II-II, 18

Seconda parte > Le azioni umane > La speranza > Il soggetto della speranza


Secunda pars secundae partis
Quaestio 18
Prooemium

[39502] IIª-IIae q. 18 pr.
Deinde considerandum est de subiecto spei. Et circa hoc quaeruntur quatuor.
Primo, utrum virtus spei sit in voluntate sicut in subiecto.
Secundo, utrum sit in beatis.
Tertio, utrum sit in damnatis.
Quarto, utrum in viatoribus habeat certitudinem.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 18
Proemio

[39502] IIª-IIae q. 18 pr.
Passiamo a considerare il soggetto della speranza.
Sull'argomento si pongono quattro quesiti:

1. Se la virtù della speranza risieda nella volontà;
2. Se si trovi nei beati;
3. Se si trovi nei dannati;
4. Se nei viatori essa abbia la dote della certezza.




Seconda parte > Le azioni umane > La speranza > Il soggetto della speranza > Se la speranza risieda nella volontà


Secunda pars secundae partis
Quaestio 18
Articulus 1

[39503] IIª-IIae q. 18 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod spes non sit in voluntate sicut in subiecto. Spei enim obiectum est bonum arduum, ut supra dictum est. Arduum autem non est obiectum voluntatis, sed irascibilis. Ergo spes non est in voluntate, sed in irascibili.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 18
Articolo 1

[39503] IIª-IIae q. 18 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la speranza non risieda nella volontà. Infatti:
1. Come abbiamo già visto, oggetto della speranza è il bene arduo. Ora, l'arduo non è oggetto della volontà, ma dell'irascibile. Dunque la speranza non è nella volontà, ma nell'irascibile.

[39504] IIª-IIae q. 18 a. 1 arg. 2
Praeterea, ad id ad quod unum sufficit, superflue apponitur aliud. Sed ad perficiendum potentiam voluntatis sufficit caritas, quae est perfectissima virtutum. Ergo spes non est in voluntate.

 

[39504] IIª-IIae q. 18 a. 1 arg. 2
2. Quando per una funzione basta una cosa sola, è superfluo aggiungerne un' altra. Ebbene, a perfezionare la volontà basta la carità, che è la più perfetta delle virtù. Perciò la speranza non è nella volontà.

[39505] IIª-IIae q. 18 a. 1 arg. 3
Praeterea, una potentia non potest simul esse in duobus actibus, sicut intellectus non potest simul multa intelligere. Sed actus spei simul esse potest cum actu caritatis. Cum ergo actus caritatis manifeste pertineat ad voluntatem, actus spei non pertinet ad ipsam. Sic ergo spes non est in voluntate.

 

[39505] IIª-IIae q. 18 a. 1 arg. 3
3. Una facoltà non può emettere simultaneamente due atti: l'intelletto, p. es., non può intendere simultaneamente più cose. Invece l'atto della speranza può essere simultaneo all'atto della carità. Ora, dal momento che l'atto della carità appartiene senza dubbio alla volontà, non può appartenere a questa l'atto della speranza. E quindi la speranza non risiede nella volontà.

[39506] IIª-IIae q. 18 a. 1 s. c.
Sed contra, anima non est capax Dei nisi secundum mentem; in qua est memoria, intelligentia et voluntas, ut patet per Augustinum, in libro de Trin. Sed spes est virtus theologica habens Deum pro obiecto. Cum igitur non sit neque in memoria neque in intelligentia, quae pertinent ad vim cognoscitivam, relinquitur quod sit in voluntate sicut in subiecto.

 

[39506] IIª-IIae q. 18 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: L'anima è capace di possedere Dio solo con la mente; la quale abbraccia, a detta di S. Agostino, memoria, intelligenza e volontà. Ma la speranza è una virtù teologale, che ha Dio per oggetto. Perciò non trovandosi essa nell'intelligenza o nella memoria, che sono facoltà conoscitive, rimane che debba trovarsi nella volontà.

[39507] IIª-IIae q. 18 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod, sicut ex praedictis patet, habitus per actus cognoscuntur. Actus autem spei est quidam motus appetitivae partis, cum sit eius obiectum bonum. Cum autem sit duplex appetitus in homine, scilicet appetitus sensitivus, qui dividitur per irascibilem et concupiscibilem, et appetitus intellectivus, qui dicitur voluntas, ut in primo habitum est; similes motus qui sunt in appetitu inferiori cum passione, in superiori sunt sine passione, ut ex supradictis patet. Actus autem virtutis spei non potest pertinere ad appetitum sensitivum, quia bonum quod est obiectum principale huius virtutis non est aliquod bonum sensibile, sed bonum divinum. Et ideo spes est in appetitu superiori, qui dicitur voluntas, sicut in subiecto, non autem in appetitu inferiori, ad quem pertinet irascibilis.

 

[39507] IIª-IIae q. 18 a. 1 co.
RISPONDO: Come fu già da noi dimostrato, gli abiti sono conosciuti dai loro atti. Ora, l'atto della speranza è un moto della parte appetitiva, avendo il bene per oggetto. Ma trovandosi nell'uomo due tipi di appetito, come abbiamo visto nella Prima Parte: quello sensitivo che si divide in irascibile e concupiscibile, e quello intellettivo che si chiama volontà; i moti analoghi che nell'appetito inferiore sono accompagnati dalla passione, in quello superiore sono senza le passioni, come abbiamo spiegato in precedenza. Ora, gli atti della virtù della speranza non possono appartenere all'appetito sensitivo: poiché il bene che è l'oggetto principale di questa virtù non è un bene sensibile, ma è il bene divino. Dunque la speranza risiede nell'appetito superiore, cioè nella volontà: non già nell'appetito inferiore al quale appartiene l'irascibile.

[39508] IIª-IIae q. 18 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod irascibilis obiectum est arduum sensibile. Obiectum autem virtutis spei est arduum intelligibile; vel potius supra intellectum existens.

 

[39508] IIª-IIae q. 18 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Oggetto dell'irascibile è il bene arduo di ordine sensitivo. Invece oggetto della virtù della speranza è l'arduo di ordine intellettivo; o piuttosto è l'arduo che trascende lo stesso intelletto.

[39509] IIª-IIae q. 18 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod caritas sufficienter perficit voluntatem quantum ad unum actum, qui est diligere. Requiritur autem alia virtus ad perficiendum ipsam secundum alium actum eius, qui est sperare.

 

[39509] IIª-IIae q. 18 a. 1 ad 2
2. La carità basta a perfezionare la volontà rispetto all'atto di amare. Ma si richiede un'altra virtù rispetto a quell'altro atto di essa, che è l'atto di sperare.

[39510] IIª-IIae q. 18 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod motus spei et motus caritatis habent ordinem ad invicem, ut ex supradictis patet. Unde nihil prohibet utrumque motum simul esse unius potentiae. Sicut et intellectus potest simul multa intelligere ad invicem ordinata, ut in primo habitum est.

 

[39510] IIª-IIae q. 18 a. 1 ad 3
3. Il moto della speranza e il moto della carità sono ordinati tra loro, come sopra abbiamo notato. Perciò niente impedisce che possano appartenere a un'unica potenza. Al pari dell'intelletto, il quale è in grado d'intendere simultaneamente più cose ordinate tra loro, come abbiamo visto nella Prima Parte.




Seconda parte > Le azioni umane > La speranza > Il soggetto della speranza > Se la speranza si trovi nei beati


Secunda pars secundae partis
Quaestio 18
Articulus 2

[39511] IIª-IIae q. 18 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod spes sit in beatis. Christus enim a principio suae conceptionis fuit perfectus comprehensor. Sed ipse habuit spem, cum ex eius persona dicatur in Psalm., in te, domine, speravi, ut Glossa exponit. Ergo in beatis potest esse spes.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 18
Articolo 2

[39511] IIª-IIae q. 18 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la speranza si trovi nei beati. Infatti:
1. Cristo fin dall'inizio del suo concepimento fu un perfetto comprensore. Ora, egli aveva la speranza; poiché, stando alla Glossa (interlineare), sono attribuite a lui quelle parole del Salmo: "In te, Signore, io spero". Dunque nei beati può esserci la speranza.

[39512] IIª-IIae q. 18 a. 2 arg. 2
Praeterea, sicut adeptio beatitudinis est quoddam bonum arduum, ita etiam eius continuatio. Sed homines antequam beatitudinem adipiscantur habent spem de beatitudinis adeptione. Ergo postquam sunt beatitudinem adepti, possunt sperare beatitudinis continuationem.

 

[39512] IIª-IIae q. 18 a. 2 arg. 2
2. Come è un bene arduo il conseguimento della beatitudine, lo è pure la sua continuazione. Ma gli uomini prima di raggiungere la beatitudine ne hanno la speranza. Perciò, dopo avere raggiunto la beatitudine, possono sperare la continuazione di essa.

[39513] IIª-IIae q. 18 a. 2 arg. 3
Praeterea, per virtutem spei potest aliquis beatitudinem sperare non solum sibi sed etiam aliis, ut supra dictum est. Sed beati qui sunt in patria sperant beatitudinem aliis, alioquin non rogarent pro eis. Ergo in beatis potest esse spes.

 

[39513] IIª-IIae q. 18 a. 2 arg. 3
3. Con la virtù della speranza uno può sperare la beatitudine non solo per sé, ma anche per gli altri. Ora, i beati che sono nella patria sperano la beatitudine degli altri: diversamente non pregherebbero per loro. Quindi nei beati può esserci la speranza.

[39514] IIª-IIae q. 18 a. 2 arg. 4
Praeterea, ad beatitudinem sanctorum pertinet non solum gloria animae sed etiam gloria corporis. Sed animae sanctorum qui sunt in patria expectant adhuc gloriam corporis, ut patet Apoc. VI, et XII super Gen. ad Litt. Ergo spes potest esse in beatis.

 

[39514] IIª-IIae q. 18 a. 2 arg. 4
4. Alla beatitudine dei santi appartiene non soltanto la gloria dell'anima, ma anche quella del corpo. Ma le anime dei santi che sono nella patria aspettano ancora la gloria del corpo, come appare dalle parole dell'Apocalisse. e di S. Agostino. Dunque la speranza può trovarsi nei beati.

[39515] IIª-IIae q. 18 a. 2 s. c.
Sed contra est quod apostolus dicit, ad Rom. VIII, quod videt quis, quid sperat? Sed beati fruuntur Dei visione. Ergo in eis spes locum non habet.

 

[39515] IIª-IIae q. 18 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Scrive l'Apostolo: "Chi già vede una cosa, che spera più?". Ora, i beati godono la visione di Dio. Dunque in essi non esiste la speranza.

[39516] IIª-IIae q. 18 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, subtracto eo quod dat speciem rei, solvitur species, et res non potest eadem remanere, sicut remota forma corporis naturalis, non remanet idem secundum speciem. Spes autem recipit speciem a suo obiecto principali, sicut et ceterae virtutes, ut ex supradictis patet. Obiectum autem principale eius est beatitudo aeterna secundum quod est possibilis haberi ex auxilio divino, ut supra dictum est. Quia ergo bonum arduum possibile non cadit sub ratione spei nisi secundum quod est futurum, ideo, cum beatitudo iam non fuerit futura sed praesens, non potest ibi esse virtus spei. Et ideo spes, sicut et fides, evacuatur in patria, et neutrum eorum in beatis esse potest.

 

[39516] IIª-IIae q. 18 a. 2 co.
RISPONDO: Eliminato ciò che dà la specie a una cosa, la specie svanisce, e la cosa non può rimanere identica: se eliminiamo, p. es., la forma di un corpo fisico, esso non rimane della medesima specie. Ora, come si è detto sopra, la speranza riceve la specie dal suo oggetto principaie, al pari delle altre virtù. Ma il suo oggetto principale è la beatitudine eterna, in quanto è raggiungibile con l'aiuto di Dio, come sopra abbiamo dimostrato. E poiché il bene arduo raggiungibile è oggetto della speranza solo in quanto futuro, quando la beatitudine non è ormai più futura, ma presente, la virtù della speranza non può sussistere. Ecco perché la speranza, come pure la fede, viene a cessare nella patria; e sia l'una che l'altra non possono trovarsi nei beati.

[39517] IIª-IIae q. 18 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Christus, etsi esset comprehensor, et per consequens beatus, quantum ad divinam fruitionem; erat tamen simul viator quantum ad passibilitatem naturae, quam adhuc gerebat. Et ideo gloriam impassibilitatis et immortalitatis sperare poterat. Non tamen ita quod haberet virtutem spei, quae non respicit gloriam corporis sicut principale obiectum, sed potius fruitionem divinam.

 

[39517] IIª-IIae q. 18 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Cristo, pur essendo comprensore, e quindi beato, per la fruizione di Dio; tuttavia era simultaneamente un viatore per la passibilità della natura assunta. Perciò allora egli poteva sperare la gloria dell'impassibilità e dell'immortalità. Però non nel senso che avesse la virtù della speranza, la quale ha come oggetto primario non la gloria del corpo, ma la fruizione di Dio.

[39518] IIª-IIae q. 18 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod beatitudo sanctorum dicitur vita aeterna, quia per hoc quod Deo fruuntur, efficiuntur quodammodo participes aeternitatis divinae, quae excedit omne tempus. Et ita continuatio beatitudinis non diversificatur per praesens, praeteritum et futurum. Et ideo beati non habent spem de continuatione beatitudinis, sed habent ipsam rem, quia non est ibi ratio futuri.

 

[39518] IIª-IIae q. 18 a. 2 ad 2
2. La beatitudine dei santi si chiama vita eterna, perché nel godimento di Dio partecipano in qualche modo dell'eternità divina, che trascende tutti i tempi. Quindi la continuazione della beatitudine non ammette distinzioni di presente, passato e futuro. Perciò i beati non hanno la speranza di questa continuazione della beatitudine, ma ne hanno la stessa realtà: poiché in essa manca l'aspetto di cosa futura.

[39519] IIª-IIae q. 18 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod, durante virtute spei, eadem spe aliquis sperat beatitudinem sibi et aliis. Sed evacuata spe in beatis qua sperabant sibi beatitudinem, sperant quidem aliis beatitudinem, sed non virtute spei, sed magis ex amore caritatis. Sicut etiam qui habet caritatem Dei eadem caritate diligit proximum, et tamen aliquis potest diligere proximum non habens virtutem caritatis, alio quodam amore.

 

[39519] IIª-IIae q. 18 a. 2 ad 3
3. Mentre dura la virtù della speranza, uno spera la beatitudine per sé e per altri con una medesima speranza. Ma svanita nei beati la speranza con la quale speravano la propria beatitudine, continuano a sperare la beatitudine altrui, ma non con la virtù della speranza, bensì con l'amore di carità. Del resto chi ha la carità di Dio ama con essa anche il prossimo: eppure egli può amare il prossimo, senza avere più la carità, con un amore di altro genere.

[39520] IIª-IIae q. 18 a. 2 ad 4
Ad quartum dicendum quod, cum spes sit virtus theologica habens Deum pro obiecto, principale obiectum spei est gloria animae, quae in fruitione divina consistit, non autem gloria corporis. Gloria etiam corporis, etsi habeat rationem ardui per comparationem ad naturam humanam, non habet tamen rationem ardui habenti gloriam animae. Tum quia gloria corporis est minimum quiddam in comparatione ad gloriam animae. Tum etiam quia habens gloriam animae habet iam sufficienter causam gloriae corporis.

 

[39520] IIª-IIae q. 18 a. 2 ad 4
4. Essendo la speranza una virtù teologale, avente Dio per oggetto, l'oggetto principale di essa è la gloria dell'anima, che consiste nella fruizione di Dio, e non la gloria del corpo. - Inoltre la glorificazione del corpo, sebbene si presenti come cosa ardua rispetto alla natura umana, non è più tale per chi possiede la gloria dell'anima. Sia perché la gloria del corpo è una cosa minima a confronto della gloria dell'anima. E sia perché chi ha la gloria dell'anima possiede già la causa della glorificazione del corpo.




Seconda parte > Le azioni umane > La speranza > Il soggetto della speranza > Se la speranza si trovi nei dannati


Secunda pars secundae partis
Quaestio 18
Articulus 3

[39521] IIª-IIae q. 18 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod in damnatis sit spes. Diabolus enim est et damnatus et princeps damnatorum, secundum illud Matth. XXV, ite, maledicti, in ignem aeternum, qui paratus est Diabolo et Angelis eius. Sed Diabolus habet spem, secundum illud Iob XL, ecce spes eius frustrabitur eum. Ergo videtur quod damnati habeant spem.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 18
Articolo 3

[39521] IIª-IIae q. 18 a. 3 arg. 1
SEMBRA che nei dannati ci sia la speranza. Infatti:
1. Il diavolo è dannato e capo dei dannati, come risulta da quelle parole evangeliche: "Andate, maledetti, nel fuoco eterno, che è preparato per il diavolo e i suoi angeli". Ma nel diavolo non manca la speranza; poiché sta scritto: "La speranza di lui rimarrà delusa". Perciò è evidente che i dannati hanno la speranza.

[39522] IIª-IIae q. 18 a. 3 arg. 2
Praeterea, sicut fides potest esse formata et informis, ita et spes. Sed fides informis potest esse in Daemonibus et damnatis, secundum illud Iac. II, Daemones credunt et contremiscunt. Ergo videtur quod etiam spes informis potest esse in damnatis.

 

[39522] IIª-IIae q. 18 a. 3 arg. 2
2. La speranza, come la fede, può essere formata ed informe. Ma la fede informe può trovarsi nei demoni e nei dannati, come appare da quel detto di S. Giacomo: "I demoni credono e tremano". Dunque nei dannati può esserci anche la speranza informe.

[39523] IIª-IIae q. 18 a. 3 arg. 3
Praeterea, nulli hominum post mortem accrescit meritum vel demeritum quod in vita non habuit, secundum illud Eccle. XI, si ceciderit lignum ad Austrum aut ad Aquilonem, in quocumque loco ceciderit ibi erit. Sed multi qui damnabuntur habuerunt in hac vita spem, nunquam desperantes. Ergo etiam in futura vita spem habebunt.

 

[39523] IIª-IIae q. 18 a. 3 arg. 3
3. Dopo la morte nessuno può acquistare un merito o un demerito, che non avesse già in vita; poiché sta scritto: "Se un albero cade a mezzodì o a settentrione, là dove cade ivi resterà". Ora, molti di quelli che si dannano hanno avuto in vita la speranza, senza mai disperare. Perciò avranno la speranza anche nella vita futura.

[39524] IIª-IIae q. 18 a. 3 s. c.
Sed contra est quod spes causat gaudium, secundum illud Rom. XII, spe gaudentes. Sed damnati non sunt in gaudio, sed in dolore et luctu, secundum illud Isaiae LXV, servi mei laudabunt prae exultatione cordis, et vos clamabitis prae dolore cordis et prae contritione spiritus ululabitis. Ergo spes non est in damnatis.

 

[39524] IIª-IIae q. 18 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: La speranza causa la gioia, secondo l'espressione paolina: "Godendo nella speranza". Ora, i dannati non sono nella gioia, ma nel dolore e nel pianto; poiché sta scritto: "I miei servi canteranno per la gioia del cuore, e voi griderete per il dolore, e nella costernazione del vostro spirito urlerete". Dunque la speranza non si trova nei dannati.

[39525] IIª-IIae q. 18 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod sicut de ratione beatitudinis est ut in ea quietetur voluntas, ita de ratione poenae est ut id quod pro poena infligitur voluntati repugnet. Non potest autem voluntatem quietare, vel ei repugnare, quod ignoratur. Et ideo Augustinus dicit, super Gen. ad Litt., quod Angeli perfecte beati esse non potuerunt in primo statu ante confirmationem, vel miseri ante lapsum, cum non essent praescii sui eventus, requiritur enim ad veram et perfectam beatitudinem ut aliquis certus sit de suae beatitudinis perpetuitate; alioquin voluntas non quietaretur. Similiter etiam, cum perpetuitas damnationis pertineat ad poenam damnatorum, non vere haberet rationem poenae nisi voluntati repugnaret, quod esse non posset si perpetuitatem suae damnationis ignorarent. Et ideo ad conditionem miseriae damnatorum pertinet ut ipsi sciant quod nullo modo possunt damnationem evadere et ad beatitudinem pervenire, unde dicitur Iob XV, non credit quod reverti possit de tenebris ad lucem. Unde patet quod non possunt apprehendere beatitudinem ut bonum possibile, sicut nec beati ut bonum futurum. Et ideo neque in beatis neque in damnatis est spes. Sed in viatoribus sive sint in vita ista sive in Purgatorio, potest esse spes, quia utrobique apprehendunt beatitudinem ut futurum possibile.

 

[39525] IIª-IIae q. 18 a. 3 co.
RISPONDO: Come il concetto di beatitudine implica il quietarsi della volontà, così il concetto di pena implica la ripugnanza di essa alla volontà. Ma ciò che non si conosce non può né quietare né contrariare la volontà. Ecco perché S. Agostino afferma che gli angeli nel loro stato primitivo non potevano essere né beati prima della confermazione (in grazia), né infelici prima del peccato, non essendo a conoscenza del loro destino. Infatti per una vera e perfetta beatitudine si richiede che uno sia certo della perpetua durata di essa. Altrimenti la volontà non può quietarsi. Parimente, facendo parte la durata perpetua della dannazione della pena dei dannati, essa non sarebbe un vero castigo, se la volontà non ne sentisse la ripugnanza; e questo è impossibile, se uno non conosce la perpetuità della propria dannazione. Ecco perché la condizione di infelicità dei dannati implica il fatto di conoscere che essi sono nell'impossibilità di evadere la pena, e di raggiungere la beatitudine; perciò in Giobbe sì legge: "Non ha fiducia di potersi ritrarre dalle tenebre alla luce". È quindi evidente che essi non possono concepire la beatitudine quale bene possibile; come i beati non possono concepirla quale bene futuro. Perciò nei beati e nei dannati non può esserci la speranza. Può trovarsi invece nei viatori, sia in questa vita, che nel purgatorio: poiché costoro possono concepire la beatitudine come un bene futuro raggiungibile.

[39526] IIª-IIae q. 18 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut Gregorius dicit, XXXIII Moral., hoc dicitur de Diabolo secundum membra eius, quorum spes annullabitur. Vel si intelligatur de ipso Diabolo, potest referri ad spem qua sperat se de sanctis victoriam obtinere, secundum illud quod supra praemiserat, habet fiduciam quod Iordanis influat in os eius. Haec autem non est spes de qua loquimur.

 

[39526] IIª-IIae q. 18 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si può rispondere con S. Gregorio che l'affermazione vale non per il diavolo, ma per i suoi adepti la cui speranza sarà frustrata. - Oppure, se si intende del diavolo stesso, va riferita alla speranza con la quale egli conta di ottenere vittoria sui santi, come sembrano indicare le parole precedenti: "Ha fiducia che il Giordano si riversi nella sua bocca". Ma questa non è la speranza di cui parliamo.

[39527] IIª-IIae q. 18 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod, sicut Augustinus dicit, in Enchirid., fides est et malarum rerum et bonarum, et praeteritarum et praesentium et futurarum, et suarum et alienarum, sed spes non est nisi rerum bonarum futurarum ad se pertinentium. Et ideo magis potest esse fides informis in damnatis quam spes, quia bona divina non sunt eis futura possibilia, sed sunt eis absentia.

 

[39527] IIª-IIae q. 18 a. 3 ad 2
2. Come insegna S. Agostino, "la fede ha per oggetto cose buone e cattive, cose passate, presenti e future, cose proprie e cose altrui: invece la speranza si limita alle cose buone, future riguardanti il soggetto". Perciò nei dannati può esserci la fede informe, ma non la speranza; poiché i doni di Dio non sono per essi raggiungibili nel futuro, ma del tutto negati.

[39528] IIª-IIae q. 18 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod defectus spei in damnatis non variat demeritum, sicut nec evacuatio spei in beatis auget meritum, sed utrumque contingit propter mutationem status.

 

[39528] IIª-IIae q. 18 a. 3 ad 3
3. Il difetto di speranza non aggrava il demerito nei dannati, come non accresce il merito dei beati la dissoluzione di essa: ma queste due cose accompagnano il mutamento di stato.




Seconda parte > Le azioni umane > La speranza > Il soggetto della speranza > Se la speranza dei viatori abbia la dote della certezza


Secunda pars secundae partis
Quaestio 18
Articulus 4

[39529] IIª-IIae q. 18 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod spes viatorum non habeat certitudinem. Spes enim est in voluntate sicut in subiecto. Sed certitudo non pertinet ad voluntatem, sed ad intellectum. Ergo spes non habet certitudinem.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 18
Articolo 4

[39529] IIª-IIae q. 18 a. 4 arg. 1
SEMBRA che la speranza dei viatori non abbia la dote della certezza. Infatti:
1. La speranza risiede nella volontà. Ora, la certezza non appartiene alla volontà, ma all'intelletto. Dunque la speranza è priva di certezza.

[39530] IIª-IIae q. 18 a. 4 arg. 2
Praeterea, spes ex gratia et meritis provenit, ut supra dictum est. Sed in hac vita scire per certitudinem non possumus quod gratiam habeamus, ut supra dictum est. Ergo spes viatorum non habet certitudinem.

 

[39530] IIª-IIae q. 18 a. 4 arg. 2
2. Come sopra abbiamo ricordato, "la speranza deriva dalla grazia e dai meriti". Ma in questa vita non possiamo conoscere con certezza di avere la grazia, secondo le spiegazioni date. Quindi la speranza dei viatori non ha la dote della certezza.

[39531] IIª-IIae q. 18 a. 4 arg. 3
Praeterea, certitudo esse non potest de eo quod potest deficere. Sed multi viatores habentes spem deficiunt a consecutione beatitudinis. Ergo spes viatorum non habet certitudinem.

 

[39531] IIª-IIae q. 18 a. 4 arg. 3
3. Non può esserci certezza di ciò che può mancare. Ora, molti viatori che hanno la speranza mancano di raggiungere la beatitudine. Dunque la speranza dei viatori è priva di certezza.

[39532] IIª-IIae q. 18 a. 4 s. c.
Sed contra est quod spes est certa expectatio futurae beatitudinis, sicut Magister dicit, XXVI dist. III Sent. Quod potest accipi ex hoc quod dicitur II ad Tim. I, scio cui credidi, et certus sum quia potens est depositum meum servare.

 

[39532] IIª-IIae q. 18 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Come dice il Maestro delle Sentenze, "la speranza è l'attesa certa della futura beatitudine". E ciò si può arguire da quelle parole di S. Paolo: "So in chi ho riposto la mia fiducia, e sono certo che egli ha il potere di conservare il mio deposito".

[39533] IIª-IIae q. 18 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod certitudo invenitur in aliquo dupliciter, scilicet essentialiter, et participative. Essentialiter quidem invenitur in vi cognoscitiva, participative autem in omni eo quod a vi cognoscitiva movetur infallibiliter ad finem suum; secundum quem modum dicitur quod natura certitudinaliter operatur, tanquam mota ab intellectu divino certitudinaliter movente unumquodque ad suum finem. Et per hunc etiam modum virtutes morales certius arte dicuntur operari, inquantum per modum naturae moventur a ratione ad suos actus. Et sic etiam spes certitudinaliter tendit in suum finem, quasi participans certitudinem a fide, quae est in vi cognoscitiva.

 

[39533] IIª-IIae q. 18 a. 4 co.
RISPONDO: La certezza può trovarsi in una cosa in due maniere: essenzialmente, e per partecipazione. Essenzialmente essa si trova nelle facoltà conoscitive; per partecipazione si trova in ogni facoltà mossa infallibilmente verso il proprio fine da una potenza conoscitiva. In tal senso si dice che opera con certezza la natura, perché è mossa dall'intelletto divino, il quale muove ogni cosa al proprio fine con certezza. E in questo stesso senso si dice che le virtù morali operano con maggior certezza delle arti, perché la ragione muove ai loro atti come una seconda natura. Ed è così che la speranza tende anch'essa con certezza al proprio fine, partecipando in qualche modo la certezza della fede, che risiede in una facoltà conoscitiva.

[39534] IIª-IIae q. 18 a. 4 ad 1
Unde patet responsio ad primum.

 

[39534] IIª-IIae q. 18 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Così è risolta anche la prima obiezione.

[39535] IIª-IIae q. 18 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod spes non innititur principaliter gratiae iam habitae, sed divinae omnipotentiae et misericordiae, per quam etiam qui gratiam non habet eam consequi potest, ut sic ad vitam aeternam perveniat. De omnipotentia autem Dei et eius misericordia certus est quicumque fidem habet.

 

[39535] IIª-IIae q. 18 a. 4 ad 2
2. La speranza si fonda principalmente non sulla grazia già posseduta, ma sulla divina onnipotenza e misericordia, con la quale può conseguire la grazia anche chi non la possiede ancora, in modo da giungere alla vita eterna. Ora, chiunque abbia la fede ha certezza dell'onnipotenza e misericordia di Dio.

[39536] IIª-IIae q. 18 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod hoc quod aliqui habentes spem deficiant a consecutione beatitudinis, contingit ex defectu liberi arbitrii ponentis obstaculum peccati, non autem ex defectu divinae omnipotentiae vel misericordiae, cui spes innititur. Unde hoc non praeiudicat certitudini spei.

 

[39536] IIª-IIae q. 18 a. 4 ad 3
3. Il fatto che alcuni, pur avendo la speranza, mancano di raggiungere la beatitudine, deriva da una mancanza del libero arbitrio, che mette l'ostacolo del peccato: non già da una mancanza della divina onnipotenza, o misericordia, su cui si fonda la speranza. Perciò questo fatto non pregiudica la certezza della speranza.

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