[34383] Iª-IIae q. 19 a. 5 co. Respondeo dicendum quod, cum conscientia sit quodammodo dictamen rationis (est enim quaedam applicatio scientiae ad actum, ut in primo dictum est), idem est quaerere utrum voluntas discordans a ratione errante sit mala, quod quaerere utrum conscientia errans obliget. Circa quod, aliqui distinxerunt tria genera actuum, quidam enim sunt boni ex genere; quidam sunt indifferentes; quidam sunt mali ex genere. Dicunt ergo quod, si ratio vel conscientia dicat aliquid esse faciendum quod sit bonum ex suo genere, non est ibi error. Similiter, si dicat aliquid non esse faciendum quod est malum ex suo genere, eadem enim ratione praecipiuntur bona, qua prohibentur mala. Sed si ratio vel conscientia dicat alicui quod illa quae sunt secundum se mala, homo teneatur facere ex praecepto; vel quod illa quae sunt secundum se bona, sint prohibita; erit ratio vel conscientia errans. Et similiter si ratio vel conscientia dicat alicui quod id quod est secundum se indifferens, ut levare festucam de terra, sit prohibitum vel praeceptum, erit ratio vel conscientia errans. Dicunt ergo quod ratio vel conscientia errans circa indifferentia, sive praecipiendo sive prohibendo, obligat, ita quod voluntas discordans a tali ratione errante, erit mala et peccatum. Sed ratio vel conscientia errans praecipiendo ea quae sunt per se mala, vel prohibendo ea quae sunt per se bona et necessaria ad salutem, non obligat, unde in talibus voluntas discordans a ratione vel conscientia errante, non est mala. Sed hoc irrationabiliter dicitur. In indifferentibus enim, voluntas discordans a ratione vel conscientia errante, est mala aliquo modo propter obiectum, a quo bonitas vel malitia voluntatis dependet, non autem propter obiectum secundum sui naturam; sed secundum quod per accidens a ratione apprehenditur ut malum ad faciendum vel ad vitandum. Et quia obiectum voluntatis est id quod proponitur a ratione, ut dictum est, ex quo aliquid proponitur a ratione ut malum, voluntas, dum in illud fertur, accipit rationem mali. Hoc autem contingit non solum in indifferentibus, sed etiam in per se bonis vel malis. Non solum enim id quod est indifferens, potest accipere rationem boni vel mali per accidens; sed etiam id quod est bonum, potest accipere rationem mali, vel illud quod est malum, rationem boni, propter apprehensionem rationis. Puta, abstinere a fornicatione bonum quoddam est, tamen in hoc bonum non fertur voluntas, nisi secundum quod a ratione proponitur. Si ergo proponatur ut malum a ratione errante, feretur in hoc sub ratione mali. Unde voluntas erit mala, quia vult malum, non quidem id quod est malum per se, sed id quod est malum per accidens, propter apprehensionem rationis. Et similiter credere in Christum est per se bonum, et necessarium ad salutem, sed voluntas non fertur in hoc, nisi secundum quod a ratione proponitur. Unde si a ratione proponatur ut malum, voluntas feretur in hoc ut malum, non quia sit malum secundum se, sed quia est malum per accidens ex apprehensione rationis. Et ideo philosophus dicit, in VII Ethic., quod, per se loquendo, incontinens est qui non sequitur rationem rectam, per accidens autem, qui non sequitur etiam rationem falsam. Unde dicendum est simpliciter quod omnis voluntas discordans a ratione, sive recta sive errante, semper est mala.
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[34383] Iª-IIae q. 19 a. 5 co.
RISPONDO: Domandarsi se il volere che discorda dalla ragione erronea sia cattivo, equivale a domandarsi se sia obbligante la, coscienza erronea; poiché la coscienza è come il dettato della ragione (infatti nella Prima Parte si disse che è un'applicazione della scienza all'atto). A questo proposito qualcuno ha distinto tre generi di atti.
Alcuni buoni nel loro genere; altri indifferenti; altri ancora cattivi nel loro genere. Essi dunque concludono che, se la ragione o la coscienza impone di compiere una cosa che è buona nel suo genere, non c'è errore. Così pure, se impone di non fare quello che è cattivo nel suo genere: poiché per uno stesso motivo si comanda il bene e si proibisce il male. Ma se la ragione o la coscienza dicesse a una persona che un uomo è tenuto a compiere per legge cose che sono per se stesse cattive, oppure che sono proibite cose per se stesse buone, allora la ragione, o la coscienza, è erronea. Così pure sarebbe erronea, se dicesse che è proibito, o che è comandato ciò che di suo è indifferente, come alzare una pagliuzza da terra. In questo caso, essi dicono, la ragione, o coscienza, che sbaglia in cose indifferenti, sia nel comandare, sia nel proibire, è obbligante: cosicché il volere, che non si uniforma a codesta ragione erronea, è cattivo, e si ha il peccato. Ma la ragione, o coscienza, che sbaglia comandando cose intrinsecamente cattive, o proibendo cose intrinsecamente buone e necessarie alla salvezza, non è obbligante: e quindi in questi casi il volere che discorda dalla ragione o dalla coscienza erronea non è cattivo.
Ma questa conclusione non è ragionevole. Infatti nelle cose indifferenti la volontà, che è in disaccordo con la ragione, o con la coscienza erronea, è cattiva, in una maniera o nell'altra, per l'oggetto dal quale dipende la bontà o la malizia della volizione: non già per l'oggetto in se stesso, ma in quanto occasionalmente viene considerato dalla ragione come un male da farsi o da evitare. E poiché l'oggetto della volontà è condizionato alla presentazione della ragione, per il fatto che una cosa viene presentata dalla ragione come cattiva, la volontà nel perseguirla diventa cattiva. Ora, questo non sì verifica soltanto nelle cose indifferenti, ma anche in quelle intrinsecamente buone o cattive. Infatti non soltanto la cosa indifferente può accidentalmente assumere natura di bene o di male; ma il bene stesso può assumere aspetto di male, e il male l'aspetto di bene, in forza dell'apprezzamento della ragione. Astenersi dalla fornicazione, p. es., è un bene: e tuttavia la volontà non può perseguirlo come tale, che in base alla presentazione della ragione. Se quindi venisse presentato dalla ragione erronea come un male, verrebbe perseguito sotto l'aspetto di male. Perciò la volontà sarebbe cattiva, poiché vorrebbe un male: non già un male che è tale per se stesso, ma per accidens, cioè in l'orza dell'apprezzamento della ragione. Così credere in Cristo è cosa essenzialmente buona e necessaria alla salvezza: ma la volontà non può tendere a questo che in base alla presentazione della ragione. E quindi, se la ragione lo presentasse come un male, la volontà non potrebbe volerlo che come un male: non perché sia un male per se stesso, ma perché è un male nella considerazione della ragione. Per questo il Filosofo insegna che, "assolutamente parlando, incontinente è colui che non segue la retta ragione: per accidens è incontinente anche colui che non segue la ragione falsa". Dunque bisogna concludere, assolutamente parlando, che ogni volere discorde dalla ragione, sia retta che erronea, è sempre peccaminoso.
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