Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Effetti del dolore, o tristezza > Se il dolore tolga la facoltà di apprendere
Prima pars secundae partis
Quaestio 37
Articulus 1
[35128] Iª-IIae q. 37 a. 1 arg. 1 Ad primum sic proceditur. Videtur quod dolor non auferat facultatem addiscendi. Dicitur enim Isaiae XXVI, cum feceris iudicia tua in terra, iustitiam discent omnes habitatores orbis. Et infra, in tribulatione murmuris doctrina tua eis, sed ex iudiciis Dei, et tribulatione, sequitur dolor seu tristitia in cordibus hominum. Ergo dolor vel tristitia non tollit, sed magis auget facultatem addiscendi.
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Prima parte della seconda parte
Questione 37
Articolo 1
[35128] Iª-IIae q. 37 a. 1 arg. 1
SEMBRA che il dolore non tolga la facoltà di apprendere. Infatti:
1. Sta scritto in Isaia: "Allorché tu avrai eseguito i tuoi giudizi in terra, gli abitanti del mondo apprenderanno la giustizia". E poco dopo: "Il gemito della tribolazione fu scuola per essi". Ma dai giudizi di Dio e della tribolazione nasce il dolore nel cuore degli uomini. Dunque il dolore, o tristezza non toglie, ma accresce la facoltà di apprendere.
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[35129] Iª-IIae q. 37 a. 1 arg. 2 Praeterea, Isaiae XXVIII, dicitur, quem docebit scientiam? Et quem intelligere faciet auditum? Ablactatos a lacte, avulsos ab uberibus idest a delectationibus. Sed dolor et tristitia maxime tollunt delectationes, impedit enim tristitia omnem delectationem, ut dicitur in VII Ethic.; et Eccli. XI dicitur quod malitia unius horae oblivionem facit luxuriae maximae. Ergo dolor non tollit, sed magis praebet facultatem addiscendi.
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[35129] Iª-IIae q. 37 a. 1 arg. 2
2. Sta scritto ancora in Isaia: "A chi insegnerà egli la scienza? Da chi si farà egli intendere? Da bambini slattati, staccati dalle mammelle", cioè dai piaceri. Ma il dolore e la tristezza scacciano i piaceri: infatti, come scrive Aristotele, la tristezza ostacola tutti i piaceri; e nella Scrittura si legge, che "il male di un'ora fa dimenticare le più grandi delizie". Dunque il dolore non toglie, ma piuttosto conferisce la capacità di apprendere.
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[35130] Iª-IIae q. 37 a. 1 arg. 3 Praeterea, tristitia interior praeeminet dolori exteriori, ut supra dictum est. Sed simul cum tristitia potest homo addiscere. Ergo multo magis simul cum dolore corporali.
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[35130] Iª-IIae q. 37 a. 1 arg. 3
3. La tristezza inferiore supera il dolore esterno, come abbiamo detto. Ma un uomo è capace di apprendere con la tristezza. Molto più dunque ne sarà capace col dolore fisico.
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[35131] Iª-IIae q. 37 a. 1 s. c. Sed contra est quod Augustinus dicit, in I Soliloq., quanquam acerrimo dolore dentium his diebus torquerer, non quidem sinebar animo volvere nisi ea quae iam forte didiceram. A discendo autem penitus impediebar, ad quod mihi tota intentione animi opus erat.
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[35131] Iª-IIae q. 37 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino racconta: "Pertanto in quei giorni io era afflitto da un atroce dolor di denti, che mi lasciava appena ripensare alle cose che già sapevo. Ma mi impediva assolutamente lo studio di cose nuove, per il quale mi era necessaria tutta l'attenzione dell'animo".
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[35132] Iª-IIae q. 37 a. 1 co. Respondeo dicendum quod, quia omnes potentiae animae in una essentia animae radicantur, necesse est quod, quando intentio animae vehementer trahitur ad operationem unius potentiae, retrahatur ab operatione alterius, unius enim animae non potest esse nisi una intentio. Et propter hoc, si aliquid ad se trahat totam intentionem animae, vel magnam partem ipsius, non compatitur secum aliquid aliud quod magnam attentionem requirat. Manifestum est autem quod dolor sensibilis maxime trahit ad se intentionem animae, quia naturaliter unumquodque tota intentione tendit ad repellendum contrarium, sicut etiam in rebus naturalibus apparet. Similiter etiam manifestum est quod ad addiscendum aliquid de novo, requiritur studium et conatus cum magna intentione, ut patet per illud quod dicitur Prov. II, si quaesieris sapientiam quasi pecuniam, et sicut thesauros effoderis eam, tunc intelliges disciplinam. Et ideo si sit dolor intensus, impeditur homo ne tunc aliquid addiscere possit. Et tantum potest intendi, quod nec etiam, instante dolore, potest homo aliquid considerare etiam quod prius scivit. In hoc tamen attenditur diversitas secundum diversitatem amoris quem homo habet ad addiscendum vel considerandum, qui quanto maior fuerit, magis retinet intentionem animi, ne omnino feratur ad dolorem.
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[35132] Iª-IIae q. 37 a. 1 co.
RISPONDO: Tutte le facoltà psichiche sono radicate nella medesima essenza dell'anima; perciò quando l'attenzione dell'anima è attratta fortemente verso l'operazione di una data potenza, viene distratta dall'attività delle altre: infatti un'anima non può avere che una sola applicazione. Per questo motivo, se una cosa attira a sé tutta l'applicazione dell'anima, o gran parte di essa, rende incompossibile altre cose che richiedono una grande attenzione.
Ora, è noto che il dolore sensibile attira a sé in maniera fortissima l'attenzione dell'anima: poiché per natura ogni essere tende con ogni sua forza a respingere le forze contrarie, come è evidente nel mondo della natura. Ma è anche noto che per imparare qualche cosa di nuovo, si richiede studio e sforzo con grande attenzione, secondo quel detto dei Proverbi: "Se andrai cercando la sapienza come il denaro, scavando come per scoprire tesori nascosti, allora tu intenderai la scienza". Perciò se capita un dolore intenso, l'uomo viene ostacolato nella sua facoltà di apprendere. E il dolore può acuirsi al punto da impedire persino che un uomo possa pensare alle cose già imparate. - In questo però si deve ammettere una diversità di casi, secondo l'intensità dell'amore col quale ciascuno si applica a imparare e a meditare: infatti più grande sarà [codesto amore], e più sarà in grado di sottrarre l'attenzione dell'animo alla morsa del dolore.
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[35133] Iª-IIae q. 37 a. 1 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod tristitia moderata, quae excludit evagationem animi, potest conferre ad disciplinam suscipiendam, et praecipue eorum per quae homo sperat se posse a tristitia liberari. Et hoc modo in tribulatione murmuris homines doctrinam Dei magis recipiunt.
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[35133] Iª-IIae q. 37 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Una tristezza moderata, che toglie le divagazioni dello spirito, può giovare al profitto nell'apprendere: specialmente quando si tratta di apprendere cose che danno la speranza di potersi liberare dalla tristezza. Ecco perché "nel gemito della tribolazione" gli uomini meglio ricevono gl'insegnamenti di Dio.
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[35134] Iª-IIae q. 37 a. 1 ad 2 Ad secundum dicendum quod tam delectatio quam dolor, inquantum ad se trahunt animae intentionem, impediunt considerationem rationis, unde in VII Ethic. dicitur quod impossibile est in ipsa delectatione venereorum, aliquid intelligere. Sed tamen dolor magis trahit ad se intentionem animae quam delectatio, sicut etiam videmus in rebus naturalibus, quod actio corporis naturalis magis intenditur in contrarium; sicut aqua calefacta magis patitur a frigido, ut fortius congeletur. Si ergo dolor seu tristitia fuerit moderata, per accidens potest conferre ad addiscendum, inquantum aufert superabundantiam delectationum. Sed per se impedit, et si intendatur, totaliter aufert.
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[35134] Iª-IIae q. 37 a. 1 ad 2
2. Sia il piacere che il dolore ostacolano l'esercizio della ragione, perché attirano a sé l'attenzione dell'anima: infatti Aristotele scrive, che "è impossibile intendere qualche cosa nell'atto del piacere venereo". Tuttavia il dolore attira più del piacere l'attenzione dell'anima: e del resto anche nel mondo fisico vediamo che l'azione di un corpo viene a intensificarsi di fronte al suo contrario; l'acqua calda, p. es., viene congelata dal freddo con più forza. Perciò se un dolore, o tristezza, è moderato, accidentalmente può giovare allo studio, in quanto elimina l'eccesso del piacere. Ma di suo è di ostacolo: e se aumenta, può impedirlo del tutto.
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[35135] Iª-IIae q. 37 a. 1 ad 3 Ad tertium dicendum quod dolor exterior accidit ex laesione corporali, et ita magis habet transmutationem corporalem adiunctam quam dolor interior, qui tamen est maior secundum illud quod est formale in dolore, quod est ex parte animae. Et ideo dolor corporalis magis impedit contemplationem, quae requirit omnimodam quietem, quam dolor interior. Et tamen etiam dolor interior, si multum intendatur, ita trahit intentionem, ut non possit homo de novo aliquid addiscere. Unde et Gregorius propter tristitiam intermisit Ezechielis expositionem.
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[35135] Iª-IIae q. 37 a. 1 ad 3
3. Il dolore esterno deriva da una lesione del corpo, e quindi presenta una trasmutazione fisica concomitante più forte del dolore interno: questo però è superiore per l'elemento formale del dolore, che dipende dall'anima. Perciò il dolore fisico, più di quello interiore, impedisce la contemplazione, che richiede una tranquillità completa. Tuttavia anche il dolore interno, se è molto intenso, attira talmente l'attenzione da mettere un uomo nell'impossibilità di apprendere cose nuove. A causa di cotesta tristezza, S. Gregorio interruppe il commento di Ezechiele.
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