II-II, 71

Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Le ingiustizie processuali degli avvocati


Secunda pars secundae partis
Quaestio 71
Prooemium

[42058] IIª-IIae q. 71 pr.
Deinde considerandum est de iniustitia quae fit in iudicio ex parte advocatorum. Et circa hoc quaeruntur quatuor.
Primo, utrum advocatus teneatur praestare patrocinium causae pauperum.
Secundo, utrum aliquis debeat arceri ab officio advocati.
Tertio, utrum advocatus peccet iniustam causam defendendo.
Quarto, utrum peccet pecuniam accipiendo pro suo patrocinio.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 71
Proemio

[42058] IIª-IIae q. 71 pr.
Passiamo a considerare le ingiustizie processuali degli avvocati.
Sull'argomento si pongono quattro quesiti:

1. Se un avvocato sia tenuto a patrocinare la causa dei poveri;
2. Se alcuni debbano essere esclusi dall'ufficio di avvocati;
3. Se pecchi un avvocato nel difendere delle cause ingiuste;
4. Se pecchi accettando del denaro per la sua opera.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Le ingiustizie processuali degli avvocati > Se gli avvocati siano tenuti a patrocinare le cause dei poveri


Secunda pars secundae partis
Quaestio 71
Articulus 1

[42059] IIª-IIae q. 71 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod advocatus teneatur patrocinium praestare causae pauperum. Dicitur enim Exod. XXIII, si videris asinum odientis te iacere sub onere, non pertransibis, sed sublevabis cum eo. Sed non minus periculum imminet pauperi si eius causa contra iustitiam opprimatur, quam si eius asinus iaceat sub onere. Ergo advocatus tenetur praestare patrocinium causae pauperum.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 71
Articolo 1

[42059] IIª-IIae q. 71 a. 1 arg. 1
SEMBRA che gli avvocati sian tenuti a patrocinare le cause dei poveri. Infatti:
1. Nell'Esodo si legge: "Se vedrai cadere sotto il peso l'asino di chi ti odia, non passerai oltre, ma insieme con lui lo rialzerai". Ma il povero il cui processo è sotto il peso di un'ingiustizia non è in pericolo meno grave, che se gli fosse caduto l'asino sotto il peso. Perciò l'avvocato è tenuto a patrocinare la causa dei poveri.

[42060] IIª-IIae q. 71 a. 1 arg. 2
Praeterea, Gregorius dicit, in quadam homilia, habens intellectum curet omnino ne taceat; habens rerum affluentiam a misericordia non torpescat; habens artem qua regitur, usum illius cum proximo partiatur; habens loquendi locum apud divitem, pro pauperibus intercedat, talenti enim nomine cuilibet reputabitur quod vel minimum accepit. Sed talentum commissum non abscondere, sed fideliter dispensare quilibet tenetur, quod patet ex poena servi abscondentis talentum, Matth. XXV. Ergo advocatus tenetur pro pauperibus loqui.

 

[42060] IIª-IIae q. 71 a. 1 arg. 2
2. S. Gregorio insegna: "Chi ha intelligenza cerchi in tutti i modi di non tacere; chi è largamente provvisto di beni non cessi dalle opere di misericordia; chi ha l'arte di governare ne usi a vantaggio del prossimo; chi ha accesso alla casa dei ricchi interceda per i poveri: infatti tutto ciò che si è ricevuto, per minimo che sia, sarà considerato come un talento da trafficare". Ora, tutti sono tenuti non a nascondere, ma a trafficare il talento ricevuto: com'è evidente dalla punizione del servo della parabola, che l'aveva nascosto. Dunque gli avvocati son tenuti a difendere i poveri.

[42061] IIª-IIae q. 71 a. 1 arg. 3
Praeterea, praeceptum de misericordiae operibus adimplendis, cum sit affirmativum, obligat pro loco et tempore, quod est maxime in necessitate. Sed tempus necessitatis videtur esse quando alicuius pauperis causa opprimitur. Ergo in tali casu videtur quod advocatus teneatur pauperibus patrocinium praestare.

 

[42061] IIª-IIae q. 71 a. 1 arg. 3
3. Il precetto di compiere opere di misericordia essendo affermativo, obbliga in tempi e luoghi determinati, e cioè soprattutto nei casi di necessità. Ma quando la causa di un povero è minacciata si ha certamente un tempo di grave necessità. Quindi in codesti casi un avvocato è tenuto a patrocinare la causa dei poveri.

[42062] IIª-IIae q. 71 a. 1 s. c.
Sed contra, non minor necessitas est indigentis cibo quam indigentis advocato. Sed ille qui habet potestatem cibandi non semper tenetur pauperem cibare. Ergo nec advocatus semper tenetur causae pauperum patrocinium praestare.

 

[42062] IIª-IIae q. 71 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: La necessità di chi ha bisogno di cibo non è minore di quella di chi ha bisogno dell'avvocato. Ora, chi può sfamare non sempre è tenuto a sfamare i poveri. Perciò neppure gli avvocati sono sempre tenuti a patrocinare le cause dei poveri.

[42063] IIª-IIae q. 71 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod cum praestare patrocinium causae pauperum ad opus misericordiae pertineat, idem est hic dicendum quod et supra de aliis misericordiae operibus dictum est. Nullus enim sufficit omnibus indigentibus misericordiae opus impendere. Et ideo sicut Augustinus dicit, in I de Doct. Christ., cum omnibus prodesse non possis, his potissime consulendum est qui pro locorum et temporum vel quarumlibet rerum opportunitatibus, constrictius tibi, quasi quadam sorte, iunguntur. Dicit, pro locorum opportunitatibus, quia non tenetur homo per mundum quaerere indigentes quibus subveniat, sed sufficit si eis qui sibi occurrunt misericordiae opus impendat. Unde dicitur Exod. XXIII, si occurreris bovi inimici tui aut asino erranti, reduc ad eum. Addit autem, et temporum, quia non tenetur homo futurae necessitati alterius providere, sed sufficit si praesenti necessitati succurrat. Unde dicitur I Ioan. III, qui viderit fratrem suum necessitatem patientem, et clauserit viscera sua ab eo, et cetera. Subdit autem, vel quarumlibet rerum, quia homo sibi coniunctis quacumque necessitudine maxime debet curam impendere; secundum illud I ad Tim. V, si quis suorum, et maxime domesticorum curam non habet, fidem negavit. Quibus tamen concurrentibus, considerandum restat utrum aliquis tantam necessitatem patiatur quod non in promptu appareat quomodo ei possit aliter subveniri. Et in tali casu tenetur ei opus misericordiae impendere. Si autem in promptu appareat quomodo ei aliter subveniri possit, vel per seipsum vel per aliam personam magis coniunctam aut maiorem facultatem habentem, non tenetur ex necessitate indigenti subvenire, ita quod non faciendo peccet, quamvis, si subvenerit absque tali necessitate, laudabiliter faciat. Unde advocatus non tenetur semper causae pauperum patrocinium praestare, sed solum concurrentibus conditionibus praedictis. Alioquin oporteret eum omnia alia negotia praetermittere, et solis causis pauperum iuvandis intendere. Et idem dicendum est de medico, quantum ad curationem pauperum.

 

[42063] IIª-IIae q. 71 a. 1 co.
RISPONDO: Patrocinare le cause dei poveri è un'opera di misericordia, e quindi in proposito bisogna applicare quanto sopra abbiamo detto sulle altre opere di misericordia. Infatti nessuno è in grado di prestare soccorso a tutti gli indigenti. Perciò S. Agostino ammoniva: "Siccome non ti è possibile soccorrere tutti, devi provvedere soprattutto a quelli che ti sono, come in sorte, più strettamente congiunti, secondo le contingenze di luogo e di tempo o di qualsiasi altra circostanza". Egli dice "secondo le contingenze di luogo": perché un uomo non è tenuto a cercare per il mondo gli indigenti da soccorrere, ma basta che faccia opere di misericordia a quelli che incontra. Ecco infatti le parole dell'Esodo: "Se t'incontrerai nel bove del tuo nemico, o nel suo asino smarrito, riconduciglielo". - Aggiunge poi, "di tempo": perché non si è tenuti a provvedere alle altrui necessità future, ma basta che si provveda alla necessità presente. Di qui l'espressione di S. Giovanni: "Se uno vedendo il suo fratello nella necessità, gli chiuderà il proprio cuore...". - E finalmente aggiunge, "o di qualsiasi altra circostanza (più strettamente congiunti)": perché ciascuno in ogni necessità deve soccorrere specialmente le persone congiunte; secondo l'ammonimento dell'Apostolo: "Se qualcuno non pensa ai suoi, massime a quei di casa, costui ha rinnegato la fede".
Tuttavia anche in codeste circostanze si deve considerare, se il bisogno sia così grave, da non potersi prevedere subito un altro aiuto. E in tal caso uno è tenuto a prestare l'opera di misericordia. - Se invece appare facile la possibilità di un aiuto diverso, o per le risorse personali dell'indigente, o da parte di altre persone a lui più legate, o più facoltose, uno non è tenuto a soccorrere, così da peccare a non farlo: sebbene agisca lodevolmente nel farlo, senza una tale necessità.
Perciò un avvocato non è tenuto sempre a patrocinare le cause dei poveri, ma solo quando concorrono le predette condizioni. Altrimenti egli dovrebbe trascurare ogni altro ufficio, e attendere solo a difendere le cause dei poveri. - E lo stesso si dica per il medico, a proposito della cura dei poveri.

[42064] IIª-IIae q. 71 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod quando asinus iacet sub onere, non potest ei aliter subveniri in casu isto nisi per advenientes subveniatur, et ideo tenentur iuvare. Non autem tenerentur si posset aliunde remedium afferri.

 

[42064] IIª-IIae q. 71 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'asino che è caduto sotto il peso, nel caso non può essere soccorso che dai passanti occasionali; perciò essi son tenuti ad aiutare. Ma questi non sarebbero tenuti, se si potesse rimediare diversamente.

[42065] IIª-IIae q. 71 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod homo talentum sibi creditum tenetur utiliter dispensare, servata opportunitate locorum et temporum et aliarum rerum, ut dictum est.

 

[42065] IIª-IIae q. 71 a. 1 ad 2
2. Un uomo è tenuto ad amministrare bene il talento ricevuto, badando appunto all'opportunità dei luoghi e dei tempi, come abbiamo spiegato.

[42066] IIª-IIae q. 71 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod non quaelibet necessitas causat debitum subveniendi, sed solum illa quae est dicta.

 

[42066] IIª-IIae q. 71 a. 1 ad 3
3. Non qualsiasi necessità, ma solo quella che abbiamo indicato produce l'obbligo di soccorrere.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Le ingiustizie processuali degli avvocati > Se sia ragionevole che alcuni per legge siano esclusi dall'ufficio di avvocati


Secunda pars secundae partis
Quaestio 71
Articulus 2

[42067] IIª-IIae q. 71 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod inconvenienter aliqui secundum iura arceantur ab officio advocandi. Ab operibus enim misericordiae nullus debet arceri. Sed patrocinium praestare in causis ad opera misericordiae pertinet, ut dictum est. Ergo nullus debet ab hoc officio arceri.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 71
Articolo 2

[42067] IIª-IIae q. 71 a. 2 arg. 1
SEMBRA che non sia ragionevole che alcuni per legge siano esclusi dall'ufficio di avvocati. Infatti:
1. Nessuno dev'essere distolto dalle opere di misericordia. Ora, patrocinare delle cause è, come abbiamo detto, un'opera di misericordia. Dunque nessuno deve essere escluso da quest'incarico.

[42068] IIª-IIae q. 71 a. 2 arg. 2
Praeterea, contrariarum causarum non videtur esse idem effectus. Sed esse deditum rebus divinis, et esse deditum peccatis, est contrarium. Inconvenienter igitur excluduntur ab officio advocati quidam propter religionem, ut monachi et clerici; quidam autem propter culpam, ut infames et haeretici.

 

[42068] IIª-IIae q. 71 a. 2 arg. 2
2. Sembra che cause contrarie non possano avere un identico effetto. Ma l'esser dediti alle cose divine, ed esser dediti al peccato son cose contrarie. Perciò non è ragionevole che alcuni siano esclusi dall'ufficio di avvocati per motivi religiosi, come i monaci e i chierici; e altri per delle colpe, come i pregiudicati e gli eretici.

[42069] IIª-IIae q. 71 a. 2 arg. 3
Praeterea, homo debet diligere proximum sicut seipsum. Sed ad effectum dilectionis pertinet quod aliquis advocatus causae alicuius patrocinetur. Inconvenienter ergo aliqui quibus conceditur pro seipsis auctoritas advocationis, prohibentur patrocinari causis aliorum.

 

[42069] IIª-IIae q. 71 a. 2 arg. 3
3. Un uomo è tenuto ad amare il prossimo come se stesso. Ma uno degli effetti della carità consiste nel portare un avvocato a difendere le cause altrui. Perciò è irragionevole che ad alcuni si conceda la facoltà di patrocinare le cause proprie, e non si conceda quella di patrocinare le cause degli altri.

[42070] IIª-IIae q. 71 a. 2 s. c.
Sed contra est quod III, qu. VII, multae personae arcentur ab officio postulandi.

 

[42070] IIª-IIae q. 71 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Il Diritto Canonico esclude molte persone dall'ufficio di avvocati.

[42071] IIª-IIae q. 71 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod aliquis impeditur ab aliquo actu duplici ratione, uno modo, propter impotentiam; alio modo, propter indecentiam. Sed impotentia simpliciter excludit aliquem ab actu, indecentia autem non excludit omnino, quia necessitas indecentiam tollere potest. Sic igitur ab officio advocatorum prohibentur quidam propter impotentiam, eo quod deficiunt sensu, vel interiori, sicut furiosi et impuberes; vel exteriori, sicut surdi et muti. Est enim necessaria advocato et interior peritia, qua possit convenienter iustitiam assumptae causae ostendere, et iterum loquela cum auditu, ut possit et pronuntiare et audire quod ei dicitur. Unde qui in his defectum patiuntur omnino prohibentur ne sint advocati, nec pro se nec pro aliis. Decentia autem huius officii exercendi tollitur dupliciter. Uno modo, ex hoc quod aliquis est rebus maioribus obligatus. Unde monachos et presbyteros non decet in quacumque causa advocatos esse, neque clericos in iudicio saeculari, quia huiusmodi personae sunt rebus divinis adstrictae. Alio modo, propter personae defectum, vel corporalem, ut patet de caecis, qui convenienter iudici adstare non possent; vel spiritualem, non enim decet ut alterius iustitiae patronus existat qui in seipso iustitiam contempsit. Et ideo infames, infideles et damnati de gravibus criminibus non decenter sunt advocati. Tamen huiusmodi indecentiae necessitas praefertur. Et propter hoc huiusmodi personae possunt pro seipsis, vel pro personis sibi coniunctis, uti officio advocati. Unde et clerici pro Ecclesiis suis possunt esse advocati, et monachi pro causa monasterii sui, si abbas praeceperit.

 

[42071] IIª-IIae q. 71 a. 2 co.
RISPONDO: Si può essere impediti di compiere un atto per due motivi diversi: primo, per incapacità; secondo, per sconvenienza. Ma l'incapacità esclude in modo assoluto dal compimento di un atto: mentre il difetto di convenienza non esclude del tutto, poiché questo può essere eliminato dalla necessità. Ecco quindi che alcuni sono esclusi dall'ufficio di avvocati per incapacità, cioè per mancanza di senso interno come i pazzi e gli impuberi, o di senso esterno come i sordi e i muti. Infatti l'avvocato ha bisogno di perizia interiore, per poter dimostrare efficacemente la giustizia della causa patrocinata; e inoltre ha bisogno della loquela e dell'udito, per parlare e per ascoltare quanto gli si dice. Perciò quelli che mancano di codeste cose sono esclusi assolutamente dal compito di avvocati, sia per se stessi, che per gli altri.
La convenienza poi richiesta nell'esercizio di questo compito può essere compromessa da due motivi. Primo, dal fatto che uno è tenuto a dei compiti più alti. Ed ecco perché ai monaci e ai sacerdoti non si addice essere avvocati in nessuna causa, e ai chierici non si addice esserlo nei tribunali civili: perché codeste persone sono deputate alle cose divine. - Secondo, per un difetto personale: o fisico, p. es., nel caso dei ciechi, che non possono presentarsi come si conviene dinanzi a un giudice; o spirituale, non essendo decoroso che si presenti a patrocinare la giustizia per un altro, chi l'ha disprezzata in se stesso. Perciò i pregiudicati, i negatori della fede e i condannati per gravi delitti non possono compiere decorosamente l'ufficio di avvocato.
Tuttavia il bisogno passa sopra a codesta sconvenienza. Ecco perché codeste persone possono assolvere l'ufficio di avvocati per se stesse, oppure per chi loro appartiene. Infatti anche i chierici possono patrocinare le cause delle loro chiese, e i monaci quelle dei loro monasteri, dietro il comando dell'abate.

[42072] IIª-IIae q. 71 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ab operibus misericordiae interdum aliqui propter impotentiam, interdum etiam propter indecentiam impediuntur. Non enim omnia opera misericordiae omnes decent, sicut stultos non decet consilium dare, neque ignorantes docere.

 

[42072] IIª-IIae q. 71 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dall'esercitare le opere di misericordia si può essere impediti sia dall'incapacità, sia da motivi di convenienza. Infatti tutte codeste opere non si addicono a tutti: agli stolti, p. es., non si addice consigliare, né agli ignoranti si addice insegnare.

[42073] IIª-IIae q. 71 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod sicut virtus corrumpitur per superabundantiam et defectum, ita aliquis fit indecens et per maius et per minus. Et propter hoc quidam arcentur a patrocinio praestando in causis quia sunt maiores tali officio, sicut religiosi et clerici, quidam vero quia sunt minores quam ut eis hoc officium competat, sicut infames et infideles.

 

[42073] IIª-IIae q. 71 a. 2 ad 2
2. Come la virtù può essere distrutta da un eccesso e da un difetto, così la sconvenienza può nascere e dal più e dal meno. Ecco perché alcuni, ossia i religiosi e i chierici, sono esclusi dal patrocinare le cause, perché la loro dignità è superiore a codesto ufficio; altri invece, come i pregiudicati e i miscredenti, perché sono impari ad assolverlo.

[42074] IIª-IIae q. 71 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod non ita imminet homini necessitas patrocinari causis aliorum sicut propriis, quia alii possunt sibi aliter subvenire. Unde non est similis ratio.

 

[42074] IIª-IIae q. 71 a. 2 ad 3
3. A nessuno incombe la necessità di patrocinare le cause altrui, come la causa propria: perché gli altri possono rimediare diversamente. Perciò l'argomento non vale.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Le ingiustizie processuali degli avvocati > Se l'avvocato pecchi nel difendere una causa ingiusta


Secunda pars secundae partis
Quaestio 71
Articulus 3

[42075] IIª-IIae q. 71 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod advocatus non peccet si iniustam causam defendat. Sicut enim ostenditur peritia medici si infirmitatem desperatam sanet, ita etiam ostenditur peritia advocati si etiam iniustam causam defendere possit. Sed medicus laudatur si infirmitatem desperatam sanet. Ergo etiam advocatus non peccat, sed magis laudandus est, si iniustam causam defendat.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 71
Articolo 3

[42075] IIª-IIae q. 71 a. 3 arg. 1
SEMBRA che l'avvocato non pecchi nel difendere una causa ingiusta. Infatti:
1. Come guarire una malattia disperata dimostra l'abilità di un medico, così la capacità di difendere una causa ingiusta dimostra la perizia di un avvocato. Ora, il medico che guarisce una malattia disperata viene lodato. Quindi l'avvocato che difende una causa ingiusta non pecca, ma merita di essere lodato.

[42076] IIª-IIae q. 71 a. 3 arg. 2
Praeterea, a quolibet peccato licet desistere. Sed advocatus punitur si causam suam prodiderit, ut habetur II, qu. III. Ergo advocatus non peccat iniustam causam defendendo, si eam defendendam susceperit.

 

[42076] IIª-IIae q. 71 a. 3 arg. 2
2. Desistere dal peccato è sempre lecito. Invece l'avvocato che abbandona la propria causa viene punito dai Canoni. Dunque l'avvocato che ha preso a difendere una causa ingiusta non pecca nel patrocinarla.

[42077] IIª-IIae q. 71 a. 3 arg. 3
Praeterea, maius videtur esse peccatum si iniustitia utatur ad iustam causam defendendam, puta producendo falsos testes vel allegando falsas leges, quam iniustam causam defendendo, quia hoc est peccatum in forma, illud in materia. Sed videtur advocato licere talibus astutiis uti, sicut militi licet ex insidiis pugnare. Ergo videtur quod advocatus non peccat si iniustam causam defendat.

 

[42077] IIª-IIae q. 71 a. 3 arg. 3
3. Si fa un peccato più grave servendosi di un'ingiustizia nel difendere una causa giusta, portando, p. es., falsi testimoni o allegando leggi false, che patrocinando una causa ingiusta: perché qui il peccato verte sulla forma, là invece verte sulla materia. Eppure agli avvocati è permesso servirsi di tali astuzie: come son lecite le imboscate ai soldati. Dunque un avvocato non pecca nel difendere una causa ingiusta.

[42078] IIª-IIae q. 71 a. 3 s. c.
Sed contra est quod dicitur II Paralip. XIX, impio praebes auxilium, et idcirco iram domini merebaris. Sed advocatus defendens causam iniustam impio praebet auxilium. Ergo, peccando, iram domini meretur.

 

[42078] IIª-IIae q. 71 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Tu hai prestato aiuto a un empio, perciò ti sei meritata l'ira del Signore". Ma l'avvocato che difende una causa ingiusta presta aiuto a un empio. Quindi merita, col peccare, l'ira del Signore.

[42079] IIª-IIae q. 71 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod illicitum est alicui cooperari ad malum faciendum sive consulendo, sive adiuvando, sive qualitercumque consentiendo, quia consilians et coadiuvans quodammodo est faciens; et apostolus dicit, ad Rom. I, quod digni sunt morte non solum qui faciunt peccatum, sed etiam qui consentiunt facientibus. Unde et supra dictum est quod omnes tales ad restitutionem tenentur. Manifestum est autem quod advocatus et auxilium et consilium praestat ei cuius causae patrocinatur. Unde si scienter iniustam causam defendit, absque dubio graviter peccat; et ad restitutionem tenetur eius damni quod contra iustitiam per eius auxilium altera pars incurrit. Si autem ignoranter iniustam causam defendit, putans esse iustam, excusatur, secundum modum quo ignorantia excusare potest.

 

[42079] IIª-IIae q. 71 a. 3 co.
RISPONDO: È sempre illecito per chiunque cooperare al male, sia con l'opera, sia col consiglio, sia con l'aiuto, sia con ogni altro consenso: poiché chi consiglia e coopera in qualche modo compie l'azione; e l'Apostolo insegna, che "son degni di morte non solo quelli che fanno il peccato, ma anche coloro che approvano chi lo fa". E quindi sopra abbiamo già dimostrato che tutti costoro son tenuti alla restituzione. Ora, è evidente che l'avvocato presta aiuto e consiglio alla persona di cui difende la causa. Perciò se egli difende scientemente una causa ingiusta, senza dubbio fa un peccato mortale; ed è tenuto a riparare il danno incorso ingiustamente dalla parte contraria per il suo intervento. Se invece difende una causa ingiusta per ignoranza, cioè pensando che sia giusta, allora è scusato nella misura in cui può scusare l'ignoranza.

[42080] IIª-IIae q. 71 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod medicus accipiens in cura infirmitatem desperatam nulli facit iniuriam. Advocatus autem suscipiens causam iniustam iniuste laedit eum contra quem patrocinium praestat. Et ideo non est similis ratio. Quamvis enim laudabilis videatur quantum ad peritiam artis, tamen peccat quantum ad iniustitiam voluntatis, qua abutitur arte ad malum.

 

[42080] IIª-IIae q. 71 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il medico che cura un'infermità disperata non fa torto a nessuno. Invece l'avvocato che prende a difendere una causa ingiusta danneggia colui contro il quale rivolge il suo patrocinio. Perciò il paragone non regge. Sebbene infatti egli possa mostrare così la perizia nella propria arte, tuttavia pecca per l'ingiustizia del suo volere, col quale abusa malamente di essa.

[42081] IIª-IIae q. 71 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod advocatus, si in principio credidit causam iustam esse et postea in processu appareat eam esse iniustam, non debet eam prodere, ut scilicet aliam partem iuvet, vel secreta suae causae alteri parti revelet. Potest tamen et debet causam deserere; vel eum cuius causam agit ad cedendum inducere, sive ad componendum, sine adversarii damno.

 

[42081] IIª-IIae q. 71 a. 3 ad 2
2. Se un avvocato in principio crede che la sua causa sia giusta, e poi si accorge che è ingiusta, non deve denunziarla, in modo da aiutare la parte avversa, o da svelarne i segreti. Tuttavia può abbandonarla; oppure può indurre il suo cliente a cedere, o a venire a una composizione, senza danno per gli avversari.

[42082] IIª-IIae q. 71 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut supra dictum est, militi vel duci exercitus licet in bello iusto ex insidiis agere ea quae facere debet prudenter occultando, non autem falsitatem fraudulenter faciendo, quia etiam hosti fidem servare oportet, sicut Tullius dicit, in III de Offic. Unde et advocato defendenti causam iustam licet prudenter occultare ea quibus impediri posset processus eius, non autem licet ei aliqua falsitate uti.

 

[42082] IIª-IIae q. 71 a. 3 ad 3
3. Come sopra abbiamo detto, al soldato, ovvero al capitano di un esercito è lecito in una guerra giusta ricorrere a degli stratagemmi, nascondendo con prudenza i suoi piani, non già ricorrendo alla falsità e alla frode: poiché, a detta di Cicerone, "si deve rispettare la parola data anche col nemico". Perciò all'avvocato che difende una causa giusta è lecito nascondere con prudenza quanto potrebbe nuocere alla propria causa: ma non è lecito ricorrere a delle falsità.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Le ingiustizie processuali degli avvocati > Se l'avvocato possa accettare del denaro per la sua opera


Secunda pars secundae partis
Quaestio 71
Articulus 4

[42083] IIª-IIae q. 71 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod advocato non liceat pro suo patrocinio pecuniam accipere. Opera enim misericordiae non sunt intuitu humanae remunerationis facienda, secundum illud Luc. XIV, cum facis prandium aut cenam, noli vocare amicos tuos neque vicinos divites, ne forte et ipsi te reinvitent, et fiat tibi retributio. Sed praestare patrocinium causae alicuius pertinet ad opera misericordiae, ut dictum est. Ergo non licet advocato accipere retributionem pecuniae pro patrocinio praestito.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 71
Articolo 4

[42083] IIª-IIae q. 71 a. 4 arg. 1
SEMBRA che l'avvocato non possa accettare del denaro per la sua opera. Infatti:
1. Le opere di misericordia non vanno fatte in vista di una ricompensa umana; poiché sta scritto: "Quando fai un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici e i tuoi vicini ricchi, perché non avvenga che anch'essi t'invitino e ti sia reso il contraccambio". Ma il patrocinare la causa altrui è, come abbiamo detto, un'opera di misericordia. Dunque a un avvocato non è lecito accettare una retribuzione per l'opera prestata.

[42084] IIª-IIae q. 71 a. 4 arg. 2
Praeterea, spirituale non est pro temporali commutandum. Sed patrocinium praestitum videtur esse quiddam spirituale, cum sit usus scientiae iuris. Ergo non licet advocato pro patrocinio praestito pecuniam accipere.

 

[42084] IIª-IIae q. 71 a. 4 arg. 2
2. Le cose spirituali non si possono scambiare con quelle temporali. Ora, la difesa di una causa è un bene spirituale: essendo l'esercizio della scienza del diritto. Perciò un avvocato non può ricevere un compenso per la sua opera.

[42085] IIª-IIae q. 71 a. 4 arg. 3
Praeterea, sicut ad iudicium concurrit persona advocati, ita etiam persona iudicis et persona testis. Sed secundum Augustinum, ad Macedonium, non debet iudex vendere iustum iudicium, nec testis verum testimonium. Ergo nec advocatus poterit vendere iustum patrocinium.

 

[42085] IIª-IIae q. 71 a. 4 arg. 3
3. Al giudizio concorrono gli avvocati, come concorrono il giudice e i testimoni. Ma a detta di S. Agostino, "il giudice non deve vendere il giusto giudizio, né il testimone la vera testimonianza". Quindi neppure l'avvocato può vendere il proprio giusto patrocinio.

[42086] IIª-IIae q. 71 a. 4 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit ibidem, quod advocatus licite vendit iustum patrocinium, et iurisperitus verum consilium.

 

[42086] IIª-IIae q. 71 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino insegna, che "l'avvocato può vendere il suo giusto patrocinio, e il giureconsulto il suo esatto consiglio".

[42087] IIª-IIae q. 71 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod ea quae quis non tenetur alteri exhibere, iuste potest pro eorum exhibitione recompensationem accipere. Manifestum est autem quod advocatus non semper tenetur patrocinium praestare aut consilium dare causis aliorum. Et ideo si vendat suum patrocinium sive consilium, non agit contra iustitiam. Et eadem ratio est de medico opem ferente ad sanandum, et de omnibus aliis huiusmodi personis, dum tamen moderate accipiant, considerata conditione personarum et negotiorum et laboris, et consuetudine patriae. Si autem per improbitatem aliquid immoderate extorqueat, peccat contra iustitiam. Unde Augustinus dicit, ad Macedonium, quod ab his extorta per immoderatam improbitatem repeti solent, data per tolerabilem consuetudinem non solent.

 

[42087] IIª-IIae q. 71 a. 4 co.
RISPONDO: Uno può giustamente ricevere un compenso per i servizi che non è tenuto a rendere agli altri. Ora, è evidente che un avvocato non sempre è tenuto a prestare il suo patrocinio e il suo consiglio nelle cause altrui. E quindi se vende il suo patrocinio o il suo consiglio, non agisce contro la giustizia. Lo stesso vale per il medico che prende cura di un malato, e di tutti gli altri professionisti di questo genere: purché la retribuzione sia moderata in rapporto alla condizione delle persone, degli affari, della fatica impiegata, e delle consuetudini del luogo. Se invece uno esige più dell'onesto, pecca contro la giustizia. Ecco perché S. Agostino notava, che "quanto fu da essi estorto in modo disonesto si è soliti riprenderlo; mentre vien lasciata l'offerta loro fatta secondo accettabili consuetudini".

[42088] IIª-IIae q. 71 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod non semper quae homo potest misericorditer facere, tenetur facere gratis, alioquin nulli liceret aliquam rem vendere, quia quamlibet rem potest homo misericorditer impendere. Sed quando eam misericorditer impendit, non humanam, sed divinam remunerationem quaerere debet. Et similiter advocatus, quando causae pauperum misericorditer patrocinatur, non debet intendere remunerationem humanam, sed divinam, non tamen semper tenetur gratis patrocinium impendere.

 

[42088] IIª-IIae q. 71 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Un uomo non è sempre tenuto a compiere gratuitamente quanto può esercitare per misericordia: altrimenti non si potrebbe più vendere nulla, perché qualsiasi cosa si può dare per misericordia. Ma quando uno dà per misericordia, non deve cercare un compenso dagli uomini, bensì da Dio. Lo stesso vale per gli avvocati: quando essi difendono per carità la causa dei poveri, non devono mirare a una mercede umana, ma alla mercede divina; essi però non sempre son tenuti a prestare gratuitamente il loro patrocinio.

[42089] IIª-IIae q. 71 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod etsi scientia iuris sit quiddam spirituale, tamen usus eius fit opere corporali. Et ideo pro eius recompensatione licet pecuniam accipere, alioquin nulli artifici liceret de arte sua lucrari.

 

[42089] IIª-IIae q. 71 a. 4 ad 2
2. Sebbene la scienza del diritto sia qualche cosa di spirituale, tuttavia il suo esercizio esige un lavoro corporale. E quindi in compenso di questo è lecito ricevere del denaro: altrimenti nessun artigiano potrebbe avere un compenso per il suo mestiere.

[42090] IIª-IIae q. 71 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod iudex et testis communes sunt utrique parti, quia iudex tenetur iustam sententiam dare, et testis tenetur verum testimonium dicere; iustitia autem et veritas non declinant in unam partem magis quam in aliam. Et ideo iudicibus de publico sunt stipendia laboris statuta; et testes accipiunt, non quasi pretium testimonii, sed quasi stipendium laboris, expensas vel ab utraque parte, vel ab ea a qua inducuntur, quia nemo militat stipendiis suis unquam, ut dicitur I ad Cor. IX. Sed advocatus alteram partem tantum defendit. Et ideo licite potest pretium accipere a parte quam adiuvat.

 

[42090] IIª-IIae q. 71 a. 4 ad 3
3. Il giudice e i testimoni sono estranei all'una e all'altra parte: perché il giudice è tenuto a dare la sentenza giusta, e i testimoni a rendere la vera testimonianza; e sia la giustizia che la verità non stanno per una parte piuttosto che per l'altra. Ecco perché ai giudici viene assegnato un onorario dalla collettività; e i testimoni ricevono dalle due parti, o da quella che li ha prodotti, l'equivalente delle spese, non come paga della testimonianza, ma come compenso per la fatica sostenuta: poiché, come dice S. Paolo, "nessuno va alla guerra a proprie spese". Invece un avvocato difende solo una delle parti. E quindi può percepire lecitamente un compenso dai suoi clienti.

Alla Questione precedente

 

Alla Questione successiva