Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Rimedi della tristezza o dolore > Se il dolore, o tristezza, sia alleviato da qualsiasi piacere
Prima pars secundae partis
Quaestio 38
Articulus 1
[35159] Iª-IIae q. 38 a. 1 arg. 1 Ad primum sic proceditur. Videtur quod non quaelibet delectatio mitiget quemlibet dolorem seu tristitiam. Non enim delectatio tristitiam mitigat, nisi inquantum ei contrariatur, medicinae enim fiunt per contraria, ut dicitur in II Ethic. Sed non quaelibet delectatio contrariatur cuilibet tristitiae, ut supra dictum est. Ergo non quaelibet delectatio mitigat quamlibet tristitiam.
|
|
Prima parte della seconda parte
Questione 38
Articolo 1
[35159] Iª-IIae q. 38 a. 1 arg. 1
SEMBRA che non tutti i piaceri possano alleviare qualsiasi dolore, o tristezza. Infatti:
1. Il piacere non allevia il dolore, se non perché è ad esso contrario: infatti, come dice Aristotele, "i rimedi si ottengono dai contrari". Ora, non tutti i piaceri sono contrari a qualsiasi dolore, come sopra abbiamo visto. Dunque non può alleviare qualsiasi dolore un piacere qualunque.
|
[35160] Iª-IIae q. 38 a. 1 arg. 2 Praeterea, illud quod causat tristitiam, non mitigat tristitiam. Sed aliquae delectationes causant tristitiam, quia, ut dicitur in IX Ethic., malus tristatur quoniam delectatus est. Non ergo omnis delectatio mitigat tristitiam.
|
|
[35160] Iª-IIae q. 38 a. 1 arg. 2
2. Non può alleviare il dolore ciò che lo causa. Ora, certi piaceri causano il dolore: poiché, come scrive Aristotele, "chi ha fatto del male si rattrista per aver goduto". Dunque non ogni piacere mitiga il dolore.
|
[35161] Iª-IIae q. 38 a. 1 arg. 3 Praeterea, Augustinus dicit, in IV Confess., quod ipse fugit de patria, in qua conversari solitus erat cum amico suo iam mortuo, minus enim quaerebant eum oculi eius, ubi videre non solebant. Ex quo accipi potest quod illa in quibus nobis amici mortui vel absentes communicaverunt, efficiuntur nobis, de eorum morte vel absentia dolentibus, onerosa. Sed maxime communicaverunt nobis in delectationibus. Ergo ipsae delectationes efficiuntur nobis dolentibus onerosae. Non ergo quaelibet delectatio mitigat quamlibet tristitiam.
|
|
[35161] Iª-IIae q. 38 a. 1 arg. 3
3. S. Agostino racconta di aver abbandonato la patria, nella quale aveva a lungo vissuto con l'amico defunto: "perché i suoi occhi lo avrebbero cercato meno, là dove non erano soliti vederlo". Da questo fatto si desume che le cose, in cui gli amici morti o assenti hanno comunicato con noi, diventano per noi penose, quando siamo addolorati della loro morte o della loro assenza. Ma essi hanno avuto in comune con noi specialmente i godimenti. Perciò i godimenti stessi diventano penosi quando siamo addolorati. Dunque non tutti i godimenti possono alleviare qualsiasi tristezza.
|
[35162] Iª-IIae q. 38 a. 1 s. c. Sed contra est quod philosophus dicit, in VII Ethic., quod expellit delectatio tristitiam, et quae contraria, et quae contingens, si sit fortis.
|
|
[35162] Iª-IIae q. 38 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo insegna, che "il piacere scaccia la tristezza, e quella contraria, e qualsiasi altra, purché sia forte".
|
[35163] Iª-IIae q. 38 a. 1 co. Respondeo dicendum quod, sicut ex praedictis patet, delectatio est quaedam quies appetitus in bono convenienti; tristitia autem est ex eo quod repugnat appetitui. Unde sic se habet delectatio ad tristitiam in motibus appetitivis, sicut se habet in corporibus quies ad fatigationem, quae accidit ex aliqua transmutatione innaturali, nam et ipsa tristitia fatigationem quandam, seu aegritudinem appetitivae virtutis importat. Sicut igitur quaelibet quies corporis remedium affert contra quamlibet fatigationem, ex quacumque causa innaturali provenientem; ita quaelibet delectatio remedium affert ad mitigandam quamlibet tristitiam, ex quocumque procedat.
|
|
[35163] Iª-IIae q. 38 a. 1 co.
RISPONDO: Come abbiamo già detto, il piacere è il quietarsi dell'appetito nel bene voluto, mentre il dolore nasce da ciò che contraria l’appetito. Perciò tra i motivi dell'appetito il piacere sta alla tristezza, come nell'attività del corpo il riposo sta alla fatica, prodotta da qualche alterazione innaturale: del resto il dolore stesso implica un affaticamento o un'infermità della potenza appetitiva. Perciò come qualsiasi riposo del corpo è un rimedio contro qualsiasi fatica, proveniente da qualsiasi causa innaturale; così qualsiasi piacere porta un sollievo capace di mitigare qualsiasi tristezza, qualunque ne sia l'origine.
|
[35164] Iª-IIae q. 38 a. 1 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod, licet non omnis delectatio contrarietur omni tristitiae secundum speciem, contrariatur tamen secundum genus, ut supra dictum est. Et ideo ex parte dispositionis subiecti, quaelibet tristitia per quamlibet delectationem mitigari potest.
|
|
[35164] Iª-IIae q. 38 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene non tutti i piaceri siano contrari specificamente a qualsiasi tristezza, sono però contrari nel genere, come sopra abbiamo notato. Perciò, per il suo influsso sulle condizioni del soggetto, qualsiasi piacere può alleviare qualsiasi tristezza.
|
[35165] Iª-IIae q. 38 a. 1 ad 2 Ad secundum dicendum quod delectationes malorum non causant tristitiam in praesenti, sed in futuro, inquantum scilicet mali poenitent de malis de quibus laetitiam habuerunt. Et huic tristitiae subvenitur per contrarias delectationes.
|
|
[35165] Iª-IIae q. 38 a. 1 ad 2
2. I piaceri dei malvagi non producono tristezza nel presente, ma nel futuro: cioè quando i malvagi si pentono del male in cui provarono godimento. Anche a questa tristezza si rimedia con i piaceri contrari.
|
[35166] Iª-IIae q. 38 a. 1 ad 3 Ad tertium dicendum quod, quando sunt duae causae ad contrarios motus inclinantes, utraque alteram impedit, et tamen illa finaliter vincit, quae fortior est et diuturnior. In eo autem qui tristatur de his in quibus simul cum amico mortuo vel absente delectari consuevit, duae causae in contrarium moventes inveniuntur. Nam mors vel absentia amici recogitata, inclinat ad dolorem, bonum autem praesens inclinat ad delectationem. Unde utrumque per alterum minuitur. Sed tamen, quia fortius movet sensus praesentis quam memoria praeteriti, et amor sui ipsius quam amor alterius diuturnius manet; inde est quod finaliter delectatio tristitiam expellit. Unde post pauca subdit ibidem Augustinus quod pristinis generibus delectationum cedebat dolor eius.
|
|
[35166] Iª-IIae q. 38 a. 1 ad 3
3. Quando due cause spingono verso moti contrari, l'una è di ostacolo all'altra: ma finisce col prevalere la più forte e la più tenace. Ora, in colui che è addolorato per il ricordo di quanto era solito godere con l'amico morto o assente, si trovano due cause dai moti contrari. Infatti il pensiero della morte, o dell'assenza dell'amico inclina al dolore: il bene presente, invece, inclina al godimento. Perciò l'uno disturba l'altro. Ma poiché muove più fortemente la percezione sensibile del presente che la memoria del passato, e l'amore verso se stessi è più tenace dell'amore verso gli altri, finalmente il piacere scaccia il dolore. Perciò S. Agostino aggiunge poco dopo, che "il suo dolore cedeva davanti ai medesimi piaceri di una volta".
|
|
|