II-II, 70

Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Le ingiustizie da parte dei testimoni


Secunda pars secundae partis
Quaestio 70
Prooemium

[42025] IIª-IIae q. 70 pr.
Deinde considerandum est de iniustitia pertinente ad personam testis. Et circa hoc quaeruntur quatuor.
Primo, utrum homo teneatur ad testimonium ferendum.
Secundo, utrum duorum vel trium testimonium sufficiat.
Tertio, utrum alicuius testimonium repellatur absque eius culpa.
Quarto, utrum perhibere falsum testimonium sit peccatum mortale.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 70
Proemio

[42025] IIª-IIae q. 70 pr.
Passiamo quindi a considerare le ingiustizie da parte dei testimoni.
Sull'argomento si pongono quattro quesiti:

1. Se tutti sian tenuti a rendere testimonianza;
2. Se la testimonianza di due o tre sia sufficiente;
3. Se solo per una colpa personale del teste sia da respingere la sua testimonianza;
4. Se rendere falsa testimonianza sia peccato mortale.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Le ingiustizie da parte dei testimoni > Se tutti sian tenuti a rendere testimonianza


Secunda pars secundae partis
Quaestio 70
Articulus 1

[42026] IIª-IIae q. 70 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod homo non teneatur ad testimonium ferendum. Dicit enim Augustinus, in quaest. Gen., quod Abraham dicens de uxore sua, soror mea est, veritatem celari voluit, non mendacium dici. Sed veritatem celando aliquis a testificando abstinet. Ergo non tenetur aliquis ad testificandum.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 70
Articolo 1

[42026] IIª-IIae q. 70 a. 1 arg. 1
SEMBRA che non si sia tenuti a rendere testimonianza. Infatti:
1. S. Agostino spiega che Abramo nel dire di sua moglie: "È mia sorella", volle celare una verità, non già proferire una menzogna. Ora, col celare la verità uno si astiene dal testimoniare. Quindi non tutti son tenuti a rendere testimonianza.

[42027] IIª-IIae q. 70 a. 1 arg. 2
Praeterea, nullus tenetur fraudulenter agere. Sed Prov. XI dicitur, qui ambulat fraudulenter revelat arcana, qui autem fidelis est celat amici commissum. Ergo non tenetur homo semper ad testificandum, praesertim super his quae sunt sibi in secreto ab amico commissa.

 

[42027] IIª-IIae q. 70 a. 1 arg. 2
2. Nessuno è tenuto ad agire con frode. Ma nei Proverbi si legge: "Chi procede con frode svela i segreti, chi invece è d'animo fidato cela le confidenze dell'amico". Dunque non sempre si è tenuti a testimoniare: specialmente poi sulle cose confidate dagli amici.

[42028] IIª-IIae q. 70 a. 1 arg. 3
Praeterea, ad ea quae sunt de necessitate salutis maxime tenentur clerici et sacerdotes. Sed clericis et sacerdotibus prohibetur ferre testimonium in causa sanguinis. Ergo testificari non est de necessitate salutis.

 

[42028] IIª-IIae q. 70 a. 1 arg. 3
3. A quanto si richiede per salvarsi i chierici e i sacerdoti son tenuti più degli altri. Ebbene, ad essi è proibito di rendere testimonianza nelle cause per delitti capitali. Perciò rendere testimonianza non è di stretto obbligo per salvarsi.

[42029] IIª-IIae q. 70 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, qui veritatem occultat, et qui prodit mendacium, uterque reus est, ille quia prodesse non vult, iste quia nocere desiderat.

 

[42029] IIª-IIae q. 70 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino insegna: "È reo tanto chi occulta la verità, come chi dice una menzogna: il primo perché non vuol fare del bene, il secondo perché vuol fare del male".

[42030] IIª-IIae q. 70 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod in testimonio ferendo distinguendum est. Quia aliquando requiritur testimonium alicuius, aliquando non requiritur. Si requiritur testimonium alicuius subditi auctoritate superioris cui in his quae ad iustitiam pertinent obedire tenetur, non est dubium quin teneatur testimonium ferre in his in quibus secundum ordinem iuris testimonium ab eo exigitur, puta in manifestis, et in his de quibus infamia praecessit. Si autem exigatur ab eo testimonium in aliis, puta in occultis et de quibus infamia non praecessit, non tenetur ad testificandum. Si vero requiratur eius testimonium non auctoritate superioris cui obedire tenetur, tunc distinguendum est. Quia si testimonium requiratur ad liberandum hominem vel ab iniusta morte seu poena quacumque, vel a falsa infamia, vel etiam ab iniquo damno, tunc tenetur homo ad testificandum. Et si eius testimonium non requiratur, tenetur facere quod in se est ut veritatem denuntiet alicui qui ad hoc possit prodesse. Dicitur enim in Psalm., eripite pauperem, et egenum de manu peccatoris liberate; et Prov. XXIV, erue eos qui dicuntur ad mortem. Et Rom. I dicitur, digni sunt morte non solum qui faciunt, sed etiam qui consentiunt facientibus, ubi dicit Glossa, consentire est tacere, cum possis redarguere. Super his vero quae pertinent ad condemnationem alicuius, non tenetur aliquis ferre testimonium nisi cum a superiori compellitur secundum ordinem iuris. Quia si circa hoc veritas occultetur, nulli ex hoc speciale damnum nascitur. Vel, si immineat periculum accusatori, non est curandum, quia ipse se in hoc periculum sponte ingessit. Alia autem ratio est de reo, cui periculum imminet eo nolente.

 

[42030] IIª-IIae q. 70 a. 1 co.
RISPONDO: In fatto di testimonianza bisogna distinguere. Perché la testimonianza di una persona in certi casi è richiesta, e in altri non è richiesta. Se la testimonianza è richiesta autoritativamente da un superiore cui si è tenuti a ubbidire in cose relative alla giustizia, non c'è dubbio che si è tenuti a rendere la testimonianza che viene richiesta a norma di legge: vale a dire sui delitti manifesti e su quelli di pubblico dominio. Se invece si richiedesse la testimonianza su altri delitti, cioè su delitti occulti e ancora estranei alla pubblica opinione, uno non è tenuto a testimoniare.
Se poi la testimonianza non è richiesta dall'autorità di un superiore, allora bisogna distinguere. Se la deposizione si richiede per liberare un uomo da una morte ingiusta, o da qualsiasi altra pena immeritata, oppure da una calunnia, o da un danno ingiusto, allora si è tenuti a testimoniare. E anche se la sua testimonianza non è richiesta, uno è tenuto a fare quello che può, per denunziare la verità a persone che possono fare qualche cosa. Infatti nei Salmi si legge: "Salvate il povero, e liberate il misero dalle mani dei peccatori"; e nei Proverbi: "Libera coloro che son condotti alla morte". S. Paolo anzi scrive: "Sono degni di morte non solo quelli che fanno tali cose, ma anche chi approva chi le fa"; e la Glossa commenta: "Tacere è acconsentire, quando hai la possibilità di correggere".
Se invece si tratta di deporre per la condanna di una persona, allora non si è tenuti a rendere testimonianza, se non si è costretti dall'autorità a norma di legge. Perché in tal caso l'occultazione della verità non provoca danno per nessuno. E anche se con questo si mette in pericolo l'accusatore, non c'è da preoccuparsi: perché costui si è messo da se stesso nel pericolo. Diversa è invece la condizione del reo, che è esposto al pericolo di una condanna contro la sua volontà.

[42031] IIª-IIae q. 70 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Augustinus loquitur de occultatione veritatis in casu illo quando aliquis non compellitur superioris auctoritate veritatem propalare; et quando occultatio veritatis nulli specialiter est damnosa.

 

[42031] IIª-IIae q. 70 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Agostino parla di occultazione della verità, nel caso in cui uno non sia obbligato dall'autorità a manifestare la verità; e quando tale occultazione non fa danni speciali a nessuno.

[42032] IIª-IIae q. 70 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod de illis quae homini sunt commissa in secreto per confessionem, nullo modo debet testimonium ferre, quia huiusmodi non scit ut homo, sed tanquam Dei minister, et maius est vinculum sacramenti quolibet hominis praecepto. Circa ea vero quae aliter homini sub secreto committuntur, distinguendum est. Quandoque enim sunt talia quae, statim cum ad notitiam hominis venerint, homo ea manifestare tenetur, puta si pertineret ad corruptionem multitudinis spiritualem vel corporalem, vel in grave damnum alicuius personae, vel si quid aliud est huiusmodi, quod quis propalare tenetur vel testificando vel denuntiando. Et contra hoc debitum obligari non potest per secreti commissum, quia in hoc frangeret fidem quam alteri debet. Quandoque vero sunt talia quae quis prodere non tenetur. Unde potest obligari ex hoc quod sibi sub secreto committuntur. Et tunc nullo modo tenetur ea prodere, etiam ex praecepto superioris, quia servare fidem est de iure naturali; nihil autem potest praecipi homini contra id quod est de iure naturali.

 

[42032] IIª-IIae q. 70 a. 1 ad 2
2. Sulle confidenze avute in segreto nella confessione uno non deve mai rendere testimonianza: perché codeste cose egli non le sa come uomo, ma come ministro di Dio, e il sigillo sacramentale è superiore a qualsiasi precetto umano.
Ma sugli altri segreti commessi bisogna distinguere. Talora infatti si tratta di cose che appena conosciute si è tenuti a manifestarle: p. es., le iniziative che mirano alla rovina spirituale o materiale del popolo, o apportano grave danno a una persona. Tali notizie si è tenuti a manifestarle, o con la testimonianza, o con la denunzia. Contro un tale dovere non si può esser tenuti dalla promessa di nessun segreto: perché così si tradirebbe la fedeltà, cui si è tenuti verso altri. - Talora invece si tratta di cose che uno non è tenuto a svelare. E quindi si può essere obbligati dal fatto di aver ricevuto una notizia con la promessa del segreto. E allora in nessun modo si è tenuti a svelarla, neppure per comando dei superiori: perché la fedeltà è di diritto naturale; e niente può essere comandato a un uomo contro ciò che è di diritto naturale.

[42033] IIª-IIae q. 70 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod operari vel cooperari ad occisionem hominis non competit ministris altaris, ut supra dictum est. Et ideo secundum iuris ordinem compelli non possunt ad ferendum testimonium in causa sanguinis.

 

[42033] IIª-IIae q. 70 a. 1 ad 3
3. Come sopra abbiamo detto, ai ministri dell'altare è proibito agire o cooperare nell'uccisione di un uomo. Ecco perché a norma di legge costoro non possono essere obbligati a testimoniare nelle cause criminali.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Le ingiustizie da parte dei testimoni > Se basti la testimonianza di due o tre testimoni


Secunda pars secundae partis
Quaestio 70
Articulus 2

[42034] IIª-IIae q. 70 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod non sufficiat duorum vel trium testimonium. Iudicium enim certitudinem requirit. Sed non habetur certitudo veritatis per dictum duorum testium, legitur enim III Reg. XXI quod Naboth ad dictum duorum testium falso condemnatus est. Ergo duorum vel trium testimonium non sufficit.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 70
Articolo 2

[42034] IIª-IIae q. 70 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la testimonianza di due o tre testimoni non basti. Infatti:
1. Il giudizio richiede certezza. Ma non si può avere la certezza con la deposizione di due testimoni: poiché si legge nel primo libro dei Re che Nabot fu condannato dietro la deposizione falsa di due testimoni. Dunque la deposizione di due testimoni non basta.

[42035] IIª-IIae q. 70 a. 2 arg. 2
Praeterea, testimonium, ad hoc quod sit credibile, debet esse concors. Sed plerumque duorum vel trium testimonium in aliquo discordat. Ergo non est efficax ad veritatem in iudicio probandam.

 

[42035] IIª-IIae q. 70 a. 2 arg. 2
2. La testimonianza per essere credibile dev'esser concorde. Ma spesso le deposizioni di due o tre testimoni su certi particolari sono discordi. Quindi esse non sono sufficienti a provare la verità in giudizio.

[42036] IIª-IIae q. 70 a. 2 arg. 3
Praeterea, II, qu. IV, dicitur, praesul non damnetur nisi in septuaginta duobus testibus. Presbyter autem cardinalis nisi quadraginta quatuor testibus non deponatur. Diaconus cardinalis urbis Romae nisi in viginti octo testibus non condemnabitur. Subdiaconus, acolythus, exorcista, lector, ostiarius, nisi in septem testibus non condemnabitur. Sed magis est periculosum peccatum eius qui in maiori dignitate constitutus est, et ita minus est tolerandum. Ergo nec in aliorum condemnatione sufficit duorum vel trium testimonium.

 

[42036] IIª-IIae q. 70 a. 2 arg. 3
3. Nei Canoni si legge: "Non si condanni un vescovo, se non dietro l'escussione di settantadue testimoni. Un Cardinale Prete non sia deposto che per la testimonianza di quarantaquattro persone. Un Cardinale Diacono della città di Roma non può esser condannato se non per la testimonianza di ventotto. Suddiaconi, accoliti, esorcisti, lettori e ostiari non siano condannati se non per la testimonianza di sette testimoni". Ora, il peccato di chi è costituito in più alta dignità è più pericoloso, e quindi è meno da tollerarsi. Perciò anche nel condannare le altre persone non può bastare la testimonianza di due o tre testimoni.

[42037] IIª-IIae q. 70 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dicitur Deut. XVII, in ore duorum vel trium testium peribit qui interficietur; et infra, XIX, in ore duorum vel trium testium stabit omne verbum.

 

[42037] IIª-IIae q. 70 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Nel Deuteronomio si legge: "Sulla parola di due o tre testimoni sarà uno condannato a morte"; e ancora: "tutto si concluderà sulla parola di due o tre testimoni".

[42038] IIª-IIae q. 70 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, secundum philosophum, in I Ethic., certitudo non est similiter quaerenda in omni materia. In actibus enim humanis, super quibus constituuntur iudicia et exiguntur testimonia, non potest haberi certitudo demonstrativa, eo quod sunt circa contingentia et variabilia. Et ideo sufficit probabilis certitudo, quae ut in pluribus veritatem attingat, etsi in paucioribus a veritate deficiat. Est autem probabile quod magis veritatem contineat dictum multorum quam dictum unius. Et ideo, cum reus sit unus qui negat, sed multi testes asserunt idem cum actore, rationabiliter institutum est, iure divino et humano, quod dicto testium stetur. Omnis autem multitudo in tribus comprehenditur, scilicet principio, medio et fine, unde secundum philosophum, in I de coelo, omne et totum in tribus ponimus. Ternarius quidem constituitur asserentium, cum duo testes conveniunt cum actore. Et ideo requiritur binarius testium, vel, ad maiorem certitudinem, ut sit ternarius, qui est multitudo perfecta, in ipsis testibus. Unde et Eccle. IV dicitur, funiculus triplex difficile rumpitur. Augustinus autem, super illud Ioan. VIII, duorum hominum testimonium verum est, dicit quod in hoc est Trinitas secundum mysterium commendata, in qua est perpetua firmitas veritatis.

 

[42038] IIª-IIae q. 70 a. 2 co.
RISPONDO: Come fa notare il Filosofo, "non si deve esigere in tutte le materie la medesima certezza". Poiché negli atti umani, sui quali vertono i processi e le disposizioni dei testimoni, non si può avere una certezza apodittica, trattandosi di cose contingenti e variabili. Basta quindi una certezza probabile, che raggiunge la verità nella maggior parte dei casi, sebbene talora si scosti dalla verità. Ora, è probabile che contenga la verità più la deposizione di molti, che quella di uno solo. Perciò, quando il reo è solo a negare, mentre sono molteplici i testimoni che affermano la stessa cosa insieme all'accusatore, ragionevolmente è stato stabilito dal diritto divino e da quello umano, che si stia alla deposizione dei testimoni.
Ora, ogni pluralità, o molteplicità si compone di tre elementi, cioè di un principio, di un termine intermedio e di uno finale: infatti, a detta del Filosofo, "il tutto e l'universo si riducono a tre cose". Ebbene, si ha una triade di assertori, quando due testi concordano con l'accusatore. Ecco perché si richiedono due testimoni; oppure tre, per maggior certezza, per avere così la perfezione della pluralità. Infatti nell'Ecclesiaste si legge: "Una fune a tre fila difficilmente si rompe". E S. Agostino, spiegando quel passo evangelico: "La testimonianza di due uomini è degna di fede", afferma che "in questo c'è una misteriosa allusione alla Trinità, in cui risiede l'immutabile certezza della verità".

[42039] IIª-IIae q. 70 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, quantacumque multitudo testium determinaretur, posset quandoque testimonium esse iniquum, cum scriptum sit Exod. XXIII, ne sequaris turbam ad faciendum malum. Nec tamen, quia non potest in talibus infallibilis certitudo haberi, debet negligi certitudo quae probabiliter haberi potest per duos vel tres testes, ut dictum est.

 

[42039] IIª-IIae q. 70 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Per quanto grande possa essere il numero prescritto dei testimoni, potrebbe sempre capitare una falsa testimonianza; poiché sta scritto: "Non andrai dietro alla moltitudine, per fare il male". Non è detto però che si debba trascurare la certezza probabile che si può avere mediante due o tre testimoni, e di cui abbiamo parlato, per il fatto che non si può avere una certezza infallibile.

[42040] IIª-IIae q. 70 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod discordia testium in aliquibus principalibus circumstantiis, quae variant substantiam facti, puta in tempore vel loco vel in personis de quibus principaliter agitur, aufert efficaciam testimonii, quia si discordant in talibus, videntur singulares esse in suis testimoniis, et de diversis factis loqui; puta si unus dicat hoc factum esse tali tempore vel loco, alius alio tempore vel loco, non videntur de eodem facto loqui. Non tamen praeiudicatur testimonio si unus dicat se non recordari, et alius asserat determinatum tempus vel locum. Et si in talibus omnino discordaverint testes actoris et rei, si sint aequales numero et pares dignitate, statur pro reo, quia facilior debet esse iudex ad absolvendum quam ad condemnandum; nisi forte in causis favorabilibus, sicut est causa libertatis et huiusmodi. Si vero testes eiusdem partis dissenserint, debet iudex ex motu sui animi percipere cui parti sit standum, vel ex numero testium, vel ex dignitate eorum, vel ex favorabilitate causae, vel ex conditione negotii et dictorum. Multo autem magis testimonium unius repellitur si sibi ipsi dissideat interrogatus de visu et scientia. Non autem si dissideat interrogatus de opinione et fama, quia potest secundum diversa visa et audita diversimode motus esse ad respondendum. Si vero sit discordia testimonii in aliquibus circumstantiis non pertinentibus ad substantiam facti, puta si tempus fuerit nubilosum vel serenum, vel si domus fuerit picta aut non, aut aliquid huiusmodi, talis discordia non praeiudicat testimonio, quia homines non consueverunt circa talia multum sollicitari, unde facile a memoria elabuntur. Quinimmo aliqua discordia in talibus facit testimonium credibilius, ut Chrysostomus dicit, super Matth., quia si in omnibus concordarent, etiam in minimis, viderentur ex condicto eundem sermonem proferre. Quod tamen prudentiae iudicis relinquitur discernendum.

 

[42040] IIª-IIae q. 70 a. 2 ad 2
2. La discordia dei testimoni su circostanze principali che cambiano la natura del fatto, e cioè sul tempo, sul luogo o sulle persone di cui propriamente si tratta, toglie valore alla testimonianza: poiché discordando in codeste cose rimangono come testimoni singoli, che si riferiscono a fatti diversi. Se uno, p. es., dice che il fatto è accaduto in un dato tempo e luogo, e l'altro invece sta per un luogo e un tempo diversi, mostrano di non parlare dello stesso fatto. Però la testimonianza non è pregiudicata, se uno dice di non ricordare, mentre l'altro determina il tempo e il luogo.
Se poi su tali circostanze i testimoni dell'accusa e quelli della difesa non si accordano, e sono uguali per valore e per numero, si deve decidere la causa a favore dell'imputato: perché il giudice dev'essere più portato ad assolvere che a condannare; a meno che non si tratti di cause a favore dell'accusato, come sono i processi per l'affrancamento, e altri consimili. - Se poi discordano i testimoni di una medesima parte, allora il giudice deve intuire dai moti del suo animo quale partito scegliere; considerando il numero dei testimoni, il loro valore, i vantaggi della causa, lo svolgimento del processo e delle deposizioni.
Molto più però è da rigettarsi la testimonianza di una persona, che è in contraddizione con se stessa a proposito di quanto conosce come testimone oculare. Non così invece se è in contraddizione su cose conosciute dalle dicerie e dall'opinione altrui; poiché uno può esser mosso a rispondere diversamente, basandosi su constatazioni e su racconti diversi.
Se invece la discordia di una testimonianza verte su cose che non pregiudicano la sostanza del fatto, come potrebbe essere la nebulosità o la serenità del tempo, la decorazione o meno della casa, e simili, allora la discordanza non pregiudica la deposizione; poiché gli uomini non sono molto preoccupati di codesti dati, e quindi facilmente li dimenticano. Anzi la loro discordia in codeste circostanze rende la testimonianza più credibile, come nota il Crisostomo; perché se concordassero in tutto, potrebbe sembrare che parlino allo stesso modo per un'intesa. La cosa però è lasciata al prudente discernimento del giudice.

[42041] IIª-IIae q. 70 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod illud locum habet specialiter in episcopis, presbyteris, diaconibus et clericis Ecclesiae Romanae, propter eius dignitatem. Et hoc triplici ratione. Primo quidem, quia in ea tales institui debent quorum sanctitati plus credatur quam multis testibus. Secundo, quia homines qui habent de aliis iudicare, saepe, propter iustitiam, multos adversarios habent. Unde non est passim credendum testibus contra eos, nisi magna multitudo conveniat. Tertio, quia ex condemnatione alicuius eorum derogaretur in opinione hominum dignitati illius Ecclesiae et auctoritati. Quod est periculosius quam in ea tolerare aliquem peccatorem, nisi valde publicum et manifestum, de quo grave scandalum oriretur.

 

[42041] IIª-IIae q. 70 a. 2 ad 3
3. Quei testi si riferiscono in particolare ai vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi e ai chierici della Chiesa Romana, data la sua dignità. E questo per tre ragioni. Primo, perché in essa debbono esser promossi a codeste dignità uomini tali, che meritano per la loro santità una fede superiore a quella da accordare a molti testimoni. - Secondo, perché le persone chiamate a giudicare gli altri spesso a causa della giustizia si creano molti nemici. Perciò non si deve subito credere ai testimoni che depongono contro di loro, a meno che non ci sia l'accordo di un gran numero di essi. - Terzo, perché dalla condanna di un prelato romano verrebbe menomata la dignità e l'autorità di quella Chiesa nell'opinione degli uomini. E questo è più deleterio che la tolleranza in essa di qualche peccatore, a meno che non sia troppo pubblico e notorio, con la conseguenza di un grave scandalo.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Le ingiustizie da parte dei testimoni > Se si possa escludere un testimone senza una sua colpa


Secunda pars secundae partis
Quaestio 70
Articulus 3

[42042] IIª-IIae q. 70 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod alicuius testimonium non sit repellendum nisi propter culpam. Quibusdam enim in poenam infligitur quod ad testimonium non admittantur, sicut patet in his qui infamia notantur. Sed poena non est inferenda nisi pro culpa. Ergo videtur quod nullius testimonium debeat repelli nisi propter culpam.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 70
Articolo 3

[42042] IIª-IIae q. 70 a. 3 arg. 1
SEMBRA che non si possa escludere un testimone senza una sua colpa. Infatti:
1. Ad alcuni è negata la capacità di testimoniare come una pena: il che è evidente per chi è pubblicamente dichiarato infame. Ora, la pena non va inflitta che per una colpa. Dunque non si può respingere la testimonianza di nessuno senza una colpa.

[42043] IIª-IIae q. 70 a. 3 arg. 2
Praeterea, de quolibet praesumendum est bonum, nisi appareat contrarium. Sed ad bonitatem hominis pertinet quod verum testimonium dicat. Cum ergo non possit constare de contrario nisi propter aliquam culpam, videtur quod nullius testimonium debeat repelli nisi propter culpam.

 

[42043] IIª-IIae q. 70 a. 3 arg. 2
2. Stando al Diritto, "bisogna presumere che tutti son buoni, se non è dimostrato il contrario". Ma la veracità nel testimoniare è un elemento della bontà di un uomo. Quindi non si deve respingere la testimonianza di nessuno, senza una colpa, non potendosene dimostrare l'incapacità senza di quella.

[42044] IIª-IIae q. 70 a. 3 arg. 3
Praeterea, ad ea quae sunt de necessitate salutis nullus redditur non idoneus nisi propter peccatum. Sed testificari veritatem est de necessitate salutis, ut supra dictum est. Ergo nullus debet excludi a testificando nisi propter culpam.

 

[42044] IIª-IIae q. 70 a. 3 arg. 3
3. Uno si rende incapace di quanto è necessario alla salvezza solo col peccato. Ora, testimoniare la verità è di stretto obbligo per la salvezza, come sopra abbiamo visto. Dunque nessuno deve essere escluso dal testimoniare senza una colpa.

[42045] IIª-IIae q. 70 a. 3 s. c.
Sed contra est quod Gregorius dicit, et habetur II, qu. I, quia a servis suis accusatus est episcopus, sciendum est quod minime audiri debuerunt.

 

[42045] IIª-IIae q. 70 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: S. Gregorio, così si esprime in un testo riportato dai Canoni: "Se un vescovo è accusato dai suoi servitori, questi non devono affatto essere ascoltati".

[42046] IIª-IIae q. 70 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod testimonium, sicut dictum est, non habet infallibilem certitudinem, sed probabilem. Et ideo quidquid est quod probabilitatem afferat in contrarium, reddit testimonium inefficax. Redditur autem probabile quod aliquis in veritate testificanda non sit firmus, quandoque quidem propter culpam, sicut infideles, infames, item illi qui publico crimine rei sunt, qui nec accusare possunt, quandoque autem absque culpa. Et hoc vel ex defectu rationis, sicut patet in pueris, amentibus et mulieribus; vel ex affectu, sicut patet de inimicis et de personis coniunctis et domesticis; vel etiam ex exteriori conditione, sicut sunt pauperes, servi et illi quibus imperari potest, de quibus probabile est quod facile possint induci ad testimonium ferendum contra veritatem. Et sic patet quod testimonium alicuius repellitur et propter culpam, et absque culpa.

 

[42046] IIª-IIae q. 70 a. 3 co.
RISPONDO: La testimonianza, come abbiamo già notato, ha una certezza non infallibile, ma probabile. Perciò quanto offre una probabilità in contrario rende inefficace la testimonianza. Ora, la mancanza di fermezza nel testimoniare in certi casi è resa probabile da una colpa, e ciò avviene per chi è privo di fede, o di buona fama, o per gli accusati di pubblici delitti, i quali non possono neppure presentare un'accusa; e in altri è tale anche senza colpa. E questo, o per difetto di ragione, come nei bambini, nei pazzi e nelle donne; oppure per delle prevenzioni affettive, come nel caso dei nemici, dei congiunti e dei domestici; o anche per la bassa condizione sociale, come nel caso dei poveri, dei servi e di quanti possono esser comandati, ed è probabile che siano obbligati a rendere testimonianza contro la verità. Perciò è evidente che la testimonianza di una persona può essere rifiutata e per una colpa, e anche senza una colpa.

[42047] IIª-IIae q. 70 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod repellere aliquem a testimonio magis pertinet ad cautelam falsi testimonii vitandi quam ad poenam. Unde ratio non sequitur.

 

[42047] IIª-IIae q. 70 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'esclusione di una persona dal testimoniare più che per punire è fatta per evitare una falsa testimonianza. Perciò l'argomento non regge.

[42048] IIª-IIae q. 70 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod de quolibet praesumendum est bonum nisi appareat contrarium, dummodo non vergat in periculum alterius. Quia tunc est adhibenda cautela, ut non de facili unicuique credatur, secundum illud I Ioan. IV, nolite credere omni spiritui.

 

[42048] IIª-IIae q. 70 a. 3 ad 2
2. Di tutti si deve presumere che sian buoni, se non è dimostrato il contrario, purché questo non provochi il pericolo di terzi. Perché allora bisogna usare cautela, e non credere facilmente a chiunque, seguendo l'ammonizione di S. Giovanni: "Non vogliate credere ad ogni spirito".

[42049] IIª-IIae q. 70 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod testificari est de necessitate salutis, supposita testis idoneitate et ordine iuris. Unde nihil prohibet aliquos excusari a testimonio ferendo, si non reputentur idonei secundum iura.

 

[42049] IIª-IIae q. 70 a. 3 ad 3
3. Rendere testimonianza è di stretto obbligo per salvarsi, supposta però l'idoneità del teste e le disposizioni della legge. Perciò niente impedisce che, a norma delle leggi, certe persone siano dispensate dal testimoniare.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Le ingiustizie da parte dei testimoni > Se la falsa testimonianza sia sempre peccato mortale


Secunda pars secundae partis
Quaestio 70
Articulus 4

[42050] IIª-IIae q. 70 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod falsum testimonium non semper sit peccatum mortale. Contingit enim aliquem falsum testimonium ferre ex ignorantia facti. Sed talis ignorantia excusat a peccato mortali. Ergo testimonium falsum non semper est peccatum mortale.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 70
Articolo 4

[42050] IIª-IIae q. 70 a. 4 arg. 1
SEMBRA che la falsa testimonianza non sia sempre peccato mortale. Infatti:
1. Capita in certi casi che uno testifica il falso, perché ignora i fatti. Ma codesta ignoranza scusa dal peccato mortale. Dunque la falsa testimonianza non sempre è peccato mortale.

[42051] IIª-IIae q. 70 a. 4 arg. 2
Praeterea, mendacium quod alicui prodest et nulli nocet, est officiosum, quod non est peccatum mortale. Sed quandoque in falso testimonio est tale mendacium, puta cum aliquis falsum testimonium perhibet ut aliquem a morte liberet, vel ab iniusta sententia quae intentatur per alios falsos testes vel per iudicis perversitatem. Ergo tale falsum testimonium non est peccatum mortale.

 

[42051] IIª-IIae q. 70 a. 4 arg. 2
2. Una bugia che giova a qualcuno, senza nuocere a nessuno, è una bugia ufficiosa, che non è peccato mortale. Ebbene, spesso nella falsa testimonianza si ha una bugia di questo genere: p. es., quando si rende una falsa testimonianza per liberare uno dalla morte, o da un'ingiusta condanna promossa da falsi testimoni o dall'iniquità di un giudice. Perciò codesta falsa testimonianza non è peccato mortale.

[42052] IIª-IIae q. 70 a. 4 arg. 3
Praeterea, iuramentum a teste requiritur ut timeat peccare mortaliter deierando. Hoc autem non esset necessarium si ipsum falsum testimonium esset peccatum mortale. Ergo falsum testimonium non semper est peccatum mortale.

 

[42052] IIª-IIae q. 70 a. 4 arg. 3
3. Dai testimoni si esige il giuramento, perché temano di peccare mortalmente con lo spergiuro. Ma questo non sarebbe necessario, se già la falsa testimonianza fosse peccato mortale. Dunque la falsa testimonianza non sempre è peccato mortale.

[42053] IIª-IIae q. 70 a. 4 s. c.
Sed contra est quod dicitur Prov. XIX, falsus testis non erit impunitus.

 

[42053] IIª-IIae q. 70 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Il falso testimone non andrà impunito".

[42054] IIª-IIae q. 70 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod falsum testimonium habet triplicem deformitatem. Uno modo, ex periurio, quia testes non admittuntur nisi iurati. Et ex hoc semper est peccatum mortale. Alio modo, ex violatione iustitiae. Et hoc modo est peccatum mortale in suo genere, sicut et quaelibet iniustitia. Et ideo in praecepto Decalogi sub hac forma interdicitur falsum testimonium, cum dicitur Exod. XX, non loquaris contra proximum tuum falsum testimonium, non enim contra aliquem facit qui eum ab iniuria facienda impedit, sed solum qui ei suam iustitiam tollit. Tertio modo, ex ipsa falsitate, secundum quod omne mendacium est peccatum. Et ex hoc non habet falsum testimonium quod semper sit peccatum mortale.

 

[42054] IIª-IIae q. 70 a. 4 co.
RISPONDO: La falsa testimonianza implica una triplice deformità. Primo, per lo spergiuro: poiché non si ammettono testimoni senza giuramento. E da questo lato la falsa testimonianza è sempre peccato mortale. - Secondo, per la violazione della giustizia. E anche sotto quest'aspetto essa è peccato mortale nel suo genere, come qualsiasi ingiustizia. Ecco perché nell'ottavo precetto del decalogo vien proibita la falsa testimonianza in questi termini: "Non dire falsa testimonianza contro il tuo prossimo"; infatti non agisce contro una persona chi le impedisce di commettere un'ingiuria, ma solo chi le toglie un giusto diritto. - Terzo, per la falsità in se stessa, in quanto ogni bugia è peccato. E da questo lato la falsa testimonianza non sempre è peccato mortale.

[42055] IIª-IIae q. 70 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod in testimonio ferendo non debet homo pro certo asserere, quasi sciens, id de quo certus non est, sed dubium debet sub dubio proferre, et id de quo certus est pro certo asserere. Sed quia contingit ex labilitate humanae memoriae quod reputat se homo quandoque certum esse de eo quod falsum est, si aliquis, cum debita sollicitudine recogitans, existimet se certum esse de eo quod falsum est, non peccat mortaliter hoc asserens, quia non dicit falsum testimonium per se et ex intentione, sed per accidens, contra id quod intendit.

 

[42055] IIª-IIae q. 70 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nel rendere testimonianza uno non deve asserire per certo, come uno che sa, ciò di cui non è certo: ma deve dichiarare come dubbio ciò che è dubbio, e come certo ciò di cui è sicuro. Ma siccome capita, per la debolezza della memoria umana, che uno ritenga di esser certo di cose false; se uno, dopo averci ripensato con la dovuta sollecitudine, ritiene di esser sicuro di ciò che invece è falso, allora non pecca mortalmente nell'affermarlo: poiché non asserisce formalmente e intenzionalmente una falsa testimonianza, ma solo accidentalmente e contro la sua intenzione.

[42056] IIª-IIae q. 70 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod iniustum iudicium iudicium non est. Et ideo ex vi iudicii falsum testimonium in iniusto iudicio prolatum ad iniustitiam impediendam, non habet rationem peccati mortalis, sed solum ex iuramento violato.

 

[42056] IIª-IIae q. 70 a. 4 ad 2
2. Un giudizio ingiusto non è un giudizio. Ecco perché la falsa testimonianza proferita per impedire l'ingiustizia in un giudizio ingiusto non ha di suo natura di peccato mortale; ma l'ha soltanto per la violazione del giuramento.

[42057] IIª-IIae q. 70 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod homines maxime abhorrent peccata quae sunt contra Deum, quasi gravissima, inter quae est periurium. Non autem ita abhorrent peccata quae sunt contra proximum. Et ideo ad maiorem certitudinem testimonii, requiritur testis iuramentum.

 

[42057] IIª-IIae q. 70 a. 4 ad 3
3. Gli uomini aborriscono soprattutto i peccati contro Dio, essendo i più gravi: e tra questi c'è lo spergiuro. Invece non aborriscono ugualmente i peccati contro il prossimo. Ecco perché per una maggiore certezza della testimonianza viene richiesto il giuramento dei testimoni.

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