantum in ea participatur aliqua similitudo alicuius quod est supra intellectum humanum, scilicet lumen intelligibile, vel aliquid huiusmodi. Omne autem quod est per aliud, reducitur ad id quod est per se. Unde oportet quod ultima perfectio hominis sit per cognitionem alicuius rei quae sit supra intellectum humanum. Ostensum est autem quod per sensibilia non potest deveniri in cognitionem substantiarum separatarum, quae sunt supra intellectum humanum. Unde relinquitur quod ultima hominis beatitudo non possit esse in consideratione speculativarum scientiarum. Sed sicut in formis sensibilibus participatur aliqua similitudo superiorum substantiarum, ita consideratio scientiarum speculativarum est quaedam participatio verae et perfectae beatitudinis.

 

[33587] Iª-IIae q. 3 a. 6 co.
RISPONDO: Abbiamo già detto che la felicità dell'uomo è di due specie: perfetta e imperfetta. Per beatitudine perfetta si deve intendere quella che esaurisce la vera nozione di felicità; la beatitudine imperfetta quella che non la esaurisce, ma solo partecipa un aspetto particolare di essa. Lo stesso avviene per la prudenza, la quale si trova propriamente nell'uomo che possiede la retta norma delle azioni da compiere; ma si trova una prudenza imperfetta anche in certi animali, in cui si riscontrano particolari istinti a compiere opere simili a quelle dovute alla prudenza.
Per tale motivo la felicità non può consistere essenzialmente nell'esercizio delle scienze speculative. E per averne la dimostrazione si deve considerare che l'esercizio di una scienza speculativa non si estende oltre la virtualità dei suoi principii: poiché una scienza è contenuta tutta virtualmente nei suoi principii. Ma i primi principii delle scienze speculative sono appresi mediante i sensi, come Aristotele dimostra. Dunque l'esercizio delle scienze speculative può estendersi solo entro quei limiti che si possono raggiungere con la conoscenza delle cose sensibili. Ora, l'ultima beatitudine dell'uomo, che è poi la sua perfezione suprema, non può consistere nella conoscenza delle cose sensibili. Niente infatti può essere perfezionato da una realtà inferiore, se non in quanto quest'ultima partecipa di una realtà superiore. Ora, è evidente che l'idea della pietra, o di qualsiasi altra cosa sensibile, è inferiore all'uomo. Perciò l'intelletto non acquista perfezione alcuna dall'idea della pietra come tale, ma in quanto in essa c'è una partecipazione di qualche cosa che è al di sopra dell'intelletto umano, e cioè la luce intellettuale, o altre cose del genere. E siccome ciò che è per partecipazione si riporta a ciò che è tale per essenza, è necessario che l'ultima perfezione dell'uomo sia attribuita alla conoscenza di qualche cosa che è al di sopra dell'intelletto umano. Perciò rimane stabilito che l'ultima felicità dell'uomo non può consistere nell'esercizio delle scienze speculative. - Tuttavia, allo stesso modo che nelle idee di cose sensibili è partecipata una somiglianza delle sostanze superiori, così nell'esercizio delle scienze speculative si trova una certa partecipazione della vera e perfetta felicità.

[33588] Iª-IIae q. 3 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod philosophus loquitur in libro Ethicorum de felicitate imperfecta, qualiter in hac vita haberi potest, ut supra dictum est.

 

[33588] Iª-IIae q. 3 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. In quel passo il Filosofo parla della felicità imperfetta, raggiungibile, come si è visto, nella vita presente.

[33589] Iª-IIae q. 3 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod naturaliter desideratur non solum perfecta beatitudo, sed etiam qualiscumque similitudo vel participatio ipsius.

 

[33589] Iª-IIae q. 3 a. 6 ad 2
2. È desiderata naturalmente non soltanto la beatitudine perfetta, ma qualsiasi somiglianza, o partecipazione della medesima.

[33590] Iª-IIae q. 3 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod per considerationem scientiarum speculativarum reducitur intellectus noster aliquo modo in actum, non autem in ultimum et completum.

 

[33590] Iª-IIae q. 3 a. 6 ad 3
3. Esercitandosi nelle scienze speculative, il nostro intelletto passa all'atto, ma non all'atto ultimo e completo.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Che cosa sia > Se la beatitudine consista nel conoscere le sostanze separate, cioè gli angeli


Prima pars secundae partis
Quaestio 3
Articulus 7

[33591] Iª-IIae q. 3 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod beatitudo hominis consistat in cognitione substantiarum separatarum, idest Angelorum. Dicit enim Gregorius, in quadam homilia, nihil prodest interesse festis hominum, si non contingat interesse festis Angelorum; per quod finalem beatitudinem designat. Sed festis Angelorum interesse possumus per eorum contemplationem. Ergo videtur quod in contemplatione Angelorum ultima hominis beatitudo consistat.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 3
Articolo 7

[33591] Iª-IIae q. 3 a. 7 arg. 1
SEMBRA che la felicità dell'uomo consista nel conoscere le sostanze separate, cioè gli angeli. Infatti:
1. S. Gregorio afferma in una delle sue omelie: "A niente giova prender parte alle feste degli uomini, se non ci fosse dato di partecipare alle feste degli angeli"; volendo designare così l'ultima beatitudine. Ma noi possiamo prender parte alle feste degli angeli mediante la loro contemplazione.

[33592] Iª-IIae q. 3 a. 7 arg. 2
Praeterea, ultima perfectio uniuscuiusque rei est ut coniungatur suo principio, unde et circulus dicitur esse figura perfecta, quia habet idem principium et finem. Sed principium cognitionis humanae est ab ipsis Angelis, per quos homines illuminantur, ut dicit Dionysius, IV cap. Cael. Hier. Ergo perfectio humani intellectus est in contemplatione Angelorum.

 

[33592] Iª-IIae q. 3 a. 7 arg. 2
2. Qualsiasi essere trova la sua ultima perfezione nell'unione col suo principio: infatti il circolo è una figura perfetta proprio perché in esso principio e fine si identificano. Ma il principio della conoscenza umana deriva dagli angeli, i quali, come insegna Dionigi, hanno l'ufficio di illuminare gli uomini. Dunque la perfezione dell'intelletto umano consiste nella contemplazione degli angeli.

[33593] Iª-IIae q. 3 a. 7 arg. 3
Praeterea, unaquaeque natura perfecta est, quando coniungitur superiori naturae, sicut ultima perfectio corporis est ut coniungatur naturae spirituali. Sed supra intellectum humanum, ordine naturae, sunt Angeli. Ergo ultima perfectio intellectus humani est ut coniungatur per contemplationem ipsis Angelis.

 

[33593] Iª-IIae q. 3 a. 7 arg. 3
3. Una natura è perfetta quando viene ad unirsi alla natura superiore: l'ultima perfezione del corpo, p. es., si ha nella sua unione con una natura spirituale. Ora, in ordine di natura, sopra l'intelletto umano ci sono gli angeli. Dunque l'ultima perfezione dell'intelletto umano sta nell'unirsi agli angeli mediante la contemplazione.

[33594] Iª-IIae q. 3 a. 7 s. c.
Sed contra est quod dicitur Ierem. IX, in hoc glorietur qui gloriatur, scire et nosse me. Ergo ultima hominis gloria, vel beatitudo, non consistit nisi in cognitione Dei.

 

[33594] Iª-IIae q. 3 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto in Geremia: "Di questo si faccia un vanto chi vuole vantarsi, di sapere e conoscere me". Quindi l'ultima gloria, o beatitudine umana non consiste che nella conoscenza di Dio.

[33595] Iª-IIae q. 3 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, perfecta hominis beatitudo non consistit in eo quod est perfectio intellectus secundum alicuius participationem, sed in eo quod est per essentiam tale. Manifestum est autem quod unumquodque intantum est perfectio alicuius potentiae, inquantum ad ipsum pertinet ratio proprii obiecti illius potentiae. Proprium autem obiectum intellectus est verum. Quidquid ergo habet veritatem participatam, contemplatum non facit intellectum perfectum ultima perfectione. Cum autem eadem sit dispositio rerum in esse sicut in veritate, ut dicitur in II Metaphys.; quaecumque sunt entia per participationem, sunt vera per participationem. Angeli autem habent esse participatum, quia solius Dei suum esse est sua essentia, ut in primo ostensum est. Unde relinquitur quod solus Deus sit veritas per essentiam, et quod eius contemplatio faciat perfecte beatum. Aliqualem autem beatitudinem imperfectam nihil prohibet attendi in contemplatione Angelorum; et etiam altiorem quam in consideratione scientiarum speculativarum.

 

[33595] Iª-IIae q. 3 a. 7 co.
RISPONDO: Come si è già detto, la perfetta felicità dell'uomo non può consistere in qualche cosa che è perfezione dell'intelletto, perché partecipazione di un'altra, ma che è tale per essenza. Ora è evidente che una data cosa costituisce la perfezione di una potenza, nella misura in cui partecipa la natura dell'oggetto proprio della suddetta potenza. Ora, oggetto proprio dell'intelletto è la verità. Perciò tutti gli esseri che hanno una verità partecipata sono incapaci, mediante la loro contemplazione, di perfezionare l'intelletto secondo l'ultima sua perfezione. E poiché, al dire di Aristotele, le cose stanno alla verità come stanno all'essere; tutte le cose che sono enti per partecipazione, sono anche vere per partecipazione. Ora, gli angeli hanno un essere partecipato: poiché in Dio soltanto l'essere s'identifica con l'essenza, come si è visto nella Prima Parte. Perciò rimane provato che Dio soltanto è verità per essenza, e che la contemplazione di lui rende perfettamente felici. - Tuttavia niente impedisce che si possa riscontrare nella contemplazione degli angeli una beatitudine imperfetta, e più grande ancora che nell'esercizio delle scienze speculative.

[33596] Iª-IIae q. 3 a. 7 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod festis Angelorum intererimus non solum contemplantes Angelos, sed simul cum ipsis, Deum.

 

[33596] Iª-IIae q. 3 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Condivideremo le angeliche feste non solo contemplando gli angeli, ma contemplando Dio con essi.

[33597] Iª-IIae q. 3 a. 7 ad 2
Ad secundum dicendum quod, secundum illos qui ponunt animas humanas esse ab Angelis creatas, satis conveniens videtur quod beatitudo hominis sit in contemplatione Angelorum, quasi in coniunctione ad suum principium. Sed hoc est erroneum, ut in primo dictum est. Unde ultima perfectio intellectus humani est per coniunctionem ad Deum, qui est primum principium et creationis animae et illuminationis eius. Angelus autem illuminat tanquam minister, ut in primo habitum est. Unde suo ministerio adiuvat hominem ut ad beatitudinem perveniat, non autem est humanae beatitudinis obiectum.

 

[33597] Iª-IIae q. 3 a. 7 ad 2
2. Secondo quelli che attribuiscono agli angeli la creazione delle anime, è troppo logico che la beatitudine dell'uomo si trovi nella contemplazione degli angeli, attuando così l'unione al proprio principio. Ma ciò è falso, come abbiamo visto nella Prima Parte. Dunque l'ultima perfezione dell'intelletto umano avviene nell'unione con Dio, primo principio della creazione e della spirituale illuminazione. Invece l'angelo, come si disse, illumina soltanto come ministro. Egli perciò col suo ministero aiuta l'uomo a raggiungere la felicità, ma non è l'oggetto della beatitudine umana.

[33598] Iª-IIae q. 3 a. 7 ad 3
Ad tertium dicendum quod attingi superiorem naturam ab inferiori contingit dupliciter. Uno modo, secundum gradum potentiae participantis, et sic ultima perfectio hominis erit in hoc quod homo attinget ad contemplandum sicut Angeli contemplantur. Alio modo, sicut obiectum attingitur a potentia, et hoc modo ultima perfectio cuiuslibet potentiae est ut attingat ad id in quo plene invenitur ratio sui obiecti.

 

[33598] Iª-IIae q. 3 a. 7 ad 3
3. La natura inferiore può raggiungere quella superiore in due maniere. Primo, in rapporto al grado della facoltà di chi è chiamato a parteciparne: e in questo senso l'ultima perfezione umana consisterà nel fatto che l'uomo arriverà a contemplare come contemplano gli angeli. Secondo, rispettivamente all'oggetto raggiunto dalla facoltà: e allora l'ultima perfezione di qualsiasi potenza consiste nel raggiungere la realtà in cui si trova pienamente attuata la ragione formale del proprio oggetto.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Che cosa sia > Se la beatitudine umana consista nella visione dell'essenza divina


Prima pars secundae partis
Quaestio 3
Articulus 8

[33599] Iª-IIae q. 3 a. 8 arg. 1
Ad octavum sic proceditur. Videtur quod beatitudo hominis non sit in visione ipsius divinae essentiae. Dicit enim Dionysius, in I cap. Myst. Theol., quod per id quod est supremum intellectus, homo Deo coniungitur sicut omnino ignoto. Sed id quod videtur per essentiam, non est omnino ignotum. Ergo ultima intellectus perfectio, seu beatitudo, non consistit in hoc quod Deus per essentiam videtur.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 3
Articolo 8

[33599] Iª-IIae q. 3 a. 8 arg. 1
SEMBRA che la beatitudine umana non consista nella visione dell'essenza stessa di Dio. Infatti:
1. Dionigi insegna che l'uomo si unisce a Dio come a un essere totalmente sconosciuto mediante l'apice della sua mente. Ora, ciò che si vede nella sua essenza non è davvero sconosciuto. Dunque l'ultima perfezione dell'intelletto, cioè la beatitudine, non può consistere nel vedere Dio per essenza.

[33600] Iª-IIae q. 3 a. 8 arg. 2
Praeterea, altioris naturae altior est perfectio. Sed haec est perfectio divini intellectus propria, ut suam essentiam videat. Ergo ultima perfectio intellectus humani ad hoc non pertingit, sed infra subsistit.

 

[33600] Iª-IIae q. 3 a. 8 arg. 2
2. Una natura superiore ha una perfezione superiore. Ma vedere la propria essenza è perfezione peculiare dell'intelletto divino. Dunque la perfezione ultima dell'intelletto umano non può arrivare a tanto, ma deve restare al disotto.

[33601] Iª-IIae q. 3 a. 8 s. c.
Sed contra est quod dicitur I Ioan. III, cum apparuerit, similes ei erimus, et videbimus eum sicuti ipse est.

 

[33601] Iª-IIae q. 3 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: Nel Vangelo si legge: "Quando (Dio) si manifesterà saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è".

[33602] Iª-IIae q. 3 a. 8 co.
Respondeo dicendum quod ultima et perfecta beatitudo non potest esse nisi in visione divinae essentiae. Ad cuius evidentiam, duo consideranda sunt. Primo quidem, quod homo non est perfecte beatus, quandiu restat sibi aliquid desiderandum et quaerendum. Secundum est, quod uniuscuiusque potentiae perfectio attenditur secundum rationem sui obiecti. Obiectum autem intellectus est quod quid est, idest essentia rei, ut dicitur in III de anima. Unde intantum procedit perfectio intellectus, inquantum cognoscit essentiam alicuius rei. Si ergo intellectus aliquis cognoscat essentiam alicuius effectus, per quam non possit cognosci essentia causae, ut scilicet sciatur de causa quid est; non dicitur intellectus attingere ad causam simpliciter, quamvis per effectum cognoscere possit de causa an sit. Et ideo remanet naturaliter homini desiderium, cum cognoscit effectum, et scit eum habere causam, ut etiam sciat de causa quid est. Et illud desiderium est admirationis, et causat inquisitionem, ut dicitur in principio Metaphys. Puta si aliquis cognoscens eclipsim solis, considerat quod ex aliqua causa procedit, de qua, quia nescit quid sit, admiratur, et admirando inquirit. Nec ista inquisitio quiescit quousque perveniat ad cognoscendum essentiam causae. Si igitur intellectus humanus, cognoscens essentiam alicuius effectus creati, non cognoscat de Deo nisi an est; nondum perfectio eius attingit simpliciter ad causam primam, sed remanet ei adhuc naturale desiderium inquirendi causam. Unde nondum est perfecte beatus. Ad perfectam igitur beatitudinem requiritur quod intellectus pertingat ad ipsam essentiam primae causae. Et sic perfectionem suam habebit per unionem ad Deum sicut ad obiectum, in quo solo beatitudo hominis consistit, ut supra dictum est.

 

[33602] Iª-IIae q. 3 a. 8 co.
RISPONDO: La felicità ultima e perfetta non può consistere che nella visione dell'essenza divina. Per averne la dimostrazione si impongono due considerazioni. La prima, che l'uomo non è perfettamente felice fino a che gli rimane qualche cosa da desiderare e da cercare. La seconda, che la perfezione di ciascuna potenza è determinata dalla natura del proprio oggetto. Ora, l'intelletto, come insegna Aristotele, ha per oggetto la quiddità, o essenza delle cose. Perciò la perfezione di un intelletto si misura dal suo modo di conoscere l'essenza di una cosa. Cosicché se un intelletto viene a conoscere l'essenza di un effetto, da cui non è in grado di conoscere l'essenza o quiddità della causa, non si dirà che l'intelletto può raggiungere senz'altro la causa, sebbene possa conoscerne l'esistenza mediante gli effetti. Perciò rimane nell'uomo il desiderio naturale di conoscere la quiddità della causa, quando nel conoscere gli effetti arriva a comprendere che essi hanno una causa. Si tratta di un desiderio dovuto a meraviglia, come dice Aristotele, che stimola la ricerca. Chi, p. es., osserva le eclissi del sole, capisce la loro dipendenza da una causa, la cui natura però gli sfugge, allora si meraviglia, e mosso dalla meraviglia si pone alla ricerca. Ma questa non cessa finché non arrivi a conoscere la natura della causa.
Ora, dal momento che l'intelletto umano, conoscendo la natura di un effetto creato, arriva a conoscere solo l'esistenza di Dio; la perfezione conseguita non è tale da raggiungere davvero la causa prima, ma gli rimane ancora il desiderio naturale di indagarne la natura. Quindi non è perfettamente felice. Ma alla perfetta felicità si richiede che l'intelletto raggiunga l'essenza stessa della causa prima. E allora avrà la sua perfezione nel possesso oggettivo di Dio, nel quale soltanto si trova la felicità dell'uomo, come abbiamo detto.

[33603] Iª-IIae q. 3 a. 8 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Dionysius loquitur de cognitione eorum qui sunt in via, tendentes ad beatitudinem.

 

[33603] Iª-IIae q. 3 a. 8 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dionigi parla in questo caso della conoscenza dei viatori, che tendono alla beatitudine.

[33604] Iª-IIae q. 3 a. 8 ad 2
Ad secundum dicendum quod, sicut supra dictum est, finis potest accipi dupliciter. Uno modo, quantum ad rem ipsam quae desideratur, et hoc modo idem est finis superioris et inferioris naturae, immo omnium rerum, ut supra dictum est. Alio modo, quantum ad consecutionem huius rei, et sic diversus est finis superioris et inferioris naturae, secundum diversam habitudinem ad rem talem. Sic igitur altior est beatitudo Dei suam essentiam intellectu comprehendentis, quam hominis vel Angeli videntis, et non comprehendentis.

 

[33604] Iª-IIae q. 3 a. 8 ad 2
2. Come abbiamo già spiegato, il fine si può prendere in due sensi. Primo, può indicare l'oggetto stesso desiderato: e in questo senso è identico il fine per la natura superiore e per quella inferiore, anzi è identico per tutti gli esseri, come abbiamo già visto. Secondo, può indicare il conseguimento dell'oggetto: e allora il fine di una natura superiore differisce da quello della natura inferiore, in base alla diversità dei rapporti con tale oggetto. Perciò la beatitudine di Dio, che abbraccia, o comprende perfettamente col suo intelletto la propria essenza, è superiore a quella dell'uomo, o dell'angelo, i quali vedono quell'essenza senza averne la comprensione.

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