[34972] Iª-IIae q. 33 a. 2 co. Respondeo dicendum quod delectatio dupliciter potest considerari, uno modo, secundum quod est in actu; alio modo, secundum quod est in memoria. Item sitis, vel desiderium, potest dupliciter accipi, uno modo, proprie, secundum quod importat appetitum rei non habitae; alio modo, communiter, secundum quod importat exclusionem fastidii. Secundum quidem igitur quod est in actu, delectatio non causat sitim vel desiderium sui ipsius, per se loquendo, sed solum per accidens, si tamen sitis vel desiderium dicatur rei non habitae appetitus, nam delectatio est affectio appetitus circa rem praesentem. Sed contingit rem praesentem non perfecte haberi. Et hoc potest esse vel ex parte rei habitae, vel ex parte habentis. Ex parte quidem rei habitae, eo quod res habita non est tota simul, unde successive recipitur, et dum aliquis delectatur in eo quod habet, desiderat potiri eo quod restat; sicut qui audit primam partem versus, et in hoc delectatur, desiderat alteram partem versus audire, ut Augustinus dicit, IV Confess. Et hoc modo omnes fere delectationes corporales faciunt sui ipsarum sitim, quousque consummentur, eo quod tales delectationes consequuntur aliquem motum, sicut patet in delectationibus ciborum. Ex parte autem ipsius habentis, sicut cum aliquis aliquam rem in se perfectam existentem, non statim perfecte habet, sed paulatim acquirit. Sicut in mundo isto, percipientes aliquid imperfecte de divina cognitione, delectamur; et ipsa delectatio excitat sitim vel desiderium perfectae cognitionis; secundum quod potest intelligi quod habetur Eccli. XXIV, qui bibunt me, adhuc sitient. Si vero per sitim vel desiderium intelligatur sola intensio affectus tollens fastidium, sic delectationes spirituales maxime faciunt sitim vel desiderium sui ipsarum. Delectationes enim corporales, quia augmentatae, vel etiam continuatae, faciunt superexcrescentiam naturalis habitudinis, efficiuntur fastidiosae; ut patet in delectatione ciborum. Et propter hoc, quando aliquis iam pervenit ad perfectum in delectationibus corporalibus, fastidit eas, et quandoque appetit aliquas alias. Sed delectationes spirituales non superexcrescunt naturalem habitudinem, sed perficiunt naturam. Unde cum pervenitur ad consummationem in ipsis, tunc sunt magis delectabiles, nisi forte per accidens, inquantum operationi contemplativae adiunguntur aliquae operationes virtutum corporalium, quae per assiduitatem operandi lassantur. Et per hunc etiam modum potest intelligi quod dicitur Eccli. XXIV qui bibit me, adhuc sitiet. Quia etiam de Angelis, qui perfecte Deum cognoscunt, et delectantur in ipso, dicitur I Petri I, quod desiderant in eum conspicere. Si vero consideretur delectatio prout est in memoria et non in actu, sic per se nata est causare sui ipsius sitim et desiderium, quando scilicet homo redit ad illam dispositionem in qua erat sibi delectabile quod praeteriit. Si vero immutatus sit ab illa dispositione, memoria delectationis non causat in eo delectationem, sed fastidium, sicut pleno existenti memoria cibi.
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[34972] Iª-IIae q. 33 a. 2 co.
RISPONDO: Il piacere si può considerare in due modi: primo, come cosa in atto: secondo, come ricordo. - Così pure la sete, o desiderio, si può prendere in due sensi: primo, in senso proprio, in quanto implica la brama di una cosa non posseduta; secondo, in senso lato, in quanto implica esclusione di nausea.
Ora, il piacere, come cosa attuale, non provoca direttamente la sete o il desiderio di se stesso, ma solo per accidens; prendendo però il desiderio come appetito di ciò che ancora non si possiede: infatti il piacere è la disposizione dell'appetito verso un bene presente. – Ma può capitare che il bene presente non si possieda in modo perfetto, sia per parte della cosa posseduta, sia per parte del soggetto che la possiede. Per parte della cosa posseduta, per il fatto che non è tutta simultaneamente: perciò viene ricevuta in fasi successive, cosicché mentre uno gode di ciò che ha, desidera impossessarsi di ciò che rimane; così, per portare l'esempio di S. Agostino, chi ascolta la prima parte di un verso che gli piace, desidera ascoltarne la seconda parte. E in questo senso quasi tutti i piaceri del corpo producono la sete di se medesimi, fino a che non siano compiuti, poiché tali piaceri dipendono da qualche moto: il che è evidente nei piaceri della mensa. - Può capitare poi per parte del soggetto, nel caso in cui uno non possieda perfettamente la cosa che in se stessa è perfetta, ma l'acquisti un poco per volta. Così in questo mondo, coloro che imperfettamente partecipano qualche cosa della conoscenza di Dio, ne godono; ma il godimento stesso provoca la sete, o desiderio della conoscenza perfetta; al che possiamo applicare le parole dell'Ecclesiastico: "Quei che mi bevono avranno sete ancora".
Se poi col termine sete, o desiderio s'intende la sola intensità dell'affetto che esclude la nausea, allora sono specialmente i godimenti spirituali a provocare la sete, o il desiderio di se medesimi. Infatti i piaceri del corpo diventano nauseanti col crescere d'intensità e di durata, poiché passano i limiti della complessione naturale; il che è evidente nei piaceri della gola. Per questo, quando uno è arrivato al sommo nei piaceri del corpo, ne prova nausea, e desidera qualche cosa d'altro. - Invece i godimenti spirituali non passano mai i limiti della complessione naturale, ma perfezionano la natura. Perciò, quando in essi si giunge al colmo, allora diventano maggiormente piacevoli: tutt'al più indirettamente [può succedere il contrario], in quanto la contemplazione è accompagnata dalle operazioni delle facoltà organiche, le quali si stancano per la continuità del loro esercizio. E a questo fatto si può ancora una volta applicare quel testo: "Quei che mi beve, avrà sete ancora". Poiché anche per gli angeli, i quali perfettamente conoscono Dio e ne godono, sta scritto, che "desiderano di penetrare in lui con lo sguardo".
Ma se lo consideriamo come ricordo esistente nella memoria, e non come cosa in atto, allora il piacere di suo è fatto per provocare la sete e il desiderio di se medesimo: in quanto l'uomo torna a quella disposizione, in cui aveva trovato piacevole una cosa passata. Se però quella disposizione è cambiata, il ricordo del piacere non causa godimento in lui, ma nausea: come a chi è sazio, il ricordo del cibo.
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