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Se l'accusato, senza peccato mortale, possa negare la verità che gli meriterebbe la condanna
Secunda pars secundae partis
Quaestio 69
Articulus 1
[41993] IIª-IIae q. 69 a. 1 arg. 1 Ad primum sic proceditur. Videtur quod absque peccato mortali possit accusatus veritatem negare per quam condemnaretur. Dicit enim Chrysostomus, non tibi dico ut te prodas in publicum, neque apud alium accuses. Sed si veritatem confiteretur in iudicio accusatus, seipsum proderet et accusaret. Non ergo tenetur veritatem dicere. Et ita non peccat mortaliter si in iudicio mentiatur.
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Seconda parte della seconda parte
Questione 69
Articolo 1
[41993] IIª-IIae q. 69 a. 1 arg. 1
SEMBRA che l'accusato possa negare la verità che gli meriterebbe la condanna, senza peccato mortale. Infatti:
1. Il Crisostomo insegna: "Non ti dico di esporti al pubblico, né di accusarti presso altri". Ma se l'accusato confessasse la verità in giudizio accuserebbe ed esporrebbe se stesso. Dunque non è tenuto a dire la verità. E quindi non pecca mortalmente, se mente in giudizio.
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[41994] IIª-IIae q. 69 a. 1 arg. 2 Praeterea, sicut mendacium officiosum est quando aliquis mentitur ut alium a morte liberet, ita mendacium officiosum esse videtur quando aliquis mentitur ut se liberet a morte, quia plus sibi tenetur quam alteri. Mendacium autem officiosum non ponitur esse peccatum mortale, sed veniale. Ergo si accusatus veritatem in iudicio neget ut se a morte liberet, non peccat mortaliter.
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[41994] IIª-IIae q. 69 a. 1 arg. 2
2. Come è una bugia ufficiosa mentire per liberare un altro dalla morte, così è una bugia ufficiosa mentire per liberare se stessi: poiché uno è più obbligato verso se stesso che verso altri. Ora, la bugia ufficiosa non si considera peccato mortale, ma veniale. Quindi l'accusato, se nega la verità in giudizio per liberarsi dalla morte, non pecca mortalmente.
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[41995] IIª-IIae q. 69 a. 1 arg. 3 Praeterea, omne peccatum mortale est contra caritatem, ut supra dictum est. Sed quod accusatus mentiatur excusando se a peccato sibi imposito, non contrariatur caritati, neque quantum ad dilectionem Dei neque quantum ad dilectionem proximi. Ergo huiusmodi mendacium non est peccatum mortale.
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[41995] IIª-IIae q. 69 a. 1 arg. 3
3. Tutti i peccati mortali sono, come abbiamo detto, contro la carità. Ma la bugia di un accusato che cerca di scolparsi del delitto a lui attribuito non è né contro la carità di Dio, né contro la carità del prossimo. Perciò codesta bugia non è un peccato mortale.
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[41996] IIª-IIae q. 69 a. 1 s. c. Sed contra, omne quod est contrarium divinae gloriae est peccatum mortale, quia ex praecepto tenemur omnia in gloriam Dei facere, ut patet I ad Cor. X. Sed quod reus id quod contra se est confiteatur, pertinet ad gloriam Dei, ut patet per id quod Iosue dixit ad Achar, fili mi, da gloriam domino Deo Israel, et confitere atque indica mihi quid feceris, ne abscondas, ut habetur Iosue VII. Ergo mentiri ad excusandum peccatum est peccatum mortale.
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[41996] IIª-IIae q. 69 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Quanto è incompatibile con la gloria di Dio è peccato mortale; poiché siamo tenuti strettamente a "far tutto a gloria di Dio", come insegna S. Paolo. Ma la confessione che fa il reo di ciò che è contro di lui rientra nella gloria di Dio; il che è evidente dalle parole dette da Giosuè ad Acam: "Figlio mio, da' gloria al Signore Dio d'Israele, e confessami e mostrami ciò che hai fatto, non nascondermelo". Dunque mentire per scolparsi è peccato mortale.
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[41997] IIª-IIae q. 69 a. 1 co. Respondeo dicendum quod quicumque facit contra debitum iustitiae, mortaliter peccat, sicut supra dictum est. Pertinet autem ad debitum iustitiae quod aliquis obediat suo superiori in his ad quae ius praelationis se extendit. Iudex autem, ut supra dictum est, superior est respectu eius qui iudicatur. Et ideo ex debito tenetur accusatus iudici veritatem exponere quam ab eo secundum formam iuris exigit. Et ideo si confiteri noluerit veritatem quam dicere tenetur, vel si eam mendaciter negaverit, mortaliter peccat. Si vero iudex hoc exquirat quod non potest secundum ordinem iuris, non tenetur ei accusatus respondere, sed potest vel per appellationem vel aliter licite subterfugere, mendacium tamen dicere non licet.
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[41997] IIª-IIae q. 69 a. 1 co.
RISPONDO: Chiunque agisce contro un dovere di giustizia pecca mortalmente, come sopra abbiamo dimostrato. Ora, è un dovere di giustizia ubbidire al proprio superiore nelle cose alle quali si estende il suo diritto di superiore. Ma il giudice è un superiore nei riguardi di chi viene giudicato, stando alle cose già dette. Perciò l'accusato è tenuto strettamente a esporre la verità che il giudice esige da lui a norma di diritto. E quindi se uno non vuol confessare la verità che è tenuto a dire, o se la nega con la menzogna, pecca mortalmente. Se però il giudice chiedesse cose non esigibili a norma di diritto, l'accusato non sarebbe tenuto a rispondergli, ma potrebbe lecitamente sfuggire la domanda, o con l'appello, o in altre maniere: tuttavia non potrebbe dire una bugia.
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[41998] IIª-IIae q. 69 a. 1 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod quando aliquis secundum ordinem iuris a iudice interrogatur, non ipse se prodit, sed ab alio proditur, dum ei necessitas respondendi imponitur per eum cui obedire tenetur.
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[41998] IIª-IIae q. 69 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quando uno è interrogato dal giudice a norma del diritto, non espone e non tradisce se stesso, ma viene smascherato da un altro, venendogli imposta la necessità di rispondere da uno, al quale è tenuto a ubbidire.
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[41999] IIª-IIae q. 69 a. 1 ad 2 Ad secundum dicendum quod mentiri ad liberandum aliquem a morte cum iniuria alterius, non est mendacium simpliciter officiosum, sed habet aliquid de pernicioso admixtum. Cum autem aliquis mentitur in iudicio ad excusationem sui, iniuriam facit ei cui obedire tenetur, dum sibi denegat quod ei debet, scilicet confessionem veritatis.
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[41999] IIª-IIae q. 69 a. 1 ad 2
2. Mentire per liberare una persona dalla morte, facendo un torto ad altri, non è una semplice bugia ufficiosa, ma implica una bugia dannosa. Ora, quando in giudizio uno mente per scusare se stesso, fa un torto a colui cui è tenuto a ubbidire; poiché gli nega ciò che gli è dovuto, cioè la confessione della verità.
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[42000] IIª-IIae q. 69 a. 1 ad 3 Ad tertium dicendum quod ille qui mentitur in iudicio se excusando, facit et contra dilectionem Dei, cuius est iudicium; et contra dilectionem proximi, tum ex parte iudicis, cui debitum negat; tum ex parte accusatoris, qui punitur si in probatione deficiat. Unde et in Psalm. dicitur, ne declines cor meum in verba malitiae, ad excusandas excusationes in peccatis, ubi dicit Glossa, haec est consuetudo impudentium, ut deprehensi per aliqua falsa se excusent. Et Gregorius, XXII Moral., exponens illud Iob XXXI, si abscondi quasi homo peccatum meum, dicit, usitatum humani generis vitium est et latendo peccatum committere, et commissum negando abscondere, et convictum defendendo multiplicare.
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[42000] IIª-IIae q. 69 a. 1 ad 3
3. Chi mente in giudizio per scagionare se stesso agisce, sia contro l'amore di Dio, cui spetta il giudizio, sia contro l'amore del prossimo: e cioè, verso il giudice, al quale nega quanto gli deve; e verso l'accusatore, il quale viene punito se non riesce a provare l'accusa. Ecco perché nei Salmi si legge: "Non inclinare il mio cuore a parole malvagie, a scolparmi nella discolpa dei peccati". E la Glossa commenta: "Questo è il modo di fare degli impudenti i quali scoperti si scolpano con le bugie". E S. Gregorio, commentando quel passo di Giobbe: "Se nascosi, come fa l'uomo, la mia mancanza", afferma: "È un vizio inveterato dell'uomo, commettere i peccati di nascosto, e una volta commessi nasconderli col negarli, e una volta smascherati moltiplicarli col discolparsi".
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