II-II, 57

Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Il diritto


Secunda pars secundae partis
Quaestio 57
Prooemium

[41383] IIª-IIae q. 57 pr.
Consequenter post prudentiam considerandum est de iustitia. Circa quam quadruplex consideratio occurrit, prima est de iustitia; secunda, de partibus eius; tertia, de dono ad hoc pertinente; quarta, de praeceptis ad iustitiam pertinentibus. Circa iustitiam vero consideranda sunt quatuor, primo quidem, de iure; secundo, de ipsa iustitia; tertio, de iniustitia; quarto, de iudicio. Circa primum quaeruntur quatuor.
Primo, utrum ius sit obiectum iustitiae.
Secundo, utrum ius convenienter dividatur in ius naturale et positivum.
Tertio, utrum ius gentium sit ius naturale.
Quarto, utrum ius dominativum et paternum debeat specialiter distingui.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 57
Proemio

[41383] IIª-IIae q. 57 pr.
Veniamo ora a trattare della giustizia. Intorno alla quale dovremo interessarci di quattro cose: primo, della giustizia; secondo, delle sue parti; terzo, del dono corrispondente; quarto, dei precetti che la riguardano.
A proposito della giustizia dobbiamo considerare quattro argomenti: primo, il diritto; secondo, la giustizia in se stessa; terzo, l'ingiustizia; quarto, il giudizio.
Sul primo di essi si pongono quattro quesiti:

1. Se il diritto sia oggetto della giustizia;
2. Se sia ben diviso in naturale e positivo;
3. Se il diritto delle genti s'identifichi col diritto naturale;
4. Se si debbano distinguere specificatamente dagli altri il diritto padronale e quello paterno.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Il diritto > Se il diritto sia l'oggetto della giustizia


Secunda pars secundae partis
Quaestio 57
Articulus 1

[41384] IIª-IIae q. 57 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod ius non sit obiectum iustitiae. Dicit enim celsus iurisconsultus quod ius est ars boni et aequi. Ars autem non est obiectum iustitiae, sed est per se virtus intellectualis. Ergo ius non est obiectum iustitiae.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 57
Articolo 1

[41384] IIª-IIae q. 57 a. 1 arg. 1
SEMBRA che il diritto non sia l'oggetto della giustizia. Infatti:
1. Il giureconsulto Celso afferma che "il diritto è l'arte del bene e del giusto". Ora, l'arte non è oggetto della giustizia, ma di suo è una virtù intellettuale. Dunque il diritto non è oggetto della giustizia.

[41385] IIª-IIae q. 57 a. 1 arg. 2
Praeterea, lex, sicut Isidorus dicit, in libro Etymol., iuris est species. Lex autem non est obiectum iustitiae, sed magis prudentiae, unde et philosophus legispositivam partem prudentiae ponit. Ergo ius non est obiectum iustitiae.

 

[41385] IIª-IIae q. 57 a. 1 arg. 2
2. Come dice S. Isidoro, "la legge è una specie di diritto". Ora, la legge non è oggetto della giustizia, ma piuttosto della prudenza: cosicché il Filosofo tra le parti di questa mette anche la prudenza "legislativa". Dunque il diritto non è oggetto della giustizia.

[41386] IIª-IIae q. 57 a. 1 arg. 3
Praeterea, iustitia principaliter subiicit hominem Deo, dicit enim Augustinus, libro de moribus Eccles., quod iustitia est amor Deo tantum serviens, et ob hoc bene imperans ceteris, quae homini subiecta sunt. Sed ius non pertinet ad divina, sed solum ad humana, dicit enim Isidorus, in libro Etymol., quod fas lex divina est, ius autem lex humana. Ergo ius non est obiectum iustitiae.

 

[41386] IIª-IIae q. 57 a. 1 arg. 3
3. La giustizia tende principalmente a sottomettere l'uomo a Dio; infatti S. Agostino ha scritto: "La giustizia è un amore che sottostà a Dio soltanto, e che per questo comanda a tutte le altre cose sottomesse all'uomo". Ma il diritto non si riferisce alle cose divine, bensì soltanto alle umane: infatti S. Isidoro nel suo libro delle Etimologie afferma, che "il fas costituisce la legge divina, il ius, o diritto, la legge umana". Perciò il diritto non è oggetto della giustizia.

[41387] IIª-IIae q. 57 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Isidorus dicit, in eodem, quod ius dictum est quia est iustum. Sed iustum est obiectum iustitiae, dicit enim philosophus, in V Ethic., quod omnes talem habitum volunt dicere iustitiam a quo operativi iustorum sunt. Ergo ius est obiectum iustitiae.

 

[41387] IIª-IIae q. 57 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: S. Isidoro nel medesimo libro insegna, che "il diritto, o ius, deve il suo nome al fatto che è il giusto". Ora, il giusto è oggetto della giustizia: poiché, a detta del Filosofo, "tutti convengono nel dire che la giustizia è quell'abito da cui derivano le azioni giuste". Dunque il diritto è oggetto della giustizia.

[41388] IIª-IIae q. 57 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod iustitiae proprium est inter alias virtutes ut ordinet hominem in his quae sunt ad alterum. Importat enim aequalitatem quandam, ut ipsum nomen demonstrat, dicuntur enim vulgariter ea quae adaequantur iustari. Aequalitas autem ad alterum est. Aliae autem virtutes perficiunt hominem solum in his quae ei conveniunt secundum seipsum. Sic igitur illud quod est rectum in operibus aliarum virtutum, ad quod tendit intentio virtutis quasi in proprium obiectum, non accipitur nisi per comparationem ad agentem. Rectum vero quod est in opere iustitiae, etiam praeter comparationem ad agentem, constituitur per comparationem ad alium, illud enim in opere nostro dicitur esse iustum quod respondet secundum aliquam aequalitatem alteri, puta recompensatio mercedis debitae pro servitio impenso. Sic igitur iustum dicitur aliquid, quasi habens rectitudinem iustitiae, ad quod terminatur actio iustitiae, etiam non considerato qualiter ab agente fiat. Sed in aliis virtutibus non determinatur aliquid rectum nisi secundum quod aliqualiter fit ab agente. Et propter hoc specialiter iustitiae prae aliis virtutibus determinatur secundum se obiectum, quod vocatur iustum. Et hoc quidem est ius. Unde manifestum est quod ius est obiectum iustitiae.

 

[41388] IIª-IIae q. 57 a. 1 co.
RISPONDO: È compito proprio della giustizia, tra tutte le altre virtù, di ordinare l'uomo nei rapporti verso gli altri. Essa infatti implica l'idea di uguaglianza, come il nome stesso sta a indicare: infatti delle cose che si adeguano volgarmente si dice che sono ben aggiustate. Ora, l'uguaglianza dice rapporto con altri. Invece le altre virtù perfezionano l'uomo soltanto nelle sue qualità individuali che riguardano lui stesso.
Perciò la rettitudine che si riscontra negli atti delle altre virtù, e che forma l'oggetto verso cui esse tendono, si desume soltanto in rapporto al soggetto operante. Invece la rettitudine che si riscontra nell'atto di giustizia si definisce in rapporto ad altri, anche prescindendo dal rapporto col soggetto: infatti nel nostro agire va denominato giusto ciò che corrisponde ad altri secondo una certa uguaglianza, p. es., il pagamento della debita mercede per un servizio.
Perciò una cosa è giusta, ed ha la rettitudine della giustizia, che costituisce il termine dell'atto giusto, anche prescindendo dal modo di agire del soggetto. Invece nelle altre virtù una cosa non è retta, se non in rapporto al modo di agire del soggetto. Ecco perché a differenza delle altre virtù l'oggetto della giustizia viene determinato in modo speciale, ed è chiamato il giusto. Ed è questo precisamente il diritto. Perciò è evidente che il diritto è l'oggetto della giustizia.

[41389] IIª-IIae q. 57 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod consuetum est quod nomina a sui prima impositione detorqueantur ad alia significanda, sicut nomen medicinae impositum est primo ad significandum remedium quod praestatur infirmo ad sanandum, deinde tractum est ad significandum artem qua hoc fit. Ita etiam hoc nomen ius primo impositum est ad significandum ipsam rem iustam; postmodum autem derivatum est ad artem qua cognoscitur quid sit iustum; et ulterius ad significandum locum in quo ius redditur, sicut dicitur aliquis comparere in iure; et ulterius dicitur etiam ius quod redditur ab eo ad cuius officium pertinet iustitiam facere, licet etiam id quod decernit sit iniquum.

 

[41389] IIª-IIae q. 57 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Capita ordinariamente che dal loro uso primitivo le parole siano volte a significare altre cose: il termine medicina, p. es., originariamente stava a indicare il rimedio che si dà agli infermi per guarire, e quindi venne a significare l'arte con la quale ciò si procura. Così anche il termine diritto da prima stava a indicare la cosa giusta in se stessa; ma in seguito fu dato all'arte con la quale il giusto si conosce; e finalmente fu usato per indicare il luogo in cui si rende giustizia, come quando si usa per uno che si presenta in tribunale; e finalmente si denomina diritto la sentenza data dal giudice che ha l'ufficio di rendere giustizia, anche se quanto egli decide è un'iniquità.

[41390] IIª-IIae q. 57 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod sicut eorum quae per artem exterius fiunt quaedam ratio in mente artificis praeexistit, quae dicitur regula artis; ita etiam illius operis iusti quod ratio determinat quaedam ratio praeexistit in mente, quasi quaedam prudentiae regula. Et hoc si in scriptum redigatur, vocatur lex, est enim lex, secundum Isidorum, constitutio scripta. Et ideo lex non est ipsum ius, proprie loquendo, sed aliqualis ratio iuris.

 

[41390] IIª-IIae q. 57 a. 1 ad 2
2. Come esiste nella mente dell'artefice una regola dell'arte per i manufatti che l'arte produce; così per l'azione giusta che vien determinata dalla ragione preesiste nella mente una norma che è una specie di regola della prudenza. E se questa è scritta, vien chiamata legge: infatti, a dire di S. Isidoro, la legge è una "istituzione scritta". Perciò la legge non è, propriamente parlando, il diritto medesimo, ma la norma remota del diritto.

[41391] IIª-IIae q. 57 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod quia iustitia aequalitatem importat, Deo autem non possumus aequivalens recompensare, inde est quod iustum, secundum perfectam rationem, non possumus reddere Deo. Et propter hoc non dicitur proprie ius lex divina, sed fas, quia videlicet sufficit Deo ut impleamus quod possumus. Iustitia tamen ad hoc tendit ut homo, quantum potest, Deo recompenset, totaliter animam ei subiiciens.

 

[41391] IIª-IIae q. 57 a. 1 ad 3
3. Per il fatto che la giustizia implica uguaglianza, mentre noi siamo nell'impossibilità di ricompensare Dio adeguatamente, non possiamo noi rendere a Dio il giusto nel suo pieno significato. Ecco perché la legge divina non è chiamata ius, o diritto, ma fas: poiché Dio si contenta che noi si soddisfi per quanto possiamo. Tuttavia la giustizia tende a far sì che l'uomo, per quanto può, dia un compenso a Dio, sottomettendo totalmente a lui la propria anima.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Il diritto > Se sia giusto dividere il diritto in naturale e positivo


Secunda pars secundae partis
Quaestio 57
Articulus 2

[41392] IIª-IIae q. 57 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod ius non convenienter dividatur in ius naturale et ius positivum. Illud enim quod est naturale est immutabile, et idem apud omnes. Non autem invenitur in rebus humanis aliquid tale, quia omnes regulae iuris humani in aliquibus casibus deficiunt, nec habent suam virtutem ubique. Ergo non est aliquod ius naturale.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 57
Articolo 2

[41392] IIª-IIae q. 57 a. 2 arg. 1
SEMBRA che non sia giusto dividere il diritto in naturale e positivo. Infatti:
1. Ciò che è naturale è immutabile e identico per tutti. Ora, nelle cose umane non si trova niente di tal genere; poiché tutte le norme del diritto umano in certi casi sono caduche, e non conservano in tutti i luoghi la loro virtù. Dunque non esiste un diritto naturale.

[41393] IIª-IIae q. 57 a. 2 arg. 2
Praeterea, illud dicitur esse positivum quod ex voluntate humana procedit. Sed non ideo aliquid est iustum quia a voluntate humana procedit, alioquin voluntas hominis iniusta esse non posset. Ergo, cum iustum sit idem quod ius, videtur quod nullum sit ius positivum.

 

[41393] IIª-IIae q. 57 a. 2 arg. 2
2. Si denomina positivo ciò che deriva dalla volontà umana. Ma nessuna cosa può esser giusta perché procede dalla volontà umana: altrimenti questa volontà non potrebbe mai essere ingiusta. Perciò siccome il giusto s'identifica col diritto, o ius, è chiaro che nessun diritto è positivo.

[41394] IIª-IIae q. 57 a. 2 arg. 3
Praeterea, ius divinum non est ius naturale, cum excedat naturam humanam. Similiter etiam non est ius positivum, quia non innititur auctoritati humanae, sed auctoritati divinae. Ergo inconvenienter dividitur ius per naturale et positivum.

 

[41394] IIª-IIae q. 57 a. 2 arg. 3
3. Il diritto divino non è un diritto naturale, essendo esso superiore alla natura umana. E d'altra parte non è positivo: poiché non poggia sull'autorità umana, ma sull'autorità divina. Quindi non è giusto dividere il diritto in naturale e positivo.

[41395] IIª-IIae q. 57 a. 2 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, in V Ethic., quod politici iusti hoc quidem naturale est, hoc autem legale, idest lege positum.

 

[41395] IIª-IIae q. 57 a. 2 s. c.
IN CONTRARlO: Il Filosofo scrive, che "del giusto politico, o civile, parte è di origine naturale, parte è di origine legale", cioè posto dalla legge.

[41396] IIª-IIae q. 57 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, ius, sive iustum, est aliquod opus adaequatum alteri secundum aliquem aequalitatis modum. Dupliciter autem potest alicui homini aliquid esse adaequatum. Uno quidem modo, ex ipsa natura rei, puta cum aliquis tantum dat ut tantundem recipiat. Et hoc vocatur ius naturale. Alio modo aliquid est adaequatum vel commensuratum alteri ex condicto, sive ex communi placito, quando scilicet aliquis reputat se contentum si tantum accipiat. Quod quidem potest fieri dupliciter. Uno modo, per aliquod privatum condictum, sicut quod firmatur aliquo pacto inter privatas personas. Alio modo, ex condicto publico, puta cum totus populus consentit quod aliquid habeatur quasi adaequatum et commensuratum alteri; vel cum hoc ordinat princeps, qui curam populi habet et eius personam gerit. Et hoc dicitur ius positivum.

 

[41396] IIª-IIae q. 57 a. 2 co.
RISPONDO: Come abbiamo già notato, il diritto o il giusto consiste in un atto adeguato rispetto ad altri secondo una certa uguaglianza. Ora, una cosa può essere adeguata a un uomo in due maniere. Primo, in forza della natura di essa: quando uno, p. es., presta una data cosa nell'attesa di riaverla senza variazioni. E questo diritto si chiama naturale. - Secondo, una cosa può essere adeguata e commisurata a un altro in forza di un accordo, o di una norma comune: e cioè quando uno si considera soddisfatto di ricevere quel tanto. E questo può avvenire in due modi. Primo, mediante un accordo privato: come le cose stabilite con un contratto tra persone private. - Secondo, mediante un accordo pubblico: come quando tutto un popolo ritiene che una data cosa sia da considerarsi adeguata e commisurata per una persona; oppure quando ciò è ordinato dal principe, cui spetta la cura del popolo, e che ne fa le veci. E questo si chiama diritto positivo.

[41397] IIª-IIae q. 57 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod illud quod est naturale habenti naturam immutabilem, oportet quod sit semper et ubique tale. Natura autem hominis est mutabilis. Et ideo id quod naturale est homini potest aliquando deficere. Sicut naturalem aequalitatem habet ut deponenti depositum reddatur, et si ita esset quod natura humana semper esset recta, hoc esset semper servandum. Sed quia quandoque contingit quod voluntas hominis depravatur, est aliquis casus in quo depositum non est reddendum, ne homo perversam voluntatem habens male eo utatur, ut puta si furiosus vel hostis reipublicae arma deposita reposcat.

 

[41397] IIª-IIae q. 57 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ciò che è naturale per chi ha una natura immutabile necessariamente è tale sempre e dovunque. Ma la natura dell'uomo è mutevole. Ecco perché quanto per l'uomo è naturale, in certi casi decade. È in forza di una uguaglianza naturale, p. es., che una cosa depositata sia restituita al proprietario: e se la natura umana fosse sempre retta, ciò dovrebbe essere osservato in tutti i casi. Siccome però talora la volontà dell'uomo si deprava, capita il caso in cui non si deve rendere il deposito, affinché chi ha la volontà perversa non se ne serva malamente: come nel caso in cui richieda le armi depositate un pazzo o un nemico della patria.

[41398] IIª-IIae q. 57 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod voluntas humana ex communi condicto potest aliquid facere iustum in his quae secundum se non habent aliquam repugnantiam ad naturalem iustitiam. Et in his habet locum ius positivum. Unde philosophus dicit, in V Ethic., quod legale iustum est quod ex principio quidem nihil differt sic vel aliter, quando autem ponitur, differt. Sed si aliquid de se repugnantiam habeat ad ius naturale, non potest voluntate humana fieri iustum, puta si statuatur quod liceat furari vel adulterium committere. Unde dicitur Isaiae X, vae qui condunt leges iniquas.

 

[41398] IIª-IIae q. 57 a. 2 ad 2
2. La volontà umana per un accordo collettivo può determinare il giusto in cose che di suo non sono in contrasto con la giustizia naturale. E in queste si attua il diritto positivo. Il Filosofo infatti fa notare, che costituisce il giusto legale "ciò che in principio è indifferente ad essere in un modo o in un altro: ma una volta stabilito, è differente". Se invece una cosa di suo è in contrasto col diritto naturale, non può diventare giusta per volontà umana: come se venisse stabilito che è lecito rubare, o commettere adulterio. Perciò in Isaia si legge: "Guai a coloro che fanno delle leggi inique".

[41399] IIª-IIae q. 57 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod ius divinum dicitur quod divinitus promulgatur. Et hoc quidem partim est de his quae sunt naturaliter iusta, sed tamen eorum iustitia homines latet, partim autem est de his quae fiunt iusta institutione divina. Unde etiam ius divinum per haec duo distingui potest, sicut et ius humanum. Sunt enim in lege divina quaedam praecepta quia bona, et prohibita quia mala, quaedam vero bona quia praecepta, et mala quia prohibita.

 

[41399] IIª-IIae q. 57 a. 2 ad 3
3. È divino quel diritto che è stato promulgato da Dio. E questo in parte ha per oggetto cose che son giuste per natura, la cui giustizia però è ignorata dagli uomini; e in parte ha per oggetto cose che diventano giuste in forza della legge divina. Perciò anche il diritto divino si distingue in naturale e positivo come quello umano. Infatti nella legge divina ci son cose che sono comandate perché buone, e proibite perché cattive: ma ce n'è altre che son buone perché comandate, e cattive perché proibite.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Il diritto > Se il diritto delle genti si identifichi col diritto naturale


Secunda pars secundae partis
Quaestio 57
Articulus 3

[41400] IIª-IIae q. 57 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod ius gentium sit idem cum iure naturali. Non enim omnes homines conveniunt nisi in eo quod est eis naturale. Sed in iure gentium omnes homines conveniunt, dicit enim iurisconsultus quod ius gentium est quo gentes humanae utuntur. Ergo ius gentium est ius naturale.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 57
Articolo 3

[41400] IIª-IIae q. 57 a. 3 arg. 1
SEMBRA che il diritto delle genti s'identifichi col diritto naturale. Infatti: 1. Tutti gli uomini non concordano tra loro se non in ciò che in essi è naturale. Ora, tutti gli uomini concordano nel diritto naturale: infatti il Giureconsulto afferma, che "il diritto delle genti è quello di cui si servono le nazioni umane". Dunque il diritto delle genti non è che il diritto naturale.

[41401] IIª-IIae q. 57 a. 3 arg. 2
Praeterea, servitus inter homines est naturalis, quidam enim sunt naturaliter servi, ut philosophus probat, in I Polit. Sed servitutes pertinent ad ius gentium, ut Isidorus dicit. Ergo ius gentium est ius naturale.

 

[41401] IIª-IIae q. 57 a. 3 arg. 2
2. La schiavitù è naturale tra gli uomini: poiché alcuni, come il Filosofo dimostra, sono schiavi per natura. Ma a detta di S. Isidoro la schiavitù appartiene al diritto delle genti. Perciò il diritto delle genti non è che il diritto naturale.

[41402] IIª-IIae q. 57 a. 3 arg. 3
Praeterea, ius, ut dictum est, dividitur per ius naturale et positivum. Sed ius gentium non est ius positivum, non enim omnes gentes unquam convenerunt ut ex communi condicto aliquid statuerent. Ergo ius gentium est ius naturale.

 

[41402] IIª-IIae q. 57 a. 3 arg. 3
3. Il diritto, come abbiamo dimostrato, si divide in naturale e positivo. Ma il diritto delle genti non è positivo: perché le genti non si sono mai radunate tutte insieme per stabilire qualche cosa per comune consenso. Dunque il diritto delle genti è un diritto naturale.

[41403] IIª-IIae q. 57 a. 3 s. c.
Sed contra est quod Isidorus dicit, quod ius aut naturale est, aut civile, aut gentium. Et ita ius gentium distinguitur a iure naturali.

 

[41403] IIª-IIae q. 57 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: S. Isidoro afferma, che "il diritto è o naturale, o civile, o delle genti". Perciò il diritto delle genti si distingue dal diritto naturale.

[41404] IIª-IIae q. 57 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, ius sive iustum naturale est quod ex sui natura est adaequatum vel commensuratum alteri. Hoc autem potest contingere dupliciter. Uno modo, secundum absolutam sui considerationem, sicut masculus ex sui ratione habet commensurationem ad feminam ut ex ea generet, et parens ad filium ut eum nutriat. Alio modo aliquid est naturaliter alteri commensuratum non secundum absolutam sui rationem, sed secundum aliquid quod ex ipso consequitur, puta proprietas possessionum. Si enim consideretur iste ager absolute, non habet unde magis sit huius quam illius, sed si consideretur quantum ad opportunitatem colendi et ad pacificum usum agri, secundum hoc habet quandam commensurationem ad hoc quod sit unius et non alterius, ut patet per philosophum, in II Polit. Absolute autem apprehendere aliquid non solum convenit homini, sed etiam aliis animalibus. Et ideo ius quod dicitur naturale secundum primum modum, commune est nobis et aliis animalibus. A iure autem naturali sic dicto recedit ius gentium, ut iurisconsultus dicit, quia illud omnibus animalibus, hoc solum hominibus inter se commune est. Considerare autem aliquid comparando ad id quod ex ipso sequitur, est proprium rationis. Et ideo hoc quidem est naturale homini secundum rationem naturalem, quae hoc dictat. Et ideo dicit Gaius iurisconsultus, quod naturalis ratio inter omnes homines constituit, id apud omnes gentes custoditur, vocaturque ius gentium.

 

[41404] IIª-IIae q. 57 a. 3 co.
RISPONDO: Come abbiamo già notato, diritto naturale è quanto per sua natura è adeguato o proporzionato ad un altro. Ora, questa adeguazione può risultare in due modi. Primo, in forza di una considerazione immediata: il maschio, p. es., è proporzionato per se stesso alla femmina in ordine alla generazione, e i genitori sono in stretto rapporto con i figli in ordine alla nutrizione. - Secondo, una cosa può essere proporzionata naturalmente ad un'altra, non per una considerazione immediata della sua natura, ma per qualche conseguenza che ne deriva: ed è il caso, p. es., della proprietà privata. Se infatti si considera direttamente per se stesso un dato terreno, non si vede perché debba appartenere più a uno che a un altro: ma se si tien conto delle esigenze della coltivazione, e del pacifico uso di esso, allora si vede, stando alla dimostrazione del Filosofo, che esso è fatto per essere posseduto da una persona determinata.
Ora, percepire immediatamente le cose non appartiene soltanto all'uomo, ma anche agli altri animali. Ecco perché il diritto, che si dice naturale in base al primo dei due modi indicati, è comune a noi e agli altri animali. "Dal diritto naturale" così inteso, come si esprime il Giureconsulto, "si distingue il diritto delle genti: perché il primo è comune a tutti gli animali, mentre il secondo lo è soltanto per gli uomini". Ora, è proprio della ragione considerare una cosa in rapporto a quanto da essa deriva. Perciò questo per l'uomo è pur sempre naturale in forza della ragione naturale che lo suggerisce. Ecco perché il Giureconsulto Gaio scriveva: "Quanto la ragione naturale ha stabilito tra tutti gli uomini, viene osservato presso tutte le genti, ed è chiamato diritto delle genti".

[41405] IIª-IIae q. 57 a. 3 ad 1
Et per hoc patet responsio ad primum.

 

[41405] IIª-IIae q. 57 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. È così risolta anche la prima difficoltà.

[41406] IIª-IIae q. 57 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod hunc hominem esse servum, absolute considerando, magis quam alium, non habet rationem naturalem, sed solum secundum aliquam utilitatem consequentem, inquantum utile est huic quod regatur a sapientiori, et illi quod ab hoc iuvetur, ut dicitur in I Polit. Et ideo servitus pertinens ad ius gentium est naturalis secundo modo, sed non primo.

 

[41406] IIª-IIae q. 57 a. 3 ad 2
2. Considerando le cose per se stesse, non esiste una ragione naturale perché un dato uomo dev'essere schiavo piuttosto che un altro: ma ciò deriva solo da un vantaggio conseguente, cioè dal fatto che è utile per costui esser governato da un uomo più saggio, e per quest'ultimo è vantaggioso. Perciò la schiavitù, che appartiene al diritto delle genti, è naturale nel secondo modo, non già nel primo.

[41407] IIª-IIae q. 57 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod quia ea quae sunt iuris gentium naturalis ratio dictat, puta ex propinquo habentia aequitatem; inde est quod non indigent aliqua speciali institutione, sed ipsa naturalis ratio ea instituit, ut dictum est in auctoritate inducta.

 

[41407] IIª-IIae q. 57 a. 3 ad 3
3. Per il fatto che la ragione naturale detta le cose che appartengono al diritto delle genti, trattandosi di cose la cui equità è quasi immediata, non c'è bisogno di una codificazione speciale, ma è bastata la ragione naturale a determinarle, come abbiamo visto affermato nel passo riferito.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Il diritto > Se si debbano distinguere specificatamente il diritto paterno e il diritto padronale


Secunda pars secundae partis
Quaestio 57
Articulus 4

[41408] IIª-IIae q. 57 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod non debeat specialiter distingui ius paternum et dominativum. Ad iustitiam enim pertinet reddere unicuique quod suum est; ut dicit Ambrosius, in I de officiis. Sed ius est obiectum iustitiae, sicut dictum est. Ergo ius ad unumquemque aequaliter pertinet. Et sic non debet distingui specialiter ius patris et domini.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 57
Articolo 4

[41408] IIª-IIae q. 57 a. 4 arg. 1
SEMBRA che il diritto paterno e il diritto padronale non si debbano specificatamente distinguere. Infatti:
1. La giustizia ha il compito di "rendere a ciascuno il suo", come dice S. Ambrogio. Ora, il diritto è l'oggetto della giustizia, come sopra abbiamo spiegato. Dunque il diritto appartiene a ciascuno ugualmente. Perciò non si deve distinguere in modo speciale il diritto del padre e del padrone.

[41409] IIª-IIae q. 57 a. 4 arg. 2
Praeterea, ratio iusti est lex, ut dictum est. Sed lex respicit commune bonum civitatis et regni, ut supra habitum est, non autem respicit bonum privatum unius personae, aut etiam unius familiae. Non ergo debet esse aliquod speciale ius vel iustum dominativum vel paternum, cum dominus et pater pertineant ad domum, ut dicitur in I Polit.

 

[41409] IIª-IIae q. 57 a. 4 arg. 2
2. Come sopra abbiamo detto, norma del giusto, o del diritto è la legge. Ma la legge ha di mira il bene comune di una città o di un regno, secondo le spiegazioni date in precedenza, e non il bene privato di una persona, o di una famiglia. Quindi non deve esserci uno speciale diritto padronale o paterno: dal momento che padrone e padre si riferiscono entrambi a una casa o famiglia, come dice Aristotele.

[41410] IIª-IIae q. 57 a. 4 arg. 3
Praeterea, multae aliae sunt differentiae graduum in hominibus, ut puta quod quidam sunt milites, quidam sacerdotes, quidam principes. Ergo ad eos debet aliquod speciale iustum determinari.

 

[41410] IIª-IIae q. 57 a. 4 arg. 3
3. Tra gli uomini esistono molte altre differenze di grado: alcuni, p. es., sono soldati, altri sacerdoti o principi. Perciò anche per costoro si deve determinare uno speciale diritto.

[41411] IIª-IIae q. 57 a. 4 s. c.
Sed contra est quod philosophus, in V Ethic., specialiter a iusto politico distinguit dominativum et paternum, et alia huiusmodi.

 

[41411] IIª-IIae q. 57 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo distingue espressamente dal diritto politico il diritto padronale, il diritto paterno, e altri diritti del genere.

[41412] IIª-IIae q. 57 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod ius, sive iustum dicitur per commensurationem ad alterum. Alterum autem potest dici dupliciter. Uno modo, quod simpliciter est alterum, sicut quod est omnino distinctum, sicut apparet in duobus hominibus quorum unus non est sub altero, sed ambo sunt sub uno principe civitatis. Et inter tales, secundum philosophum, in V Ethic., est simpliciter iustum. Alio modo dicitur aliquid alterum non simpliciter, sed quasi aliquid eius existens. Et hoc modo in rebus humanis filius est aliquid patris, quia quodammodo est pars eius, ut dicitur in VIII Ethic.; et servus est aliquid domini, quia est instrumentum eius, ut dicitur in I Polit. Et ideo patris ad filium non est comparatio sicut ad simpliciter alterum, et propter hoc non est ibi simpliciter iustum, sed quoddam iustum, scilicet paternum. Et eadem ratione nec inter dominum et servum, sed est inter eos dominativum iustum. Uxor autem, quamvis sit aliquid viri, quia comparatur ad eam sicut ad proprium corpus, ut patet per apostolum, ad Ephes. V; tamen magis distinguitur a viro quam filius a patre vel servus a domino, assumitur enim in quandam socialem vitam matrimonii. Et ideo, ut philosophus dicit, inter virum et uxorem plus est de ratione iusti quam inter patrem et filium, vel dominum et servum. Quia tamen vir et uxor habent immediatam relationem ad domesticam communitatem, ut patet in I Polit.; ideo inter eos non est etiam simpliciter politicum iustum, sed magis iustum oeconomicum.

 

[41412] IIª-IIae q. 57 a. 4 co.
RISPONDO: Il diritto, ossia il giusto, si desume dalla adeguazione ad altri. Ora, l'alterità può essere di due tipi. Primo, uno può essere altro in modo assoluto, come un individuo del tutto distinto: nel caso, p. es., di due uomini indipendenti l'uno dall'altro, e sottoposti a un unico principe. E tra essi, a detta del Filosofo, esiste il diritto in senso pieno e assoluto. - Secondo, un individuo può avere un'alterità non assoluta, ma essere qualche cosa del soggetto. È così che tra gli uomini il figlio è qualche cosa del padre, perché parte di lui in qualche modo, come nota Aristotele nell'Etica; e lo schiavo è qualche cosa del padrone, perché suo strumento, come nota nella Politica. Perciò tra padre e figlio non c'è un'alterità in senso assoluto: e quindi non c'è un diritto assoluto, ma un certo diritto, cioè il diritto paterno. E lo stesso si dica tra padrone e schiavo: ché tra loro c'è il diritto padronale.
La moglie invece, sebbene sia qualche cosa del marito, perché a detta dell'Apostolo è come il corpo di lui, tuttavia è più distinta dal marito che un figlio dal padre e un servo dal padrone: essa infatti entra a far parte di una certa vita associata nel matrimonio. Perciò, come dice il Filosofo, tra marito e moglie i rapporti di diritto sono più accentuati che tra padre e figlio, o tra padrone e schiavo. Siccome però marito e moglie hanno un rapporto immediato con la comunità domestica, come Aristotele dimostra, tra essi non c'è semplicemente il diritto civile, ma piuttosto un diritto economico o domestico.

[41413] IIª-IIae q. 57 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ad iustitiam pertinet reddere ius suum unicuique, supposita tamen diversitate unius ad alterum, si quis enim sibi det quod sibi debetur, non proprie vocatur hoc iustum. Et quia quod est filii est patris, et quod est servi est domini, ideo non est proprie iustitia patris ad filium, vel domini ad servum.

 

[41413] IIª-IIae q. 57 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. È compito della giustizia rendere a ciascuno il proprio diritto, supposta però la netta distinzione tra due individui: se infatti uno desse a se stesso ciò che gli spetta, non si potrebbe chiamare propriamente un atto di giustizia. E poiché ciò che appartiene al figlio è del padre, e ciò che appartiene allo schiavo è del padrone, non c'è una vera giustizia del padre verso il figlio, o del padrone verso lo schiavo.

[41414] IIª-IIae q. 57 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod filius, inquantum filius, est aliquid patris; et similiter servus, inquantum servus, est aliquid domini. Uterque tamen prout consideratur ut quidam homo, est aliquid secundum se subsistens ab aliis distinctum. Et ideo inquantum uterque est homo, aliquo modo ad eos est iustitia. Et propter hoc etiam aliquae leges dantur de his quae sunt patris ad filium, vel domini ad servum. Sed inquantum uterque est aliquid alterius, secundum hoc deficit ibi perfecta ratio iusti vel iuris.

 

[41414] IIª-IIae q. 57 a. 4 ad 2
2. Il figlio in quanto figlio è qualche cosa del padre; e così pure lo schiavo in quanto schiavo è del padrone. Tuttavia l'uno e l'altro in quanto uomini sono realtà sussistenti distinte dalle altre. Perciò in quanto i figli e gli schiavi sono uomini, verso di essi c'è un rapporto di giustizia. Per questo ci sono delle leggi riguardanti i doveri del padre verso i figli, e del padrone verso gli schiavi. Ma in quanto questi sono qualche cosa di un altro viene a mancare la perfetta nozione di giustizia e di diritto.

[41415] IIª-IIae q. 57 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod omnes aliae diversitates personarum quae sunt in civitate, habent immediatam relationem ad communitatem civitatis et ad principem ipsius. Et ideo ad eos est iustum secundum perfectam rationem iustitiae. Distinguitur tamen istud iustum secundum diversa officia. Unde et dicitur ius militare vel ius magistratuum aut sacerdotum, non propter defectum a simpliciter iusto, sicut dicitur ius paternum et dominativum, sed propter hoc quod unicuique conditioni personae secundum proprium officium aliquid proprium debetur.

 

[41415] IIª-IIae q. 57 a. 4 ad 3
3. Tutte le altre differenze esistenti tra le persone che formano una città hanno un rapporto immediato con la collettività politica, e col principe che la governa. Perciò in rapporto a codeste persone esiste il diritto secondo la perfetta nozione della giustizia. Tuttavia tale diritto si distingue secondo le diverse mansioni. Ecco perché si parla di un diritto dei militari, dei magistrati, o dei sacerdoti, non per una menomazione del diritto in senso assoluto, come si fa per il diritto paterno e padronale, ma per indicare che a ciascuna condizione di persone, secondo le proprie mansioni, è dovuto qualche cosa di particolare.

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