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Se l'uomo senza la grazia possa non peccare
Prima pars secundae partis
Quaestio 109
Articulus 8
[38420] Iª-IIae q. 109 a. 8 arg. 1 Ad octavum sic proceditur. Videtur quod homo sine gratia possit non peccare. Nullus enim peccat in eo quod vitare non potest; ut Augustinus dicit, in libro de Duab. Animab., et de Lib. Arb. Si ergo homo existens in peccato mortali non possit vitare peccatum, videtur quod peccando non peccet. Quod est inconveniens.
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Prima parte della seconda parte
Questione 109
Articolo 8
[38420] Iª-IIae q. 109 a. 8 arg. 1
SEMBRA che l'uomo senza la grazia possa non peccare. Infatti:
1. Come afferma ripetutamente S. Agostino, "nessuno pecca facendo ciò che non può evitare". Perciò, se un uomo in peccato mortale non potesse evitare il peccato, peccando non peccherebbe. Il che è assurdo.
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[38421] Iª-IIae q. 109 a. 8 arg. 2 Praeterea, ad hoc corripitur homo ut non peccet. Si igitur homo in peccato mortali existens non potest non peccare, videtur quod frustra ei correptio adhibeatur. Quod est inconveniens.
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[38421] Iª-IIae q. 109 a. 8 arg. 2
2. Si corregge un uomo perché non pecchi. Ora, se uno che è in peccato mortale non può non peccare, è inutile correggerlo. Ma questo è inammissibile.
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[38422] Iª-IIae q. 109 a. 8 arg. 3 Praeterea, Eccli. XV dicitur, ante hominem vita et mors, bonum et malum, quod placuerit ei, dabitur illi. Sed aliquis peccando non desinit esse homo. Ergo adhuc in eius potestate est eligere bonum vel malum. Et ita potest homo sine gratia vitare peccatum.
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[38422] Iª-IIae q. 109 a. 8 arg. 3
3. Sta scritto: "Di faccia all'uomo sono la vita e la morte, il bene e il male: ciò che gli piacerà gli sarà dato". Ma quando uno pecca, non cessa di essere un uomo. Perciò rimane ancora in suo potere scegliere tra bene e male. E quindi l'uomo privo della grazia può evitare il peccato.
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[38423] Iª-IIae q. 109 a. 8 s. c. Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro de Perfect. Iustit., quisquis negat nos orare debere ne intremus in tentationem (negat autem hoc qui contendit ad non peccandum gratiae Dei adiutorium non esse homini necessarium, sed, sola lege accepta, humanam sufficere voluntatem), ab auribus omnium removendum, et ore omnium anathematizandum esse non dubito.
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[38423] Iª-IIae q. 109 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: Scrive S. Agostino: "Chiunque neghi che noi siamo tenuti a pregare per non cadere in tentazione (e lo nega chi sostiene che non è necessaria la grazia divina per non peccare, ma che basta la volontà umana, con la sola accettazione della legge), non esito a considerarlo inaccettabile per tutte le orecchie, e degno di essere scomunicato dalla bocca di tutti".
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[38424] Iª-IIae q. 109 a. 8 co. Respondeo dicendum quod de homine dupliciter loqui possumus, uno modo, secundum statum naturae integrae; alio modo, secundum statum naturae corruptae. Secundum statum quidem naturae integrae, etiam sine gratia habituali, poterat homo non peccare nec mortaliter nec venialiter, quia peccare nihil aliud est quam recedere ab eo quod est secundum naturam, quod vitare homo poterat in integritate naturae. Non tamen hoc poterat sine auxilio Dei in bono conservantis, quo subtracto, etiam ipsa natura in nihilum decideret. In statu autem naturae corruptae, indiget homo gratia habituali sanante naturam, ad hoc quod omnino a peccato abstineat. Quae quidem sanatio primo fit in praesenti vita secundum mentem, appetitu carnali nondum totaliter reparato, unde apostolus, ad Rom. VII, in persona hominis reparati, dicit, ego ipse mente servio legi Dei, carne autem legi peccati. In quo quidem statu potest homo abstinere a peccato mortali quod in ratione consistit, ut supra habitum est. Non autem potest homo abstinere ab omni peccato veniali, propter corruptionem inferioris appetitus sensualitatis, cuius motus singulos quidem ratio reprimere potest (et ex hoc habent rationem peccati et voluntarii), non autem omnes, quia dum uni resistere nititur, fortassis alius insurgit; et etiam quia ratio non semper potest esse pervigil ad huiusmodi motus vitandos; ut supra dictum est. Similiter etiam antequam hominis ratio, in qua est peccatum mortale, reparetur per gratiam iustificantem, potest singula peccata mortalia vitare, et secundum aliquod tempus, quia non est necesse quod continuo peccet in actu. Sed quod diu maneat absque peccato mortali, esse non potest. Unde et Gregorius dicit, super Ezech., quod peccatum quod mox per poenitentiam non deletur, suo pondere ad aliud trahit. Et huius ratio est quia, sicut rationi subdi debet inferior appetitus, ita etiam ratio debet subdi Deo, et in ipso constituere finem suae voluntatis. Per finem autem oportet quod regulentur omnes actus humani, sicut per rationis iudicium regulari debent motus inferioris appetitus. Sicut ergo, inferiori appetitu non totaliter subiecto rationi, non potest esse quin contingant inordinati motus in appetitu sensitivo; ita etiam, ratione hominis non existente subiecta Deo, consequens est ut contingant multae inordinationes in ipsis actibus rationis. Cum enim homo non habet cor suum firmatum in Deo, ut pro nullo bono consequendo vel malo vitando ab eo separari vellet; occurrunt multa propter quae consequenda vel vitanda homo recedit a Deo contemnendo praecepta ipsius, et ita peccat mortaliter, praecipue quia in repentinis homo operatur secundum finem praeconceptum, et secundum habitum praeexistentem, ut philosophus dicit, in III Ethic.; quamvis ex praemeditatione rationis homo possit aliquid agere praeter ordinem finis praeconcepti, et praeter inclinationem habitus. Sed quia homo non potest semper esse in tali praemeditatione, non potest contingere ut diu permaneat quin operetur secundum consequentiam voluntatis deordinatae a Deo, nisi cito per gratiam ad debitum ordinem reparetur.
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[38424] Iª-IIae q. 109 a. 8 co.
RISPONDO: L'uomo possiamo considerarlo sotto due aspetti: primo, nello stato di natura integra; secondo, nello stato di natura corrotta. Nello stato di natura integra, anche senza la grazia abituale, poteva non peccare né mortalmente né venialmente: poiché peccare non è altro che scostarsi da ciò che è secondo natura; e questo l'uomo poteva evitarlo mentre la natura era integra. Tuttavia bisognava che Dio lo conservasse nel bene; poiché senza questo aiuto divino la stessa natura ricadrebbe nel nulla.
Ma nello stato di natura corrotta l'uomo ha bisogno della grazia abituale che risani la natura, per astenersi totalmente dal peccato. E questo risanamento avviene prima nella mente durante la vita presente, mentre l'appetito carnale ancora non viene completamente risanato; ecco perché l'Apostolo così parla a nome dell'uomo redento: "Io stesso con la mente sono servo della legge di Dio, con la carne della legge del peccato". E in tale stato l'uomo può astenersi dal peccato mortale, che si attua nella ragione, come sopra abbiamo detto. Ma non può astenersi da ogni peccato veniale, per la corruzione degli appetiti inferiori della sensualità, i cui moti la ragione è in grado di reprimere singolarmente (e a ciò essi devono la loro natura di atti peccaminosi volontari), però non può reprimerli globalmente tutti; poiché mentre tenta di resistere ad uno, forse ne insorge un altro; ed anche perché la ragione non sempre è pronta ad evitare codesti moti; come sopra abbiamo spiegato.
Inoltre prima che la sua ragione, in cui si attua il peccato mortale, sia risanata dalla grazia, l'uomo può evitare i peccati mortali singolarmente e per un dato tempo: poiché non è necessario che subito pecchi in maniera attuale, ma è impossibile che rimanga a lungo senza peccare mortalmente. Infatti S. Gregorio afferma che "il peccato non riparato subito con la penitenza, col suo peso trascina ad altri peccati". E ciò si spiega col fatto che, come l'appetito inferiore deve essere sottomesso alla ragione, così la ragione deve essere sottoposta a Dio, e costituire in lui il fine della sua volontà. E il fine deve regolare tutti gli atti umani; come il giudizio della ragione deve regolare i moti dell'appetito inferiore. Ora, come quando l'appetito inferiore non è pienamente sottoposto alla ragione, certi moti disordinati nell'appetito sensitivo sono inevitabili; così, quando la ragione umana non è del tutto sottoposta a Dio, sono inevitabili molteplici disordini negli atti della ragione. Infatti, se l'uomo non ha il cuore ben fisso in Dio, così da non volersi da lui separare, né per conquistare un qualsiasi bene, né per evitare qualsiasi male; capiteranno troppe cose, per raggiungere e per evitare le quali, egli si allontanerà da Dio trasgredendone i precetti, peccando così mortalmente. E questo specialmente perché nei casi improvvisi l'uomo agisce secondo il fine prestabilito, e secondo l'abito preesistente, come dice il Filosofo; sebbene possa agire scostandosi da quel fine, e dalle inclinazioni abituali, con la riflessione della ragione. Ma poiché l'uomo non sempre può riflettere in tal modo, non può trattenersi a lungo dall'agire secondo la spinta della sua volontà non orientata verso Dio, a meno che dalla grazia non venga presto ristabilito nel debito ordine.
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[38425] Iª-IIae q. 109 a. 8 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod homo potest vitare singulos actus peccati, non tamen omnes, nisi per gratiam, ut dictum est. Et tamen quia ex eius defectu est quod homo se ad gratiam habendam non praeparet, per hoc a peccato non excusatur, quod sine gratia peccatum vitare non potest.
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[38425] Iª-IIae q. 109 a. 8 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'uomo senza la grazia può evitare i singoli atti del peccato; ma non tutti, come abbiamo detto. Però, siccome è per sua negligenza che egli non si è preparato a ricevere la grazia, non lo scusa dal peccato il fatto che non può evitare la colpa, senza la grazia.
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[38426] Iª-IIae q. 109 a. 8 ad 2 Ad secundum dicendum quod correptio utilis est ut ex dolore correptionis voluntas regenerationis oriatur. Si tamen qui corripitur filius est promissionis, ut, strepitu correptionis forinsecus insonante ac flagellante, Deus in illo intrinsecus occulta inspiratione operetur et velle; ut Augustinus dicit, in libro de Corrept. et Grat. Ideo ergo necessaria est correptio, quia voluntas hominis requiritur ad hoc quod a peccato abstineat. Sed tamen correptio non est sufficiens sine Dei auxilio, unde dicitur Eccle. VII, considera opera Dei, quod nemo possit corrigere quem ille despexerit.
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[38426] Iª-IIae q. 109 a. 8 ad 2
2. La correzione serve, come dice S. Agostino, "a far sì che dal dolore della correzione sorga la volontà della rigenerazione. Purché chi viene corretto sia figlio della promessa: e così, mentre lo strepito della correzione suona e fiagella all'esterno, Dio opera in lui il volere dall'interno, con una ispirazione occulta". Ecco quindi che è necessaria la correzione, perché si richiede la volontà dell'interessato, per fuggire i peccati. Ma la correzione non è efficace, senza l'aiuto di Dio; perciò sta scritto: "Considera le opere di Dio, come niuno possa correggere colui che egli non cura".
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[38427] Iª-IIae q. 109 a. 8 ad 3 Ad tertium dicendum quod, sicut Augustinus dicit, in Hypognost., verbum illud intelligitur de homine secundum statum naturae integrae, quando nondum erat servus peccati, unde poterat peccare et non peccare. Nunc etiam quodcumque vult homo, datur ei. Sed hoc quod bonum velit, habet ex auxilio gratiae.
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[38427] Iª-IIae q. 109 a. 8 ad 3
3. Come spiega S. Agostino, quell'affermazione vale per l'uomo nello stato di natura integra, quando non era servo del peccato, cosicché poteva peccare e non peccare. - Anche adesso però all'uomo vien dato quello che vuole. Ma che voglia il bene dipende dall'aiuto della grazia.
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