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Se la specie data dal fine sia contenuta, come nel suo genere, nella specie data dall'oggetto, o viceversa
Prima pars secundae partis
Quaestio 18
Articulus 7
[34306] Iª-IIae q. 18 a. 7 arg. 1 Ad septimum sic proceditur. Videtur quod species bonitatis quae est ex fine, contineatur sub specie bonitatis quae est ex obiecto, sicut species sub genere, puta cum aliquis vult furari ut det eleemosynam. Actus enim habet speciem ex obiecto, ut dictum est. Sed impossibile est quod aliquid contineatur in aliqua alia specie, quae sub propria specie non continetur, quia idem non potest esse in diversis speciebus non subalternis. Ergo species quae est ex fine, continetur sub specie quae est ex obiecto.
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Prima parte della seconda parte
Questione 18
Articolo 7
[34306] Iª-IIae q. 18 a. 7 arg. 1
SEMBRA che la specie morale data dal fine sia contenuta, come nel proprio genere, nella specie morale data dall'oggetto: nel caso di colui che ruba, p. es., per fare l'elemosina. Infatti:
1. L'atto riceve la specie dall'oggetto, come abbiamo visto. Ma è impossibile che una cosa sia contenuta in una seconda specie, che non è inclusa nella propria specie: perché la medesima non può trovarsi in più specie non subalternate. Dunque la specie desunta dal fine ricade sotto la specie desunta dall'oggetto.
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[34307] Iª-IIae q. 18 a. 7 arg. 2 Praeterea, semper ultima differentia constituit speciem specialissimam. Sed differentia quae est ex fine, videtur esse posterior quam differentia quae est ex obiecto, quia finis habet rationem ultimi. Ergo species quae est ex fine, continetur sub specie quae est ex obiecto, sicut species specialissima.
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[34307] Iª-IIae q. 18 a. 7 arg. 2
2. L'ultima differenza costituisce sempre la specie specialissima. Ora, la differenza derivante dal fine è posteriore a quella desunta dall'oggetto: poiché il fine corrisponde al concetto di ultimo. Dunque la specie desunta dal fine rientra sotto la specie desunta dall'oggetto, come specie specialissima.
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[34308] Iª-IIae q. 18 a. 7 arg. 3 Praeterea, quanto aliqua differentia est magis formalis, tanto magis est specialis, quia differentia comparatur ad genus ut forma ad materiam. Sed species quae est ex fine, est formalior ea quae est ex obiecto, ut dictum est. Ergo species quae est ex fine, continetur sub specie quae est ex obiecto, sicut species specialissima sub genere subalterno.
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[34308] Iª-IIae q. 18 a. 7 arg. 3
3. Più una differenza è formale, più è speciale; poiché la differenza sta al genere, come la forma sta alla materia. Ma la specie desunta dal fine è più formale di quella desunta dall'oggetto, come abbiamo detto. Dunque la specie data dal fine è contenuta nella specie data dall'oggetto, come la specie specialissima nel genere subalterno.
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[34309] Iª-IIae q. 18 a. 7 s. c. Sed contra, cuiuslibet generis sunt determinatae differentiae. Sed actus eiusdem speciei ex parte obiecti, potest ad infinitos fines ordinari, puta furtum ad infinita bona vel mala. Ergo species quae est ex fine, non continetur sub specie quae est ex obiecto, sicut sub genere.
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[34309] Iª-IIae q. 18 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO: A ciascun genere corrispondono determinate differenze. Ora, un atto della medesima specie desunta dall'oggetto può essere ordinato a innumerevoli fini: un furto, p. es., può avere infiniti scopi, buoni o cattivi. Dunque la specie desunta dal fine non è compresa nella specie desunta dall'oggetto, come in un genere.
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[34310] Iª-IIae q. 18 a. 7 co. Respondeo dicendum quod obiectum exterioris actus dupliciter potest se habere ad finem voluntatis, uno modo, sicut per se ordinatum ad ipsum, sicut bene pugnare per se ordinatur ad victoriam; alio modo, per accidens, sicut accipere rem alienam per accidens ordinatur ad dandum eleemosynam. Oportet autem, ut philosophus dicit in VII Metaphys., quod differentiae dividentes aliquod genus, et constituentes speciem illius generis, per se dividant illud. Si autem per accidens, non recte procedit divisio, puta si quis dicat, animalium aliud rationale, aliud irrationale; et animalium irrationalium aliud alatum, aliud non alatum, alatum enim et non alatum non sunt per se determinativa eius quod est irrationale. Oportet autem sic dividere, animalium aliud habens pedes, aliud non habens pedes; et habentium pedes, aliud habet duos, aliud quatuor, aliud multos, haec enim per se determinant priorem differentiam. Sic igitur quando obiectum non est per se ordinatum ad finem, differentia specifica quae est ex obiecto, non est per se determinativa eius quae est ex fine, nec e converso. Unde una istarum specierum non est sub alia, sed tunc actus moralis est sub duabus speciebus quasi disparatis. Unde dicimus quod ille qui furatur ut moechetur, committit duas malitias in uno actu. Si vero obiectum per se ordinetur ad finem, una dictarum differentiarum est per se determinativa alterius. Unde una istarum specierum continebitur sub altera. Considerandum autem restat quae sub qua. Ad cuius evidentiam, primo considerandum est quod quanto aliqua differentia sumitur a forma magis particulari, tanto magis est specifica. Secundo, quod quanto agens est magis universale, tanto ex eo est forma magis universalis. Tertio, quod quanto aliquis finis est posterior, tanto respondet agenti universaliori, sicut victoria, quae est ultimus finis exercitus, est finis intentus a summo duce; ordinatio autem huius aciei vel illius, est finis intentus ab aliquo inferiorum ducum. Et ex istis sequitur quod differentia specifica quae est ex fine, est magis generalis; et differentia quae est ex obiecto per se ad talem finem ordinato, est specifica respectu eius. Voluntas enim, cuius proprium obiectum est finis, est universale motivum respectu omnium potentiarum animae, quarum propria obiecta sunt obiecta particularium actuum.
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[34310] Iª-IIae q. 18 a. 7 co.
RISPONDO: L'oggetto di un atto esterno può avere due rapporti col fine inteso dal volere: primo, quale mezzo ad esso ordinato per se, come il combattere bene è ordinato alla vittoria; secondo, [quale mezzo ad esso ordinato] per accidens, come prendere la roba altrui per fare l'elemosina. Ora, è necessario, a dire del Filosofo, che le differenze le quali suddividono un genere, e che costituiscono la specie di esso, lo suddividano per se. Se la suddivisione è per accidens non è una buona divisione; come se uno dicesse: "Gli animali sono ragionevoli e irragionevoli; e gli animali irragionevoli alati e non alati"; infatti avere le ali e non averle non è una determinazione dell'essere irragionevole. Invece bisogna dividere così: "Tra gli animali gli uni hanno i piedi, gli altri non ne hanno; e tra quelli che hanno i piedi alcuni ne hanno due, altri quattro"; queste ultime suddivisioni determinano per se essenzialmente la differenza antecedente.
Per questo, quando l'oggetto non è ordinato per se al fine, la differenza specifica dovuta all'oggetto non determina quella dovuta al fine, e neppure viceversa. Perciò l'una specie non include l'altra: ma in questo caso l'atto morale si trova in due specie quasi disparate. E quindi diciamo che colui il quale ruba per commettere adulterio, assomma due malizie in un solo atto. - Se invece l'oggetto è ordinato per se al fine, allora una differenza determina direttamente l'altra. Perciò una specie viene inclusa nell'altra.
Rimane ora da vedere quale include e quale viene inclusa. Per chiarire la cosa bisogna considerare: primo, che una differenza è tanto più specifica, quanto è più particolare la forma da cui dipende. Secondo, che quanto più una causa è estesa, tanto è più estesa la forma da essa desunta. Terzo, che quanto più il fine è remoto, tanto più corrisponde a un agente dall'influsso più universale: la vittoria, p. es., che è l'ultimo fine di un esercito, è il fine inteso dal comandante supremo; mentre la manovra di questa e di quell'altra schiera è il fine inteso da un comandante subalterno. - Da ciò segue che la differenza specifica desunta dal fine è più generale; mentre la differenza, desunta dall'oggetto ordinato per se a codesto fine, è specifica in rapporto ad esso. Infatti la volontà, che ha per oggetto suo proprio il fine, è la causa movente universale rispetto a tutte le potenze dell'anima, i cui oggetti propri sono oggetto degli atti particolari.
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[34311] Iª-IIae q. 18 a. 7 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod secundum substantiam suam non potest aliquid esse in duabus speciebus, quarum una sub altera non ordinetur. Sed secundum ea quae rei adveniunt, potest aliquid sub diversis speciebus contineri. Sicut hoc pomum, secundum colorem, continetur sub hac specie, scilicet albi, et secundum odorem, sub specie bene redolentis. Et similiter actus qui secundum substantiam suam est in una specie naturae, secundum conditiones morales supervenientes, ad duas species referri potest, ut supra dictum est.
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[34311] Iª-IIae q. 18 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. In forza della sua natura una cosa non può essere in due specie che non siano tra loro subordinate. Ma in forza delle contingenze che possono capitare, una cosa può essere inclusa in specie diverse. Questo frutto, p. es., per il colore è nella specie delle cose bianche; per l'odore sotto la specie di quelle profumate. Allo stesso modo, un atto che per la sua natura è fisicamente in una determinata specie, per le condizioni morali che possono capitare, può riferirsi a una seconda specie, come abbiamo spiegato.
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[34312] Iª-IIae q. 18 a. 7 ad 2 Ad secundum dicendum quod finis est postremum in executione; sed est primum in intentione rationis, secundum quam accipiuntur moralium actuum species.
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[34312] Iª-IIae q. 18 a. 7 ad 2
2. Il fine è l'ultimo nell'esecuzione, ma è primo nell'intenzione della ragione, in base alla quale si desumono le specie degli atti morali.
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[34313] Iª-IIae q. 18 a. 7 ad 3 Ad tertium dicendum quod differentia comparatur ad genus ut forma ad materiam, inquantum facit esse genus in actu. Sed etiam genus consideratur ut formalius specie, secundum quod est absolutius, et minus contractum. Unde et partes definitionis reducuntur ad genus causae formalis, ut dicitur in libro Physic. Et secundum hoc, genus est causa formalis speciei, et tanto erit formalius, quanto communius.
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[34313] Iª-IIae q. 18 a. 7 ad 3
3. La differenza sta al genere come la forma sta alla materia, in quanto lo rende attuale. Ma a sua volta il genere viene considerato più formale della specie, in quanto è più assoluto e meno contratto. Difatti gli elementi della definizione si riportano al genere della causa formale, come insegna Aristotele. E sotto questo aspetto il genere è causa formale della specie. E tanto sarà più formale, quanto sarà più universale.
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