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Se commetta peccato chi esige il giuramento da uno spergiuro
Secunda pars secundae partis
Quaestio 98
Articulus 4
[43201] IIª-IIae q. 98 a. 4 arg. 1 Ad quartum sic proceditur. Videtur quod peccet ille qui iniungit iuramentum ei qui periurat. Aut enim scit eum verum iurare, aut falsum. Si scit eum verum iurare, pro nihilo ei iuramentum iniungit si autem credit eum falsum iurare, quantum est de se, inducit eum ad peccandum. Ergo videtur quod nullo modo debeat aliquis alicui iniungere iuramentum.
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Seconda parte della seconda parte
Questione 98
Articolo 4
[43201] IIª-IIae q. 98 a. 4 arg. 1
SEMBRA che commetta peccato colui che esige il giuramento da uno spergiuro. Infatti:
1. O egli sa che l'altro giurerà il vero, o sa che giurerà il falso. Se sa che giurerà il vero, è inutile che gli imponga il giuramento. Se invece pensa che giurerà il falso, per parte sua lo induce a peccare. Perciò in nessun modo uno può comandargli di giurare.
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[43202] IIª-IIae q. 98 a. 4 arg. 2 Praeterea, iuramentum minus est accipere ab aliquo quam iuramentum iniungere alicui. Sed recipere iuramentum ab aliquo non videtur esse licitum, et praecipue si periuret, quia in hoc videtur consentire peccato. Ergo videtur quod multo minus liceat exigere iuramentum ab eo qui periurat.
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[43202] IIª-IIae q. 98 a. 4 arg. 2
2. È meno grave ricevere il giuramento che imporlo. Ora, non sembra lecito ricevere da qualcuno dei giuramenti, specialmente se costui spergiura: perché si mostra così di consentire a un peccato. Dunque molto meno può essere lecito esigere il giuramento da chi spergiura.
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[43203] IIª-IIae q. 98 a. 4 arg. 3 Praeterea, dicitur Levit. V, si peccaverit anima, et audierit vocem iurantis falsum, testisque fuerit quod aut ipse vidit aut conscius est, nisi indicaverit, portabit iniquitatem suam, ex quo videtur quod aliquis sciens aliquem iurare falsum, teneatur eum accusare. Non igitur licet ab eo exigere iuramentum.
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[43203] IIª-IIae q. 98 a. 4 arg. 3
3. Nel Levitico si legge: "Se uno peccherà, perché avendo udito la voce di un altro che giurava il falso, ed essendone testimone per avere egli stesso veduto o saputo non lo vorrà attestare, porterà il peso della sua iniquità". Dal che risulta che uno, sapendo che una data persona giura il falso, è tenuto ad accusarla. Perciò non è lecito esigere da essa il giuramento.
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[43204] IIª-IIae q. 98 a. 4 s. c. Sed contra, sicut peccat ille qui falsum iurat, ita ille qui per falsos deos iurat. Sed licet uti iuramento eius qui per falsos deos iurat, ut Augustinus dicit, ad Publicolam. Ergo licet iuramentum exigere ab eo qui falsum iurat.
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[43204] IIª-IIae q. 98 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Come pecca chi giura il falso, così pecca chi giura per false divinità. Eppure, a detta di S. Agostino, è lecito servirsi del giuramento degli idolatri. Dunque è lecito anche esigere il giuramento da chi giura il falso.
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[43205] IIª-IIae q. 98 a. 4 co. Respondeo dicendum quod circa eum qui exigit ab alio iuramentum, distinguendum videtur. Aut enim exigit iuramentum pro seipso propria sponte, aut exigit iuramentum pro alio ex necessitate officii sibi commissi. Et si quidem aliquis pro seipso exigit iuramentum tanquam persona privata, distinguendum videtur, ut Augustinus dicit, in sermone de periuriis. Si enim nescit eum iuraturum falsum, et ideo dicit, iura mihi, ut fides ei sit, non est peccatum, tamen est humana tentatio, quia scilicet procedit ex quadam infirmitate, qua homo dubitat alium esse verum dicturum. Et hoc est illud malum de quo dominus dicit, Matth. V, quod amplius est, a malo est. Si autem scit eum fecisse, scilicet contrarium eius quod iurat, et cogit eum iurare, homicida est. Ille enim de suo periurio se interimit, sed iste manum interficientis impressit. Si autem aliquis exigat iuramentum tanquam persona publica, secundum quod exigit ordo iuris, ad petitionem alterius, non videtur esse in culpa si ipse iuramentum exigat, sive sciat eum falsum iurare sive verum, quia non videtur ille exigere, sed ille ad cuius instantiam exigit.
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[43205] IIª-IIae q. 98 a. 4 co.
RISPONDO: Nel parlare di colui che esige da altri il giuramento, bisogna distinguere. Infatti uno esige il giuramento, o a proprio vantaggio e di propria iniziativa, oppure lo esige per altri in forza dell'ufficio che riveste. E nel caso che lo esiga a proprio vantaggio come persona privata, bisogna ancora distinguere, come fa S. Agostino, "Se infatti uno non sa che l'altro giurerà il falso, e quindi nel dire: "Giuramelo", cerca una conferma, non è peccato; però è una tentazione da parte dell'uomo", derivando ciò dalla nostra miseria, che ci fa dubitare che l'altro non dica la verità. "E questo è quel male, di cui parla il Signore nel Vangelo: "Il più viene dal maligno". Se invece uno sa che l'altro ha agito contrariamente a quello che dice, e lo costringe egualmente a giurare, commette un omicidio. Infatti lo spergiuro col suo peccato si uccide: ma l'altro spinge la mano del suicida".
Al contrario, se uno esige il giuramento come persona pubblica, cioè a norma delle leggi e dietro la richiesta di altri, non è in colpa esigendo il giuramento, vero o falso gli risulti il comportamento di chi è sul punto di giurare: perché non è lui ad esigerlo, ma la persona che lo richiede.
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[43206] IIª-IIae q. 98 a. 4 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod obiectio illa procedit quando pro aliquis exigit iuramentum. Et tamen non semper scit eum iurare verum, vel falsum, sed quandoque dubitat de facto, et credit eum verum iuraturum, et tunc ad maiorem certitudinem exigit iuramentum.
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[43206] IIª-IIae q. 98 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'argomento della prima obiezione vale per quando uno esige il giuramento a proprio vantaggio. Tuttavia non sempre uno sa che l'altro giurerà il vero o il falso: ma spesso uno dubita del fatto, e crede che l'altro sia per giurare la verità, e per certificarsi esige il giuramento.
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[43207] IIª-IIae q. 98 a. 4 ad 2 Ad secundum dicendum quod, sicut Augustinus dicit, ad Publicolam, quamvis dictum sit ne iuremus, nunquam me in Scripturis sanctis legisse memini ne ab aliquo iurationem accipiamus. Unde ille qui iurationem recipit non peccat, nisi forte quando propria sponte ad iurandum cogit eum quem scit falsum iuraturum.
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[43207] IIª-IIae q. 98 a. 4 ad 2
2. S. Agostino risponde: "Sebbene ci sia comandato di non giurare, io non ricordo di aver mai letto nella Sacra Scrittura che sia proibito di ricevere i giuramenti degli altri". Perciò chi riceve il giuramento non pecca: a meno che uno di propria iniziativa non abbia costretto a giurare persona che sa essere disposta a giurare il falso.
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[43208] IIª-IIae q. 98 a. 4 ad 3 Ad tertium dicendum quod, sicut Augustinus dicit, Moyses non expressit in praedicta auctoritate cui sit indicandum periurium alterius. Et ideo intelligitur quod debeat indicari talibus qui magis possunt prodesse quam obesse periuro. Similiter etiam non expressit quo ordine debeat manifestare. Et ideo videtur servandus ordo evangelicus, si sit peccatum periurii occultum, et praecipue quando non vergit in detrimentum alterius, quia in tali casu non haberet locum ordo evangelicus, ut supra dictum est.
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[43208] IIª-IIae q. 98 a. 4 ad 3
3. Come fa notare S. Agostino, in quel passo Mosè non ha dichiarato a chi si deve indicare lo spergiuro di un altro. Perciò si deve pensare che debba essere indicato "a persone che possono giovare piuttosto che nuocere al colpevole". - Parimente egli non ha dichiarato secondo quale ordine si debba manifestare. Ecco perché ci sembra che si debba seguire l'ordine stabilito dal Vangelo, se lo spergiuro è occulto: specialmente quando non è dannoso per altri, poiché in tal caso non si dovrebbe seguire l'ordine del Vangelo, come sopra abbiamo visto.
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[43209] IIª-IIae q. 98 a. 4 ad 4 Ad quartum dicendum quod licet uti malo propter bonum, sicut et Deus utitur, non tamen licet aliquem ad malum inducere. Unde licet eius qui paratus est per falsos deos iurare, iuramentum recipere, non tamen licet eum inducere ad hoc quod per falsos deos iuret. Alia tamen ratio esse videtur in eo qui per verum Deum falsum iurat. Quia in tali iuramento deest bonum fidei, qua utitur aliquis in iuramento illius qui verum per falsos deos iurat, ut Augustinus dicit, ad Publicolam. Unde in iuramento eius qui falsum per verum Deum iurat, non videtur esse aliquod bonum quo uti liceat.
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[43209] IIª-IIae q. 98 a. 4 ad 4
4. È lecito servirsi del male per il bene, come fa Dio stesso: però non è lecito indurre al male. Quindi è lecito ricevere il giuramento di chi è pronto a giurare per false divinità; ma non è lecito indurlo a giurare in tal modo. - Diversa invece è la condizione di chi giura il falso per il vero Dio. Poiché in questo giuramento manca la buona fede che, a detta di S. Agostino, si riscontra nel giuramento di coloro che giurano il vero per delle false divinità. Perciò nel giuramento di chi giura il falso, giurando per il vero Dio, non c'è nessun bene di cui sia lecito servirsi.
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