Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La superstizione nel culto del vero Dio >
Se nel culto del vero Dio possa esserci qualche cosa di condannabile
Secunda pars secundae partis
Quaestio 93
Articulus 1
[42991] IIª-IIae q. 93 a. 1 arg. 1 Ad primum sic proceditur. Videtur quod in cultu veri Dei non possit esse aliquid perniciosum. Dicitur enim Ioel II, omnis quicumque invocaverit nomen domini, salvus erit. Sed quicumque colit Deum quocumque modo, invocat nomen eius. Ergo omnis cultus Dei confert salutem. Nullus ergo est perniciosus.
|
|
Seconda parte della seconda parte
Questione 93
Articolo 1
[42991] IIª-IIae q. 93 a. 1 arg. 1
SEMBRA che nel culto del vero Dio non possa esserci qualche cosa di condannabile. Infatti:
1. Sta scritto: "Chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvo". Ma chiunque presta un culto a Dio in qualsiasi maniera invoca il suo nome. Dunque qualsiasi culto di Dio assicura la salvezza. E quindi nessun culto è condannabile.
|
[42992] IIª-IIae q. 93 a. 1 arg. 2 Praeterea, idem Deus est qui colitur a iustis quacumque mundi aetate. Sed ante legem datam, iusti, absque peccato mortali, colebant Deum qualitercumque eis placebat, unde et Iacob proprio voto se obligavit ad specialem cultum, ut habetur Gen. XXVIII. Ergo etiam modo nullus Dei cultus est perniciosus.
|
|
[42992] IIª-IIae q. 93 a. 1 arg. 2
2. Identico è il Dio venerato dai giusti in tutte le età del mondo. Ora, prima che fosse data la legge i giusti esercitavano il loro culto verso Dio come a loro piaceva: infatti anche Giacobbe col proprio voto si obbligò a un culto speciale, come si legge nella Genesi. Perciò anche adesso nessun atto di culto verso Dio è condannabile.
|
[42993] IIª-IIae q. 93 a. 1 arg. 3 Praeterea, nihil perniciosum in Ecclesia sustinetur. Sustinet autem Ecclesia diversos ritus colendi Deum, unde Gregorius scribit Augustino episcopo Anglorum, proponenti quod sunt diversae Ecclesiarum consuetudines in Missarum celebratione, mihi, inquit, placet ut, sive in Romanis sive in Galliarum sive in qualibet Ecclesia aliquid invenisti quod plus omnipotenti Deo possit placere, sollicite eligas. Ergo nullus modus colendi Deum est perniciosus.
|
|
[42993] IIª-IIae q. 93 a. 1 arg. 3
3. Nella Chiesa niente di condannabile vien tollerato. Ora, la Chiesa tollera riti diversi nel culto di Dio: infatti S. Gregorio così scrive a S. Agostino vescovo d'Inghilterra, il quale gli prospettava le diverse consuetudini delle varie chiese nella celebrazione della Messa: "Io desidero che tu scelga con cura quello che hai trovato di più gradito all'onnipotente Iddio, sia a Roma sia nelle Gallie, o in qualsiasi altra chiesa". Dunque nessun modo di prestare un culto a Dio può essere condannabile.
|
[42994] IIª-IIae q. 93 a. 1 s. c. Sed contra est quod Augustinus dicit, in epistola ad Hieron., et habetur in Glossa, Galat. II, quod legalia observata post veritatem Evangelii divulgatam, sunt mortifera. Et tamen legalia ad cultum Dei pertinent. Ergo in cultu Dei potest esse aliquid mortiferum.
|
|
[42994] IIª-IIae q. 93 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino in una lettera a S. Girolamo afferma che le osservanze legali, osservate dopo la divulgazione della verità del Vangelo, sono mortifere. Eppure codeste osservanze appartengono al culto di Dio. Perciò negli atti del culto di Dio può esserci qualche cosa di mortifero.
|
[42995] IIª-IIae q. 93 a. 1 co. Respondeo dicendum quod, sicut Augustinus dicit, in libro contra mendacium, mendacium maxime perniciosum est quod fit in his quae ad Christianam religionem pertinent. Est autem mendacium cum aliquis exterius significat contrarium veritati. Sicut autem significatur aliquid verbo, ita etiam significatur aliquid facto, et in tali significatione facti consistit exterior religionis cultus, ut ex supradictis patet. Et ideo si per cultum exteriorem aliquid falsum significetur, erit cultus perniciosus. Hoc autem contingit dupliciter. Uno quidem modo, ex parte rei significatae, a qua discordat significatio cultus. Et hoc modo, tempore novae legis, peractis iam Christi mysteriis, perniciosum est uti caeremoniis veteris legis, quibus Christi mysteria significabantur futura, sicut etiam perniciosum esset si quis verbo confiteretur Christum esse passurum. Alio modo potest contingere falsitas in exteriori cultu ex parte colentis, et hoc praecipue in cultu communi, qui per ministros exhibetur in persona totius Ecclesiae. Sicut enim falsarius esset qui aliqua proponeret ex parte alicuius quae non essent ei commissa, ita vitium falsitatis incurrit qui ex parte Ecclesiae cultum exhibet Deo contra modum divina auctoritate ab Ecclesia constitutum et in Ecclesia consuetum. Unde Ambrosius dicit, indignus est qui aliter celebrat mysterium quam Christus tradidit. Et propter hoc etiam Glossa dicit, Coloss. II, quod superstitio est quando traditioni humanae nomen religionis applicatur.
|
|
[42995] IIª-IIae q. 93 a. 1 co.
RISPONDO: Come insegna S. Agostino, la menzogna più dannosa è quella relativa alle cose che riguardano la religione cristiana. Ora, è una menzogna esprimere con segni esterni il contrario della verità. Ma una cosa, come viene espressa con le parole, può esserlo anche con dei gesti: e il culto esterno della religione, l'abbiamo già visto, consiste proprio in codeste espressioni. Perciò se dal culto esterno viene espresso qualche cosa di falso, si tratta di un culto condannabile.
Ora questo può capitare in due modi: Primo, per la discrepanza tra l'atto di culto e la realtà da esso significata. Ed è così che risulta condannabile, nel tempo della nuova legge, quando ormai i misteri di Cristo si sono compiuti, l'uso delle cerimonie dell'antica legge, nelle quali i misteri di Cristo sono significati come futuri: precisamente come sarebbe condannabile che uno dichiarasse con le parole che la passione di Cristo deve ancora avvenire.
Secondo, nel culto esterno la falsità può dipendere dalle disposizioni di chi lo esercita: e questo specialmente nel culto pubblico, esercitato dai ministri a nome di tutta la Chiesa. Infatti come sarebbe un falsario chi a nome di una persona facesse proposte diverse da quelle di cui è stato incaricato, così incorre nel peccato di falsità chi a nome della Chiesa offre a Dio un culto contrastante con le forme stabilite dalla Chiesa con l'autorità di Dio, e in essa consuete. Di qui le parole di S. Ambrogio: "È indegno colui che celebra i divini misteri diversamente da come Cristo li ha istituiti". Ed è per questo che la Glossa precisa che si ha superstizione "quando alle tradizioni umane si dà il nome di religione".
|
[42996] IIª-IIae q. 93 a. 1 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod, cum Deus sit veritas, illi invocant Deum qui in spiritu et veritate eum colunt, ut dicitur Ioan. IV. Et ideo cultus continens falsitatem non pertinet proprie ad Dei invocationem quae salvat.
|
|
[42996] IIª-IIae q. 93 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dio, essendo la verità, viene invocato da coloro che lo adorano "in spirito e verità", come dice il Vangelo. Perciò un atto di culto che contiene una falsità non rientra propriamente tra le salutari invocazioni di Dio.
|
[42997] IIª-IIae q. 93 a. 1 ad 2 Ad secundum dicendum quod ante tempus legis, iusti per interiorem instinctum instruebantur de modo colendi Deum, quos alii sequebantur. Postmodum vero exterioribus praeceptis circa hoc homines sunt instructi, quae praeterire pestiferum est.
|
|
[42997] IIª-IIae q. 93 a. 1 ad 2
2. Prima della promulgazione della legge i giusti erano istruiti sul modo di prestare il culto a Dio da un'ispirazione interiore, e gli altri li imitavano. In seguito gli uomini sono stati istruiti in questo da precetti esternamente formulati, che è peccaminoso trasgredire.
|
[42998] IIª-IIae q. 93 a. 1 ad 3 Ad tertium dicendum quod diversae consuetudines Ecclesiae in cultu divino in nullo veritati repugnant. Et ideo sunt servandae; et eas praeterire illicitum est.
|
|
[42998] IIª-IIae q. 93 a. 1 ad 3
3. Le varie consuetudini esistenti nella Chiesa per il culto divino non ripugnano affatto alla verità. Esse perciò vanno conservate; ed è illecito trasgredirle.
|
|
|