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Se l'accusatore incapace di provare le accuse sia tenuto alla pena del taglione
Secunda pars secundae partis
Quaestio 68
Articulus 4
[41984] IIª-IIae q. 68 a. 4 arg. 1 Ad quartum sic proceditur. Videtur quod accusator qui in probatione defecerit non teneatur ad poenam talionis. Contingit enim quandoque aliquem ex iusto errore ad accusationem procedere, in quo casu iudex accusatorem absolvit, ut dicitur II, qu. III. Non ergo accusator qui in probatione defecerit tenetur ad poenam talionis.
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Seconda parte della seconda parte
Questione 68
Articolo 4
[41984] IIª-IIae q. 68 a. 4 arg. 1
SEMBRA che l'accusatore incapace di provare le accuse non sia tenuto alla pena del taglione. Infatti:
1. Talora si passa ad accusare per un errore giustificato: nel qual caso il giudice deve assolvere l'accusato, come è scritto nei Canoni. Perciò chi non è in grado di provare le accuse non è tenuto alla pena del taglione.
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[41985] IIª-IIae q. 68 a. 4 arg. 2 Praeterea, si poena talionis ei qui iniuste accusat sit iniungenda, hoc erit propter iniuriam in aliquem commissam. Sed non propter iniuriam commissam in personam accusati, quia sic princeps non posset hanc poenam remittere. Nec etiam propter iniuriam illatam in rempublicam, quia sic accusatus non posset eum absolvere. Ergo poena talionis non debetur ei qui in accusatione defecerit.
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[41985] IIª-IIae q. 68 a. 4 arg. 2
2. Se a chi accusa ingiustamente si dovesse applicare la pena del taglione, ciò si dovrebbe all'ingiuria commessa contro qualcuno. Ma costui non potrebbe essere l'accusato: poiché in tal caso l'autorità suprema non potrebbe mai condonare la pena. E neppure potrebbe essere la società: poiché in questo caso uno non potrebbe essere perdonato dall'accusato. Dunque chi non riesce a provare le accuse non merita la pena del taglione.
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[41986] IIª-IIae q. 68 a. 4 arg. 3 Praeterea, eidem peccato non debetur duplex poena, secundum illud Nahum I, non iudicabit Deus bis in idipsum. Sed ille qui in probatione deficit incurrit poenam infamiae, quam etiam Papa non videtur posse remittere, secundum illud Gelasii Papae, quanquam animas per poenitentiam salvare possimus, infamiam tamen abolere non possumus. Non ergo tenetur ad poenam talionis.
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[41986] IIª-IIae q. 68 a. 4 arg. 3
3. Per il medesimo peccato non vanno inflitti due distinti castighi; poiché sta scritto: "Dio non giudicherà due volte la stessa cosa". Ora, chi soccombe nel provare le accuse incorre la pena dell'infamia; pena che il Papa stesso non può condonare, stando a quelle parole del Papa Gelasio: "Pur avendo noi la facoltà di salvare le anime con la penitenza, tuttavia non possiamo cancellare l'infamia". Quindi costui non è tenuto alla pena del taglione.
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[41987] IIª-IIae q. 68 a. 4 s. c. Sed contra est quod Hadrianus Papa dicit, qui non probaverit quod obiecit, poenam quam intulerit ipse patiatur.
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[41987] IIª-IIae q. 68 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Il Papa Adriano I ha stabilito: "Chi non prova quanto denunzia, subisca la pena che la sua accusa avrebbe dovuto arrecare".
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[41988] IIª-IIae q. 68 a. 4 co. Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, accusator in causa accusationis constituitur pars intendens ad poenam accusati. Ad iudicem autem pertinet ut inter eos iustitiae aequalitatem constituat. Iustitiae autem aequalitas hoc requirit, ut nocumentum quod quis alteri intentat, ipse patiatur, secundum illud Exod. XXI, oculum pro oculo, dentem pro dente. Et ideo iustum est ut ille qui per accusationem aliquem in periculum gravis poenae inducit, ipse etiam similem poenam patiatur.
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[41988] IIª-IIae q. 68 a. 4 co.
RISPONDO: Come abbiamo già detto, l'accusatore in un procedimento penale si costituisce parte che mira alla punizione dell'accusato. Ora, spetta al giudice determinare tra loro la giusta misura della giustizia. Ebbene, la giustizia esige che uno subisca il danno, che egli aveva intenzione d'infliggere al prossimo, secondo le parole dell'Esodo: "Occhio per occhio, e dente per dente". È giusto quindi che uno il quale con l'accusa ha posto altri nel pericolo di una pena grave, subisca egli stesso una pena consimile.
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[41989] IIª-IIae q. 68 a. 4 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod, sicut philosophus dicit, in V Ethic., in iustitia non semper competit contrapassum simpliciter, quia multum differt an aliquis voluntarie an involuntarie alium laedat. Voluntarium autem meretur poenam, sed involuntario debetur venia. Et ideo quando iudex cognoverit aliquem de falso accusasse non voluntate nocendi, sed involuntarie propter ignorantiam ex iusto errore, non imponit poenam talionis.
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[41989] IIª-IIae q. 68 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come dice il Filosofo, nella giustizia non sempre si può applicare materialmente il contrappasso: poiché c'è grande differenza tra il danneggiare il prossimo volontariamente e il farlo involontariamente. Poiché la volontarietà merita il castigo, e l'involontarietà il perdono. Perciò quando il giudice riconosce che uno ha accusato falsamente, senza l'intenzione di fare del male, ma involontariamente per ignoranza, cioè per un errore giustificabile, non impone la pena del taglione.
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[41990] IIª-IIae q. 68 a. 4 ad 2 Ad secundum dicendum quod ille qui male accusat peccat et contra personam accusati, et contra rempublicam. Unde propter utrumque punitur. Et hoc est quod dicitur Deut. XIX, cumque, diligentissime perscrutantes, invenerint falsum testem dixisse contra fratrem suum mendacium, reddent ei sicut fratri suo facere cogitavit, quod pertinet ad iniuriam personae, et postea, quantum ad iniuriam reipublicae, subditur, et auferes malum de medio tui, ut audientes ceteri timorem habeant, et nequaquam talia audeant facere. Specialiter tamen personae accusati facit iniuriam si de falso accuset, et ideo accusatus, si innocens fuerit, potest ei iniuriam suam remittere; maxime si non calumniose accusaverit, sed ex animi levitate. Si vero ab accusatione innocentis desistat propter aliquam collusionem cum adversario, facit iniuriam reipublicae, et hoc non potest ei remitti ab eo qui accusatur, sed potest ei remitti per principem, qui curam reipublicae gerit.
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[41990] IIª-IIae q. 68 a. 4 ad 2
2. Chi accusa ingiustamente pecca, sia contro l'accusato, sia contro la società. Perciò va punito per l'uno e per l'altra. Ecco perché nel Deuteronomio si legge: "Se questi, fatta diligentissima investigazione, troveranno che il falso testimone ha asserito menzogna contro un suo fratello, renderanno a lui quel ch'egli voleva fare al suo fratello". Questo per quanto riguarda l'ingiuria personale. Quindi per quanto riguarda l'ingiuria fatta alla società si aggiunge: "Estirperai di mezzo a te un tal male; acciò udendolo gli altri abbian timore, e mai più ardiscano fare tali cose". Tuttavia l'ingiuria è fatta principalmente ai danni dell'accusato con la falsa testimonianza: ecco perché costui, se è innocente, può perdonare l'ingiuria; specialmente se l'accusatore non ha agito col proposito di calunniare, ma per leggerezza. Se invece uno desistesse dall'accusa per collusione con l'avversario, farebbe ingiuria alla società: e questo non può esser condonato dall'accusato, ma solo dall'autorità suprema, cui è affidata la collettività.
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[41991] IIª-IIae q. 68 a. 4 ad 3 Ad tertium dicendum quod poenam talionis meretur accusator in recompensationem nocumenti quod proximo inferre intentat, sed poena infamiae ei debetur propter malitiam ex qua calumniose alium accusat. Et quandoque quidem princeps remittit poenam, et non abolet infamiam, quandoque autem etiam infamiam abolet. Unde et Papa potest huiusmodi infamiam abolere, et quod dicit Papa Gelasius, infamiam abolere non possumus, intelligendum est vel de infamia facti, vel quia eam abolere aliquando non expedit. Vel etiam loquitur de infamia irrogata per iudicem civilem, sicut dicit Gratianus.
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[41991] IIª-IIae q. 68 a. 4 ad 3
3. L'ingiusto accusatore merita la pena del taglione in espiazione del male tentato ai danni del prossimo: invece la pena dell'infamia gli è dovuta per la malizia che lo mosse a calunniarlo. Ora, l'autorità suprema in certi casi condona la pena, ma non cancella l'infamia: in altri cancella anche l'infamia. Perciò anche il Papa può cancellare codesta infamia; e l'espressione del Papa Gelasio: "Non possiamo cancellare l'infamia", o va riferita all'infamia intrinseca al fatto, o vuol dire che in certi casi non è bene cancellarla. Oppure, come dice Graziano, quel testo parla dell'infamia decretata da un giudice civile.
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