II-II, 28

Seconda parte > Le azioni umane > La carità > La gioia


Secunda pars secundae partis
Quaestio 28
Prooemium

[40155] IIª-IIae q. 28 pr.
Deinde considerandum est de effectibus consequentibus actum caritatis principalem, qui est dilectio. Et primo, de effectibus interioribus; secundo, de exterioribus. Circa primum tria consideranda sunt, primo, de gaudio; secundo, de pace; tertio, de misericordia. Circa primum quaeruntur quatuor.
Primo, utrum gaudium sit effectus caritatis.
Secundo, utrum huiusmodi gaudium compatiatur secum tristitiam.
Tertio, utrum istud gaudium possit esse plenum.
Quarto, utrum sit virtus.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 28
Proemio

[40155] IIª-IIae q. 28 pr.
Passiamo a considerare gli effetti che accompagnano l'atto principale della carità, che è l'amore. In primo luogo gli effetti interiori; in secondo luogo quelli esteriori.
Sul primo tema dobbiamo considerare tre argomenti: primo, la gioia; secondo, la pace; terzo, la misericordia.
Sul primo argomento si pongono quattro quesiti:

1. Se la gioia sia effetto della carità;
2. Se questa gioia sia compatibile con la tristezza;
3. Se questa gioia sia piena;
4. Se sia una virtù.




Seconda parte > Le azioni umane > La carità > La gioia > Se la gioia sia in noi un effetto della carità


Secunda pars secundae partis
Quaestio 28
Articulus 1

[40156] IIª-IIae q. 28 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod gaudium non sit effectus caritatis in nobis. Ex absentia enim rei amatae magis sequitur tristitia quam gaudium. Sed Deus, quem per caritatem diligimus, est nobis absens, quandiu in hac vita vivimus, quandiu enim sumus in corpore, peregrinamur a domino, ut dicitur II ad Cor. V. Ergo caritas in nobis magis causat tristitiam quam gaudium.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 28
Articolo 1

[40156] IIª-IIae q. 28 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la gioia non sia in noi un effetto della carità. Infatti:
1. Dall'assenza dell'oggetto amato segue più la tristezza che la gioia. Ebbene, finché siamo in questa vita, Dio, che è oggetto della nostra carità, è assente, secondo le parole di S. Paolo: "Finché alberghiamo nel corpo peregriniamo lontani dal Signore". Dunque in noi la carità produce più tristezza che gioia.

[40157] IIª-IIae q. 28 a. 1 arg. 2
Praeterea, per caritatem maxime meremur beatitudinem. Sed inter ea per quae beatitudinem meremur ponitur luctus, qui ad tristitiam pertinet, secundum illud Matth. V, beati qui lugent, quoniam consolabuntur. Ergo magis est effectus caritatis tristitia quam gaudium.

 

[40157] IIª-IIae q. 28 a. 1 arg. 2
2. La carità è la causa principale con cui meritiamo la beatitudine. Ora, tra le cose con cui meritiamo la beatitudine troviamo il pianto, che accompagna la tristezza: "Beati quelli che piangono, perché saranno consolati". Dunque è più effetto della carità la tristezza che la gioia.

[40158] IIª-IIae q. 28 a. 1 arg. 3
Praeterea, caritas est virtus distincta a spe, ut ex supradictis patet. Sed gaudium causatur ex spe, secundum illud Rom. XII, spe gaudentes. Non ergo causatur ex caritate.

 

[40158] IIª-IIae q. 28 a. 1 arg. 3
3. La carità, come abbiamo visto, è una virtù distinta dalla speranza. Ma la gioia è causata dalla speranza secondo l'espressione paolina: "Lieti nella speranza". Perciò essa non è causata dalla carità.

[40159] IIª-IIae q. 28 a. 1 s. c.
Sed contra est quia, sicut dicitur Rom. V, caritas Dei diffusa est in cordibus nostris per spiritum sanctum, qui datus est nobis. Sed gaudium in nobis causatur ex spiritu sancto, secundum illud Rom. XIV, non est regnum Dei esca et potus, sed iustitia et pax et gaudium in spiritu sancto. Ergo caritas est causa gaudii.

 

[40159] IIª-IIae q. 28 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Come dice S. Paolo, "la carità di Dio si è riversata nei nostri cuori per lo Spirito Santo che ci fu dato". Ma la gioia è causata in noi dallo Spirito Santo: "Il regno di Dio non è cibo né bevanda, ma giustizia e pace e gioia nello Spirito Santo". Dunque la carità è causa della gioia.

[40160] IIª-IIae q. 28 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, cum de passionibus ageretur, ex amore procedit et gaudium et tristitia, sed contrario modo. Gaudium enim ex amore causatur vel propter praesentiam boni amati; vel etiam propter hoc quod ipsi bono amato proprium bonum inest et conservatur. Et hoc secundum maxime pertinet ad amorem benevolentiae, per quem aliquis gaudet de amico prospere se habente, etiam si sit absens. E contrario autem ex amore sequitur tristitia vel propter absentiam amati; vel propter hoc quod cui volumus bonum suo bono privatur, aut aliquo malo deprimitur. Caritas autem est amor Dei, cuius bonum immutabile est, quia ipse est sua bonitas. Et ex hoc ipso quod amatur est in amante per nobilissimum sui effectum, secundum illud I Ioan. IV, qui manet in caritate, in Deo manet et Deus in eo. Et ideo spirituale gaudium, quod de Deo habetur, ex caritate causatur.

 

[40160] IIª-IIae q. 28 a. 1 co.
RISPONDO: Come abbiamo visto nel trattato delle passioni, dall'amore nascono sia la gioia che il dolore, o tristezza, ma in maniera diversa. Infatti dall'amore viene causata la gioia, o per la presenza del bene amato; o per il fatto che il bene amato possiede e difende il proprio bene. E specialmente quest'ultima cosa appartiene all'amore di benevolenza, che ci fa godere della prosperità dell'amico, anche se assente. - Al contrario dall'amore segue la tristezza, o per l'assenza di ciò che si ama, o perché la persona, di cui vogliamo il bene, viene privata dei suoi beni, o è oppressa da un male.
Ora, la carità è l'amore di Dio, il cui bene è immutabile, essendo egli la stessa bontà. E per il fatto che è amato, Dio si trova in chi l'ama col più nobile dei suoi effetti, secondo le parole di S. Giovanni: "Chi sta nella carità sta in Dio, e Dio in lui". Dunque la gioia spirituale, che ha Dio per oggetto, è causata dalla carità.

[40161] IIª-IIae q. 28 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod quandiu sumus in corpore dicimur peregrinari a domino, in comparatione ad illam praesentiam qua quibusdam est praesens per speciei visionem, unde et apostolus subdit ibidem, per fidem enim ambulamus, et non per speciem. Est autem praesens etiam se amantibus etiam in hac vita per gratiae inhabitationem.

 

[40161] IIª-IIae q. 28 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si dice che peregriniamo lontani dal Signore mentre siamo nel corpo, in rapporto alla presenza con la quale Dio si mostra ad alcuni nella visione immediata. Infatti l'Apostolo aggiunge: "Giacché per fede noi camminiamo e non per visione". Ma egli è presente a coloro che lo amano anche in questa vita mediante l'inabitazione della grazia.

[40162] IIª-IIae q. 28 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod luctus qui beatitudinem meretur est de his quae sunt beatitudini contraria. Unde eiusdem rationis est quod talis luctus ex caritate causetur, et gaudium spirituale de Deo, quia eiusdem rationis est gaudere de aliquo bono et tristari de his quae ei repugnant.

 

[40162] IIª-IIae q. 28 a. 1 ad 2
2. Il pianto che merita la beatitudine ha per oggetto le cose contrastanti con essa. E quindi si deve a uno stesso motivo che dalla carità nasca codesto pianto e insieme la gioia spirituale di Dio: perché godere di un dato bene e rattristarsi dei mali contrari procedono da uno stesso motivo.

[40163] IIª-IIae q. 28 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod de Deo potest esse spirituale gaudium dupliciter, uno modo, secundum quod gaudemus de bono divino in se considerato; alio modo, secundum quod gaudemus de bono divino prout a nobis participatur. Primum autem gaudium melius est, et hoc procedit principaliter ex caritate. Sed secundum gaudium procedit etiam ex spe, per quam expectamus divini boni fruitionem. Quamvis etiam ipsa fruitio, vel perfecta vel imperfecta, secundum mensuram caritatis obtineatur.

 

[40163] IIª-IIae q. 28 a. 1 ad 3
3. Di Dio si può godere spiritualmente in due modi: primo, in quanto godiamo del bene divino considerato in se stesso; secondo, in quanto esso viene partecipato a noi. Il primo tipo di gioia è più perfetto; e questo deriva principalmente dalla carità. Il secondo invece deriva dalla speranza, con la quale aspettiamo la fruizione del bene divino. - Tuttavia la stessa fruizione, sia perfetta che imperfetta, viene conseguita in base alla grandezza della carità.




Seconda parte > Le azioni umane > La carità > La gioia > Se la gioia spirituale causata dalla carità sia compatibile con la tristezza


Secunda pars secundae partis
Quaestio 28
Articulus 2

[40164] IIª-IIae q. 28 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod gaudium spirituale quod ex caritate causatur recipiat admixtionem tristitiae. Congaudere enim bonis proximi ad caritatem pertinet, secundum illud I ad Cor. XIII, caritas non gaudet super iniquitate, congaudet autem veritati. Sed hoc gaudium recipit permixtionem tristitiae, secundum illud Rom. XII, gaudere cum gaudentibus, flere cum flentibus. Ergo gaudium spirituale caritatis admixtionem tristitiae patitur.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 28
Articolo 2

[40164] IIª-IIae q. 28 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la gioia spirituale causata dalla carità sia compatibile con la tristezza. Infatti:
1. Appartiene alla carità godere per il bene del prossimo, come dice S. Paolo: "Non gode dell'ingiustizia, ma gode della verità". Ma in questa gioia si mescola la tristezza, secondo l'altra espressione paolina: "Rallegrarsi con chi gode, e piangere con chi piange". Perciò la gioia spirituale della carità è compatibile con la tristezza.

[40165] IIª-IIae q. 28 a. 2 arg. 2
Praeterea, poenitentia, sicut dicit Gregorius, est anteacta mala flere, et flenda iterum non committere. Sed vera poenitentia non est sine caritate. Ergo gaudium caritatis habet tristitiae admixtionem.

 

[40165] IIª-IIae q. 28 a. 2 arg. 2
2. Come insegna S. Gregorio, è penitenza "piangere il male commesso, e non commetter più cose degne di pianto". Ma la vera penitenza non può esistere senza la carità. Dunque la gioia della carità è compatibile con la tristezza.

[40166] IIª-IIae q. 28 a. 2 arg. 3
Praeterea, ex caritate contingit quod aliquis desiderat esse cum Christo, secundum illud Philipp. I, desiderium habens dissolvi et esse cum Christo. Sed ex isto desiderio sequitur in homine quaedam tristitia, secundum illud Psalm., heu mihi, quia incolatus meus prolongatus est. Ergo gaudium caritatis recipit admixtionem tristitiae.

 

[40166] IIª-IIae q. 28 a. 2 arg. 3
3. Viene dalla carità che uno desideri di essere con Cristo, secondo l'espressione paolina: "Avendo il desiderio di andarmene e di essere con Cristo". Ma da questo desiderio deriva nell'uomo una certa tristezza, secondo le parole del salmista: "Ohimè, che la mia peregrinazione si prolunga". Perciò la gioia della carità ammette una mescolanza di tristezza.

[40167] IIª-IIae q. 28 a. 2 s. c.
Sed contra est quod gaudium caritatis est gaudium de divina sapientia. Sed huiusmodi gaudium non habet permixtionem tristitiae, secundum illud Sap. VIII, non habet amaritudinem conversatio illius. Ergo gaudium caritatis non patitur permixtionem tristitiae.

 

[40167] IIª-IIae q. 28 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: la gioia della carità è la gioia della sapienza divina. Ora, questa gioia non ammette tristezza: "Non ha amarezza la sua conversazione". Dunque la gioia della carità è incompatibile con la tristezza.

[40168] IIª-IIae q. 28 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod ex caritate causatur duplex gaudium de Deo, sicut supra dictum est. Unum quidem principale, quod est proprium caritatis, quo scilicet gaudemus de bono divino secundum se considerato. Et tale gaudium caritatis permixtionem tristitiae non patitur, sicut nec illud bonum de quo gaudetur potest aliquam mali admixtionem habere. Et ideo apostolus dicit, ad Philipp. IV, gaudete in domino semper. Aliud autem est gaudium caritatis quo gaudet quis de bono divino secundum quod participatur a nobis. Haec autem participatio potest impediri per aliquod contrarium. Et ideo ex hac parte gaudium caritatis potest habere permixtionem tristitiae, prout scilicet aliquis tristatur de eo quod repugnat participationi divini boni vel in nobis vel in proximis, quos tanquam nosipsos diligimus.

 

[40168] IIª-IIae q. 28 a. 2 co.
RISPONDO: Come sopra abbiamo notato, dalla carità nascono due tipi di gioia. Una gioia principale, propria della carità, con cui godiamo del bene divino considerato in se stesso. E questa gioia non ammette nessuna tristezza: come il bene di cui gode non ammette misture di male. Ecco perché l'Apostolo ammonisce: "Godete sempre nel Signore".
C'è però un'altra gioia della carità, con la quale uno gode del bene divino in quanto partecipato da noi. Ebbene, questa partecipazione può essere ostacolata da qualche cosa di contrario. E quindi da questo lato la gioia della carità può ammettere motivi di tristezza: per il fatto che uno si rattrista di ciò che impedisce la partecipazione del bene divino, o in noi, o nel prossimo che amiamo come noi stessi.

[40169] IIª-IIae q. 28 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod fletus proximi non est nisi de aliquo malo. Omne autem malum importat defectum participationis summi boni. Et ideo intantum caritas facit condolere proximo inquantum participatio divini boni in eo impeditur.

 

[40169] IIª-IIae q. 28 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il pianto del prossimo non è motivato che da un male. E ogni male implica una mancanza di partecipazione del sommo bene. Perciò la carità in tanto fa prendere parte al dolore del prossimo, in quanto in esso s'impedisce la partecipazione del bene divino.

[40170] IIª-IIae q. 28 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod peccata dividunt inter nos et Deum, ut dicitur Isaiae LIX. Et ideo haec est ratio dolendi de peccatis praeteritis nostris, vel etiam aliorum, inquantum per ea impedimur a participatione divini boni.

 

[40170] IIª-IIae q. 28 a. 2 ad 2
2. Come dice Isaia, "i peccati mettono la divisione tra noi e Dio". Perciò la ragione di piangere i peccati commessi da noi o da altri, è il fatto che essi c'impediscono di partecipare il bene divino.

[40171] IIª-IIae q. 28 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod, quamvis in incolatu huius miseriae aliquo modo participemus divinum bonum per cognitionem et amorem, tamen huius vitae miseria impedit a perfecta participatione divini boni, qualis erit in patria. Et ideo haec etiam tristitia qua quis luget de dilatione gloriae pertinet ad impedimentum participationis divini boni.

 

[40171] IIª-IIae q. 28 a. 2 ad 3
3. Sebbene nella misera dimora di questa vita in qualche modo si partecipi il bene divino con la conoscenza e con l'amore, tuttavia la miseria della vita presente ce ne impedisce la perfetta partecipazione che si avrà nella patria. Ecco quindi che anche il dolore col quale uno soffre la dilazione della gloria si riduce all'impedimento della partecipazione del bene divino.




Seconda parte > Le azioni umane > La carità > La gioia > Se la gioia spirituale causata dalla carità possa in noi essere completa


Secunda pars secundae partis
Quaestio 28
Articulus 3

[40172] IIª-IIae q. 28 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod spirituale gaudium quod ex caritate causatur non possit in nobis impleri. Quanto enim maius gaudium de Deo habemus, tanto gaudium eius in nobis magis impletur. Sed nunquam possumus tantum de Deo gaudere quantum dignum est ut de eo gaudeatur, quia semper bonitas eius, quae est infinita, excedit gaudium creaturae, quod est finitum. Ergo gaudium de Deo nunquam potest impleri.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 28
Articolo 3

[40172] IIª-IIae q. 28 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la gioia spirituale causata dalla carità non possa in noi essere completa. Infatti:
1. Più grande è la gioia che abbiamo di Dio, più si completa la sua gioia in noi. Ma noi non potremo mai godere tanto Dio, quanto è degno che di lui si goda: perché, essendo la sua bontà infinita, trascende la gioia delle creature che è finita. Perciò il godimento di Dio non potrà mai essere completo.

[40173] IIª-IIae q. 28 a. 3 arg. 2
Praeterea, illud quod est impletum non potest esse maius. Sed gaudium etiam beatorum potest esse maius, quia unius gaudium est maius quam alterius. Ergo gaudium de Deo non potest in creatura impleri.

 

[40173] IIª-IIae q. 28 a. 3 arg. 2
2. Una cosa completa non può essere più grande. Invece il godimento stesso dei beati, può sempre essere più grande: perché il godimento dell'uno è più grande di quello dell'altro. Dunque il godimento di Dio non può essere completo nella creatura.

[40174] IIª-IIae q. 28 a. 3 arg. 3
Praeterea, nihil aliud videtur esse comprehensio quam cognitionis plenitudo. Sed sicut vis cognoscitiva creaturae est finita, ita et vis appetitiva eiusdem. Cum ergo Deus non possit ab aliqua creatura comprehendi, videtur quod non possit alicuius creaturae gaudium de Deo impleri.

 

[40174] IIª-IIae q. 28 a. 3 arg. 3
3. La comprensione non è che la pienezza della conoscenza. Ora, come nelle creature è limitata la potenza conoscitiva, così è limitata la potenza appetitiva. Perciò, siccome Dio non può essere compreso da nessuna creatura, così non è possibile che sia completo il godimento di Dio da parte di nessuna creatura.

[40175] IIª-IIae q. 28 a. 3 s. c.
Sed contra est quod dominus discipulis dixit, Ioan. XV, gaudium meum in vobis sit, et gaudium vestrum impleatur.

 

[40175] IIª-IIae q. 28 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Il Signore ha detto ai suoi discepoli: "La mia gioia sia in voi, e la vostra gioia sia completa".

[40176] IIª-IIae q. 28 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod plenitudo gaudii potest intelligi dupliciter. Uno modo, ex parte rei de qua gaudetur, ut scilicet tantum gaudeatur de ea quantum est dignum de ea gauderi. Et sic solum Dei gaudium est plenum de seipso, quia gaudium eius est infinitum, et hoc est condignum infinitae bonitati Dei; cuiuslibet autem creaturae gaudium oportet esse finitum. Alio modo potest intelligi plenitudo gaudii ex parte gaudentis. Gaudium autem comparatur ad desiderium sicut quies ad motum; ut supra dictum est, cum de passionibus ageretur. Est autem quies plena cum nihil restat de motu. Unde tunc est gaudium plenum quando iam nihil desiderandum restat. Quandiu autem in hoc mundo sumus, non quiescit in nobis desiderii motus, quia adhuc restat quod Deo magis appropinquemus per gratiam, ut ex supradictis patet. Sed quando iam ad beatitudinem perfectam perventum fuerit, nihil desiderandum restabit, quia ibi erit plena Dei fruitio, in qua homo obtinebit quidquid etiam circa alia bona desideravit, secundum illud Psalm., qui replet in bonis desiderium tuum. Et ideo quiescet desiderium non solum quo desideramus Deum, sed etiam erit omnium desideriorum quies. Unde gaudium beatorum est perfecte plenum, et etiam superplenum, quia plus obtinebunt quam desiderare suffecerint; non enim in cor hominis ascendit quae praeparavit Deus diligentibus se, ut dicitur I ad Cor. II. Et hinc est quod dicitur Luc. VI, mensuram bonam et supereffluentem dabunt in sinus vestros. Quia tamen nulla creatura est capax gaudii de Deo ei condigni, inde est quod illud gaudium omnino plenum non capitur in homine, sed potius homo intrat in ipsum, secundum illud Matth. XXV, intra in gaudium domini tui.

 

[40176] IIª-IIae q. 28 a. 3 co.
RISPONDO: La pienezza della gioia può intendersi in due maniere. Primo, in rapporto alla cosa di cui si gode: e significa che si gode di essa nella misura in cui merita di essere goduta. E in tal senso Dio soltanto può avere il godimento completo di se stesso: perché la sua gioia è infinita, e quindi è proporzionata all'infinita bontà di Dio; mentre la gioia di qualsiasi creatura è necessariamente finita.
Secondo, la pienezza della gioia si può intendere in rapporto a chi gode. E allora si deve ricordare, come abbiamo detto nel trattato delle passioni, che la gioia sta al desiderio come la quiete raggiunta sta al moto. Ora, la quiete è completa quando il moto è del tutto scomparso. E quindi la gioia è completa, quando non rimane più niente da desiderare. Ora, finché siamo in questo mondo non cessa in noi il moto del desiderio: perché rimane la possibilità di avvicinarsi di più a Dio con la grazia, come sopra abbiamo notato. Ma quando saremo giunti alla perfetta beatitudine, non rimarrà più nulla da desiderare: perché là avremo la piena fruizione di Dio, in cui l'uomo otterrà ogni cosa anche rispetto agli altri beni da lui desiderati, secondo le parole del salmo: "Egli sazia di beni la tua brama". E quindi non cesserà soltanto il nostro desiderio di Dio, ma si avrà la quiete di tutti i desideri. Perciò la gioia dei beati è perfettamente piena, anzi traboccante: perché essi otterranno più di quanto possano desiderare; ché, a detta di S. Paolo, "non ascese al cuor dell'uomo ciò che Dio ha preparato a quelli che lo amano". Così si spiegano le parole evangeliche: "Vi sarà versata in grembo una misura buona e traboccante". E poiché nessuna creatura è grande abbastanza per accogliere la gioia di Dio che le spetta, nell'uomo non può entrare una gioia davvero completa, ma è l'uomo che entra in essa, secondo l'espressione evangelica: "Entra nella gioia del tuo Signore".

[40177] IIª-IIae q. 28 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ratio illa procedit de plenitudine gaudii ex parte rei de qua gaudetur.

 

[40177] IIª-IIae q. 28 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il primo argomento si limita a considerare la pienezza della gioia in rapporto alla cosa di cui si gode.

[40178] IIª-IIae q. 28 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod cum perventum fuerit ad beatitudinem, unusquisque attinget terminum sibi praefixum ex praedestinatione divina, nec restabit ulterius aliquid quo tendatur, quamvis in illa terminatione unus perveniat ad maiorem propinquitatem Dei, alius ad minorem. Et ideo uniuscuiusque gaudium erit plenum ex parte gaudentis, quia uniuscuiusque desiderium plene quietabitur. Erit tamen gaudium unius maius quam alterius, propter pleniorem participationem divinae beatitudinis.

 

[40178] IIª-IIae q. 28 a. 3 ad 2
2. Giunti alla beatitudine, ciascuno avrà toccato il limite stabilito per lui dalla predestinazione divina, e non resterà più nulla a cui tendere: sebbene con codesto limite alcuni arrivino a una maggiore e altri a una minore vicinanza con Dio. E quindi la gioia di ciascuno sarà piena dal lato del soggetto: perché il desiderio di ciascuno sarà perfettamente quietato. Tuttavia la gioia dell'uno sarà maggiore di quella dell'altro, per una più completa partecipazione della divina beatitudine.

[40179] IIª-IIae q. 28 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod comprehensio importat plenitudinem cognitionis ex parte rei cognitae, ut scilicet tantum cognoscatur res quantum cognosci potest. Habet tamen etiam cognitio aliquam plenitudinem ex parte cognoscentis, sicut et de gaudio dictum est. Unde et apostolus dicit, ad Coloss. I, impleamini agnitione voluntatis eius in omni sapientia et intellectu spirituali.

 

[40179] IIª-IIae q. 28 a. 3 ad 3
3. La comprensione implica pienezza della conoscenza in rapporto alla cosa che si conosce: in modo da conoscerla per quanto essa è conoscibile. Tuttavia anche la conoscenza ha una certa pienezza in rapporto al conoscente, come si è detto a proposito della gioia. Infatti l'Apostolo scriveva ai Colossesi: "Siate ripieni della conoscenza del suo volere in tutto il campo della sapienza e intelligenza spirituale".




Seconda parte > Le azioni umane > La carità > La gioia > Se la gioia sia una virtù


Secunda pars secundae partis
Quaestio 28
Articulus 4

[40180] IIª-IIae q. 28 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod gaudium sit virtus. Vitium enim contrariatur virtuti. Sed tristitia ponitur vitium, ut patet de acedia et de invidia. Ergo etiam gaudium debet poni virtus.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 28
Articolo 4

[40180] IIª-IIae q. 28 a. 4 arg. 1
SEMBRA che la gioia sia una virtù. Infatti:
1. Un vizio è sempre il contrario di una virtù. Ma la tristezza è considerata un vizio: com'è evidente (nella definizione) dell'accidia e dell'invidia. Dunque anche la gioia deve considerarsi una virtù.

[40181] IIª-IIae q. 28 a. 4 arg. 2
Praeterea, sicut amor et spes sunt passiones quaedam quarum obiectum est bonum, ita et gaudium. Sed amor et spes ponuntur virtutes. Ergo et gaudium debet poni virtus.

 

[40181] IIª-IIae q. 28 a. 4 arg. 2
2. La gioia è una passione che ha per oggetto il bene, come l'amore e la speranza. Ora, l'amore e la speranza sono anche virtù. Perciò deve essere una virtù anche la gioia.

[40182] IIª-IIae q. 28 a. 4 arg. 3
Praeterea, praecepta legis dantur de actibus virtutum. Sed praecipitur nobis quod de Deo gaudeamus, secundum illud ad Philipp. IV, gaudete in domino semper. Ergo gaudium est virtus.

 

[40182] IIª-IIae q. 28 a. 4 arg. 3
3. I comandamenti della legge hanno per oggetto gli atti delle virtù. Ma a noi vien comandato di godere di Dio: "Godete sempre nel Signore". Dunque la gioia è una virtù.

[40183] IIª-IIae q. 28 a. 4 s. c.
Sed contra est quod neque connumeratur inter virtutes theologicas, neque inter virtutes morales, neque inter virtutes intellectuales, ut ex supradictis patet.

 

[40183] IIª-IIae q. 28 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: La gioia non è enumerata né tra le virtù teologali, né tra quelle morali, né tra le virtù intellettuali, come è evidente da quanto abbiamo detto.

[40184] IIª-IIae q. 28 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod virtus, sicut supra habitum est, est habitus quidam operativus; et ideo secundum propriam rationem habet inclinationem ad aliquem actum. Est autem contingens ex uno habitu plures actus eiusdem rationis ordinatos provenire, quorum unus sequatur ex altero. Et quia posteriores actus non procedunt ab habitu virtutis nisi per actum priorem, inde est quod virtus non definitur nec denominatur nisi ab actu priori, quamvis etiam alii actus ab ea consequantur. Manifestum est autem ex his quae supra de passionibus dicta sunt, quod amor est prima affectio appetitivae potentiae, ex qua sequitur et desiderium et gaudium. Et ideo habitus virtutis idem est qui inclinat ad diligendum, et ad desiderandum bonum dilectum, et ad gaudendum de eo. Sed quia dilectio inter hos actus est prior, inde est quod virtus non denominatur a gaudio nec a desiderio, sed a dilectione, et dicitur caritas. Sic ergo gaudium non est aliqua virtus a caritate distincta, sed est quidam caritatis actus sive effectus. Et propter hoc connumeratur inter fructus, ut patet Gal. V.

 

[40184] IIª-IIae q. 28 a. 4 co.
RISPONDO: Come sopra abbiamo spiegato, la virtù è un abito operativo; perciò in forza della sua natura è inclinata ad alcuni atti. Ora, capita che da un unico abito derivino più atti tra loro ordinati della medesima specie, che seguono l'uno dall'altro. E poiché gli atti successivi non derivano dall'abito di una virtù, se non mediante l'atto antecedente, ne segue che la virtù viene definita e denominata soltanto dal primo atto, sebbene da essa derivino anche gli altri. Ma da quanto abbiamo già detto nel trattato delle passioni, è chiaro che l'amore è il primo affetto della potenza appetitiva, dal quale segue e il desiderio e la gioia. Perciò l'abito virtuoso che inclina ad amare, a desiderare il bene che si ama e a goderne, è identico. Siccome però tra questi atti è primo l'amore, la virtù non viene denominata dal godimento, o dal desiderio, ma dall'amore, e si chiama carità. Perciò la gioia non è una virtù distinta dalla carità, ma è un atto o un effetto di essa. Per questo da S. Paolo viene ricordata tra i frutti.

[40185] IIª-IIae q. 28 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod tristitia quae est vitium causatur ex inordinato amore sui, quod non est aliquod speciale vitium, sed quaedam generalis radix vitiorum, ut supra dictum est. Et ideo oportuit tristitias quasdam particulares ponere specialia vitia, quia non derivantur ab aliquo speciali vitio, sed a generali. Sed amor Dei ponitur specialis virtus, quae est caritas, ad quam reducitur gaudium, ut dictum est, sicut proprius actus eius.

 

[40185] IIª-IIae q. 28 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La tristezza che viene considerata un vizio è causata dall'amore disordinato di se stessi, il quale non è un vizio specifico, ma una radice generale dei vizi, come abbiamo spiegato a suo tempo. Perciò si è dovuto determinare certe tristezze particolari come vizi specifici: perché esse non derivano da un vizio specifico, ma da un vizio generico. Invece l'amore di Dio, ossia la carità è una virtù specifica, nella quale è inclusa anche la gioia, come atto proprio di essa, secondo le spiegazioni date.

[40186] IIª-IIae q. 28 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod spes consequitur ex amore sicut et gaudium, sed spes addit ex parte obiecti quandam specialem rationem, scilicet arduum et possibile adipisci; et ideo ponitur specialis virtus. Sed gaudium ex parte obiecti nullam rationem specialem addit supra amorem quae possit causare specialem virtutem.

 

[40186] IIª-IIae q. 28 a. 4 ad 2
2. La speranza deriva dall'amore come la gioia: ma la speranza trova da parte dell'oggetto l'aggiunta di una ragione speciale, cioè l'arduità raggiungibile; ecco perché essa si considera una virtù specificamente distinta. Invece la gioia non implica nessuna speciale ragione, che la differenzi dall'amore come una speciale virtù.

[40187] IIª-IIae q. 28 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod intantum datur praeceptum legis de gaudio inquantum est actus caritatis; licet non sit primus actus eius.

 

[40187] IIª-IIae q. 28 a. 4 ad 3
3. La legge in tanto comanda la gioia, in quanto questa è un atto della carità; sebbene non ne sia il primo.

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