I-II, 17

Seconda parte > Gli atti umani in generale > Gli atti comandati dalla volontà


Prima pars secundae partis
Quaestio 17
Prooemium

[34182] Iª-IIae q. 17 pr.
Deinde considerandum est de actibus imperatis a voluntate. Et circa hoc quaeruntur novem.
Primo, utrum imperare sit actus voluntatis, vel rationis.
Secundo, utrum imperare pertineat ad bruta animalia.
Tertio, de ordine imperii ad usum.
Quarto, utrum imperium et actus imperatus sint unus actus, vel diversi.
Quinto, utrum actus voluntatis imperetur.
Sexto, utrum actus rationis.
Septimo, utrum actus appetitus sensitivi.
Octavo, utrum actus animae vegetabilis.
Nono, utrum actus exteriorum membrorum.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 17
Proemio

[34182] Iª-IIae q. 17 pr.
Passiamo ora a trattare degli atti comandati dalla volontà.
Sull'argomento si pongono nove quesiti:

1. Se comandare sia atto della volontà o della ragione;
2. Se possano comandare anche gli animali bruti;
3. Sui rapporti tra il comando e l'uso;
4. Se il comando e l'atto comandato siano atti diversi o un unico atto;
5. Se gli atti della volontà possano essere comandati;
6. Se possano esserlo gli atti della ragione;
7. Se gli atti dell'appetito sensitivo;
8. Se quelli dell'anima vegetativa;
9. Se gli atti delle membra esterne.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Gli atti comandati dalla volontà > Se comandare sia atto della ragione o della volontà


Prima pars secundae partis
Quaestio 17
Articulus 1

[34183] Iª-IIae q. 17 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod imperare non sit actus rationis, sed voluntatis. Imperare enim est movere quoddam, dicit enim Avicenna quod quadruplex est movens, scilicet perficiens, disponens, imperans et consilians. Sed ad voluntatem pertinet movere omnes alias vires animae, ut dictum est supra. Ergo imperare est actus voluntatis.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 17
Articolo 1

[34183] Iª-IIae q. 17 a. 1 arg. 1
SEMBRA che comandare non sia atto della ragione, ma della volontà. Infatti:
1. Il comando è una specie di mozione: invero Avicenna insegna che il movente può essere di quattro specie, e cioè attuante, disponente, imperante e consigliante. Ma alla volontà, come abbiamo visto, spetta la mozione di tutte le altre potenze dell'anima. Dunque comandare è un atto della volontà.

[34184] Iª-IIae q. 17 a. 1 arg. 2
Praeterea, sicut imperari pertinet ad id quod est subiectum, ita imperare pertinere videtur ad id quod est maxime liberum. Sed radix libertatis est maxime in voluntate. Ergo voluntatis est imperare.

 

[34184] Iª-IIae q. 17 a. 1 arg. 2
2. Come spetta ai sottoposti essere comandati, così spetta a chi è sommamente libero comandare. Ma la radice della libertà è soprattutto nella volontà. Dunque comandare è compito della volontà.

[34185] Iª-IIae q. 17 a. 1 arg. 3
Praeterea, ad imperium statim sequitur actus. Sed ad actum rationis non statim sequitur actus, non enim qui iudicat aliquid esse faciendum, statim illud operatur. Ergo imperare non est actus rationis, sed voluntatis.

 

[34185] Iª-IIae q. 17 a. 1 arg. 3
3. Al comando segue subito l'operazione. Ma all'atto della ragione non segue subito l'operare: infatti chi giudica che una cosa sia da farsi, non si applica senz'altro a compierla. Dunque comandare non è un atto della ragione, ma della volontà.

[34186] Iª-IIae q. 17 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Gregorius Nyssenus dicit, et etiam philosophus quod appetitivum obedit rationi. Ergo rationis est imperare.

 

[34186] Iª-IIae q. 17 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: S. Gregorio Nisseno [ossia Nemesio] e il Filosofo insegnano, che " l'appetito obbedisce alla ragione ". Dunque comandare è compito della ragione.

[34187] Iª-IIae q. 17 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod imperare est actus rationis, praesupposito tamen actu voluntatis. Ad cuius evidentiam, considerandum est quod, quia actus voluntatis et rationis supra se invicem possunt ferri, prout scilicet ratio ratiocinatur de volendo, et voluntas vult ratiocinari; contingit actum voluntatis praeveniri ab actu rationis, et e converso. Et quia virtus prioris actus remanet in actu sequenti, contingit quandoque quod est aliquis actus voluntatis, secundum quod manet virtute in ipso aliquid de actu rationis, ut dictum est de usu et de electione; et e converso aliquis est actus rationis, secundum quod virtute manet in ipso aliquid de actu voluntatis. Imperare autem est quidem essentialiter actus rationis, imperans enim ordinat eum cui imperat, ad aliquid agendum, intimando vel denuntiando; sic autem ordinare per modum cuiusdam intimationis, est rationis. Sed ratio potest aliquid intimare vel denuntiare dupliciter. Uno modo, absolute, quae quidem intimatio exprimitur per verbum indicativi modi; sicut si aliquis alicui dicat, hoc est tibi faciendum. Aliquando autem ratio intimat aliquid alicui, movendo ipsum ad hoc, et talis intimatio exprimitur per verbum imperativi modi; puta cum alicui dicitur, fac hoc. Primum autem movens in viribus animae ad exercitium actus, est voluntas, ut supra dictum est. Cum ergo secundum movens non moveat nisi in virtute primi moventis, sequitur quod hoc ipsum quod ratio movet imperando, sit ei ex virtute voluntatis. Unde relinquitur quod imperare sit actus rationis, praesupposito actu voluntatis, in cuius virtute ratio movet per imperium ad exercitium actus.

 

[34187] Iª-IIae q. 17 a. 1 co.
RISPONDO: Comandare è atto della ragione, però col presupposto di un atto della volontà. Per averne l'evidenza si deve considerare che l'atto della volontà può essere preceduto da quello della ragione e viceversa; poiché gli atti della volontà e della, ragione possono reciprocamente riflettere su se stessi, in quanto la ragione ragiona sul volere, e la volontà vuole il raziocinare. E poiché la virtualità dell'atto antecedente perdura nell'atto che segue, capitano degli atti di volontà, in cui rimane virtualmente qualche elemento degli atti della ragione, come abbiamo detto a proposito dell'uso e dell'elezione; e viceversa, ci sono degli atti della ragione in cui virtualmente rimane qualche elemento dell'atto della volontà.
Ora, comandare è essenzialmente un atto della ragione: infatti chi comanda ordina colui al quale comanda a compiere qualche cosa, mediante un'intimazione, o dichiarazione; e ordinare sotto forma di intimazione è proprio della ragione. Ma la ragione può intimare o dichiarare una cosa in due modi. Primo, in termini assoluti: e tale intimazione si esprime col verbo nel modo indicativo; come se a una persona si dicesse: " Questo è per tè il da farsi ". Altre volte invece la ragione intima una data cosa, movendo verso di essa: e tale intimazione si esprime col verbo di modo imperativo; come quando a uno si dice: "Fai questo". Ora, tra le facoltà dell'anima il primo motore nell'esercizio dell'atto è la volontà, come abbiamo spiegato. E poiché il secondo non muove che in virtù del primo, ne segue che la mozione imperativa della ragione deriva dalla volontà. Perciò rimane stabilito che comandare è un atto della ragione, col presupposto di un atto di volontà, in forza del quale la ragione muove col comando all'esercizio dell'atto.

[34188] Iª-IIae q. 17 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod imperare non est movere quocumque modo, sed cum quadam intimatione denuntiativa ad alterum. Quod est rationis.

 

[34188] Iª-IIae q. 17 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Comandare non è una mozione qualsiasi, ma è un muovere mediante un'intimazione diretta a qualcuno. E questo è proprio della ragione.

[34189] Iª-IIae q. 17 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod radix libertatis est voluntas sicut subiectum, sed sicut causa, est ratio. Ex hoc enim voluntas libere potest ad diversa ferri, quia ratio potest habere diversas conceptiones boni. Et ideo philosophi definiunt liberum arbitrium quod est liberum de ratione iudicium, quasi ratio sit causa libertatis.

 

[34189] Iª-IIae q. 17 a. 1 ad 2
2. Radice della libertà come subietto è la volontà; ma come causa è la ragione. Infatti la volontà può liberamente indirizzarsi a cose diverse, perché la ragione è capace di concepire diversi beni. Perciò i filosofi definiscono il libero arbitrio, " un libero giudizio dovuto alla ragione ", come per indicare che la ragione è la causa della libertà.

[34190] Iª-IIae q. 17 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod ratio illa concludit quod imperium non sit actus rationis absolute, sed cum quadam motione, ut dictum est.

 

[34190] Iª-IIae q. 17 a. 1 ad 3
3. L'argomento dimostra che il comando è un atto della ragione non in modo esclusivo, ma in dipendenza da una mozione, come abbiamo spiegato.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Gli atti comandati dalla volontà > Se gli animali bruti possano comandare


Prima pars secundae partis
Quaestio 17
Articulus 2

[34191] Iª-IIae q. 17 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod imperare conveniat brutis animalibus. Quia secundum Avicennam, virtus imperans motum est appetitiva, et virtus exequens motum est in musculis et in nervis. Sed utraque virtus est in brutis animalibus. Ergo imperium invenitur in brutis animalibus.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 17
Articolo 2

[34191] Iª-IIae q. 17 a. 2 arg. 1
SEMBRA che gli animali bruti possano comandare. Infatti:
1. Secondo Avicenna, "la virtù che comanda il moto è appetitiva, e la virtù che lo eseguisce è nei muscoli e nei nervi ". Ora, sia l'una che l'altra si trova nei semplici animali. Dunque negli animali bruti non manca il comando.

[34192] Iª-IIae q. 17 a. 2 arg. 2
Praeterea, de ratione servi est quod ei imperetur. Sed corpus comparatur ad animam sicut servus ad dominum, sicut dicit philosophus in I Polit. Ergo corpori imperatur ab anima, etiam in brutis, quae sunt composita ex anima et corpore.

 

[34192] Iª-IIae q. 17 a. 2 arg. 2
2. E essenziale al concetto di servo il sottostare al comando. Ma il corpo, al dire di Aristotele, sta all'anima come il servo al padrone. Dunque anche nei bruti, che sono composti di anima e di corpo, il corpo subisce il comando dell'anima.

[34193] Iª-IIae q. 17 a. 2 arg. 3
Praeterea, per imperium homo facit impetum ad opus. Sed impetus in opus invenitur in brutis animalibus, ut Damascenus dicit. Ergo in brutis animalibus invenitur imperium.

 

[34193] Iª-IIae q. 17 a. 2 arg. 3
3. Mediante il comando l'uomo si slancia verso l'operazione. Ma "l'impulso verso l'operazione si trova anche negli animali", come dice il Damasceno. Dunque anche negli animali si trova il comando.

[34194] Iª-IIae q. 17 a. 2 s. c.
Sed contra, imperium est actus rationis, ut dictum est. Sed in brutis non est ratio. Ergo neque imperium.

 

[34194] Iª-IIae q. 17 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Comandare è atto della ragione, come abbiamo detto. Ma nei bruti manca la ragione. Dunque manca il comando.

[34195] Iª-IIae q. 17 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod imperare nihil aliud est quam ordinare aliquem ad aliquid agendum, cum quadam intimativa motione. Ordinare autem est proprius actus rationis. Unde impossibile est quod in brutis animalibus, in quibus non est ratio, sit aliquo modo imperium.

 

[34195] Iª-IIae q. 17 a. 2 co.
RISPONDO: Comandare non è che ordinare uno a compiere qualche cosa mediante un'intimazione. Ma ordinare è atto proprio della ragione. Quindi è impossibile che negli animali bruti, privi di ragione, vi sia in qualche modo il comando.

[34196] Iª-IIae q. 17 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod vis appetitiva dicitur imperare motum, inquantum movet rationem imperantem. Sed hoc est solum in hominibus. In brutis autem animalibus virtus appetitiva non est proprie imperativa, nisi imperativum sumatur large pro motivo.

 

[34196] Iª-IIae q. 17 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si dice che la potenza appetitiva comanda il moto, in quanto muove la ragione che comanda. Ma ciò avviene soltanto nell'uomo. Invece negli animali bruti la potenza appetitiva propriamente non può comandare, a meno che il comando non si prenda in senso lato per mozione.

[34197] Iª-IIae q. 17 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod in brutis animalibus corpus quidem habet unde obediat, sed anima non habet unde imperet, quia non habet unde ordinet. Et ideo non est ibi ratio imperantis et imperati; sed solum moventis et moti.

 

[34197] Iª-IIae q. 17 a. 2 ad 2
2. Negli animali bruti il corpo è adatto per ubbidire, ma l'anima non lo è per comandare, poiché è incapace di ordinare. Perciò in essi non vi è rapporto tra parti che comandano e parti comandate, ma solo tra parti motrici e parti mosse.

[34198] Iª-IIae q. 17 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod aliter invenitur impetus ad opus in brutis animalibus, et aliter in hominibus. Homines enim faciunt impetum ad opus per ordinationem rationis, unde habet in eis impetus rationem imperii. In brutis autem fit impetus ad opus per instinctum naturae, quia scilicet appetitus eorum statim apprehenso convenienti vel inconvenienti, naturaliter movetur ad prosecutionem vel fugam. Unde ordinantur ab alio ad agendum, non autem ipsa seipsa ordinant ad actionem. Et ideo in eis est impetus, sed non imperium.

 

[34198] Iª-IIae q. 17 a. 2 ad 3
3. L'impulso verso l'operazione si trova diversamente nei semplici animali e nell'uomo. Infatti gli uomini si proiettano verso l'operazione in forza dell'ordine determinato dalla ragione: cosicché l'impulso suddetto in essi ha natura di comando. Invece negli animali bruti l'impulso verso l'operazione è determinato dall'istinto di natura: poiché il loro appetito, avuta la percezione dell'oggetto utile o nocivo, si muove naturalmente per raggiungerlo, o per fuggirlo. Perciò gli animali vengono ordinati da un altro ad agire: e non ordinano se stessi all'azione. Quindi in essi troviamo l'impulso, ma non il comando.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Gli atti comandati dalla volontà > Se l'uso preceda il comando


Prima pars secundae partis
Quaestio 17
Articulus 3

[34199] Iª-IIae q. 17 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod usus praecedat imperium. Imperium enim est actus rationis praesupponens actum voluntatis, ut supra dictum est. Sed usus est actus voluntatis, ut supra dictum est. Ergo usus praecedit imperium.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 17
Articolo 3

[34199] Iª-IIae q. 17 a. 3 arg. 1
SEMBRA che l'uso preceda il comando. Infatti:
1. Il comando, come si è detto, è un atto della ragione che presuppone un atto della volontà. Ma l'uso è un atto di volontà, come abbiamo visto. Dunque l'uso precede l'impero, o il comando.

[34200] Iª-IIae q. 17 a. 3 arg. 2
Praeterea, imperium est aliquid eorum quae ad finem ordinantur. Eorum autem quae sunt ad finem, est usus. Ergo videtur quod usus sit prius quam imperium.

 

[34200] Iª-IIae q. 17 a. 3 arg. 2
2. Il comando è uno dei tanti mezzi ordinati al fine. Ora, l'uso ha per oggetto i mezzi. Dunque l'uso è prima del comando.

[34201] Iª-IIae q. 17 a. 3 arg. 3
Praeterea, omnis actus potentiae motae a voluntate, usus dicitur, quia voluntas utitur aliis potentiis, ut supra dictum est. Sed imperium est actus rationis prout mota est a voluntate, sicut dictum est. Ergo imperium est quidam usus. Commune autem est prius proprio. Ergo usus est prius quam imperium.

 

[34201] Iª-IIae q. 17 a. 3 arg. 3
3. Ogni atto delle potenze mosse dalla volontà si chiama uso: poiché la volontà usa delle altre potenze, come abbiamo spiegato. Ma abbiamo anche visto che il comando è un atto della ragione in quanto mossa dalla volontà. Dunque il comando rientra nel genere uso. Ora, il generico è prima di ciò che è proprio. Quindi l'uso precede il comando.

[34202] Iª-IIae q. 17 a. 3 s. c.
Sed contra est quod Damascenus dicit, quod impetus ad operationem praecedit usum. Sed impetus ad operationem fit per imperium. Ergo imperium praecedit usum.

 

[34202] Iª-IIae q. 17 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Scrive il Damasceno che l'impulso verso l'operazione precede l'uso. Ma l'impulso verso l'operazione si ha nel comando. Dunque il comando precede l'uso.

[34203] Iª-IIae q. 17 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod usus eius quod est ad finem, secundum quod est in ratione referente ipsum in finem, praecedit electionem, ut supra dictum est. Unde multo magis praecedit imperium. Sed usus eius quod est ad finem, secundum quod subditur potentiae executivae, sequitur imperium, eo quod usus utentis coniunctus est cum actu eius quo quis utitur; non enim utitur aliquis baculo, antequam aliquo modo per baculum operetur. Imperium autem non est simul cum actu eius cui imperatur, sed naturaliter prius est imperium quam imperio obediatur, et aliquando etiam est prius tempore. Unde manifestum est quod imperium est prius quam usus.

 

[34203] Iª-IIae q. 17 a. 3 co.
RISPONDO: L'uso dei mezzi, in quanto si trovano [concettualmente] nella ragione che li ordina al fine, precede l'elezione, come abbiamo detto. Molto più quindi precede il comando. - Ma l'uso dei mezzi, in quanto sono soggetti alla potenza esecutiva, è posteriore al comando; poiché l'uso di chi usa è connesso con l'atto della cosa o facoltà usata; infatti uno non usa il bastone prima di operare qualche cosa col bastone. Invece il comando non è connesso con l'atto della cosa o facoltà comandata: ma per natura è prima della sua esecuzione, e talora è prima anche nel tempo. Dunque è evidente che il comando è prima dell'uso.

[34204] Iª-IIae q. 17 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod non omnis actus voluntatis praecedit hunc actum rationis qui est imperium, sed aliquis praecedit, scilicet electio; et aliquis sequitur, scilicet usus. Quia post determinationem consilii, quae est iudicium rationis, voluntas eligit; et post electionem, ratio imperat ei per quod agendum est quod eligitur; et tunc demum voluntas alicuius incipit uti, exequendo imperium rationis; quandoque quidem voluntas alterius, cum aliquis imperat alteri; quandoque autem voluntas ipsius imperantis, cum aliquis imperat sibi ipsi.

 

[34204] Iª-IIae q. 17 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Non tutti gli atti della volontà precedono quell'atto della ragione che è il comando; ma qualcuno lo precede, cioè l'elezione, e qualcuno lo segue, cioè l'uso. Infatti dopo la determinazione del consiglio, cioè dopo il giudizio della ragione, la volontà elegge; e dopo l'elezione la ragione comanda alla facoltà che deve compiere la cosa prescelta; e allora finalmente la volontà comincia a usare, eseguendo il comando della ragione; volontà che talora è quella di altri, quando uno comanda ad altre persone; talora è quella di chi comanda, quando uno comanda a se stesso.

[34205] Iª-IIae q. 17 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod, sicut actus sunt praevii potentiis, ita obiecta actibus. Obiectum autem usus est id quod est ad finem. Ex hoc ergo quod ipsum imperium est ad finem, magis potest concludi quod imperium sit prius usu, quam quod sit posterius.

 

[34205] Iª-IIae q. 17 a. 3 ad 2
2. Come gli atti precedono le potenze, così gli oggetti precedono gli atti. Ora, i mezzi sono oggetto dell'uso. Quindi, dal fatto che il comando è un mezzo si può concludere piuttosto che il comando è prima dell'uso, e non viceversa.

[34206] Iª-IIae q. 17 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut actus voluntatis utentis ratione ad imperandum, praecedit ipsum imperium; ita etiam potest dici quod et istum usum voluntatis praecedit aliquod imperium rationis, eo quod actus harum potentiarum supra seipsos invicem reflectuntur.

 

[34206] Iª-IIae q. 17 a. 3 ad 3
3. Come l'atto della volontà, che usa la ragione per comandare, precede il comando; così si può dire che l'uso della volontà è preceduto da un comando della ragione: poiché gli atti di queste potenze possono riflettere su se stessi.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Gli atti comandati dalla volontà > Se il comando e l'atto comandato siano atti diversi, o un unico atto


Prima pars secundae partis
Quaestio 17
Articulus 4

[34207] Iª-IIae q. 17 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod actus imperatus non sit unus actus cum ipso imperio. Diversarum enim potentiarum diversi sunt actus. Sed alterius potentiae est actus imperatus, et alterius ipsum imperium, quia alia est potentia quae imperat, et alia cui imperatur. Ergo non est idem actus imperatus cum imperio.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 17
Articolo 4

[34207] Iª-IIae q. 17 a. 4 arg. 1
SEMBRA che l'atto comandato non s'identifichi col comando. Infatti:
1. Atti di potenze diverse sono diversi. Ora, il comando e l'atto comandato appartengono a potenze diverse; poiché la potenza che comanda è distinta da quella comandata. Dunque l'atto comandato non s'identifica col comando.

[34208] Iª-IIae q. 17 a. 4 arg. 2
Praeterea, quaecumque possunt ab invicem separari, sunt diversa, nihil enim separatur a seipso. Sed aliquando actus imperatus separatur ab imperio, praecedit enim quandoque imperium, et non sequitur actus imperatus. Ergo alius actus est imperium ab actu imperato.

 

[34208] Iª-IIae q. 17 a. 4 arg. 2
2. Tutte le cose che possono separarsi sono distinte: infatti nessuna cosa può separarsi da se medesima. Ma talora l'atto comandato si separa dal comando: talora infatti il comando precede, senza che segua l'atto comandato. Dunque il comando è un atto distinto dall'atto comandato.

[34209] Iª-IIae q. 17 a. 4 arg. 3
Praeterea, quaecumque se habent secundum prius et posterius, sunt diversa. Sed imperium naturaliter praecedit actum imperatum. Ergo sunt diversa.

 

[34209] Iª-IIae q. 17 a. 4 arg. 3
3. Le cose, che si susseguono come antecedente e conseguente,
sono distinte. Ma il comando per natura precede l'atto comandato. Dunque sono distinti.

[34210] Iª-IIae q. 17 a. 4 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, quod ubi est unum propter alterum, ibi est unum tantum. Sed actus imperatus non est nisi propter imperium. Ergo sunt unum.

 

[34210] Iª-IIae q. 17 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo insegna, che "dove una cosa è per l'altra, non ce n'è che una sola". Ora, l'atto comandato non esiste che per il comando. Dunque sono una cosa sola.

[34211] Iª-IIae q. 17 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod nihil prohibet aliqua esse secundum quid multa, et secundum quid unum. Quinimmo omnia multa sunt secundum aliquid unum, ut Dionysius dicit, ult. cap. de Div. Nom. Est tamen differentia attendenda in hoc, quod quaedam sunt simpliciter multa, et secundum quid unum, quaedam vero e converso. Unum autem hoc modo dicitur sicut et ens. Ens autem simpliciter est substantia, sed ens secundum quid est accidens, vel etiam ens rationis. Et ideo quaecumque sunt unum secundum substantiam, sunt unum simpliciter, et multa secundum quid. Sicut totum in genere substantiae, compositum ex suis partibus vel integralibus vel essentialibus, est unum simpliciter, nam totum est ens et substantia simpliciter, partes vero sunt entia et substantiae in toto. Quae vero sunt diversa secundum substantiam, et unum secundum accidens, sunt diversa simpliciter, et unum secundum quid, sicut multi homines sunt unus populus, et multi lapides sunt unus acervus; quae est unitas compositionis, aut ordinis. Similiter etiam multa individua, quae sunt unum genere vel specie, sunt simpliciter multa, et secundum quid unum, nam esse unum genere vel specie, est esse unum secundum rationem. Sicut autem in genere rerum naturalium, aliquod totum componitur ex materia et forma, ut homo ex anima et corpore, qui est unum ens naturale, licet habeat multitudinem partium; ita etiam in actibus humanis, actus inferioris potentiae materialiter se habet ad actum superioris, inquantum inferior potentia agit in virtute superioris moventis ipsam, sic enim et actus moventis primi formaliter se habet ad actum instrumenti. Unde patet quod imperium et actus imperatus sunt unus actus humanus, sicut quoddam totum est unum, sed est secundum partes multa.

 

[34211] Iª-IIae q. 17 a. 4 co.
RISPONDO: Niente impedisce che certe cose siano distinte sotto un aspetto, e sotto un altro aspetto siano una realtà unica. Anzi, tutte le cose molteplici, al dire di Dionigi, in qualche modo partecipano l'unità. Qui tuttavia bisogna tener presente una differenza, e cioè che alcune cose sono molteplici in senso assoluto, e una cosa sola in senso relativo: altre invece al contrario. Qui parlare dell'uno è come parlare dell'ente. Ora, l'ente in senso assoluto [simpliciter] è la sostanza: invece l'accidente e gli enti di ragione sono enti in senso relativo [secundum quid]. Quindi tutto ciò che è sostanzialmente una cosa sola, è tale assolutamente parlando, ed è molteplice in senso relativo. Così un tutto nel genere di sostanza [l'uomo, p. es.], composto delle sue parti integrali o essenziali, è una cosa unica in senso assoluto: infatti il tutto assolutamente parlando è un ente e una sostanza, mentre le parti sono enti e sostanze nel tutto. Invece cose sostanzialmente diverse, ma che costituiscono un'unità accidentale, sono diverse in senso assoluto, e una cosa sola in senso relativo: così. molti uomini formano un solo popolo, e molte pietre un mucchio; vale a dire un'unità di composizione o di ordine. Così pure più individui, che formano un solo genere o una sola specie, in senso assoluto sono molteplici, e una cosa sola in senso relativo: infatti l'unità nel genere o nella specie è un'unità di ragione.
Ora, come nel campo delle cose naturali c'è un tutto composto di materia e forma, come l'uomo che è composto di anima e di corpo, il quale è un unico essere naturale, sebbene abbia una pluralità di parti; così negli atti umani l'atto di una potenza inferiore sta a quello di una potenza superiore come materia di esso, in quanto la potenza inferiore agisce in virtù di quella superiore che la muove: infatti l'atto del primo motore è l'elemento formale nell'agire dello strumento. E perciò evidente che il comando e l'atto comandato formano un unico atto umano come un tutto, che è una cosa sola, ma è molteplice per le sue parti.

[34212] Iª-IIae q. 17 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, si essent potentiae diversae ad invicem non ordinatae, actus earum essent simpliciter diversi. Sed quando una potentia est movens alteram, tunc actus earum sunt quodammodo unus, nam idem est actus moventis et moti, ut dicitur in III Physic.

 

[34212] Iª-IIae q. 17 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Se si trattasse di potenze diverse non ordinate l'una all'altra, i loro atti sarebbero distinti in senso assoluto. Ma quando una potenza è il motore dell'altra, allora i loro atti sono in qualche modo uno solo: infatti, come dice Aristotele, " identico è l'atto del principio motore e del soggetto mosso ".

[34213] Iª-IIae q. 17 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod ex hoc quod imperium et actus imperatus possunt ab invicem separari, habetur quod sunt multa partibus. Nam partes hominis possunt ab invicem separari, quae tamen sunt unum toto.

 

[34213] Iª-IIae q. 17 a. 4 ad 2
2. Per il fatto che il comando e l'atto comandato si possono separare, si dimostra che sono molteplici nelle loro parti. Infatti le parti di un uomo si possono separare tra loro, e tuttavia nel tutto formano un'unità.

[34214] Iª-IIae q. 17 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod nihil prohibet in his quae sunt multa partibus et unum toto, unum esse prius alio. Sicut anima quodammodo est prius corpore, et cor est prius aliis membris.

 

[34214] Iª-IIae q. 17 a. 4 ad 3
3. Niente impedisce che tra cose che sono molteplici per le loro parti, e formano un'unità nel tutto, l'una sia prima dell'altra. L'anima, p. es., è in qualche modo prima del corpo, e il cuore prima delle altre membra.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Gli atti comandati dalla volontà > Se l'atto della volontà possa essere comandato


Prima pars secundae partis
Quaestio 17
Articulus 5

[34215] Iª-IIae q. 17 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod actus voluntatis non sit imperatus. Dicit enim Augustinus, in VIII Confess., imperat animus ut velit animus, nec tamen facit. Velle autem est actus voluntatis. Ergo actus voluntatis non imperatur.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 17
Articolo 5

[34215] Iª-IIae q. 17 a. 5 arg. 1
SEMBRA che l'atto della volontà non possa essere comandato. Infatti:
1. S. Agostino scrive: "L'anima comanda all'anima di volere, ma non fa che voglia ". Ora, volere è un atto di volontà. Dunque gli atti della volontà non si comandano.

[34216] Iª-IIae q. 17 a. 5 arg. 2
Praeterea, ei convenit imperari, cui convenit imperium intelligere. Sed voluntatis non est intelligere imperium, differt enim voluntas ab intellectu, cuius est intelligere. Ergo actus voluntatis non imperatur.

 

[34216] Iª-IIae q. 17 a. 5 arg. 2
2. Può essere comandato chi può intendere il comando. Ma non spetta alla volontà intendere il comando: infatti la volontà è distinta dall'intelletto. Dunque l'atto della volontà non può essere comandato.

[34217] Iª-IIae q. 17 a. 5 arg. 3
Praeterea, si aliquis actus voluntatis imperatur, pari ratione omnes imperantur. Sed si omnes actus voluntatis imperantur, necesse est in infinitum procedere, quia actus voluntatis praecedit actum imperantis rationis, ut dictum est; qui voluntatis actus si iterum imperatur, illud iterum imperium praecedet alius rationis actus, et sic in infinitum. Hoc autem est inconveniens, quod procedatur in infinitum. Non ergo actus voluntatis imperatur.

 

[34217] Iª-IIae q. 17 a. 5 arg. 3
3. Se fosse comandato un atto della volontà, per lo stesso motivo potrebbero esserlo tutti. Ma se tutti gli atti di volontà sono comandati, è necessario procedere all'infinito: poiché un atto di volontà precede il comando della ragione, come abbiamo detto; e se codesto atto è a sua volta comandato, questo comando è preceduto da un altro atto di volontà, e così all'infinito. Ma è inammissibile che si proceda all'infinito. Dunque gli atti della volontà non si comandano.

[34218] Iª-IIae q. 17 a. 5 s. c.
Sed contra, omne quod est in potestate nostra, subiacet imperio nostro. Sed actus voluntatis sunt maxime in potestate nostra, nam omnes actus nostri intantum dicuntur in potestate nostra esse, inquantum voluntarii sunt. Ergo actus voluntatis imperantur a nobis.

 

[34218] Iª-IIae q. 17 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Tutto ciò che è in nostro potere sottostà al nostro comando. Ora, gli atti della volontà sono quanto mai in nostro potere: tanto è vero che tutti i nostri atti, in tanto sono in nostro potere, in quanto sono volontari. Dunque gli atti della volontà sottostanno al nostro comando.

[34219] Iª-IIae q. 17 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, imperium nihil aliud est quam actus rationis ordinantis, cum quadam motione, aliquid ad agendum. Manifestum est autem quod ratio potest ordinare de actu voluntatis, sicut enim potest iudicare quod bonum sit aliquid velle, ita potest ordinare imperando quod homo velit. Ex quo patet quod actus voluntatis potest esse imperatus.

 

[34219] Iª-IIae q. 17 a. 5 co.
RISPONDO: Il comando, come abbiamo detto, non è altro che un atto della ragione che ordina e dispone una cosa ad agire mediante una mozione. Ora, è evidente che la ragione può disporre dell'atto della volontà: infatti come può giudicare che è bene volere una cosa, cosi può disporre col comando che uno la voglia. È chiaro quindi che gli atti della volontà possono essere comandati.

[34220] Iª-IIae q. 17 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut Augustinus ibidem dicit, animus, quando perfecte imperat sibi ut velit, tunc iam vult, sed quod aliquando imperet et non velit, hoc contingit ex hoc quod non perfecte imperat. Imperfectum autem imperium contingit ex hoc, quod ratio ex diversis partibus movetur ad imperandum vel non imperandum, unde fluctuat inter duo, et non perfecte imperat.

 

[34220] Iª-IIae q. 17 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Agostino aggiunge che l'animo, quando perfettamente comanda a se stesso di volere, allora già vuole: ma gli capita, talora di comandare e di non volere, perché non comanda perfettamente. E l'imperfezione del comandare dipende dal fatto, che la ragione viene sollecitata da più parti a comandare, o a non comandare: perciò ondeggia tra due soluzioni, senza un vero comando.

[34221] Iª-IIae q. 17 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod, sicut in membris corporalibus quodlibet membrum operatur non sibi soli, sed toti corpori, ut oculus videt toti corpori; ita etiam est in potentiis animae. Nam intellectus intelligit non solum sibi, sed omnibus potentiis; et voluntas vult non solum sibi, sed omnibus potentiis. Et ideo homo imperat sibi ipsi actum voluntatis, inquantum est intelligens et volens.

 

[34221] Iª-IIae q. 17 a. 5 ad 2
2. Come tra le membra del corpo ciascun membro non agisce solo a proprio vantaggio, ma per tutto l'organismo, l'occhio, p. es., vede per tutto il corpo; così avviene per le potenze dell'anima. Infatti l'intelletto intende non solo per sé, ma per tutte le potenze; e la volontà non vuole solo per sé, ma per tutte le potenze. Perciò l'uomo può comandare a se stesso l'atto del volere, in quanto è un essere dotato d'intelligenza e di volontà.

[34222] Iª-IIae q. 17 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod, cum imperium sit actus rationis, ille actus imperatur, qui rationi subditur. Primus autem voluntatis actus non est ex rationis ordinatione, sed ex instinctu naturae, aut superioris causae, ut supra dictum est. Et ideo non oportet quod in infinitum procedatur.

 

[34222] Iª-IIae q. 17 a. 5 ad 3
3. Essendo il comando un atto della ragione, possono essere comandati quegli atti che sono sottoposti alla ragione. Ora, il primo atto di volontà non dipende dall'ordine della ragione, ma dall'istinto della natura, ovvero da una causa superiore, come abbiamo già spiegato. Quindi non è necessario procedere all'infinito.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Gli atti comandati dalla volontà > Se l'atto della ragione possa essere comandato


Prima pars secundae partis
Quaestio 17
Articulus 6

[34223] Iª-IIae q. 17 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod actus rationis non possit esse imperatus. Inconveniens enim videtur quod aliquid imperet sibi ipsi. Sed ratio est quae imperat, ut supra dictum est. Ergo rationis actus non imperatur.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 17
Articolo 6

[34223] Iª-IIae q. 17 a. 6 arg. 1
SEMBRA che l'atto della ragione non possa essere comandato. Infatti:
1. E inconcepibile che uno comandi a se stesso. Ma comandare spetta alla ragione, come abbiamo dimostrato. Dunque l'atto della ragione non si comanda.

[34224] Iª-IIae q. 17 a. 6 arg. 2
Praeterea, id quod est per essentiam, diversum est ab eo quod est per participationem. Sed potentia cuius actus imperatur a ratione, est ratio per participationem, ut dicitur in I Ethic. Ergo illius potentiae actus non imperatur, quae est ratio per essentiam.

 

[34224] Iª-IIae q. 17 a. 6 arg. 2
2. Ciò che è per essenza è diverso da ciò che è per partecipazione. Ma la potenza il cui atto viene comandato, a dire di Aristotele, è ragione per partecipazione. Dunque non può essere comandato l'atto di quella potenza che è ragione per essenza.

[34225] Iª-IIae q. 17 a. 6 arg. 3
Praeterea, ille actus imperatur, qui est in potestate nostra. Sed cognoscere et iudicare verum, quod est actus rationis, non est semper in potestate nostra. Non ergo actus rationis potest esse imperatus.

 

[34225] Iª-IIae q. 17 a. 6 arg. 3
3. Può essere comandato quell'atto che è in nostro potere. Ma conoscere e giudicare la verità, che è atto proprio della ragione, non sempre è in nostro potere. Quindi l'atto della ragione non può essere comandato.

[34226] Iª-IIae q. 17 a. 6 s. c.
Sed contra, id quod libero arbitrio agimus, nostro imperio agi potest. Sed actus rationis exercentur per liberum arbitrium, dicit enim Damascenus quod libero arbitrio homo exquirit, et scrutatur, et iudicat, et disponit. Ergo actus rationis possunt esse imperati.

 

[34226] Iª-IIae q. 17 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: Può essere compiuto col nostro comando ciò di cui siamo capaci col libero arbitrio. Ora, gli atti della ragione sono eseguiti mediante il libero arbitrio: poiché il Damasceno scrive che "col libero arbitrio l'uomo ricerca, scruta, giudica e dispone". Dunque gli atti della ragione possono essere comandati.

[34227] Iª-IIae q. 17 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod, quia ratio supra seipsam reflectitur, sicut ordinat de actibus aliarum potentiarum, ita etiam potest ordinare de actu suo. Unde etiam actus suus potest esse imperatus. Sed attendendum est quod actus rationis potest considerari dupliciter. Uno modo, quantum ad exercitium actus. Et sic actus rationis semper imperari potest, sicut cum indicitur alicui quod attendat, et ratione utatur. Alio modo, quantum ad obiectum, respectu cuius, duo actus rationis attenduntur. Primo quidem, ut veritatem circa aliquid apprehendat. Et hoc non est in potestate nostra, hoc enim contingit per virtutem alicuius luminis, vel naturalis vel supernaturalis. Et ideo quantum ad hoc, actus rationis non est in potestate nostra, nec imperari potest. Alius autem actus rationis est, dum his quae apprehendit assentit. Si igitur fuerint talia apprehensa, quibus naturaliter intellectus assentiat, sicut prima principia, assensus talium vel dissensus non est in potestate nostra, sed in ordine naturae, et ideo, proprie loquendo, nec imperio subiacet. Sunt autem quaedam apprehensa, quae non adeo convincunt intellectum, quin possit assentire vel dissentire, vel saltem assensum vel dissensum suspendere, propter aliquam causam, et in talibus assensus ipse vel dissensus in potestate nostra est, et sub imperio cadit.

 

[34227] Iª-IIae q. 17 a. 6 co.
RISPONDO: La ragione può disporre del proprio atto, come dispone degli atti delle altre facoltà, perché riflette su se stessa. Perciò anche i suoi atti possono essere comandati. - Ma si deve osservare che l'atto della ragione si può considerare sotto due aspetti. Primo, quanto all'esercizio dell'atto. E allora l'atto della ragione è sempre passibile di comando: come quando si ordina a qualcuno di stare attento e di usare la ragione. Secondo, quanto all'oggetto: e a questo proposito due sono gli atti della ragione. Il primo consiste nell'apprendere la verità su un dato argomento. E questo non è in nostro potere: infatti ciò avviene in virtù di una luce, o naturale, o soprannaturale. Perciò in questo l'atto della ragione non è in nostro potere, ne può essere comandato. Ma c'è un secondo atto della ragione, che consiste nel dare l'assenso alle cose conosciute. E allora, se si tratta di nozioni cui l'intelletto naturalmente annuisce, come i primi principii, non è in nostro potere assentire o dissentire, ma dipende dall'ordine di natura: e quindi, propriamente parlando, tale atto non sottostà al comando. Ma ci sono delle nozioni che non convincono l'intelletto al punto di togliergli la facoltà di assentire o di dissentire, o almeno di sospendere l'assenso o il dissenso, per qualche motivo: e in quésti casi l'assenso e il dissenso sono in nostro potere, e ricadono sotto il comando.

[34228] Iª-IIae q. 17 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ratio hoc modo imperat sibi ipsi, sicut et voluntas movet seipsam, ut supra dictum est, inquantum scilicet utraque potentia reflectitur supra suum actum, et ex uno in aliud tendit.

 

[34228] Iª-IIae q. 17 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La ragione comanda a se stessa, come la volontà muove se stessa, secondo le spiegazioni date: e cioè perché sia l'una che l'altra facoltà riflettono sul proprio atto, e possono passare da un atto all'altro.

[34229] Iª-IIae q. 17 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod, propter diversitatem obiectorum quae actui rationis subduntur, nihil prohibet rationem seipsam participare, sicut in cognitione conclusionum participatur cognitio principiorum.

 

[34229] Iª-IIae q. 17 a. 6 ad 2
2. Data la diversità degli oggetti sottoposti all'atto della ragione, niente impedisce che la ragione possa partecipare se stessa: nella conoscenza delle conclusioni, p. es., viene partecipata la conoscenza dei principii.

[34230] Iª-IIae q. 17 a. 6 ad 3
Ad tertium patet responsio ex dictis.

 

[34230] Iª-IIae q. 17 a. 6 ad 3
3. Dalle spiegazioni date risulta evidente la soluzione alla terza difficoltà.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Gli atti comandati dalla volontà > Se gli atti dell'appetito sensitivo possano essere comandati


Prima pars secundae partis
Quaestio 17
Articulus 7

[34231] Iª-IIae q. 17 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod actus sensitivi appetitus non sit imperatus. Dicit enim apostolus, Rom. VII, non enim quod volo bonum, hoc ago, et Glossa exponit quod homo vult non concupiscere, et tamen concupiscit. Sed concupiscere est actus appetitus sensitivi. Ergo actus appetitus sensitivi non subditur imperio nostro.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 17
Articolo 7

[34231] Iª-IIae q. 17 a. 7 arg. 1
SEMBRA che gli atti dell'appetito sensitivo non possano essere comandati. Infatti:
1. L'Apostolo scrive: " Non quel bene che voglio io faccio ": e la Glossa spiega che l'uomo non vuole la concupiscenza, e tuttavia la sente. Ora, l'atto della concupiscenza è un atto dell'appetito sensitivo. Dunque gli atti dell'appetito sensitivo non sottostanno al nostro comando.

[34232] Iª-IIae q. 17 a. 7 arg. 2
Praeterea, materia corporalis soli Deo obedit, quantum ad transmutationem formalem, ut in primo habitum est. Sed actus appetitus sensitivi habet quandam formalem transmutationem corporis, scilicet calorem vel frigus. Ergo actus appetitus sensitivi non subditur imperio humano.

 

[34232] Iª-IIae q. 17 a. 7 arg. 2
2. Come abbiamo visto nella Prima Parte, la materia corporea obbedisce soltanto a Dio nelle sue trasmutazioni di forma. Ora, gli atti dell'appetito sensitivo comportano trasmutazioni di forma nei corpi, e cioè caldo o freddo. Dunque gli atti dell'appetito sensitivo non sono sottoposti al comando dell'uomo.

[34233] Iª-IIae q. 17 a. 7 arg. 3
Praeterea, proprium motivum appetitus sensitivi est apprehensum secundum sensum vel imaginationem. Sed non est in potestate nostra semper quod aliquid apprehendamus sensu vel imaginatione. Ergo actus appetitus sensitivi non subiacet imperio nostro.

 

[34233] Iª-IIae q. 17 a. 7 arg. 3
3. L'oggetto che propriamente muove l'appetito sensitivo viene appreso dai sensi e dall'immaginazione. Ma non sempre è in nostro potere apprendere gli oggetti con i sensi e con l'immaginazione. Dunque gli atti dell'appetito sensitivo non sottostanno al nostro comando.

[34234] Iª-IIae q. 17 a. 7 s. c.
Sed contra est quod Gregorius Nyssenus dicit, quod obediens rationi dividitur in duo, in desiderativum et irascitivum, quae pertinent ad appetitum sensitivum. Ergo actus appetitus sensitivi subiacet imperio rationis.

 

[34234] Iª-IIae q. 17 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO: S. Gregorio Nisseno [ovvero Nemesio] scrive, che "quanto obbedisce alla ragione si divide in concupiscibile e irascibile ", facoltà appartenenti all'appetito sensitivo. Dunque l'appetito sensitivo è soggetto al comando della ragione.

[34235] Iª-IIae q. 17 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod secundum hoc aliquis actus imperio nostro subiacet, prout est in potestate nostra, ut supra dictum est. Et ideo ad intelligendum qualiter actus appetitus sensitivi subdatur imperio rationis, oportet considerare qualiter sit in potestate nostra. Est autem sciendum quod appetitus sensitivus in hoc differt ab appetitu intellectivo, qui dicitur voluntas, quod appetitus sensitivus est virtus organi corporalis, non autem voluntas. Omnis autem actus virtutis utentis organo corporali, dependet non solum ex potentia animae, sed etiam ex corporalis organi dispositione, sicut visio ex potentia visiva, et qualitate oculi, per quam iuvatur vel impeditur. Unde et actus appetitus sensitivi non solum dependet ex vi appetitiva, sed etiam ex dispositione corporis. Illud autem quod est ex parte potentiae animae, sequitur apprehensionem. Apprehensio autem imaginationis, cum sit particularis, regulatur ab apprehensione rationis, quae est universalis, sicut virtus activa particularis a virtute activa universali. Et ideo ex ista parte, actus appetitus sensitivi subiacet imperio rationis. Qualitas autem et dispositio corporis non subiacet imperio rationis. Et ideo ex hac parte, impeditur quin motus sensitivi appetitus totaliter subdatur imperio rationis. Contingit etiam quandoque quod motus appetitus sensitivi subito concitatur ad apprehensionem imaginationis vel sensus. Et tunc ille motus est praeter imperium rationis, quamvis potuisset impediri a ratione, si praevidisset. Unde philosophus dicit, in I Polit., quod ratio praeest irascibili et concupiscibili non principatu despotico, qui est domini ad servum; sed principatu politico aut regali, qui est ad liberos, qui non totaliter subduntur imperio.

 

[34235] Iª-IIae q. 17 a. 7 co.
RISPONDO: Un atto sottostà al nostro comando in quanto è in nostro potere, come abbiamo già detto. Perciò, per comprendere come gli atti dell'appetito sensitivo sono sottoposti al comando della ragione, bisogna considerare come sono in nostro potere. Ora, va tenuto presente che l'appetito sensitivo differisce da quello intellettivo, o volontà, per il fatto che, a differenza della volontà, è facoltà di un organo corporeo. E qualsiasi atto di una facoltà organica non dipende soltanto dalla potenza dell'anima, ma anche dalle disposizioni dell'organo: la vista, p. es., dipende dalla potenza visiva, e inoltre dalle qualità dell'occhio, da cui è agevolata o impedita. Perciò gli atti dell'appetito sensitivo non dipendono solo dalla potenza appetitiva, ma anche dalle disposizioni del corpo.
Ora, ciò che ha attinenza con le potenze dell'anima segue la conoscenza. Ed essendo quella dell'immaginativa una conoscenza particolare, è regolata dalla conoscenza universale della ragione, come una virtù attiva particolare viene regolata dalla virtù attiva universale. Perciò da questo lato l'appetito sensitivo sottostà al comando della ragione. - Ma le qualità e le disposizioni del corpo non sottostanno al comando della ragione. Quindi da questo lato il moto dell'appetito sensitivo viene impedito dal sottostare pienamente al comando della ragione.
Può anche capitare talvolta l'eccitazione improvvisa di un moto dell'appetito sensitivo, appena avuta la percezione della fantasia, o dei sensi. E allora quel moto è estraneo al comando della ragione: sebbene potesse essere impedito, se la ragione lo avesse previsto.
Perciò il Filosofo insegna che la ragione presiede all'irascibile, e al concupiscibile non "mediante un dominio dispotico", qual è quello del padrone sullo schiavo; ma " mediante un dominio politico o regale", qual è quello su uomini liberi, che non sottostanno pienamente al comando.

[34236] Iª-IIae q. 17 a. 7 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod hoc quod homo vult non concupiscere, et tamen concupiscit, contingit ex dispositione corporis, per quam impeditur appetitus sensitivus ne totaliter sequatur imperium rationis. Unde et apostolus ibidem subdit, video aliam legem in membris meis, repugnantem legi mentis meae. Hoc etiam contingit propter subitum motum concupiscentiae, ut dictum est.

 

[34236] Iª-IIae q. 17 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il fatto che l'uomo sente la concupiscenza, che pure non vorrebbe, dipende dalle disposizioni del corpo, che impediscono all'appetito sensitivo di seguire totalmente il comando della ragione. Difatti l'Apostolo aggiunge: " Vedo un'altra legge nelle mie membra che fa guerra alla legge della mia mente ". - Ciò avviene pure, come abbiamo spiegato, per i moti improvvisi della concupiscenza.

[34237] Iª-IIae q. 17 a. 7 ad 2
Ad secundum dicendum quod qualitas corporalis dupliciter se habet ad actum appetitus sensitivi. Uno modo, ut praecedens, prout aliquis est aliqualiter dispositus secundum corpus, ad hanc vel illam passionem. Alio modo, ut consequens, sicut cum ex ira aliquis incalescit. Qualitas igitur praecedens non subiacet imperio rationis, quia vel est ex natura, vel ex aliqua praecedenti motione, quae non statim quiescere potest. Sed qualitas consequens sequitur imperium rationis, quia sequitur motum localem cordis, quod diversimode movetur secundum diversos actus sensitivi appetitus.

 

[34237] Iª-IIae q. 17 a. 7 ad 2
2. Due sono i rapporti di una qualità fisica con l'appetito sensitivo. Primo, detta qualità può essere antecedente: in quanto uno è disposto fisicamente a questa o a quell'altra passione. Secondo, conseguente: se uno, p. es., si riscalda per l'ira. Perciò, la qualità antecedente non sottostà al comando della ragione: perché dipende, o dalla natura, o da una mozione precedente, che non può subito cessare. Ma una qualità conseguente segue il comando della ragione: poiché segue il moto del cuore, che varia secondo i diversi atti dell'appetito sensitivo.

[34238] Iª-IIae q. 17 a. 7 ad 3
Ad tertium dicendum quod, quia ad apprehensionem sensus requiritur sensibile exterius, non est in potestate nostra apprehendere aliquid sensu, nisi sensibili praesente; cuius praesentia non semper est in potestate nostra. Tunc enim homo potest uti sensu cum voluerit, nisi sit impedimentum ex parte organi. Apprehensio autem imaginationis subiacet ordinationi rationis, secundum modum virtutis vel debilitatis imaginativae potentiae. Quod enim homo non possit imaginari quae ratio considerat, contingit vel ex hoc quod non sunt imaginabilia, sicut incorporalia; vel propter debilitatem virtutis imaginativae, quae est ex aliqua indispositione organi.

 

[34238] Iª-IIae q. 17 a. 7 ad 3
3. Non è in nostro potere apprendere qualche cosa con i sensi nell'assenza dell'oggetto, poiché per la percezione dei sensi si richiede l'oggetto sensibile esterno; la cui presenza non sempre è in nostro potere. Con tale presenza l'uomo può usare i sensi quando vuole, purché non trovi ostacoli da parte dell'organo. - Ma la percezione della fantasia è subordinata alla ragione, secondo la forza, o la debolezza, della potenza immaginativa. Infatti che l'uomo non possa immaginare le cose che la ragione considera, dipende, o dal fatto che sono cose non immaginabili, come gli esseri incorporei, oppure dalla debolezza della potenza immaginativa, connessa con una indisposizione organica.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Gli atti comandati dalla volontà > Se gli atti dell'anima vegetativa possano essere comandati


Prima pars secundae partis
Quaestio 17
Articulus 8

[34239] Iª-IIae q. 17 a. 8 arg. 1
Ad octavum sic proceditur. Videtur quod actus vegetabilis animae imperio rationis subdantur. Vires enim sensitivae nobiliores sunt viribus animae vegetabilis. Sed vires animae sensitivae subduntur imperio rationis. Ergo multo magis vires animae vegetabilis.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 17
Articolo 8

[34239] Iª-IIae q. 17 a. 8 arg. 1
SEMBRA che gli atti dell'anima vegetativa siano soggetti al comando della ragione. Infatti:
1. Le potenze sensitive sono più nobili delle potenze dell'anima vegetativa. Ma le potenze dell'anima sensitiva sono soggette al comando della ragione. Molto più quindi lo saranno quelle dell'anima vegetativa.

[34240] Iª-IIae q. 17 a. 8 arg. 2
Praeterea, homo dicitur minor mundus, quia sic est anima in corpore, sicut Deus in mundo. Sed Deus sic est in mundo, quod omnia quae sunt in mundo, obediunt eius imperio. Ergo et omnia quae sunt in homine, obediunt imperio rationis, etiam vires vegetabilis animae.

 

[34240] Iª-IIae q. 17 a. 8 arg. 2
2. L'uomo viene chiamato un " microcosmo", per il fatto che l'anima sta al corpo, come Dio sta al mondo. Ora, Dio, con la sua presenza fa in modo che tutte le cose esistenti nel mondo obbediscano al suo comando. Dunque tutte le cose esistenti nell'uomo obbediscono al comando della ragione, comprese le potenze dell'anima vegetativa.

[34241] Iª-IIae q. 17 a. 8 arg. 3
Praeterea, laus et vituperium non contingit nisi in actibus qui subduntur imperio rationis. Sed in actibus nutritivae et generativae potentiae, contingit esse laudem et vituperium, et virtutem et vitium, sicut patet in gula et luxuria, et virtutibus oppositis. Ergo actus harum potentiarum subduntur imperio rationis.

 

[34241] Iª-IIae q. 17 a. 8 arg. 3
3. La lode e il biasimo riguardano i soli atti soggetti al comando della ragione. Ma gli atti della nutrizione e della generazione sono passibili di lode o di biasimo, di virtù e di vizio: com'è evidente nel caso della gola e della lussuria e delle opposte virtù. Dunque gli atti di codeste potenze sono soggetti al comando della ragione.

[34242] Iª-IIae q. 17 a. 8 s. c.
Sed contra est quod Gregorius Nyssenus dicit, quod id quod non persuadetur a ratione, est nutritivum et generativum.

 

[34242] Iª-IIae q. 17 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: S. Gregorio Nisseno [ovvero Nemesio] afferma, che " le facoltà nutritiva e generativa non sono docili alla ragione ".

[34243] Iª-IIae q. 17 a. 8 co.
Respondeo dicendum quod actuum quidam procedunt ex appetitu naturali, quidam autem ex appetitu animali vel intellectuali, omne enim agens aliquo modo appetit finem. Appetitus autem naturalis non consequitur aliquam apprehensionem, sicut sequitur appetitus animalis et intellectualis. Ratio autem imperat per modum apprehensivae virtutis. Et ideo actus illi qui procedunt ab appetitu intellectivo vel animali, possunt a ratione imperari, non autem actus illi qui procedunt ex appetitu naturali. Huiusmodi autem sunt actus vegetabilis animae, unde Gregorius Nyssenus dicit quod vocatur naturale quod generativum et nutritivum. Et propter hoc, actus vegetabilis animae non subduntur imperio rationis.

 

[34243] Iª-IIae q. 17 a. 8 co.
RISPONDO: Ci sono degli atti che derivano dall'appetito sensitivo, e altri che derivano dall'appetito animale, o da quello intellettivo: infatti ogni agente ha a suo modo l'appetito del fine. Ora, l'appetito naturale non dipende, come quello animale e quello intellettivo, da una conoscenza. D'altra parte la ragione comanda come facoltà conoscitiva. Perciò possono essere comandati dalla ragione gli atti che derivano dall'appetito intellettivo, o da quello animale; non già quelli che derivano dall'appetito naturale. Tali sono gli atti dell'anima vegetativa: cosicché S. Gregorio Nisseno [ossia Nemesio] può scrivere, che " è chiamato naturale il principio generativo e nutritivo". Perciò gli atti dell'anima vegetativa non sottostanno al comando della ragione.

[34244] Iª-IIae q. 17 a. 8 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, quanto aliquis actus est immaterialior, tanto est nobilior, et magis subditus imperio rationis. Unde ex hoc ipso quod vires animae vegetabilis non obediunt rationi, apparet has vires infimas esse.

 

[34244] Iª-IIae q. 17 a. 8 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quanto più un atto è naturale, tanto più è nobile, e tanto più è soggetto al comando della ragione. Quindi il fatto stesso, che le potenze dell'anima vegetativa non obbediscono alla ragione, dimostra che codeste potenze sono le più basse.

[34245] Iª-IIae q. 17 a. 8 ad 2
Ad secundum dicendum quod similitudo attenditur quantum ad aliquid, quia scilicet, sicut Deus movet mundum, ita anima movet corpus. Non autem quantum ad omnia, non enim anima creavit corpus ex nihilo, sicut Deus mundum; propter quod totaliter subditur eius imperio.

 

[34245] Iª-IIae q. 17 a. 8 ad 2
2. La similitudine è da prendersi da un certo punto di vista: e cioè dal fatto che l'anima muove il corpo, come Dio muove il mondo. Ma non vale in tutto e per tutto: infatti l'anima non ha creato il corpo dal nulla, come Dio ha fatto col mondo; il quale perciò sottostà pienamente al suo comando.

[34246] Iª-IIae q. 17 a. 8 ad 3
Ad tertium dicendum quod virtus et vitium, laus et vituperium, non debentur ipsis actibus nutritivae vel generativae potentiae, qui sunt digestio et formatio corporis humani; sed actibus sensitivae partis ordinatis ad actus generativae vel nutritivae; puta in concupiscendo delectationem cibi et venereorum, et utendo, secundum quod oportet, vel non secundum quod oportet.

 

[34246] Iª-IIae q. 17 a. 8 ad 3
3. La virtù e il vizio, la lode e il biasimo non sono dovuti agli atti delle potenze nutritiva e generativa, che sono la digestione e la formazione del corpo umano; ma agli atti della parte sensitiva ordinati alla generazione o alla nutrizione; e cioè al desiderio dei piaceri gastronomici o sessuali, e all'uso lecito o illecito di essi.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Gli atti comandati dalla volontà > Se gli atti delle membra esterne possano essere comandati


Prima pars secundae partis
Quaestio 17
Articulus 9

[34247] Iª-IIae q. 17 a. 9 arg. 1
Ad nonum sic proceditur. Videtur quod membra corporis non obediant rationi quantum ad actus suos. Constat enim quod membra corporis magis distant a ratione quam vires animae vegetabilis. Sed vires animae vegetabilis non obediunt rationi, ut dictum est. Ergo multo minus membra corporis.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 17
Articolo 9

[34247] Iª-IIae q. 17 a. 9 arg. 1
SEMBRA che le membra del corpo non obbediscano alla ragione nei loro atti. Infatti:
1. E evidente che sono più lontane dalla ragione le membra del corpo, che le potenze dell'anima vegetativa. Eppure queste ultime, come abbiamo dimostrato, non obbediscono alla ragione. Dunque molto meno obbediscono le membra del corpo.

[34248] Iª-IIae q. 17 a. 9 arg. 2
Praeterea, cor est principium motus animalis. Sed motus cordis non subditur imperio rationis, dicit enim Gregorius Nyssenus quod pulsativum non est persuasibile ratione. Ergo motus membrorum corporalium non subiacet imperio rationis.

 

[34248] Iª-IIae q. 17 a. 9 arg. 2
2. Il cuore è il principio del moto nell'animale. Ma il moto del cuore non sottostà al comando della ragione: infatti S. Gregorio Nisseno [ovvero Nemesio] afferma che " il principio della pulsazione non è docile alla ragione ". Perciò il moto delle membra del corpo non sottostà al comando della ragione.

[34249] Iª-IIae q. 17 a. 9 arg. 3
Praeterea, Augustinus dicit, XIV de Civ. Dei, quod motus membrorum genitalium aliquando importunus est, nullo poscente, aliquando autem destituit inhiantem, et cum in animo concupiscentia ferveat, friget in corpore. Ergo motus membrorum non obediunt rationi.

 

[34249] Iª-IIae q. 17 a. 9 arg. 3
3. S. Agostino scrive, che " il moto degli organi genitali è talora importuno, perché uno non lo vuole: talora invece viene a mancare a chi lo vorrebbe, e mentre nell'animo ferve la concupiscenza, il corpo rimane inerte ". Dunque il moto delle membra non obbedisce alla ragione.

[34250] Iª-IIae q. 17 a. 9 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, VIII Confess., imperat animus ut moveatur manus, et tanta est facilitas, ut vix a servitio discernatur imperium.

 

[34250] Iª-IIae q. 17 a. 9 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino insegna: "L'uomo comanda alla mano di muoversi, ed è tanta la facilità, che appena si riesce a distinguere il comando dalla esecuzione".

[34251] Iª-IIae q. 17 a. 9 co.
Respondeo dicendum quod membra corporis sunt organa quaedam potentiarum animae. Unde eo modo quo potentiae animae se habent ad hoc quod obediant rationi, hoc modo se habent etiam corporis membra. Quia igitur vires sensitivae subduntur imperio rationis, non autem vires naturales; ideo omnes motus membrorum quae moventur a potentiis sensitivis, subduntur imperio rationis; motus autem membrorum qui consequuntur vires naturales, non subduntur imperio rationis.

 

[34251] Iª-IIae q. 17 a. 9 co.
RISPONDO: Le membra del corpo sono organi delle potenze dell'anima. Perciò come si comportano le potenze, così si comportano le membra nell'obbedire alla ragione. E poiché al comando della ragione sottostanno le potenze sensitive e non le potenze naturali, o fisiologiche; tutti i moti delle membra dovuti alle potenze sensitive obbediscono al comando della ragione; invece i moti delle membra che accompagnano le potenze naturali o fisiologiche non sottostanno a codesto comando.

[34252] Iª-IIae q. 17 a. 9 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod membra non movent seipsa, sed moventur per potentias animae; quarum quaedam sunt rationi viciniores quam vires animae vegetabilis.

 

[34252] Iª-IIae q. 17 a. 9 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le membra esterne non muovono se stesse, ma sono mosse dalle potenze dell'anima; alcune delle quali sono più prossime alla ragione che le potenze dell'anima vegetativa.

[34253] Iª-IIae q. 17 a. 9 ad 2
Ad secundum dicendum quod in his quae ad intellectum et voluntatem pertinent, primum invenitur id quod est secundum naturam, ex quo alia derivantur, ut a cognitione principiorum naturaliter notorum, cognitio conclusionum; et a voluntate finis naturaliter desiderati, derivatur electio eorum quae sunt ad finem. Ita etiam in corporalibus motibus principium est secundum naturam. Principium autem corporalis motus est a motu cordis. Unde motus cordis est secundum naturam, et non secundum voluntatem, consequitur enim sicut per se accidens vitam, quae est ex unione animae et corporis. Sicut motus gravium et levium consequitur formam substantialem ipsorum, unde et a generante moveri dicuntur, secundum philosophum in VIII Physic. Et propter hoc motus iste vitalis dicitur. Unde Gregorius Nyssenus dicit quod sicut generativum et nutritivum non obedit rationi, ita nec pulsativum, quod est vitale. Pulsativum autem appellat motum cordis, qui manifestatur per venas pulsatiles.

 

[34253] Iª-IIae q. 17 a. 9 ad 2
2. Nel campo dell'intelletto e della volontà troviamo un principio che è primo secondo natura, e dal quale derivano tutte le altre cose: così dalla conoscenza dei primi principii, conoscibili per natura, deriva la conoscenza delle conclusioni; e dalla volizione del fine, desiderato per natura, deriva la scelta dei mezzi. Alla stessa maniera nel moto del cuore ha il suo principio ogni moto del corpo.
Perciò il moto del cuore è nell'ordine della natura e non della volontà: infatti accompagna come un accidente proprio la vita, che è data dall'unione dell'anima col corpo. E simile cioè al moto dei corpi gravi o lievi, che accompagna la forma sostanziale di essi: per cui il Filosofo può scrivere che sono mossi dalla loro generazione. Ecco perché S. Gregorio di Nissa [ovvero Nemesio] dice, che né il principio generativo e nutritivo, né il principio delle pulsazioni, principio di vita, è sottoposto alla ragione. E chiama principio delle pulsazioni il moto del cuore, manifestato appunto dalle vene pulsatili.

[34254] Iª-IIae q. 17 a. 9 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut Augustinus dicit in XIV de Civ. Dei, hoc quod motus genitalium membrorum rationi non obedit, est ex poena peccati, ut scilicet anima suae inobedientiae ad Deum in illo praecipue membro poenam inobedientiae patiatur, per quod peccatum originale ad posteros traducitur. Sed quia per peccatum primi parentis, ut infra dicetur, natura est sibi relicta, subtracto supernaturali dono quod homini divinitus erat collatum; ideo consideranda est ratio naturalis quare motus huiusmodi membrorum specialiter rationi non obedit. Cuius causam assignat Aristoteles in libro de causis motus animalium, dicens involuntarios esse motus cordis et membri pudendi, quia scilicet ex aliqua apprehensione huiusmodi membra commoventur, inquantum scilicet intellectus et phantasia repraesentant aliqua ex quibus consequuntur passiones animae, ad quas consequitur motus horum membrorum. Non tamen moventur secundum iussum rationis aut intellectus, quia scilicet ad motum horum membrorum requiritur aliqua alteratio naturalis, scilicet caliditatis et frigiditatis, quae quidem alteratio non subiacet imperio rationis. Specialiter autem hoc accidit in his duobus membris, quia utrumque istorum membrorum est quasi quoddam animal separatum, inquantum est principium vitae, principium autem est virtute totum. Cor enim principium est sensuum, et ex membro genitali virtus exit seminalis, quae est virtute totum animal. Et ideo habent proprios motus naturaliter, quia principia oportet esse naturalia, ut dictum est.

 

[34254] Iª-IIae q. 17 a. 9 ad 3
3. S. Agostino spiega che il moto degli organi genitali non obbedisce alla ragione come pena del peccato: in modo cioè che l'anima viene a subire la pena della sua disobbedienza a Dio, specialmente in quelle membra che servano a trasmettere ai posteri il peccato originale.
Ma poiché per il peccato di Adamo, come spiegheremo in seguito, la natura è stata lasciata a se stessa, sottratti i doni soprannaturali concessi all'uomo da Dio, bisogna pur ricercare la ragione naturale della mancata sottomissione alla ragione proprio in codeste membra. Aristotele ne da la ragione affermando che "i moti del cuore e del pene non sono volontari"; poiché, sebbene codeste membra si alterino in seguito a determinati atti conoscitivi, in quanto cioè l'intelletto e la fantasia presentano oggetti da cui derivano le passioni che provocano i suddetti moti; tuttavia esse non si muovono al comando della ragione o dell'intelletto, poiché il loro moto richiede un'alterazione naturale o fisiologica, cioè il passaggio dal freddo al caldo, la quale non sottostà al comando della ragione. E ciò avviene in modo speciale in questi due organi, poiché sia l'uno che l'altro sono come animali distinti, in quanto sono principii di vita, e il principio è virtualmente già il tutto. Infatti il cuore è il principio dei sensi: e dal membro virile esce la virtù seminale, che virtualmente è l'animale intero. Perciò i due organi hanno i loro moti dalla natura: poiché i principii, si è detto, devono essere d'ordine naturale.

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