Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > L'ingiustizia > Se uno possa subire volontariamente un'ingiustizia
Secunda pars secundae partis
Quaestio 59
Articulus 3
[41538] IIª-IIae q. 59 a. 3 arg. 1 Ad tertium sic proceditur. Videtur quod aliquis possit pati iniustum volens. Iniustum enim est inaequale, ut dictum est. Sed aliquis laedendo seipsum recedit ab aequalitate, sicut et laedendo alium. Ergo aliquis potest sibi ipsi facere iniustum, sicut et alteri. Sed quicumque facit iniustum volens facit. Ergo aliquis volens potest pati iniustum, maxime a seipso.
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Seconda parte della seconda parte
Questione 59
Articolo 3
[41538] IIª-IIae q. 59 a. 3 arg. 1
SEMBRA che uno possa subire volontariamente un'ingiustizia. Infatti:
1. Un'ingiustizia è, come abbiamo detto, qualche cosa di sproporzionato. Ma nel danneggiare se stesso uno non rispetta le proporzioni, così come quando danneggia gli altri. Quindi uno può fare ingiuria a se stesso come ad altri. Ora, chiunque fa un'ingiuria la fa volontariamente. Perciò uno può subire volontariamente un'ingiustizia, specialmente da se medesimo.
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[41539] IIª-IIae q. 59 a. 3 arg. 2 Praeterea, nullus secundum legem civilem punitur nisi propter hoc quod facit aliquam iniustitiam. Sed illi qui interimunt seipsos puniuntur secundum leges civitatum, in hoc quod privabantur antiquitus honore sepulturae; ut patet per philosophum, in V Ethic. Ergo aliquis potest sibi ipsi facere iniustum. Et ita contingit quod aliquis iniustum patiatur volens.
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[41539] IIª-IIae q. 59 a. 3 arg. 2
2. Uno non è punito dalla legge civile, se non perché commette un'ingiustizia. Ora, la legge civile punisce i suicidi, privandoli già in antico della sepoltura, come sappiamo dal Filosofo. Dunque uno può commettere un'ingiustizia contro se stesso. E quindi in tal caso uno volontariamente viene a subire un'ingiustizia.
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[41540] IIª-IIae q. 59 a. 3 arg. 3 Praeterea, nullus facit iniustum nisi alicui patienti iniustum. Sed contingit quod aliquis faciat iniustum alicui hoc volenti, puta si vendat ei rem carius quam valeat. Ergo contingit aliquem volentem iniustum pati.
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[41540] IIª-IIae q. 59 a. 3 arg. 3
3. Nessuno fa un'ingiustizia, senza che qualcuno la subisca. Ora, capita che uno compia un'ingiustizia ai danni di qualcuno che l'accetta volontariamente: nel caso, p. es., che gli venda una cosa per più di quanto costa. Perciò può capitare che uno subisca volontariamente un'ingiustizia.
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[41541] IIª-IIae q. 59 a. 3 s. c. Sed contra est quod iniustum pati oppositum est ei quod est iniustum facere. Sed nullus facit iniustum nisi volens. Ergo, per oppositum, nullus patitur iniustum nisi nolens.
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[41541] IIª-IIae q. 59 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Subire un'ingiustizia è il contrario dell'azione di commetterla. Ora, nessuno può commettere un'ingiustizia, senza volerlo. Dunque, per la ragione degli opposti, nessuno può subirla volontariamente.
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[41542] IIª-IIae q. 59 a. 3 co. Respondeo dicendum quod actio, de sui ratione, procedit ab agente; passio autem, secundum propriam rationem, est ab alio, unde non potest esse idem, secundum idem, agens et patiens, ut dicitur in III et VIII Physic. Principium autem proprium agendi in hominibus est voluntas. Et ideo illud proprie et per se homo facit quod volens facit, et e contrario illud proprie homo patitur quod praeter voluntatem suam patitur; quia inquantum est volens, principium est ex ipso, et ideo, inquantum est huiusmodi, magis est agens quam patiens. Dicendum est ergo quod iniustum, per se et formaliter loquendo, nullus potest facere nisi volens, nec pati nisi nolens. Per accidens autem et quasi materialiter loquendo, potest aliquis id quod est de se iniustum vel facere nolens, sicut cum quis praeter intentionem operatur; vel pati volens, sicut cum quis plus alteri dat sua voluntate quam debeat.
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[41542] IIª-IIae q. 59 a. 3 co.
RISPONDO: L'azione per sua natura procede dall'agente; mentre la passione per sua natura deriva da altri: ecco perché, come insegna Aristotele, una stessa cosa non può essere sotto il medesimo oggetto agente e paziente. Ora, il vero principio agente nell'uomo è la volontà. Perciò l'uomo compie propriamente e direttamente ciò che compie volontariamente: al contrario egli propriamente patisce, o subisce, ciò che è costretto a subire contro la sua volontà; poiché in quanto uno vuole, il principio dell'atto emana da lui, e quindi sotto codesto aspetto è più agente che paziente.
Perciò si deve concludere che nessuno può compiere un'ingiustizia senza volerla, e nessuno può subirla se non contro la propria volontà. Tuttavia per accidens e materialmente parlando uno può compiere involontariamente un'azione che di suo è ingiusta, come quando uno la compie senza averne l'intenzione; oppure può subirla volontariamente, come quando uno vuol dare di proposito a un altro più di quanto gli deve.
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[41543] IIª-IIae q. 59 a. 3 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod cum aliquis sua voluntate dat alicui id quod ei non debet, non facit nec iniustitiam nec inaequalitatem. Homo enim per suam voluntatem possidet res, et ita non est praeter proportionem si aliquid ei subtrahatur secundum propriam voluntatem, vel a seipso vel ab alio.
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[41543] IIª-IIae q. 59 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quando uno dà ad altri ciò che ad essi non è dovuto, non compie un'ingiuria e una sproporzione. Infatti l'uomo possiede le cose con la sua volontà: e quindi non si esce dai limiti di una giusta proporzione, quando un altro o lui stesso gli toglie qualche cosa conforme alla sua volontà.
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[41544] IIª-IIae q. 59 a. 3 ad 2 Ad secundum dicendum quod aliqua persona singularis dupliciter potest considerari. Uno modo, secundum se. Et sic, si sibi aliquod nocumentum inferat, potest quidem habere rationem alterius peccati, puta intemperantiae vel imprudentiae, non tamen rationem iniustitiae, quia sicut iustitia semper est ad alterum, ita et iniustitia. Alio modo potest considerari aliquis homo inquantum est aliquid civitatis, scilicet pars; vel inquantum est aliquid Dei, scilicet creatura et imago. Et sic qui occidit seipsum iniuriam quidem facit non sibi, sed civitati et Deo. Et ideo punitur tam secundum legem divinam quam secundum legem humanam, sicut et de fornicatore apostolus dicit, si quis templum Dei violaverit, disperdet ipsum Deus.
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[41544] IIª-IIae q. 59 a. 3 ad 2
2. Un individuo può essere considerato sotto due punti di vista. Primo, per se stesso. E in questo caso, il danno eventuale che uno si fa può avere l'aspetto di peccato, però di altro genere, p. es., d'intemperanza o d'imprudenza, ma non d'ingiustizia: poiché come la giustizia, anche l'ingiustizia dice sempre ordine ad altri. - Secondo, un uomo può essere considerato come cittadino di uno stato, e cioè come parte; oppure in quanto appartiene a Dio, quale creatura e immagine di lui. E sotto quest'aspetto chi uccide se stesso fa un torto non a se stesso, ma alla società e a Dio. Ecco perché egli viene punito sia dalla legge divina che da quella umana; conforme alle parole dette dall'Apostolo a proposito della fornicazione: "Se uno manda in rovina il tempio di Dio, Dio manderà in rovina lui".
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[41545] IIª-IIae q. 59 a. 3 ad 3 Ad tertium dicendum quod passio est effectus actionis exterioris. In hoc autem quod est facere et pati iniustum, id quod materialiter est attenditur secundum id quod exterius agitur, prout in se consideratur, ut dictum est, id autem quod est ibi formale et per se, attenditur secundum voluntatem agentis et patientis, ut ex dictis patet. Dicendum est ergo quod aliquem facere iniustum, et alium pati iniustum, materialiter loquendo, semper se concomitantur. Sed si formaliter loquamur, potest aliquis facere iniustum, intendens iniustum facere, tamen alius non patietur iniustum, quia volens patietur. Et e converso potest aliquis pati iniustum, si nolens id quod est iniustum patiatur, et tamen ille qui hoc facit ignorans, non faciet iniustum formaliter, sed materialiter tantum.
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[41545] IIª-IIae q. 59 a. 3 ad 3
3. Patire, o subire è l'effetto di un'azione esterna. Ora, nel compiere e nel subire un'ingiustizia la parte materiale si riduce, come abbiamo detto, all'atto esterno considerato in se stesso: mentre l'aspetto formale ed essenziale si rileva dalla volontà dell'agente e del paziente, stando alle spiegazioni date. Si deve perciò concludere che il compimento di un'ingiustizia da parte di uno, e il "patimento" di essa da parte di un altro materialmente coincidono sempre. Invece se parliamo formalmente, può darsi che uno compia intenzionalmente un'ingiustizia: e che tuttavia l'altro non la subisca come ingiustizia, perché la subisce volontariamente. E viceversa, uno può subire un'ingiustizia, soffrendo contro voglia una cosa ingiusta; e tuttavia chi la compie nell'ignoranza non compie formalmente un'ingiustizia, ma la compie solo materialmente.
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