II-II, 93

Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La superstizione nel culto del vero Dio


Secunda pars secundae partis
Quaestio 93
Prooemium

[42990] IIª-IIae q. 93 pr.
Deinde considerandum est de speciebus superstitionis. Et primo, de superstitione indebiti cultus veri Dei; secundo, de superstitione idololatriae; tertio, de superstitione divinationum; quarto, de superstitione observationum. Circa primum quaeruntur duo.
Primo, utrum in cultu Dei veri possit esse aliquid perniciosum.
Secundo, utrum possit ibi esse aliquid superfluum.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 93
Proemio

[42990] IIª-IIae q. 93 pr.
Veniamo così a studiare le varie specie di superstizione. Primo, la superstizione relativa al culto del vero Dio; secondo, l'idolatria; terzo, la divinazione; quarto, le osservanze o pratiche superstiziose.
Sul primo argomento si pongono due quesiti:

1. Se nel culto del vero Dio ci possa essere qualche cosa di peccaminoso;
2. Se ci possa essere qualche cosa di superfluo.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La superstizione nel culto del vero Dio > Se nel culto del vero Dio possa esserci qualche cosa di condannabile


Secunda pars secundae partis
Quaestio 93
Articulus 1

[42991] IIª-IIae q. 93 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod in cultu veri Dei non possit esse aliquid perniciosum. Dicitur enim Ioel II, omnis quicumque invocaverit nomen domini, salvus erit. Sed quicumque colit Deum quocumque modo, invocat nomen eius. Ergo omnis cultus Dei confert salutem. Nullus ergo est perniciosus.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 93
Articolo 1

[42991] IIª-IIae q. 93 a. 1 arg. 1
SEMBRA che nel culto del vero Dio non possa esserci qualche cosa di condannabile. Infatti:
1. Sta scritto: "Chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvo". Ma chiunque presta un culto a Dio in qualsiasi maniera invoca il suo nome. Dunque qualsiasi culto di Dio assicura la salvezza. E quindi nessun culto è condannabile.

[42992] IIª-IIae q. 93 a. 1 arg. 2
Praeterea, idem Deus est qui colitur a iustis quacumque mundi aetate. Sed ante legem datam, iusti, absque peccato mortali, colebant Deum qualitercumque eis placebat, unde et Iacob proprio voto se obligavit ad specialem cultum, ut habetur Gen. XXVIII. Ergo etiam modo nullus Dei cultus est perniciosus.

 

[42992] IIª-IIae q. 93 a. 1 arg. 2
2. Identico è il Dio venerato dai giusti in tutte le età del mondo. Ora, prima che fosse data la legge i giusti esercitavano il loro culto verso Dio come a loro piaceva: infatti anche Giacobbe col proprio voto si obbligò a un culto speciale, come si legge nella Genesi. Perciò anche adesso nessun atto di culto verso Dio è condannabile.

[42993] IIª-IIae q. 93 a. 1 arg. 3
Praeterea, nihil perniciosum in Ecclesia sustinetur. Sustinet autem Ecclesia diversos ritus colendi Deum, unde Gregorius scribit Augustino episcopo Anglorum, proponenti quod sunt diversae Ecclesiarum consuetudines in Missarum celebratione, mihi, inquit, placet ut, sive in Romanis sive in Galliarum sive in qualibet Ecclesia aliquid invenisti quod plus omnipotenti Deo possit placere, sollicite eligas. Ergo nullus modus colendi Deum est perniciosus.

 

[42993] IIª-IIae q. 93 a. 1 arg. 3
3. Nella Chiesa niente di condannabile vien tollerato. Ora, la Chiesa tollera riti diversi nel culto di Dio: infatti S. Gregorio così scrive a S. Agostino vescovo d'Inghilterra, il quale gli prospettava le diverse consuetudini delle varie chiese nella celebrazione della Messa: "Io desidero che tu scelga con cura quello che hai trovato di più gradito all'onnipotente Iddio, sia a Roma sia nelle Gallie, o in qualsiasi altra chiesa". Dunque nessun modo di prestare un culto a Dio può essere condannabile.

[42994] IIª-IIae q. 93 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in epistola ad Hieron., et habetur in Glossa, Galat. II, quod legalia observata post veritatem Evangelii divulgatam, sunt mortifera. Et tamen legalia ad cultum Dei pertinent. Ergo in cultu Dei potest esse aliquid mortiferum.

 

[42994] IIª-IIae q. 93 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino in una lettera a S. Girolamo afferma che le osservanze legali, osservate dopo la divulgazione della verità del Vangelo, sono mortifere. Eppure codeste osservanze appartengono al culto di Dio. Perciò negli atti del culto di Dio può esserci qualche cosa di mortifero.

[42995] IIª-IIae q. 93 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod, sicut Augustinus dicit, in libro contra mendacium, mendacium maxime perniciosum est quod fit in his quae ad Christianam religionem pertinent. Est autem mendacium cum aliquis exterius significat contrarium veritati. Sicut autem significatur aliquid verbo, ita etiam significatur aliquid facto, et in tali significatione facti consistit exterior religionis cultus, ut ex supradictis patet. Et ideo si per cultum exteriorem aliquid falsum significetur, erit cultus perniciosus. Hoc autem contingit dupliciter. Uno quidem modo, ex parte rei significatae, a qua discordat significatio cultus. Et hoc modo, tempore novae legis, peractis iam Christi mysteriis, perniciosum est uti caeremoniis veteris legis, quibus Christi mysteria significabantur futura, sicut etiam perniciosum esset si quis verbo confiteretur Christum esse passurum. Alio modo potest contingere falsitas in exteriori cultu ex parte colentis, et hoc praecipue in cultu communi, qui per ministros exhibetur in persona totius Ecclesiae. Sicut enim falsarius esset qui aliqua proponeret ex parte alicuius quae non essent ei commissa, ita vitium falsitatis incurrit qui ex parte Ecclesiae cultum exhibet Deo contra modum divina auctoritate ab Ecclesia constitutum et in Ecclesia consuetum. Unde Ambrosius dicit, indignus est qui aliter celebrat mysterium quam Christus tradidit. Et propter hoc etiam Glossa dicit, Coloss. II, quod superstitio est quando traditioni humanae nomen religionis applicatur.

 

[42995] IIª-IIae q. 93 a. 1 co.
RISPONDO: Come insegna S. Agostino, la menzogna più dannosa è quella relativa alle cose che riguardano la religione cristiana. Ora, è una menzogna esprimere con segni esterni il contrario della verità. Ma una cosa, come viene espressa con le parole, può esserlo anche con dei gesti: e il culto esterno della religione, l'abbiamo già visto, consiste proprio in codeste espressioni. Perciò se dal culto esterno viene espresso qualche cosa di falso, si tratta di un culto condannabile.
Ora questo può capitare in due modi: Primo, per la discrepanza tra l'atto di culto e la realtà da esso significata. Ed è così che risulta condannabile, nel tempo della nuova legge, quando ormai i misteri di Cristo si sono compiuti, l'uso delle cerimonie dell'antica legge, nelle quali i misteri di Cristo sono significati come futuri: precisamente come sarebbe condannabile che uno dichiarasse con le parole che la passione di Cristo deve ancora avvenire.
Secondo, nel culto esterno la falsità può dipendere dalle disposizioni di chi lo esercita: e questo specialmente nel culto pubblico, esercitato dai ministri a nome di tutta la Chiesa. Infatti come sarebbe un falsario chi a nome di una persona facesse proposte diverse da quelle di cui è stato incaricato, così incorre nel peccato di falsità chi a nome della Chiesa offre a Dio un culto contrastante con le forme stabilite dalla Chiesa con l'autorità di Dio, e in essa consuete. Di qui le parole di S. Ambrogio: "È indegno colui che celebra i divini misteri diversamente da come Cristo li ha istituiti". Ed è per questo che la Glossa precisa che si ha superstizione "quando alle tradizioni umane si dà il nome di religione".

[42996] IIª-IIae q. 93 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, cum Deus sit veritas, illi invocant Deum qui in spiritu et veritate eum colunt, ut dicitur Ioan. IV. Et ideo cultus continens falsitatem non pertinet proprie ad Dei invocationem quae salvat.

 

[42996] IIª-IIae q. 93 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dio, essendo la verità, viene invocato da coloro che lo adorano "in spirito e verità", come dice il Vangelo. Perciò un atto di culto che contiene una falsità non rientra propriamente tra le salutari invocazioni di Dio.

[42997] IIª-IIae q. 93 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod ante tempus legis, iusti per interiorem instinctum instruebantur de modo colendi Deum, quos alii sequebantur. Postmodum vero exterioribus praeceptis circa hoc homines sunt instructi, quae praeterire pestiferum est.

 

[42997] IIª-IIae q. 93 a. 1 ad 2
2. Prima della promulgazione della legge i giusti erano istruiti sul modo di prestare il culto a Dio da un'ispirazione interiore, e gli altri li imitavano. In seguito gli uomini sono stati istruiti in questo da precetti esternamente formulati, che è peccaminoso trasgredire.

[42998] IIª-IIae q. 93 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod diversae consuetudines Ecclesiae in cultu divino in nullo veritati repugnant. Et ideo sunt servandae; et eas praeterire illicitum est.

 

[42998] IIª-IIae q. 93 a. 1 ad 3
3. Le varie consuetudini esistenti nella Chiesa per il culto divino non ripugnano affatto alla verità. Esse perciò vanno conservate; ed è illecito trasgredirle.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La superstizione nel culto del vero Dio > Se nel culto divino possa esserci qualche cosa di superfluo


Secunda pars secundae partis
Quaestio 93
Articulus 2

[42999] IIª-IIae q. 93 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod in cultu Dei non possit esse aliquid superfluum. Dicitur enim Eccli. XLIII, glorificantes Deum quantumcumque potueritis, supervalebit adhuc. Sed cultus divinus ordinatur ad Deum glorificandum. Ergo nihil superfluum in eo esse potest.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 93
Articolo 2

[42999] IIª-IIae q. 93 a. 2 arg. 1
SEMBRA che nel culto di Dio non possa esserci niente di superfiuo. Infatti:
1. Nell'Ecclesiastico si legge: "Glorificate Dio quanto più potete, perché egli sopravanzerà ancora". Ma il culto divino è ordinato a glorificare Dio. Dunque in esso non può esserci niente di superfluo.

[43000] IIª-IIae q. 93 a. 2 arg. 2
Praeterea, exterior cultus est professio quaedam cultus interioris quo Deus colitur fide, spe et caritate; ut Augustinus dicit, in Enchirid. Sed in fide, spe et caritate non potest esse aliquid superfluum. Ergo etiam neque in divino cultu.

 

[43000] IIª-IIae q. 93 a. 2 arg. 2
2. Il culto esterno è espressione del culto interiore, nel quale, a detta di S. Agostino, "Dio viene onorato con la fede, la speranza e la carità". Ma in queste virtù non può esserci nulla di superfluo. Perciò neppure nel culto divino.

[43001] IIª-IIae q. 93 a. 2 arg. 3
Praeterea, ad divinum cultum pertinet ut ea Deo exhibeamus quae a Deo accepimus. Sed omnia bona nostra a Deo accepimus. Ergo si totum quidquid possumus facimus ad Dei reverentiam, nihil erit superfluum in divino cultu.

 

[43001] IIª-IIae q. 93 a. 2 arg. 3
3. È compito del culto divino far sì che noi offriamo a Dio le cose che da lui abbiamo ricevuto. Ora, da Dio noi abbiamo ricevuto tutti i nostri beni. Perciò anche se facciamo tutto quel che possiamo a onore di Dio, niente potrà essere superfluo nel suo culto.

[43002] IIª-IIae q. 93 a. 2 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in II de Doct. Christ., quod bonus verusque Christianus etiam in litteris sacris superstitiosa figmenta repudiat. Sed per sacras litteras Deus colendus ostenditur. Ergo etiam in cultu divino potest esse superstitio ex aliqua superfluitate.

 

[43002] IIª-IIae q. 93 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino insegna, che "il cristiano buono e autentico anche nelle sacre lettere rigetta le finzioni superstiziose". Ora, proprio le sacre lettere ci mostrano i doveri del culto verso Dio. Dunque anche nel culto divino si può infiltrare la superstizione per qualche cosa di superfluo.

[43003] IIª-IIae q. 93 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod aliquid dicitur superfluum dupliciter. Uno modo, secundum quantitatem absolutam. Et secundum hoc non potest esse superfluum in divino cultu, quia nihil potest homo facere quod non sit minus eo quod Deo debet. Alio modo potest esse aliquid superfluum secundum quantitatem proportionis, quia scilicet non est fini proportionatum. Finis autem divini cultus est ut homo Deo det gloriam, et ei se subiiciat mente et corpore. Et ideo quidquid homo faciat quod pertinet ad Dei gloriam, et ad hoc quod mens hominis Deo subiiciatur, et etiam corpus per moderatam refrenationem concupiscentiarum, secundum Dei et Ecclesiae ordinationem, et consuetudinem eorum quibus homo convivit, non est superfluum in divino cultu. Si autem aliquid sit quod quantum est de se non pertinet ad Dei gloriam, neque ad hoc quod mens hominis feratur in Deum, aut quod carnis concupiscentiae moderate refrenantur; aut etiam si sit praeter Dei et Ecclesiae institutionem, vel contra consuetudinem communem (quae secundum Augustinum, pro lege habenda est). Totum hoc reputandum est superfluum et superstitiosum, quia, in exterioribus solum consistens, ad interiorem Dei cultum non pertinet. Unde Augustinus, in libro de vera Relig., inducit quod dicitur Luc. XVII, regnum Dei intra vos est, contra superstitiosos, qui scilicet exterioribus principalem curam impendunt.

 

[43003] IIª-IIae q. 93 a. 2 co.
RISPONDO: Una cosa può dirsi superflua in due modi. Primo, in senso assoluto. E in tal modo non può esserci del superfluo nel culto divino: poiché l'uomo non può fare nulla che non sia inferiore a quanto deve a Dio. Secondo, una cosa può essere superflua in rapporto a una data proporzione: cioè perché non è proporzionata al fine. Ora, il fine del culto divino è che l'uomo dia gloria a Dio, e a lui si sottometta con l'anima e col corpo. Perciò qualunque cosa uno faccia per la gloria di Dio, e allo scopo di sottomettere la propria anima a Dio, nonché il corpo, mediante un freno moderato delle concupiscenze, secondo le leggi di Dio e della Chiesa, e le consuetudini delle persone con le quali convive, non è affatto superfluo nel suo culto divino.
Ma se interviene qualche cosa che per se stessa esuli dalla gloria di Dio, o non serva a condurre l'anima a Dio, o a frenare moderatamente le concupiscenze della carne; oppure sia estranea alle leggi di Dio e della Chiesa, o contraria alla consuetudine comune (che a detta di S. Agostino, "ha valore di legge"), tutto questo è da ritenersi superfluo e superstizioso; poiché, fermandosi a cose esterne, non raggiunge il culto interiore di Dio. Ecco perché S. Agostino contro "i superstiziosi", i quali attendono principalmente alle cose esterne, adduce quel testo evangelico: "Il regno di Dio è dentro di voi".

[43004] IIª-IIae q. 93 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod in ipsa Dei glorificatione implicatur quod id quod fit pertineat ad Dei gloriam. Per quod excluditur superstitionis superfluitas.

 

[43004] IIª-IIae q. 93 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La glorificazione di Dio implica direttamente che quanto uno fa, appartenga realmente alla gloria di lui. E ciò esclude ogni superfluità superstiziosa.

[43005] IIª-IIae q. 93 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod per fidem, spem et caritatem anima subiicitur Deo. Unde in eis non potest esse aliquid superfluum. Aliud autem est de exterioribus actibus, qui quandoque ad haec non pertinent.

 

[43005] IIª-IIae q. 93 a. 2 ad 2
2. Con la fede, la speranza e la carità l'anima si sottomette a Dio. Perciò in esse non può riscontrarsi niente di superfluo. Diversa invece è la condizione degli atti esterni, i quali talora non si riallacciano ad esse.

[43006] IIª-IIae q. 93 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod ratio illa procedit de superfluo quantum ad quantitatem absolutam.

 

[43006] IIª-IIae q. 93 a. 2 ad 3
3. L'argomento vale per il superfluo considerato in assoluto.

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