I-II, 31

Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Il piacere in se stesso


Prima pars secundae partis
Quaestio 31
Prooemium

[34831] Iª-IIae q. 31 pr.
Deinde considerandum est de delectatione et tristitia. Circa delectationem vero consideranda sunt quatuor, primo, de ipsa delectatione secundum se; secundo, de causis delectationis; tertio, de effectibus eius; quarto, de bonitate et malitia ipsius. Circa primum quaeruntur octo.
Primo, utrum delectatio sit passio.
Secundo, utrum sit in tempore.
Tertio, utrum differat a gaudio.
Quarto, utrum sit in appetitu intellectivo.
Quinto, de comparatione delectationum superioris appetitus, ad delectationem inferioris.
Sexto, de comparatione delectationum sensitivarum ad invicem.
Septimo, utrum sit aliqua delectatio non naturalis.
Octavo, utrum delectatio possit esse contraria delectationi.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 31
Proemio

[34831] Iª-IIae q. 31 pr.
Passiamo ora a trattare del piacere e del dolore, o tristezza. Intorno al piacere si devono considerare quattro cose: primo, il piacere in se stesso; secondo, le cause del piacere; terzo, i suoi effetti; quarto, la sua bontà e malizia.
Sul primo tema tratteremo otto argomenti:

1. Se il piacere sia una passione;
2. Se sia commisurato dal tempo;
3. Se sia distinto dalla gioia;
4. Se risieda nell'appetito intellettivo;
5. Confronto tra i piaceri dell'appetito superiore e quelli dell'appetito inferiore;
6. Confronto dei piaceri sensibili tra loro;
7. Se ci siano dei piaceri non naturali;
8. Se un piacere possa essere contrario all'altro.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Il piacere in se stesso > Se il piacere sia una passione


Prima pars secundae partis
Quaestio 31
Articulus 1

[34832] Iª-IIae q. 31 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod delectatio non sit passio. Damascenus enim, in II libro, distinguit operationem a passione, dicens quod operatio est motus qui est secundum naturam, passio vero est motus contra naturam. Sed delectatio est operatio, ut philosophus dicit, in VII et X Ethic. Ergo delectatio non est passio.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 31
Articolo 1

[34832] Iª-IIae q. 31 a. 1 arg. 1
SEMBRA che il piacere non sia una passione. Infatti:
1. Il Damasceno distingue l'operazione dalla passione, affermando che, "l'operazione è un moto secondo natura, mentre la passione è un moto contro natura". Ma il piacere è un'operazione, come il Filosofo insegna. Dunque non è una passione.

[34833] Iª-IIae q. 31 a. 1 arg. 2
Praeterea, pati est moveri, ut dicitur in III Physic. Sed delectatio non consistit in moveri, sed in motum esse, causatur enim delectatio ex bono iam adepto. Ergo delectatio non est passio.

 

[34833] Iª-IIae q. 31 a. 1 arg. 2
2. Aristotele scrive, che "patire è esser mosso". Ma il piacere non consiste nell'esser mosso, bensì nell'essere stato mosso: infatti il piacere deriva dal bene ormai raggiunto. Quindi il piacere non è una passione.

[34834] Iª-IIae q. 31 a. 1 arg. 3
Praeterea, delectatio consistit in quadam perfectione delectati, perficit enim operationem, ut dicitur in X Ethic. Sed perfici non est pati vel alterari, ut dicitur in VII Physic. et in II de anima. Ergo delectatio non est passio.

 

[34834] Iª-IIae q. 31 a. 1 arg. 3
3. Il piacere consiste in una perfezione di chi lo prova: esso infatti, secondo Aristotele, "perfeziona l'operazione". Ora, un perfezionamento non è né una passione, né un'alterazione. Dunque il piacere non è una passione.

[34835] Iª-IIae q. 31 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Augustinus, in IX et XIV de Civ. Dei, ponit delectationem, sive gaudium vel laetitiam, inter alias passiones animae.

 

[34835] Iª-IIae q. 31 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino classifica il piacere, ossia il godimento, o gioia, tra le passioni dell'anima.

[34836] Iª-IIae q. 31 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod motus appetitus sensitivi proprie passio nominatur, sicut supra dictum est. Affectio autem quaecumque ex apprehensione sensitiva procedens, est motus appetitus sensitivi. Hoc autem necesse est competere delectationi. Nam, sicut philosophus dicit in I Rhetoric., delectatio est quidam motus animae, et constitutio simul tota et sensibilis in naturam existentem. Ad cuius intellectum, considerandum est quod, sicut contingit in rebus naturalibus aliqua consequi suas perfectiones naturales, ita hoc contingit in animalibus. Et quamvis moveri ad perfectionem non sit totum simul, tamen consequi naturalem perfectionem est totum simul. Haec autem est differentia inter animalia et alias res naturales, quod aliae res naturales, quando constituuntur in id quod convenit eis secundum naturam, hoc non sentiunt, sed animalia hoc sentiunt. Et ex isto sensu causatur quidam motus animae in appetitu sensitivo, et iste motus est delectatio. Per hoc ergo quod dicitur quod delectatio est motus animae, ponitur in genere. Per hoc autem quod dicitur constitutio in existentem naturam, idest in id quod existit in natura rei, ponitur causa delectationis, scilicet praesentia connaturalis boni. Per hoc autem quod dicitur simul tota, ostendit quod constitutio non debet accipi prout est in constitui, sed prout est in constitutum esse, quasi in termino motus, non enim delectatio est generatio, ut Plato posuit, sed magis consistit in factum esse, ut dicitur in VII Ethic. Per hoc autem quod dicitur sensibilis, excluduntur perfectiones rerum insensibilium, in quibus non est delectatio. Sic ergo patet quod, cum delectatio sit motus in appetitu animali consequens apprehensionem sensus, delectatio est passio animae.

 

[34836] Iª-IIae q. 31 a. 1 co.
RISPONDO: Come abbiamo già detto, ogni moto dell'appetito sensitivo è, in senso proprio, una passione. E ogni emozione derivante dalla conoscenza sensitiva è un moto dell'appetito sensitivo. Ora, tutto questo va attribuito al piacere. Poiché, come il Filosofo scrive, "il piacere è un moto psicologico, ed è il costituirsi simultaneo e sentito nel proprio stato [finale] di natura".
Per capire questa definizione, si deve considerare che il conseguimento delle proprie perfezioni naturali avviene negli animali come nei corpi fisici. E sebbene il moto verso la perfezione naturale non sia simultaneo, è però simultaneo il conseguimento di essa. Ma c’è questa differenza tra gli animali e gli altri esseri naturali, che questi ultimi, quando sono costituiti in ciò che ad essi conviene secondo natura, non lo sentono: invece gli animali lo sentono. E da codesta sensazione viene prodotto un moto psicologico nell'appetito sensitivo: e codesto moto è il piacere. Perciò, quando si dice che il piacere è "un moto psicologico", si indica il genere. E quando si parla del "costituirsi nel proprio stato [finale] di natura", cioè nell'esistenza fisica e reale delle cose, si indica la causa del piacere, cioè la presenza del bene connaturale. E l'aggettivo "simultaneo" ci avverte che codesta costituzione non va presa nell'atto di costituirsi, ma in quanto già costituita, cioè al termine del moto: infatti non è vero che il piacere sia un divenire, come voleva Platone, ma consiste piuttosto in qualche cosa di effettuato, come insegna Aristotele. Finalmente l'aggettivo "sensibile" esclude tale perfezione dalle cose prive di senso, nelle quali il piacere non esiste. - È perciò evidente che il piacere è una passione dell'anima, essendo un moto dell'appetito animale derivante dalla conoscenza dei sensi.

[34837] Iª-IIae q. 31 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod operatio connaturalis non impedita, est perfectio secunda, ut habetur in II de anima. Et ideo, quando constituitur res in propria operatione connaturali et non impedita, sequitur delectatio, quae consistit in perfectum esse, ut dictum est. Sic ergo cum dicitur quod delectatio est operatio, non est praedicatio per essentiam, sed per causam.

 

[34837] Iª-IIae q. 31 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'operazione connaturale non impedita è, come Aristotele dimostra, l'ultima perfezione. Perciò quando una cosa viene costituita nella propria operazione connaturale e non impedita, segue il piacere, che consiste appunto, secondo le spiegazioni date, nella perfezione raggiunta. E quindi, quando si dice che il piacere è un'operazione, non se ne vuole indicare l'essenza, ma la causa.

[34838] Iª-IIae q. 31 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod in animali duplex motus considerari potest, unus secundum intentionem finis, qui pertinet ad appetitum, alius secundum executionem, qui pertinet ad exteriorem operationem licet ergo in eo qui iam consecutus est bonum in quo delectatur, cesset motus executionis, quo tenditur ad finem; non tamen cessat motus appetitivae partis, quae, sicut prius desiderabat non habitum, ita postea delectatur in habito. Licet enim delectatio sit quies quaedam appetitus, considerata praesentia boni delectantis, quod appetitui satisfacit; tamen adhuc remanet immutatio appetitus ab appetibili, ratione cuius delectatio motus quidam est.

 

[34838] Iª-IIae q. 31 a. 1 ad 2
2. Nell'animale si possono distinguere due moti: il primo riguardante l'intenzione del fine, proprio dell'appetito; il secondo riguardante l'esecuzione, proprio dell'operazione esterna. Quindi, pur cessando, in chi ha ormai raggiunto il bene di cui gode, il moto esecutivo col quale tendeva verso il fine, non cessa però il moto della parte appetitiva; la quale, come prima desiderava il bene non posseduto, così dopo gode di esso una volta raggiunto. Infatti sebbene il piacere sia un acquietarsi dell'appetito, considerata la presenza del bene piacevole che lo soddisfa; tuttavia rimane ancora l'alterazione dell'appetito da parte dell'oggetto, che fa del piacere un moto.

[34839] Iª-IIae q. 31 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod, quamvis nomen passionis magis proprie conveniat passionibus corruptivis et in malum tendentibus, sicut sunt aegritudines corporales, et tristitia et timor in anima; tamen etiam in bonum ordinantur aliquae passiones, ut supra dictum est. Et secundum hoc delectatio dicitur passio.

 

[34839] Iª-IIae q. 31 a. 1 ad 3
3. Sebbene il termine passione si attribuisca con maggiore proprietà alle passioni che guastano e tendono al male, p. es., alle infermità per il corpo, oppure alla tristezza e al timore per l'anima; tuttavia ci sono anche delle passioni che tendono al bene, come abbiamo spiegato. E il piacere è una passione di questo genere.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Il piacere in se stesso > Se il piacere sia commisurato dal tempo


Prima pars secundae partis
Quaestio 31
Articulus 2

[34840] Iª-IIae q. 31 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod delectatio sit in tempore. Delectatio enim est motus quidam, ut in I Rhetoric. philosophus dicit. Sed motus omnis est in tempore. Ergo delectatio est in tempore.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 31
Articolo 2

[34840] Iª-IIae q. 31 a. 2 arg. 1
SEMBRA che il piacere sia commisurato dal tempo. Infatti:
1. Come scrive il Filosofo, "il piacere è un moto". Ora, ogni moto è commisurato dal tempo. Dunque il piacere è commisurato dal tempo.

[34841] Iª-IIae q. 31 a. 2 arg. 2
Praeterea, diuturnum, vel morosum, dicitur aliquid secundum tempus. Sed aliquae delectationes dicuntur morosae. Ergo delectatio est in tempore.

 

[34841] Iª-IIae q. 31 a. 2 arg. 2
2. Una cosa si dice durevole o prolungata rispetto al tempo. Ora, certe dilettazioni sono chiamate "morose", o prolungate. Dunque la dilettazione è commisurata dal tempo.

[34842] Iª-IIae q. 31 a. 2 arg. 3
Praeterea, passiones animae sunt unius generis. Sed aliquae passiones animae sunt in tempore. Ergo et delectatio.

 

[34842] Iª-IIae q. 31 a. 2 arg. 3
3. Le passioni dell'anima formano un genere unico. Ma le altre sono commisurate dal tempo. Dunque anche il piacere.

[34843] Iª-IIae q. 31 a. 2 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, in X Ethic., quod secundum nullum tempus accipiet quis delectationem.

 

[34843] Iª-IIae q. 31 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo insegna, che "non si può assegnare un tempo al piacere".

[34844] Iª-IIae q. 31 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod aliquid contingit esse in tempore dupliciter, uno modo, secundum se; alio modo, per aliud, et quasi per accidens. Quia enim tempus est numerus successivorum, illa secundum se dicuntur esse in tempore, de quorum ratione est successio, vel aliquid ad successionem pertinens, sicut motus, quies, locutio, et alia huiusmodi. Secundum aliud vero, et non per se, dicuntur esse in tempore illa de quorum ratione non est aliqua successio, sed tamen alicui successivo subiacent. Sicut esse hominem de sui ratione non habet successionem, non enim est motus, sed terminus motus vel mutationis, scilicet generationis ipsius, sed quia humanum esse subiacet causis transmutabilibus, secundum hoc esse hominem est in tempore. Sic igitur dicendum est quod delectatio secundum se quidem non est in tempore, est enim delectatio in bono iam adepto, quod est quasi terminus motus. Sed si illud bonum adeptum transmutationi subiaceat, erit delectatio per accidens in tempore. Si autem sit omnino intransmutabile, delectatio non erit in tempore nec per se, nec per accidens.

 

[34844] Iª-IIae q. 31 a. 2 co.
RISPONDO: Una cosa può essere commisurata dal tempo in due maniere: primo, direttamente; secondo, indirettamente, e quasi per accidens. Infatti il tempo è l'enumerazione di cose che hanno successione; perciò sono direttamente commisurate dal tempo quelle cose che implicano l'idea di successione, o elementi connessi con la successione: p. es., il moto, la quiete, la locuzione, e simili. Diciamo invece che sono indirettamente commisurate dal tempo le cose che non implicano essenzialmente l'idea di successione, ma che tuttavia dipendono da entità successive. Così l'essere di un uomo non implica direttamente una successione; infatti non è un moto, bensì termine di un moto o trasmutazione, cioè della generazione umana; ma poiché l'essere dell'uomo sottostà a cause trasmutabili, in base ad esse l'essere di un uomo è commisurato dal tempo.
Ecco quindi che il piacere direttamente non è commisurato dal tempo: infatti ha per oggetto il bene già raggiunto, che è come termine di un moto. Ma se il bene raggiunto è sottoposto a una trasmutazione, il piacere sarà indirettamente implicato nel tempo. Se invece il bene fosse del tutto inalterabile, il piacere, o godimento, non sarebbe commisurato dal tempo, né direttamente né indirettamente.

[34845] Iª-IIae q. 31 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut dicitur in III de anima, motus dupliciter dicitur. Uno modo, qui est actus imperfecti, scilicet existentis in potentia, inquantum huiusmodi, et talis motus est successivus, et in tempore. Alius autem motus est actus perfecti, idest existentis in actu; sicut intelligere, sentire et velle et huiusmodi, et etiam delectari. Et huiusmodi motus non est successivus, nec per se in tempore.

 

[34845] Iª-IIae q. 31 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come Aristotele spiega, ci sono due tipi di moto. Il primo, "atto di ciò che è imperfetto", cioè "di ciò che è in potenza, in quanto in potenza": e codesto moto è successivo e temporale. Il secondo è invece "atto di ciò che è perfetto", ossia "di ciò che è in atto", come l'intellezione, la sensazione, il volere: e tra queste c’è anche il piacere. E codesto moto non è successivo, e non è direttamente commisurato dal tempo.

[34846] Iª-IIae q. 31 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod delectatio dicitur diuturna vel morosa, secundum quod per accidens est in tempore.

 

[34846] Iª-IIae q. 31 a. 2 ad 2
2. Si dice che una dilettazione è prolungata o "morosa", in quanto è indirettamente connessa col tempo.

[34847] Iª-IIae q. 31 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod aliae passiones non habent pro obiecto bonum adeptum, sicut delectatio. Unde plus habent de ratione motus imperfecti, quam delectatio. Et per consequens magis delectationi convenit non esse in tempore.

 

[34847] Iª-IIae q. 31 a. 2 ad 3
3. Le altre passioni non hanno per oggetto il bene raggiunto, come il piacere. Perciò implicano più del piacere l'idea di moto di un ente imperfetto. Ecco perché il piacere meno di esse è commisurato dal tempo.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Il piacere in se stesso > Se il piacere sia distinto dalla gioia


Prima pars secundae partis
Quaestio 31
Articulus 3

[34848] Iª-IIae q. 31 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod gaudium sit omnino idem quod delectatio. Passiones enim animae differunt secundum obiecta. Sed idem est obiectum gaudii et delectationis, scilicet bonum adeptum. Ergo gaudium est omnino idem quod delectatio.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 31
Articolo 3

[34848] Iª-IIae q. 31 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la gioia sia del tutto identica al piacere. Infatti:
1. Le passioni dell'anima si distinguono in base agli oggetti. Ora, identico è l'oggetto della gioia e del piacere, cioè il bene raggiunto. Dunque la gioia si identifica in tutto con il piacere.

[34849] Iª-IIae q. 31 a. 3 arg. 2
Praeterea, unus motus non terminatur ad duos terminos. Sed idem est motus qui terminatur ad gaudium et delectationem, scilicet concupiscentia. Ergo delectatio et gaudium sunt omnino idem.

 

[34849] Iª-IIae q. 31 a. 3 arg. 2
2. Un moto non può raggiungere due termini differenti. Ora, il moto che raggiunge la gioia e il piacere, cioè il desiderio o concupiscenza, è uno solo. Dunque piacere e gioia sono proprio la stessa cosa.

[34850] Iª-IIae q. 31 a. 3 arg. 3
Praeterea, si gaudium est aliud a delectatione, videtur quod, pari ratione, et laetitia et exultatio et iucunditas significent aliquid aliud a delectatione, et sic erunt omnes diversae passiones. Quod videtur esse falsum. Non ergo gaudium differt a delectatione.

 

[34850] Iª-IIae q. 31 a. 3 arg. 3
3. Se la gioia si distingue dal piacere, per lo stesso motivo anche la letizia, l'esultanza e la giocondità dovranno significare altrettante cose distinte dal piacere: e tutte saranno passioni diverse. Il che è falso. Dunque la gioia non si distingue dal piacere.

[34851] Iª-IIae q. 31 a. 3 s. c.
Sed contra est quod in brutis animalibus non dicimus gaudium. Sed in eis dicimus delectationem. Non ergo est idem gaudium et delectatio.

 

[34851] Iª-IIae q. 31 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Per gli animali non si usa parlare di gioia, ma per essi parliamo di piacere. Dunque la gioia e il piacere non s'identificano.

[34852] Iª-IIae q. 31 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod gaudium, ut Avicenna dicit in libro suo de anima, est quaedam species delectationis. Est enim considerandum quod, sicut sunt quaedam concupiscentiae naturales, quaedam autem non naturales, sed consequuntur rationem, ut supra dictum est; ita etiam delectationum quaedam sunt naturales, et quaedam non naturales, quae sunt cum ratione. Vel, sicut Damascenus et Gregorius Nyssenus dicunt, quaedam sunt corporales, quaedam animales, quod in idem redit. Delectamur enim et in his quae naturaliter concupiscimus, ea adipiscentes; et in his quae concupiscimus secundum rationem. Sed nomen gaudii non habet locum nisi in delectatione quae consequitur rationem, unde gaudium non attribuimus brutis animalibus, sed solum nomen delectationis. Omne autem quod concupiscimus secundum naturam, possumus etiam cum delectatione rationis concupiscere, sed non e converso. Unde de omnibus de quibus est delectatio, potest etiam esse gaudium in habentibus rationem. Quamvis non semper de omnibus sit gaudium, quandoque enim aliquis sentit aliquam delectationem secundum corpus, de qua tamen non gaudet secundum rationem. Et secundum hoc, patet quod delectatio est in plus quam gaudium.

 

[34852] Iª-IIae q. 31 a. 3 co.
RISPONDO: La gioia, come dice Avicenna, è una specie di piacere. Infatti, come ci sono desideri o concupiscenze naturali, e desideri non naturali dipendenti dalla ragione, secondo le spiegazioni date; così tra i piaceri alcuni sono naturali e altri non naturali, ma legati alla ragione. Oppure, come insegnano il Damasceno e S. Gregorio Nisseno [ovvero Nemesio], "alcuni sono corporei, altri dell'anima", il che in sostanza è la stessa cosa. Infatti proviamo piacere nell'atto di conseguire quanto è oggetto di desiderio, sia questo concepito per natura, o per un atto della ragione. Ma il termine gioia si usa soltanto per il piacere che accompagna la ragione: perciò per gli animali non parliamo di gioia, ma di piacere. - Però è sempre possibile desiderare, anche con piacere della ragione, tutto ciò che desideriamo secondo natura: ma non viceversa. Quindi ciò che è oggetto di piacere può anche essere oggetto di gioia negli esseri razionali, sebbene non sempre lo sia; infatti qualche volta uno sente nel corpo un piacere, di cui non gode la ragione. Perciò il piacere è più esteso della gioia.

[34853] Iª-IIae q. 31 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, cum obiectum appetitus animalis sit bonum apprehensum, diversitas apprehensionis pertinet quodammodo ad diversitatem obiecti. Et sic delectationes animales, quae dicuntur etiam gaudia, distinguuntur a delectationibus corporalibus, quae dicuntur solum delectationes, sicut et de concupiscentiis supra dictum est.

 

[34853] Iª-IIae q. 31 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: Oggetto della facoltà appetitiva è il bene conosciuto; perciò una diversità nella conoscenza implica in qualche modo una diversità nell'oggetto. Quindi i piaceri dell'anima [propri dell'uomo] che si chiamano anche gioie, sono distinti dai piaceri del corpo che sono soltanto piaceri: come sopra abbiamo detto per i desideri.

[34854] Iª-IIae q. 31 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod similis differentia invenitur etiam in concupiscentiis, ita quod delectatio respondeat concupiscentiae, et gaudium respondeat desiderio, quod magis videtur pertinere ad concupiscentiam animalem. Et sic secundum differentiam motus, est etiam differentia quietis.

 

[34854] Iª-IIae q. 31 a. 3 ad 2
2. Anche tra i desideri, o concupiscenze, esiste una differenza analoga; cosicché il piacere corrisponde alla concupiscenza, e la gioia al desiderio che è proprio dell'anima. C'è quindi corrispondenza tra le differenze del moto e della quiete.

[34855] Iª-IIae q. 31 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod alia nomina ad delectationem pertinentia, sunt imposita ab effectibus delectationis, nam laetitia imponitur a dilatatione cordis, ac si diceretur latitia; exultatio vero dicitur ab exterioribus signis delectationis interioris, quae apparent exterius, inquantum scilicet interius gaudium prosilit ad exteriora; iucunditas vero dicitur a quibusdam specialibus laetitiae signis vel effectibus. Et tamen omnia ista nomina videntur pertinere ad gaudium, non enim utimur eis nisi in naturis rationalibus.

 

[34855] Iª-IIae q. 31 a. 3 ad 3
3. Gli altri termini che si riferiscono al piacere derivano dagli effetti di esso: infatti letizia è desunta dalla dilatazione del cuore come dicesse latizia; esultanza deriva dai segni esterni dell'interno piacere, che passa a manifestarsi esternamente; la giocondità è connessa a certi speciali segni, o effetti della gioia. Tuttavia queste voci si riferiscono tutte alla gioia: infatti non le usiamo che per gli esseri dotati di ragione.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Il piacere in se stesso > Se possa esserci il piacere nell'appetito intellettivo


Prima pars secundae partis
Quaestio 31
Articulus 4

[34856] Iª-IIae q. 31 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod delectatio non sit in appetitu intellectivo. Dicit enim philosophus, in I Rhetoric., quod delectatio est motus quidam sensibilis. Sed motus sensibilis non est in parte intellectiva. Ergo delectatio non est in parte intellectiva.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 31
Articolo 4

[34856] Iª-IIae q. 31 a. 4 arg. 1
SEMBRA che nell'appetito intellettivo sia da escludersi il piacere.
Infatti:
1. Il Filosofo scrive, che "il piacere è un moto sensitivo". Ma un moto sensitivo non risiede nella parte intellettiva. Dunque il piacere non può trovarsi nella parte intellettiva.

[34857] Iª-IIae q. 31 a. 4 arg. 2
Praeterea, delectatio est passio quaedam. Sed omnis passio est in appetitu sensitivo. Ergo delectatio non est nisi in appetitu sensitivo.

 

[34857] Iª-IIae q. 31 a. 4 arg. 2
2. Il piacere è una passione. Ma tutte le passioni sono nell'appetito sensitivo. Dunque il piacere non può trovarsi nell'appetito sensitivo.

[34858] Iª-IIae q. 31 a. 4 arg. 3
Praeterea, delectatio est communis nobis et brutis. Ergo non est nisi in parte quae nobis et brutis communis est.

 

[34858] Iª-IIae q. 31 a. 4 arg. 3
3. Il piacere è comune agli uomini e alle bestie. Dunque esso è soltanto nella parte che è comune a noi e alle bestie.

[34859] Iª-IIae q. 31 a. 4 s. c.
Sed contra est quod in Psalmo XXXVI, dicitur, delectare in domino. Sed ad Deum non potest extendi appetitus sensitivus, sed solum intellectivus. Ergo delectatio potest esse in appetitu intellectivo.

 

[34859] Iª-IIae q. 31 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Riponi nel Signore il tuo piacere". Ma l'appetito sensitivo non può estendersi fino a Dio. Dunque il piacere deve trovarsi nell'appetito intellettivo.

[34860] Iª-IIae q. 31 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, delectatio quaedam sequitur apprehensionem rationis. Ad apprehensionem autem rationis, non solum commovetur appetitus sensitivus, per applicationem ad aliquid particulare; sed etiam appetitus intellectivus, qui dicitur voluntas. Et secundum hoc, in appetitu intellectivo, sive in voluntate, est delectatio quae dicitur gaudium, non autem delectatio corporalis. Hoc tamen interest inter delectationem utriusque appetitus, quod delectatio appetitus sensibilis est cum aliqua transmutatione corporali, delectatio autem appetitus intellectivi nihil aliud est quam simplex motus voluntatis. Et secundum hoc Augustinus dicit, in XIV de Civ. Dei, quod cupiditas et laetitia non est aliud quam voluntas in eorum consensione quae volumus.

 

[34860] Iª-IIae q. 31 a. 4 co.
RISPONDO: Come abbiamo già detto, c’è un piacere che deriva dalla conoscenza razionale. Ora, codesta conoscenza non commuove soltanto l'appetito sensitivo, mediante la sua applicazione a un dato concreto e singolare; ma commuove anche l'appetito intellettivo, ossia la volontà. Ed è cosi che in codesto appetito, o volontà, si trova quel piacere che è la gioia, ma non il piacere corporale.
Tuttavia tra il piacere dei due appetiti c’è questa differenza, che il piacere dell'appetito sensitivo è accompagnato da un'alterazione fisiologica: mentre nell'appetito intellettivo non c'è che il semplice moto della volontà. Per questo S. Agostino scrive, che "la bramosia e la letizia non sono altro che la volontà volta verso le cose che vogliamo".

[34861] Iª-IIae q. 31 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod in illa definitione philosophi, sensibile ponitur communiter pro quacumque apprehensione. Dicit enim philosophus in X Ethic., quod secundum omnem sensum est delectatio; similiter autem et secundum intellectum et speculationem. Vel potest dici quod ipse definit delectationem appetitus sensitivi.

 

[34861] Iª-IIae q. 31 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. In quella definizione del Filosofo, l’aggettivo sensitivo sta a indicare genericamente una qualsiasi conoscenza. Infatti egli stesso altrove afferma, che "si ha il piacere da tutti i sensi; e così pure dall'intelletto e dalla speculazione". – Ma si potrebbe anche rispondere che egli qui vuoi definire il piacere dell'appetito sensitivo.

[34862] Iª-IIae q. 31 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod delectatio habet rationem passionis, proprie loquendo, inquantum est cum aliqua transmutatione corporali. Et sic non est in appetitu intellectivo, sed secundum simplicem motum, sic enim etiam est in Deo et in Angelis. Unde dicit philosophus, in VII Ethic., quod Deus una simplici operatione gaudet. Et Dionysius dicit, in fine Cael. Hier., quod Angeli non sunt susceptibiles nostrae passibilis delectationis, sed congaudent Deo secundum incorruptionis laetitiam.

 

[34862] Iª-IIae q. 31 a. 4 ad 2
2. Propriamente parlando, il piacere è una passione in quanto si produce con una trasmutazione fisiologica. E in questo senso va escluso dall'appetito intellettivo, ma vi si trova come semplice moto [dello spirito]: e in tal senso si trova anche in Dio e negli angeli. Perciò il Filosofo afferma, che "Dio gode una sola semplice operazione". E Dionigi scrive, che "gli angeli non sono capaci dei nostri piaceri corruttibili, ma godono di Dio con una letizia incorruttibile".

[34863] Iª-IIae q. 31 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod in nobis non solum est delectatio in qua communicamus cum brutis, sed etiam in qua communicamus cum Angelis. Unde ibidem Dionysius dicit quod sancti homines multoties fiunt in participatione delectationum angelicarum. Et ita in nobis est delectatio non solum in appetitu sensitivo, in quo communicamus cum brutis; sed etiam in appetitu intellectivo, in quo communicamus cum Angelis.

 

[34863] Iª-IIae q. 31 a. 4 ad 3
3. In noi non c’è soltanto il piacere che ci fa simili alle bestie, ma anche quello che ci fa simili agli angeli. Perciò Dionigi aggiunge, che "gli uomini santi sono fatti partecipi delle letizie degli angeli". Quindi non c’è in noi il solo piacere dell'appetito sensitivo, che ci accomuna alle bestie; ma anche quello dell'appetito intellettivo che ci associa agli angeli.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Il piacere in se stesso > Se i piaceri corporali e sensibili siano maggiori dei piaceri spirituali e intellettuali


Prima pars secundae partis
Quaestio 31
Articulus 5

[34864] Iª-IIae q. 31 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod delectationes corporales et sensibiles sint maiores delectationibus spiritualibus intelligibilibus. Omnes enim aliquam delectationem sequuntur, secundum philosophum, in X Ethic. Sed plures sequuntur delectationes sensibiles, quam delectationes spirituales intelligibiles. Ergo delectationes corporales sunt maiores.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 31
Articolo 5

[34864] Iª-IIae q. 31 a. 5 arg. 1
SEMBRA che i piaceri corporali e sensibili siano maggiori dei piaceri spirituali e intellettuali. Infatti:
1. Tutti, a dire del Filosofo, han di mira qualche piacere. Ma i più perseguono i piaceri sensibili e non i piaceri spirituali e intellettuali. Dunque i piaceri corporali sono maggiori.

[34865] Iª-IIae q. 31 a. 5 arg. 2
Praeterea, magnitudo causae ex effectu cognoscitur. Sed delectationes corporales habent fortiores effectus, transmutant enim corpus, et quibusdam insanias faciunt, ut dicitur in VII Ethic. Ergo delectationes corporales sunt fortiores.

 

[34865] Iª-IIae q. 31 a. 5 arg. 2
2. La grandezza della causa si conosce dagli effetti. Ora, i piaceri sensibili producono effetti superiori: "infatti trasmutano il corpo, e in alcuni producono la pazzia", come scrive Aristotele. Dunque i piaceri del corpo sono superiori.

[34866] Iª-IIae q. 31 a. 5 arg. 3
Praeterea, delectationes corporales oportet temperare et refraenare, propter earum vehementiam. Sed delectationes spirituales non oportet refraenare. Ergo delectationes corporales sunt maiores.

 

[34866] Iª-IIae q. 31 a. 5 arg. 3
3. I piaceri del corpo han bisogno di essere frenati per la loro virulenza. Invece i piaceri spirituali non han bisogno di freno. Dunque i piaceri carnali e corporali sono maggiori.

[34867] Iª-IIae q. 31 a. 5 s. c.
Sed contra est quod dicitur in Psalmo CXVIII, quam dulcia faucibus meis eloquia tua, super mel ori meo. Et philosophus dicit, in X Ethic., quod maxima delectatio est quae est secundum operationem sapientiae.

 

[34867] Iª-IIae q. 31 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto nei Salmi: "Quanto dolci al mio palato sono i tuoi detti, più che il miele alla mia bocca". E il Filosofo afferma, che "il piacere più grande è quello che accompagna la contemplazione, frutto di sapienza".

[34868] Iª-IIae q. 31 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod, sicut iam dictum est, delectatio provenit ex coniunctione convenientis quae sentitur vel cognoscitur. In operibus autem animae, praecipue sensitivae et intellectivae, est hoc considerandum, quod, cum non transeant in materiam exteriorem, sunt actus vel perfectiones operantis, scilicet intelligere, sentire, velle, et huiusmodi, nam actiones quae transeunt in exteriorem materiam, magis sunt actiones et perfectiones materiae transmutatae; motus enim est actus mobilis a movente. Sic igitur praedictae actiones animae sensitivae et intellectivae, et ipsae sunt quoddam bonum operantis, et sunt etiam cognitae per sensum vel intellectum. Unde etiam ex ipsis consurgit delectatio, et non solum ex eorum obiectis. Si igitur comparentur delectationes intelligibiles delectationibus sensibilibus, secundum quod delectamur in ipsis actionibus, puta in cognitione sensus et in cognitione intellectus; non est dubium quod multo sunt maiores delectationes intelligibiles quam sensibiles. Multo enim magis delectatur homo de hoc quod cognoscit aliquid intelligendo, quam de hoc quod cognoscit aliquid sentiendo. Quia intellectualis cognitio et perfectior est, et etiam magis cognoscitur, quia intellectus magis reflectitur supra actum suum quam sensus. Est etiam cognitio intellectiva magis dilecta, nullus enim est qui non magis vellet carere visu corporali quam visu intellectuali, eo modo quo bestiae vel stulti carent, sicut Augustinus dicit, in libro de Civ. Dei. Sed si comparentur delectationes intelligibiles spirituales delectationibus sensibilibus corporalibus, sic, secundum se et simpliciter loquendo, delectationes spirituales sunt maiores. Et hoc apparet secundum tria quae requiruntur ad delectationem, scilicet bonum coniunctum, et id cui coniungitur, et ipsa coniunctio. Nam ipsum bonum spirituale et est maius quam corporale bonum; et est magis dilectum. Cuius signum est quod homines etiam a maximis corporalibus voluptatibus abstinent, ut non perdant honorem, qui est bonum intelligibile. Similiter etiam ipsa pars intellectiva est multo nobilior, et magis cognoscitiva, quam pars sensitiva. Coniunctio etiam utriusque est magis intima, et magis perfecta, et magis firma. Intimior quidem est, quia sensus sistit circa exteriora accidentia rei, intellectus vero penetrat usque ad rei essentiam; obiectum enim intellectus est quod quid est. Perfectior autem est, quia coniunctioni sensibilis ad sensum adiungitur motus, qui est actus imperfectus, unde et delectationes sensibiles non sunt totae simul, sed in eis aliquid pertransit, et aliquid expectatur consummandum, ut patet in delectatione ciborum et venereorum. Sed intelligibilia sunt absque motu, unde delectationes tales sunt totae simul. Est etiam firmior, quia delectabilia corporalia sunt corruptibilia, et cito deficiunt; bona vero spiritualia sunt incorruptibilia. Sed quoad nos, delectationes corporales sunt magis vehementes, propter tria. Primo, quia sensibilia sunt magis nota, quoad nos, quam intelligibilia. Secundo etiam, quia delectationes sensibiles, cum sint passiones sensitivi appetitus, sunt cum aliqua transmutatione corporali. Quod non contingit in delectationibus spiritualibus, nisi per quandam redundantiam a superiori appetitu in inferiorem. Tertio, quia delectationes corporales appetuntur ut medicinae quaedam contra corporales defectus vel molestias, ex quibus tristitiae quaedam consequuntur. Unde delectationes corporales, tristitiis huiusmodi supervenientes, magis sentiuntur, et per consequens magis acceptantur, quam delectationes spirituales quae non habent tristitias contrarias, ut infra dicetur.

 

[34868] Iª-IIae q. 31 a. 5 co.
RISPONDO: Come abbiamo detto in principio, il piacere deriva dal raggiungimento di un oggetto conveniente, conosciuto mediante il senso o l'intelletto. Ora, si deve considerare che tra le operazioni dell'anima, specialmente di quella sensitiva e intellettiva, alcune sono atti o perfezioni del soggetto operativo, poiché non passano su una materia esterna: così l'intellezione, la sensazione, il volere e simili; infatti le azioni [transitive] che passano su una materia esterna sono piuttosto azioni e perfezioni della materia così alterata; cosicché il moto si definisce, "atto di un mobile da parte di un motore". Perciò le suddette operazioni dell'anima sensitiva e intellettiva, sono direttamente un bene del soggetto operante, e sono inoltre conosciute dal senso, o dall'intelletto. E quindi da esse direttamente scaturisce il piacere, e non soltanto dal loro oggetto.
Ora, se confrontiamo i piaceri di ordine spirituale, ai piaceri sensibili rispetto al godimento delle azioni medesime, p. es., quello prodotto dalla conoscenza dei sensi con quello dovuto alla conoscenza dell'intelletto, non c’è dubbio che i piaceri di ordine intellettuale sono superiori a quelli del senso. Perché la conoscenza intellettiva è più perfetta, e se ne ha maggiore coscienza; poiché l'intelletto più del senso è capace di riflettere sul proprio atto. Inoltre la conoscenza intellettiva è più amata: non c'è nessuno, infatti, come scrive S. Agostino che non preferirebbe essere privato della luce degli occhi, anziché della luce dell'intelletto come una bestia o un pazzo.
Se poi confrontiamo i piaceri di ordine spirituale ai piaceri sensibili e materiali [nel loro oggetto], allora di suo e assolutamente parlando sono maggiori i piaceri spirituali. E ciò è dimostrabile in rapporto ai tre elementi costitutivi del piacere: cioè al bene raggiunto, al soggetto cui detto bene inerisce e si unisce, e alla loro unione. Infatti il bene spirituale è superiore al bene materiale, ed è più amato. E lo prova il fatto che gli uomini si astengono anche dai più grandi piaceri e voluttà della carne, per non perdere l'onore che è un bene spirituale. Inoltre la parte intellettiva è più nobile e più aperta alla conoscenza che la parte sensitiva. – Finalmente l'unione del bene col soggetto è più intima, più perfetta e più durevole. È più intima, perché il senso si ferma agli accidenti esterni di una cosa: invece l'intelletto penetra fino all'essenza di essa; infatti l'intelletto ha per oggetto l'essenza delle cose. È più perfetta, perché l'unione dell'oggetto sensibile col senso implica il moto, che è un atto imperfetto: infatti i piaceri sensibili non sono pieni e simultanei, ma in essi c’è qualcosa che è già trascorso, e qualche cosa di cui si attende il compimento, com'è evidente nei piaceri venerei e gastronomici. Invece i beni spirituali trascendono il moto: e quindi sono pieni e simultanei. E anche più duratura: poiché l'oggetto dei piaceri corporei è corruttibile, e presto finisce; mentre i beni spirituali sono incorruttibili.
Tuttavia in rapporto a noi i piaceri materiali sono più virulenti, per tre motivi. Primo, perché i beni sensibili sono da noi conosciuti più di quelli spirituali. - Secondo, perché i piaceri sensibili sono accompagnati da un'alterazione fisiologica. E questo nei piaceri spirituali non avviene, che in forza di una ridondanza dell'appetito superiore su quello inferiore. - Terzo, perché i piaceri materiali sono desiderati come medicine contro le deficienze e le molestie del corpo, che provocano dolore o tristezza. Perciò i piaceri del corpo, succedendo a codesti stati di tristezza si sentono di più, e quindi sono più accetti dei piaceri spirituali, che non hanno tristezze contrarie, come vedremo.

[34869] Iª-IIae q. 31 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ideo plures sequuntur delectationes corporales, quia bona sensibilia sunt magis et pluribus nota. Et etiam quia homines indigent delectationibus ut medicinis contra multiplices dolores et tristitias, et cum plures hominum non possint attingere ad delectationes spirituales, quae sunt propriae virtuosorum, consequens et quod declinent ad corporales.

 

[34869] Iª-IIae q. 31 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. I più cercano i piaceri del corpo, perché i beni sensibili sono meglio conosciuti dalla maggioranza. E anche gli uomini sentono il bisogno dei piaceri come medicina contro molteplici dolori e tristezze: e poiché la maggior parte degli uomini è incapace di raggiungere i piaceri spirituali, riservati alle persone virtuose, i più si volgono verso i piaceri corporali.

[34870] Iª-IIae q. 31 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod transmutatio corporis magis contingit ex delectationibus corporalibus, inquantum sunt passiones appetitus sensitivi.

 

[34870] Iª-IIae q. 31 a. 5 ad 2
2. L'alterazione fisiologica è più legata ai piaceri del corpo, perché questi ultimi sono passioni dell'appetito sensitivo.

[34871] Iª-IIae q. 31 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod delectationes corporales sunt secundum partem sensitivam, quae regulatur ratione, et ideo indigent temperari et refraenari per rationem. Sed delectationes spirituales sunt secundum mentem, quae est ipsa regula, unde sunt secundum seipsas sobriae et moderatae.

 

[34871] Iª-IIae q. 31 a. 5 ad 3
3. I piaceri corporali risiedono nella parte sensitiva, che viene regolata dalla ragione: perciò hanno bisogno di essere temperati e frenati dalla ragione. Invece i piaceri spirituali risiedono nell'anima, che è la regola stessa: e quindi sono in se stessi sobri e moderati.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Il piacere in se stesso > Se i piaceri del tatto siano superiori a quelli degli altri sensi


Prima pars secundae partis
Quaestio 31
Articulus 6

[34872] Iª-IIae q. 31 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod delectationes quae sunt secundum tactum, non sint maiores delectationibus quae sunt secundum alios sensus. Illa enim delectatio videtur esse maxima, qua exclusa, omne gaudium cessat. Sed talis est delectatio quae est secundum visum, dicitur enim Tobiae V, quale gaudium erit mihi, qui in tenebris sedeo, et lumen caeli non video? Ergo delectatio quae est per visum, est maxima inter sensibiles delectationes.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 31
Articolo 6

[34872] Iª-IIae q. 31 a. 6 arg. 1
SEMBRA che i piaceri del tatto non siano superiori a quelli degli altri sensi. Infatti:
1. Il piacere più grande sembra esser quello, la cui esclusione fa cessare tutte le gioie. Ora, tale è il godimento della vista poiché sta scritto in Tobia: "Che gioia vi può essere per me, che seggo nelle tenebre, e non veggo il lume del cielo?" Dunque il piacere della vista è il massimo dei piaceri sensibili.

[34873] Iª-IIae q. 31 a. 6 arg. 2
Praeterea, unicuique fit delectabile illud quod amat, ut philosophus dicit, in I Rhetoric. Sed inter alios sensus maxime diligitur visus. Ergo delectatio quae est secundum visum, est maxima.

 

[34873] Iª-IIae q. 31 a. 6 arg. 2
2. Come dice il Filosofo, "ognuno trova piacevole ciò che ama". Ora, " tra tutti gli altri sensi si ama di più la vista". Quindi il piacere annesso alla vista è il più grande.

[34874] Iª-IIae q. 31 a. 6 arg. 3
Praeterea, principium amicitiae delectabilis maxime est visio. Sed causa talis amicitiae est delectatio. Ergo secundum visum videtur esse maxime delectatio.

 

[34874] Iª-IIae q. 31 a. 6 arg. 3
3. Principio dell'amicizia voluttuosa è soprattutto la vista. Ma causa di codesta amicizia è il piacere. Dunque il piacere più grande si trova nel vedere.

[34875] Iª-IIae q. 31 a. 6 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, in III Ethic., quod maximae delectationes sunt secundum tactum.

 

[34875] Iª-IIae q. 31 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo insegna che i piaceri più grandi sono quelli del tatto.

[34876] Iª-IIae q. 31 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod, sicut iam dictum est, unumquodque, inquantum amatur, efficitur delectabile. Sensus autem, ut dicitur in principio Metaphys., propter duo diliguntur, scilicet propter cognitionem, et propter utilitatem. Unde et utroque modo contingit esse delectationem secundum sensum. Sed quia apprehendere ipsam cognitionem tanquam bonum quoddam, proprium est hominis; ideo primae delectationes sensuum, quae scilicet sunt secundum cognitionem, sunt propriae hominum, delectationes autem sensuum inquantum diliguntur propter utilitatem, sunt communes omnibus animalibus. Si igitur loquamur de delectatione sensus quae est ratione cognitionis, manifestum est quod secundum visum est maior delectatio quam secundum aliquem alium sensum. Si autem loquamur de delectatione sensus quae est ratione utilitatis, sic maxima delectatio est secundum tactum. Utilitas enim sensibilium attenditur secundum ordinem ad conservationem naturae animalis. Ad hanc autem utilitatem propinquius se habent sensibilia tactus, est enim tactus cognoscitivus eorum ex quibus consistit animal, scilicet calidi et frigidi, et huiusmodi. Unde secundum hoc, delectationes quae sunt secundum tactum, sunt maiores, quasi fini propinquiores. Et propter hoc etiam, alia animalia, quae non habent delectationem secundum sensum nisi ratione utilitatis, non delectantur secundum alios sensus, nisi in ordine ad sensibilia tactus, neque enim odoribus leporum canes gaudent, sed cibatione; neque leo voce bovis, sed comestione, ut dicitur in III Ethic. Cum igitur delectatio tactus sit maxima ratione utilitatis, delectatio autem visus ratione cognitionis; si quis utramque comparare velit, inveniet simpliciter delectationem tactus esse maiorem delectatione visus, secundum quod sistit infra limites sensibilis delectationis. Quia manifestum est quod id quod est naturale in unoquoque, est potentissimum. Huiusmodi autem delectationes tactus sunt ad quas ordinantur concupiscentiae naturales, sicut cibi, et venerea, et huiusmodi. Sed si consideremus delectationes visus, secundum quod visus deservit intellectui; sic delectationes visus erunt potiores, ea ratione qua et intelligibiles delectationes sunt potiores sensibilibus.

 

[34876] Iª-IIae q. 31 a. 6 co.
RISPONDO: Come abbiamo già detto, ogni cosa è oggetto di piacere, in quanto è oggetto di amore. Ora i sensi, come dice Aristotele, sono amati per due motivi: per la conoscenza e per la loro utilità. Perciò il piacere sensibile può derivare dall'una e dall'altra cosa. Ma poiché apprendere la cognizione stessa come un bene è proprio dell'uomo, i piaceri della prima serie, cioè quelli che si risolvono nella conoscenza, sono propri dell'uomo: invece i piaceri dei sensi connessi con l'utilità sono comuni a tutti gli animali.
Perciò, se parliamo del piacere dei sensi che si risolve nella conoscenza, è chiaro che il godimento del vedere è superiore a quello degli altri sensi. - Se invece parliamo del piacere che nasce dall'utilità, il piacere più grande è quello del tatto. Infatti l'utilità sul piano sensibile si desume in ordine alla conservazione della natura animale. Ora, i dati sensibili del tatto sono i più prossimi coefficienti di codesta funzione o utilità: poiché il tatto ha per oggetto gli elementi costitutivi dell'animale, cioè il caldo, il freddo, e altre simili cose. Per questo i piaceri del tatto sono superiori, come più prossimi al fine. Ed ecco perché tutti gli altri animali, i quali non hanno il piacere dei sensi che per l'utilità annessa, negli altri sensi non provano piacere che in ordine ai dati sensibili del tatto: infatti, come scrive Aristotele, "i cani non gustano la lepre per l'odore, ma per il pasto; né il leone del bue gusta la voce, ma la carne".
Se poi uno volesse confrontare il piacere del tatto, che è quello più grande per l'utilità, con quello della vista, massimo per la conoscenza, troverà che il primo è assolutamente parlando più grande del secondo, considerato nell'ambito del piacere sensibile. È evidente, infatti, che i dati naturali in ogni ordine di cose sono preminenti. Tali sono i piaceri del tatto, cui sono ordinati i desideri naturali del cibo, dei piaceri venerei, e altri simili. - Però, se consideriamo il godimento della vista, in quanto l'occhio serve all'intelletto, allora questi godimenti sono superiori, per lo stesso motivo per cui i piaceri di ordine intellettuale sono superiori a quelli sensibili.

[34877] Iª-IIae q. 31 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod gaudium, sicut supra dictum est, significat animalem delectationem, et haec maxime pertinet ad visum. Sed delectatio naturalis maxime pertinet ad tactum.

 

[34877] Iª-IIae q. 31 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come abbiamo detto sopra, la gioia sta a indicare il piacere proprio dell'uomo, il quale spetta soprattutto alla vista. Ma il piacere naturale è più affine al tatto.

[34878] Iª-IIae q. 31 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod visus maxime diligitur propter cognitionem, eo quod multas rerum differentias nobis ostendit, ut ibidem dicitur.

 

[34878] Iª-IIae q. 31 a. 6 ad 2
2. La vista, dice lo stesso Aristotele, è sommamente amata "per la conoscenza, poiché ci rivela un gran numero di differenze delle cose".

[34879] Iª-IIae q. 31 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod alio modo delectatio est causa amoris carnalis, et alio modo visio. Nam delectatio, et maxime quae est secundum tactum, est causa amicitiae delectabilis per modum finis, visio autem est causa sicut unde est principium motus, inquantum per visum amabilis imprimitur species rei, quae allicit ad amandum et ad concupiscendum eius delectationem.

 

[34879] Iª-IIae q. 31 a. 6 ad 3
3. Il piacere causa l'amore carnale in maniera diversa dalla vista. Infatti il piacere, specialmente quello del tatto, è la causa dell'amicizia voluttuosa: la vista invece ne è causa come principio di moto; poiché mediante la vista viene a imprimersi [nel soggetto] l'immagine della cosa amata, che attira ad amare e a desiderare il godimento di essa.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Il piacere in se stesso > Se ci siano piaceri non naturali


Prima pars secundae partis
Quaestio 31
Articulus 7

[34880] Iª-IIae q. 31 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod nulla delectatio sit innaturalis. Delectatio enim in affectibus animae proportionatur quieti in corporibus. Sed appetitus corporis naturalis non quiescit nisi in loco connaturali. Ergo nec quies appetitus animalis, quae est delectatio, potest esse nisi in aliquo connaturali. Nulla ergo delectatio est non naturalis.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 31
Articolo 7

[34880] Iª-IIae q. 31 a. 7 arg. 1
SEMBRA che nessun piacere sia innaturale. Infatti:
1. Il piacere sta agli affetti dell'anima, come la quiete al corpi. Ora, l'impulso di un corpo fisico non si acquieta che nel luogo naturale. Perciò anche la quiete dell'appetito sensitivo, cioè il piacere, non può posarsi che su di un oggetto connaturale. Quindi nessun piacere è innaturale.

[34881] Iª-IIae q. 31 a. 7 arg. 2
Praeterea, illud quod est contra naturam, est violentum. Sed omne violentum est contristans, ut dicitur in V Metaphys. Ergo nihil quod est contra naturam, potest esse delectabile.

 

[34881] Iª-IIae q. 31 a. 7 arg. 2
2. Ciò che è contro natura è violento. Ma "tutto ciò che è violento rattrista" come nota Aristotele. Dunque nessuna cosa contro natura può essere oggetto di piacere.

[34882] Iª-IIae q. 31 a. 7 arg. 3
Praeterea, constitui in propriam naturam, cum sentitur, causat delectationem; ut patet ex definitione philosophi supra posita. Sed constitui in naturam, unicuique est naturale, quia motus naturalis est qui est ad terminum naturalem. Ergo omnis delectatio est naturalis.

 

[34882] Iª-IIae q. 31 a. 7 arg. 3
3. Sentire il proprio costituirsi nello stato [finale] di natura causa il piacere; come risulta dalla definizione del Filosofo. Ma essere costituito nella propria natura, è cosa naturale per ogni essere: poiché è naturale quel moto il cui termine è naturale. Dunque ogni piacere è naturale.

[34883] Iª-IIae q. 31 a. 7 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, in VII Ethic., quod quaedam delectationes sunt aegritudinales et contra naturam.

 

[34883] Iª-IIae q. 31 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo scrive che alcuni piaceri sono "morbosi e contro natura".

[34884] Iª-IIae q. 31 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod naturale dicitur quod est secundum naturam, ut dicitur in II Physic. Natura autem in homine dupliciter sumi potest. Uno modo, prout intellectus et ratio est potissime hominis natura, quia secundum eam homo in specie constituitur. Et secundum hoc, naturales delectationes hominum dici possunt quae sunt in eo quod convenit homini secundum rationem, sicut delectari in contemplatione veritatis, et in actibus virtutum, est naturale homini. Alio modo potest sumi natura in homine secundum quod condividitur rationi, id scilicet quod est commune homini et aliis, praecipue quod rationi non obedit. Et secundum hoc, ea quae pertinent ad conservationem corporis, vel secundum individuum, ut cibus, potus, lectus, et huiusmodi, vel secundum speciem, sicut venereorum usus, dicuntur homini delectabilia naturaliter. Secundum utrasque autem delectationes, contingit aliquas esse innaturales, simpliciter loquendo, sed connaturales secundum quid. Contingit enim in aliquo individuo corrumpi aliquod principiorum naturalium speciei; et sic id quod est contra naturam speciei, fieri per accidens naturale huic individuo; sicut huic aquae calefactae est naturale quod calefaciat. Ita igitur contingit quod id quod est contra naturam hominis, vel quantum ad rationem, vel quantum ad corporis conservationem, fiat huic homini connaturale, propter aliquam corruptionem naturae in eo existentem. Quae quidem corruptio potest esse vel ex parte corporis, sive ex aegritudine, sicut febricitantibus dulcia videntur amara et e converso; sive propter malam complexionem, sicut aliqui delectantur in comestione terrae vel carbonum, vel aliquorum huiusmodi, vel etiam ex parte animae, sicut propter consuetudinem aliqui, delectantur in comedendo homines, vel in coitu bestiarum aut masculorum, aut aliorum huiusmodi, quae non sunt secundum naturam humanam.

 

[34884] Iª-IIae q. 31 a. 7 co.
RISPONDO: Come insegna Aristotele, si denomina naturale ciò che è conforme alla natura. Ma nell'uomo la natura si può prendere in due sensi. Primo, in quanto la natura dell'uomo consiste specialmente nell'intelletto, ossia nella ragione, poiché da questa l'uomo viene costituito nella sua specie. E in questo senso possono dirsi naturali per l'uomo quei piaceri che a lui convengono secondo la ragione: così è naturale per l'uomo godere la contemplazione della verità, e gli atti di virtù. - Secondo, nell'uomo natura può prendersi in antitesi con la ragione: e allora indica quanto è comune all'uomo e agli altri esseri, specialmente quanto non obbedisce alla ragione. In questo senso si dicono cose naturalmente piacevoli all'uomo, quelle che riguardano la conservazione del corpo; e cioè il cibo, la bevanda, il sonno, e simili, per la conservazione dell'individuo; e l'uso dei piaceri venerei, per la conservazione della specie.
Nell'uno e nell'altro senso avviene che alcuni piaceri siano assolutamente parlando, innaturali, sebbene siano connaturali in senso relativo. Infatti in alcuni individui si corrompe qualcuno dei principii naturali della specie; e così quello che è contro la natura della specie diviene, sotto un certo aspetto, naturale per essi: all'acqua calda, p. es., è connaturale riscaldare. Così può capitare che quanto è contrario alla natura dell'uomo, sia rispetto alla ragione, che rispetto alla conservazione fisica, diventi connaturale per quest'uomo determinato, per la corruzione della natura verificatasi in lui. E codesta corruzione può dipendere, o dal corpo — da una malattia, p. es., che ai febbricitanti fa sembrare amare le cose dolci e viceversa; o da una complessione viziosa, per cui alcuni provano piacere nel mangiare la terra, il carbone, o in altre simili cose —, oppure dall'anima: ed è così che alcuni per tristi abitudini provano piacere nell'antropofagia, nel coito con le bestie, nell'omosessualità, e in altre cose del genere, che non sono conformi alla natura umana.

[34885] Iª-IIae q. 31 a. 7 ad arg.
Et per hoc patet responsio ad obiecta.

 

[34885] Iª-IIae q. 31 a. 7 ad arg.
Così è evidente anche la risposta alle difficoltà.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Il piacere in se stesso > Se un piacere possa essere contrario all'altro


Prima pars secundae partis
Quaestio 31
Articulus 8

[34886] Iª-IIae q. 31 a. 8 arg. 1
Ad octavum sic proceditur. Videtur quod delectationi non sit delectatio contraria. Passiones enim animae speciem et contrarietatem recipiunt secundum obiecta. Obiectum autem delectationis est bonum. Cum igitur bonum non sit contrarium bono, sed bonum malo contrarietur, et malum malo, ut dicitur in praedicamentis; videtur quod delectatio non sit contraria delectationi.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 31
Articolo 8

[34886] Iª-IIae q. 31 a. 8 arg. 1
SEMBRA che un piacere non possa essere contrario all'altro. Infatti:
1. Le passioni dell'anima ricevono la loro specie e la loro contrarietà dal loro oggetto. Ora, oggetto del piacere è il bene. E il bene non è contrario al bene, ma "il bene è contrario al male, e il male al male", come scrive Aristotele. Perciò un piacere non si contrappone mai al piacere.

[34887] Iª-IIae q. 31 a. 8 arg. 2
Praeterea, uni unum est contrarium, ut probatur in X Metaphys. Sed delectationi contraria est tristitia. Non ergo delectationi contraria est delectatio.

 

[34887] Iª-IIae q. 31 a. 8 arg. 2
2. Una cosa non ha che un unico contrario, come spiega Aristotele. Ora, il contrario del piacere è la tristezza. Dunque a un piacere non si può contrapporre un altro piacere.

[34888] Iª-IIae q. 31 a. 8 arg. 3
Praeterea, si delectationi contraria est delectatio hoc non est nisi propter contrarietatem eorum in quibus aliquis delectatur. Sed haec differentia est materialis, contrarietas autem est differentia secundum formam, ut dicitur in X Metaphys. Ergo contrarietas non est delectationis ad delectationem.

 

[34888] Iª-IIae q. 31 a. 8 arg. 3
3. Se al piacere è contrapposto un altro piacere, ciò si deve alla sola contrarietà esistente tra le cose di cui uno può godere. Ma codesta differenza è materiale: invece la contrarietà è una differenza formale, come Aristotele afferma. Dunque non c’è mai contrarietà tra due piaceri.

[34889] Iª-IIae q. 31 a. 8 s. c.
Sed contra, ea quae se impediunt, in eodem genere existentia, secundum philosophum, sunt contraria. Sed quaedam delectationes se invicem impediunt ut dicitur in X Ethic. Ergo aliquae delectationes sunt contrariae.

 

[34889] Iª-IIae q. 31 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: Secondo il Filosofo, sono contrarie cose dello stesso genere che s'impediscono a vicenda. Ora come lo stesso notava, certi piaceri s'impediscono a vicenda. - Dunque ci sono dei piaceri tra loro contrari.

[34890] Iª-IIae q. 31 a. 8 co.
Respondeo dicendum quod delectatio in affectionibus animae, sicut dictum est, proportionatur quieti in corporibus naturalibus. Dicuntur autem duae quietes esse contrariae, quae sunt in contrariis terminis; sicut quies quae est sursum, ei quae est deorsum, ut dicitur V Physic. Unde et contingit in affectibus animae duas delectationes esse contrarias.

 

[34890] Iª-IIae q. 31 a. 8 co.
RISPONDO: Abbiamo già detto che il piacere sta ai sentimenti dell'anima, come la quiete ai corpi fisici. Ora, due quieti si dicono contrarie, quando si producono su termini contrari: sono contrarie, p. es., "la quiete in alto, rispetto a quella in basso", come nota Aristotele. Quindi anche nei sentimenti dell'anima due piaceri possono essere contrari.

[34891] Iª-IIae q. 31 a. 8 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod verbum illud philosophi est intelligendum secundum quod bonum et malum accipitur in virtutibus et vitiis, nam inveniuntur duo contraria vitia, non autem invenitur virtus contraria virtuti. In aliis autem nil prohibet duo bona esse ad invicem contraria, sicut calidum et frigidum, quorum unum est bonum igni, alterum aquae. Et per hunc modum delectatio potest esse delectationi contraria. Sed hoc in bono virtutis esse non potest, quia bonum virtutis non accipitur nisi per convenientiam ad aliquid unum, scilicet rationem.

 

[34891] Iª-IIae q. 31 a. 8 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le parole del Filosofo si riferiscono al bene e al male della virtù e del vizio: infatti si possono trovare due vizi contrari, non già due virtù contrarie. Ma in altri generi di cose niente impedisce che due beni siano contrari tra loro: il caldo e il freddo, p. es., sono l'uno il bene del fuoco, l'altro dell'acqua. E in questo modo il piacere può essere contrario a un altro piacere. Ma questo non può avvenire per il bene morale: poiché il bene morale si desume dalla concordanza con un principio unico, cioè con la ragione.

[34892] Iª-IIae q. 31 a. 8 ad 2
Ad secundum dicendum quod delectatio se habet in affectibus animae, sicut quies naturalis in corporibus, est enim in aliquo convenienti et quasi connaturali. Tristitia autem se habet sicut quies violenta, tristabile enim repugnat appetitui animali, sicut locus quietis violentae appetitui naturali. Quieti autem naturali opponitur et quies violenta eiusdem corporis, et quies naturalis alterius, ut dicitur in V Physic. Unde delectationi opponitur et delectatio et tristitia.

 

[34892] Iª-IIae q. 31 a. 8 ad 2
2. Il piacere sta agli altri sentimenti dell'anima, come la quiete fisica sta ai corpi: infatti ha per oggetto ciò che è conveniente e connaturale. Invece la tristezza è come una quiete violenta: infatti l'oggetto che rattrista ripugna all'appetito sensitivo, come il luogo o la quiete violenta ripugna all'appetito naturale. Ora, alla quiete naturale si oppone, sia la quiete violenta del medesimo corpo, che la quiete naturale di un altro corpo, come Aristotele insegna. Perciò [anche] al piacere si contrappone e la tristezza, e un altro piacere.

[34893] Iª-IIae q. 31 a. 8 ad 3
Ad tertium dicendum quod ea in quibus delectamur, cum sint obiecta delectationis, non solum faciunt differentiam materialem, sed etiam formalem, si sit diversa ratio delectabilitatis. Diversa enim ratio obiecti diversificat speciem actus vel passionis, ut ex supradictis patet.

 

[34893] Iª-IIae q. 31 a. 8 ad 3
3. Essendo le cose di cui si gode l'oggetto del piacere, non causano soltanto una differenza materiale, ma anche formale, quando la ragione del loro piacere è diversa. Infatti la diversità formale dell'oggetto determina la diversità specifica degli atti e delle passioni, come abbiamo già spiegato.

Alla Questione precedente

 

Alla Questione successiva