II-II, 17

Seconda parte > Le azioni umane > La speranza > La speranza come tale


Secunda pars secundae partis
Quaestio 17
Prooemium

[39439] IIª-IIae q. 17 pr.
Consequenter post fidem considerandum est de spe. Et primo, de ipsa spe; secundo, de dono timoris; tertio, de vitiis oppositis; quarto, de praeceptis ad hoc pertinentibus. Circa primum occurrit primo consideratio de ipsa spe; secundo, de subiecto eius. Circa primum quaeruntur octo.
Primo, utrum spes sit virtus.
Secundo, utrum obiectum eius sit beatitudo aeterna.
Tertio, utrum unus homo possit sperare beatitudinem alterius per virtutem spei.
Quarto, utrum homo licite possit sperare in homine.
Quinto, utrum spes sit virtus theologica.
Sexto, de distinctione eius ab aliis virtutibus theologicis.
Septimo, de ordine eius ad fidem.
Octavo, de ordine eius ad caritatem.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 17
Proemio

[39439] IIª-IIae q. 17 pr.
Dopo la fede è logico trattare della speranza. Primo, direttamente della speranza; secondo, del dono del timore; terzo, dei vizi contrari; quarto, dei precetti relativi a questo argomento.
Sul primo tema si affaccia per prima la considerazione della speranza in se stessa; e in secondo luogo quella relativa alla sua sede.
Sulla speranza si pongono otto quesiti:

1. Se la speranza sia una virtù;
2. Se abbia per oggetto la beatitudine eterna;
3. Se uno, con la virtù della speranza, possa sperare la beatitudine di un altro;
4. Se si possa sperare lecitamente nell'uomo;
5. Se la speranza sia una virtù teologale;
6. Come essa sia distinta dalle altre virtù teologali;
7. Quali siano i suoi rapporti con la fede;
8. Quali i suoi rapporti con la carità.




Seconda parte > Le azioni umane > La speranza > La speranza come tale > Se la speranza sia una virtù


Secunda pars secundae partis
Quaestio 17
Articulus 1

[39440] IIª-IIae q. 17 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod spes non sit virtus. Virtute enim nullus male utitur; ut dicit Augustinus, in libro de Lib. Arb. Sed spe aliquis male utitur, quia circa passionem spei contingit esse medium et extrema, sicut et circa alias passiones. Ergo spes non est virtus.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 17
Articolo 1

[39440] IIª-IIae q. 17 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la speranza non sia una virtù. Infatti:
1. "Nessuno usa male della virtù", insegna S. Agostino. Invece c'è chi usa male della speranza: poiché nella passione della speranza, come nelle altre passioni, c'è il giusto mezzo e ci sono gli estremi. Perciò la speranza non è una virtù.

[39441] IIª-IIae q. 17 a. 1 arg. 2
Praeterea, nulla virtus procedit ex meritis, quia virtutem Deus in nobis sine nobis operatur, ut Augustinus dicit. Sed spes est ex gratia et meritis proveniens; ut Magister dicit, XXVI dist. III Lib. Sent. Ergo spes non est virtus.

 

[39441] IIª-IIae q. 17 a. 1 arg. 2
2. Nessuna virtù deriva dai meriti: poiché, come dice S. Agostino, "la virtù Dio la produce in noi senza di noi". Ora, la speranza, secondo l'espressione del Maestro delle Sentenze, "deriva dalla grazia e dai meriti". Dunque la speranza non è una virtù.

[39442] IIª-IIae q. 17 a. 1 arg. 3
Praeterea, virtus est dispositio perfecti; ut dicitur in VII Physic. Spes autem est dispositio imperfecti, scilicet eius qui non habet id quod sperat. Ergo spes non est virtus.

 

[39442] IIª-IIae q. 17 a. 1 arg. 3
3. Come Aristotele insegna, "la virtù è disposizione di un essere perfetto". Invece la speranza è disposizione di un essere imperfetto, cioè di uno che non ha ciò che spera. Quindi la speranza non è una virtù.

[39443] IIª-IIae q. 17 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Gregorius, in I Moral., dicit quod per tres filias Iob significantur hae tres virtutes, fides, spes, caritas. Ergo spes est virtus.

 

[39443] IIª-IIae q. 17 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: S. Gregorio afferma che le tre figlie di Giobbe stanno a indicare le tre virtù della fede, della speranza e della carità. Dunque la speranza è una virtù.

[39444] IIª-IIae q. 17 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod, secundum philosophum, in II Ethic., virtus uniuscuiusque rei est quae bonum facit habentem et opus eius bonum reddit. Oportet igitur, ubicumque invenitur aliquis actus hominis bonus, quod respondeat alicui virtuti humanae. In omnibus autem regulatis et mensuratis bonum consideratur per hoc quod aliquid propriam regulam attingit, sicut dicimus vestem esse bonam quae nec excedit nec deficit a debita mensura. Humanorum autem actuum, sicut supra dictum est, duplex est mensura, una quidem proxima et homogenea, scilicet ratio; alia autem est suprema et excedens, scilicet Deus. Et ideo omnis actus humanus attingens ad rationem aut ad ipsum Deum est bonus. Actus autem spei de qua nunc loquimur attingit ad Deum. Ut enim supra dictum est, cum de passione spei ageretur, obiectum spei est bonum futurum arduum possibile haberi. Possibile autem est aliquid nobis dupliciter, uno modo, per nos ipsos; alio modo, per alios; ut patet in III Ethic. Inquantum igitur speramus aliquid ut possibile nobis per divinum auxilium, spes nostra attingit ad ipsum Deum, cuius auxilio innititur. Et ideo patet quod spes est virtus, cum faciat actum hominis bonum et debitam regulam attingentem.

 

[39444] IIª-IIae q. 17 a. 1 co.
RISPONDO: Secondo il Filosofo, "in tutti gli esseri è virtù ciò che rende buono chi la possiede e l'azione che essi compiono". Perciò dove troviamo un atto umano buono, deve esserci una virtù umana corrispondente. Ora, in tutte le cose soggette a una regola, o misura, la bontà si desume dalla loro adeguazione alla regola propria: diciamo, p. es., essere buona quella veste che non eccede e non è al di sotto della giusta misura. Ma gli atti umani, come sopra si disse, hanno due sorta di misure: la prima, prossima e connaturale, è la ragione; la seconda, suprema e trascendente, è Dio. Ecco perché ogni atto umano, che si adegua alla ragione, o a Dio medesimo, è buono. Ora, l'atto della speranza della quale parliamo si adegua a Dio. Infatti, come abbiamo detto sopra trattando della speranza-passione, oggetto della speranza è un bene futuro, arduo e raggiungibile. E una cosa per noi può essere raggiungibile in due maniere: primo, direttamente da noi stessi; secondo, per mezzo di altri, come spiega Aristotele. Ebbene, in quanto speriamo qualche cosa come raggiungibile da noi mediante l'aiuto di Dio, la nostra speranza si adegua a Dio stesso, sul cui aiuto essa si fonda. Perciò è evidente che la speranza è una virtù: portando l'atto umano ad adeguarsi alla debita misura.

[39445] IIª-IIae q. 17 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod in passionibus accipitur medium virtutis per hoc quod attingitur ratio recta, et in hoc etiam consistit ratio virtutis. Unde etiam et in spe bonum virtutis accipitur secundum quod homo attingit sperando regulam debitam, scilicet Deum. Et ideo spe attingente Deum nullus potest male uti, sicut nec virtute morali attingente rationem, quia hoc ipsum quod est attingere est bonus usus virtutis. Quamvis spes de qua nunc loquimur non sit passio, sed habitus mentis, ut infra patebit.

 

[39445] IIª-IIae q. 17 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nelle passioni il giusto mezzo della virtù viene determinato in base all'adeguazione di esse alla retta ragione: e in questo si riscontra l'aspetto di virtù. Perciò anche nella speranza il bene proprio della virtù si ha nel fatto che l'uomo, sperando, raggiunge la debita misura, cioè Dio. Ecco perché nessuno nel raggiungere Dio con la speranza può abusare di essa, come non può abusare di una virtù morale chi si adegua alla ragione: poiché l'adeguazione stessa è il buon uso della virtù. Tuttavia la speranza di cui ora parliamo non è una passione, ma un abito dell'anima, come vedremo.

[39446] IIª-IIae q. 17 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod spes dicitur ex meritis provenire quantum ad ipsam rem expectatam, prout aliquis sperat se beatitudinem adepturum ex gratia et meritis. Vel quantum ad actum spei formatae. Ipse autem habitus spei, per quam aliquis expectat beatitudinem, non causatur ex meritis, sed pure ex gratia.

 

[39446] IIª-IIae q. 17 a. 1 ad 2
2. Si dice che la speranza proviene dai meriti nel senso che essi rientrano tra le cose stesse che si attendono: cioè per il fatto che uno spera di raggiungere la beatitudine con la grazia e anche con i meriti. Oppure l'espressione va riferita all'atto della speranza formata. Ma l'abito stesso della speranza, mediante il quale uno aspetta la beatitudine, non viene causato dai meriti, bensì esclusivamente dalla grazia.

[39447] IIª-IIae q. 17 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod ille qui sperat est quidem imperfectus secundum considerationem ad id quod sperat obtinere, quod nondum habet, sed est perfectus quantum ad hoc quod iam attingit propriam regulam, scilicet Deum, cuius auxilio innititur.

 

[39447] IIª-IIae q. 17 a. 1 ad 3
3. Chi spera è in uno stato di imperfezione rispetto a ciò che spera di raggiungere, e che ancora non possiede: ma è già perfetto per il fatto che già si adegua alla propria misura, cioè a Dio, sull'aiuto del quale si fonda.




Seconda parte > Le azioni umane > La speranza > La speranza come tale > Se la beatitudine eterna sia l'oggetto proprio della speranza


Secunda pars secundae partis
Quaestio 17
Articulus 2

[39448] IIª-IIae q. 17 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod beatitudo aeterna non sit obiectum proprium spei. Illud enim homo non sperat quod omnem animi sui motum excedit, cum spei actus sit quidam animi motus. Sed beatitudo aeterna excedit omnem humani animi motum, dicit enim apostolus, I ad Cor. II, quod in cor hominis non ascendit. Ergo beatitudo non est proprium obiectum spei.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 17
Articolo 2

[39448] IIª-IIae q. 17 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la beatitudine eterna non sia l'oggetto proprio della speranza. Infatti:
1. L'uomo non spera ciò che sorpassa qualsiasi moto del suo spirito: poiché l'atto della speranza è un moto dell'animo. Ora, la beatitudine eterna sorpassa qualsiasi moto dello spirito umano: infatti, a detta dell'Apostolo, essa "non ascese al cuore dell'uomo". Dunque la beatitudine non è l'oggetto proprio della speranza.

[39449] IIª-IIae q. 17 a. 2 arg. 2
Praeterea, petitio est spei interpretativa, dicitur enim in Psalm., revela domino viam tuam et spera in eo, et ipse faciet. Sed homo petit a Deo licite non solum beatitudinem aeternam, sed etiam bona praesentis vitae tam spiritualia quam temporalia, et etiam liberationem a malis, quae in beatitudine aeterna non erunt, ut patet in oratione dominica, Matth. VI. Ergo beatitudo aeterna non est proprium obiectum spei.

 

[39449] IIª-IIae q. 17 a. 2 arg. 2
2. La preghiera è l'interprete della speranza; poiché sta scritto nei Salmi: "Mostra al Signore la tua via, spera in lui ed egli agirà". Ora, come è evidente dal Pater Noster, l'uomo chiede lecitamente a Dio non soltanto la beatitudine eterna, ma anche i beni della vita presente, sia spirituali che temporali, così pure la liberazione dei mali, che mancheranno del tutto nella beatitudine eterna. Perciò la beatitudine eterna non è l'oggetto proprio della speranza.

[39450] IIª-IIae q. 17 a. 2 arg. 3
Praeterea, spei obiectum est arduum. Sed in comparatione ad hominem multa alia sunt ardua quam beatitudo aeterna. Ergo beatitudo aeterna non est proprium obiectum spei.

 

[39450] IIª-IIae q. 17 a. 2 arg. 3
3. Oggetto della speranza sono le cose ardue. Però per l'uomo non è ardua soltanto la beatitudine eterna, ma sono ardue molte altre cose. Dunque la beatitudine eterna non è l'oggetto proprio della speranza.

[39451] IIª-IIae q. 17 a. 2 s. c.
Sed contra est quod apostolus dicit, ad Heb. VI, habemus spem incedentem, idest incedere facientem, ad interiora velaminis, idest ad beatitudinem caelestem; ut Glossa ibidem exponit. Ergo obiectum spei est beatitudo aeterna.

 

[39451] IIª-IIae q. 17 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: L'Apostolo, afferma: "Abbiamo una speranza che penetra al di là del velo", "ossia che fa penetrare", come dice la Glossa, "nella beatitudine celeste". Quindi la beatitudine eterna è l'oggetto della speranza.

[39452] IIª-IIae q. 17 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, spes de qua loquimur attingit Deum innitens eius auxilio ad consequendum bonum speratum. Oportet autem effectum esse causae proportionatum. Et ideo bonum quod proprie et principaliter a Deo sperare debemus est bonum infinitum, quod proportionatur virtuti Dei adiuvantis, nam infinitae virtutis est proprium ad infinitum bonum perducere. Hoc autem bonum est vita aeterna, quae in fruitione ipsius Dei consistit, non enim minus aliquid ab eo sperandum est quam sit ipse, cum non sit minor eius bonitas, per quam bona creaturae communicat, quam eius essentia. Et ideo proprium et principale obiectum spei est beatitudo aeterna.

 

[39452] IIª-IIae q. 17 a. 2 co.
RISPONDO: Abbiamo detto nell'articolo precedente che la speranza di cui parliamo raggiunge Dio stesso, fondandosi sul suo aiuto, per conseguire il bene sperato. Ora, l'effetto è necessario che sia proporzionato alla causa. Perciò il bene che propriamente e principalmente dobbiamo sperare da Dio è un bene infinito, proporzionato alla virtù divina che viene in nostro aiuto: infatti è proprio di una virtù infinita condurre ad un bene infinito. Ma questo bene è la vita eterna, che consiste nella fruizione di Dio medesimo: poiché da lui non si deve sperare qualche cosa che sia al di sotto di Dio medesimo, dal momento che la sua bontà, mediante la quale comunica il bene alle creature, non è che la sua stessa essenza. Perciò l'oggetto proprio e principale della speranza è la beatitudine eterna.

[39453] IIª-IIae q. 17 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod beatitudo aeterna perfecte quidem in cor hominis non ascendit, ut scilicet cognosci possit ab homine viatore quae et qualis sit, sed secundum communem rationem, scilicet boni perfecti, cadere potest in apprehensione hominis. Et hoc modo motus spei in ipsam consurgit. Unde et signanter apostolus dicit quod spes incedit usque ad interiora velaminis, quia id quod speramus est nobis adhuc velatum.

 

[39453] IIª-IIae q. 17 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La beatitudine eterna non può ascendere perfettamente nel cuore dell'uomo, così da far conoscere all'uomo viatore quale essa sia; ma può essere percepita dall'uomo secondo un concetto generico, cioè come il bene perfetto. Ed è così che il moto della speranza muove verso di essa. Ecco perché l'Apostolo dice espressamente che la speranza penetra "al di là del velo": poiché quanto speriamo è ancora velato per noi.

[39454] IIª-IIae q. 17 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod quaecumque alia bona non debemus a Deo petere nisi in ordine ad beatitudinem aeternam. Unde et spes principaliter quidem respicit beatitudinem aeternam; alia vero quae petuntur a Deo respicit secundario, in ordine ad beatitudinem aeternam. Sicut etiam fides respicit principaliter Deum, et secundario respicit ea quae ad Deum ordinantur, ut supra dictum est.

 

[39454] IIª-IIae q. 17 a. 2 ad 2
2. Non dobbiamo chiedere a Dio nessun altro bene, che in ordine alla beatitudine eterna. Perciò la speranza riguarda principalmente la felicità eterna; e tutte le altre cose che si chiedono a Dio le considera come secondarie, e in ordine a codesta felicità. Esattamente come la fede, la quale principalmente ha per oggetto Dio, e secondariamente le cose che a Dio sono ordinate, come sopra abbiamo spiegato.

[39455] IIª-IIae q. 17 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod homini qui anhelat ad aliquid magnum, parvum videtur omne aliud quod est eo minus. Et ideo homini speranti beatitudinem aeternam, habito respectu ad istam spem, nihil aliud est arduum. Sed habito respectu ad facultatem sperantis, possunt etiam quaedam alia ei esse ardua. Et secundum hoc eorum potest esse spes in ordine ad principale obiectum.

 

[39455] IIª-IIae q. 17 a. 2 ad 3
3. A un uomo che aspira a qualche cosa di grande sembra piccolo tutto ciò che è al di sotto di quello scopo. Ecco perché chi spera la beatitudine eterna niente considera arduo a confronto di tale speranza. Ma in rapporto alle capacità di chi spera, possono essere ardue anche altre cose. E sotto tale aspetto queste pure possono essere oggetto di speranza, sempre in ordine all'oggetto principale di essa.




Seconda parte > Le azioni umane > La speranza > La speranza come tale > Se uno possa sperare la beatitudine eterna di un altro


Secunda pars secundae partis
Quaestio 17
Articulus 3

[39456] IIª-IIae q. 17 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod aliquis possit sperare alteri beatitudinem aeternam. Dicit enim apostolus, Philipp. I, confidens hoc ipsum, quia qui coepit in vobis opus bonum perficiet usque in diem Christi Iesu. Perfectio aut illius diei erit beatitudo aeterna. Ergo aliquis potest alteri sperare beatitudinem aeternam.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 17
Articolo 3

[39456] IIª-IIae q. 17 a. 3 arg. 1
SEMBRA che uno possa sperare la beatitudine eterna di altri. Infatti:
1. L'Apostolo scrive: "Sperando appunto in questo che chi ha cominciato in voi l'opera buona la porti a perfezione fino al giorno di Cristo Gesù". Ora, la perfezione di quel giorno sarà la beatitudine eterna. Dunque uno può sperare per altri la beatitudine eterna.

[39457] IIª-IIae q. 17 a. 3 arg. 2
Praeterea, ea quae a Deo petimus speramus obtinere ab eo. Sed a Deo petimus quod alios ad beatitudinem aeternam perducat, secundum illud Iac. ult., orate pro invicem ut salvemini. Ergo possumus aliis sperare beatitudinem aeternam.

 

[39457] IIª-IIae q. 17 a. 3 arg. 2
2. Ciò che noi chiediamo a Dio, speriamo di ottenerlo. Ma a Dio chiediamo di condurre gli altri alla felicità eterna, secondo le parole di S. Giacomo: "Pregate l'uno per l'altro, per essere salvi". Dunque possiamo sperare per altri la beatitudine eterna.

[39458] IIª-IIae q. 17 a. 3 arg. 3
Praeterea, spes et desperatio sunt de eodem. Sed aliquis potest desperare de beatitudine aeterna alicuius, alioquin frustra diceret Augustinus, in libro de Verb. Dom., de nemine esse desperandum dum vivit. Ergo etiam potest aliquis sperare alteri vitam aeternam.

 

[39458] IIª-IIae q. 17 a. 3 arg. 3
3. Speranza e disperazione hanno il medesimo oggetto. Ora, uno può disperare della beatitudine eterna di qualcuno: altrimenti non si spiegherebbe l'affermazione di S. Agostino, che "non si deve disperare di nessuno durante la sua vita". Perciò uno può sperare la vita eterna di altri.

[39459] IIª-IIae q. 17 a. 3 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in Enchirid., quod spes non est nisi rerum ad eum pertinentium qui earum spem gerere perhibetur.

 

[39459] IIª-IIae q. 17 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino insegna, che "non si ha vera speranza che per le cose riguardanti colui che è interessato al loro conseguimento".

[39460] IIª-IIae q. 17 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod spes potest esse alicuius dupliciter. Uno quidem modo, absolute, et sic est solum boni ardui ad se pertinentis. Alio modo, ex praesuppositione alterius, et sic potest esse etiam eorum quae ad alium pertinent. Ad cuius evidentiam sciendum est quod amor et spes in hoc differunt quod amor importat quandam unionem amantis ad amatum; spes autem importat quendam motum sive protensionem appetitus in aliquod bonum arduum. Unio autem est aliquorum distinctorum, et ideo amor directe potest respicere alium, quem sibi aliquis unit per amorem, habens eum sicut seipsum. Motus autem semper est ad proprium terminum proportionatum mobili, et ideo spes directe respicit proprium bonum, non autem id quod ad alium pertinet. Sed praesupposita unione amoris ad alterum, iam aliquis potest desiderare et sperare aliquid alteri sicut sibi. Et secundum hoc aliquis potest sperare alteri vitam aeternam, inquantum est ei unitus per amorem. Et sicut est eadem virtus caritatis qua quis diligit Deum, seipsum et proximum, ita etiam est eadem virtus spei qua quis sperat sibi ipsi et alii.

 

[39460] IIª-IIae q. 17 a. 3 co.
RISPONDO: Una cosa può essere oggetto di speranza in due maniere. Primo, in senso assoluto: e in questo modo lo è soltanto il bene arduo del soggetto che spera. Secondo, (in senso ipotetico, cioè) presupponendo altre cose: e così può essere oggetto di speranza anche il bene altrui. Per chiarire la cosa bisogna notare che l'amore e la speranza differiscono in questo, che il primo implica una certa unione di chi ama con l'oggetto amato; invece la speranza implica un moto, o tendenza dell'appetito verso un bene arduo. Ora, l'unione interessa sempre due esseri distinti: ecco perché nell'amore uno riguarda direttamente un altro che tende ad unire a sé, considerandolo un altro se stesso. Invece un moto ha per oggetto il termine proprio proporzionato alla mozione: quindi la speranza riguarda direttamente il proprio bene, non già quanto può interessare altri. Però, presupposta l'unione affettiva con altri, uno può desiderare e sperare qualche cosa per essi come per se medesimo. In tal senso uno può sperare ad altri la vita eterna, in quanto è unito ad essi con l'amore. E come è identica la carità con la quale uno ama Dio, se stesso e il prossimo, così è identica la virtù della speranza con la quale si spera per sé e per altri.

[39461] IIª-IIae q. 17 a. 3 ad arg.
Et per hoc patet responsio ad obiecta.

 

[39461] IIª-IIae q. 17 a. 3 ad arg.
Sono così risolte anche le difficoltà.




Seconda parte > Le azioni umane > La speranza > La speranza come tale > Se si possa sperare lecitamente nell'uomo


Secunda pars secundae partis
Quaestio 17
Articulus 4

[39462] IIª-IIae q. 17 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod aliquis possit licite sperare in homine. Spei enim obiectum est beatitudo aeterna. Sed ad beatitudinem aeternam consequendam adiuvamur patrociniis sanctorum, dicit enim Gregorius, in I Dial., quod praedestinatio iuvatur precibus sanctorum. Ergo aliquis potest in homine sperare.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 17
Articolo 4

[39462] IIª-IIae q. 17 a. 4 arg. 1
SEMBRA che si possa sperare lecitamente nell'uomo. Infatti:
1. Oggetto della speranza è la beatitudine eterna. Ora, per conseguire codesta beatitudine troviamo aiuto nel patrocinio dei santi: poiché S. Gregorio insegna, che "la predestinazione ha un aiuto dalle preghiere dei santi". Dunque si può sperare nell'uomo.

[39463] IIª-IIae q. 17 a. 4 arg. 2
Praeterea, si non potest aliquis sperare in homine, non esset reputandum alicui in vitium quod in eo aliquis sperare non possit. Sed hoc de quibusdam in vitium dicitur, ut patet Ierem. IX, unusquisque a proximo suo se custodiat, et in omni fratre suo non habeat fiduciam. Ergo licite potest aliquis sperare in homine.

 

[39463] IIª-IIae q. 17 a. 4 arg. 2
2. Se non si potesse sperare nell'uomo, non si dovrebbe considerare peccaminoso il fatto che uno si rende tale da non ispirare fiducia. Ma ad alcuni ciò viene rimproverato, come appare da quelle parole di Geremia: "Ciascuno stia in guardia dal suo prossimo, e non si fidi d'alcuno dei suoi fratelli". Perciò è lecito sperare nell'uomo.

[39464] IIª-IIae q. 17 a. 4 arg. 3
Praeterea, petitio est interpretativa spei, sicut dictum est. Sed licite potest homo aliquid petere ab homine. Ergo licite potest sperare de eo.

 

[39464] IIª-IIae q. 17 a. 4 arg. 3
3. La preghiera di domanda, come abbiamo detto, è l'interprete della speranza. Ma un uomo può chiedere qualche cosa a un altro uomo. Quindi può sperare lecitamente da lui.

[39465] IIª-IIae q. 17 a. 4 s. c.
Sed contra est quod dicitur Ierem. XVII, maledictus homo qui confidit in homine.

 

[39465] IIª-IIae q. 17 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Maledetto l'uomo che ha fiducia nell'uomo".

[39466] IIª-IIae q. 17 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod spes, sicut dictum est, duo respicit, scilicet bonum quod obtinere intendit; et auxilium per quod illud bonum obtinetur. Bonum autem quod quis sperat obtinendum habet rationem causae finalis; auxilium autem per quod quis sperat illud bonum obtinere habet rationem causae efficientis. In genere autem utriusque causae invenitur principale et secundarium. Principalis enim finis est finis ultimus; secundarius autem finis est bonum quod est ad finem. Similiter principalis causa agens est primum agens; secundaria vero causa efficiens est agens secundarium instrumentale. Spes autem respicit beatitudinem aeternam sicut finem ultimum; divinum autem auxilium sicut primam causam inducentem ad beatitudinem. Sicut igitur non licet sperare aliquod bonum praeter beatitudinem sicut ultimum finem, sed solum sicut id quod est ad finem beatitudinis ordinatum; ita etiam non licet sperare de aliquo homine, vel de aliqua creatura, sicut de prima causa movente in beatitudinem; licet autem sperare de aliquo homine, vel de aliqua creatura, sicut de agente secundario et instrumentali, per quod aliquis adiuvatur ad quaecumque bona consequenda in beatitudinem ordinata. Et hoc modo ad sanctos convertimur; et ab hominibus aliqua petimus; et vituperantur illi de quibus aliquis confidere non potest ad auxilium ferendum.

 

[39466] IIª-IIae q. 17 a. 4 co.
RISPONDO: Come abbiamo già visto, la speranza ha di mira due cose: il bene cui si aspira, e l'aiuto col quale esso si raggiunge. Ora, il bene che uno spera di raggiungere ha funzione di causa finale; invece l'aiuto col quale spera di raggiungerlo ha natura di causa efficiente. Ma in tutti e due i generi di causalità c'è l'elemento principale e quello secondario. Infatti fine principale è il fine ultimo; mentre è fine secondario il bene che serve come mezzo per il raggiungimento del fine. Parimente causa efficiente principale è il primo agente; e causa efficiente secondaria è la causa agente secondaria e strumentale. Ora, la speranza ha di mira la beatitudine eterna come ultimo fine, e l'aiuto di Dio come causa prima che porta alla beatitudine. Perciò, come non è lecito sperare un bene diverso dalla beatitudine quale ultimo fine, ma solo quale mezzo ad essa subordinato; così non è lecito sperare in un uomo, o in altra creatura, come se si trattasse di una causa prima, capace di condurre alla beatitudine. Mentre è lecito sperare da un uomo, o da altre creature, se si considerano quali agenti secondari e strumentali, capaci di servire al conseguimento di certi beni ordinati alla beatitudine. - È così che noi ci rivolgiamo ai santi, e chiediamo anche agli uomini determinate cose; ed è per questo che vengono rimproverati coloro dai quali non si può sperare un aiuto.

[39467] IIª-IIae q. 17 a. 4 ad arg.
Et per hoc patet responsio ad obiecta.

 

[39467] IIª-IIae q. 17 a. 4 ad arg.
Così sono risolte anche le difficoltà.




Seconda parte > Le azioni umane > La speranza > La speranza come tale > Se la speranza sia virtù teologale


Secunda pars secundae partis
Quaestio 17
Articulus 5

[39468] IIª-IIae q. 17 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod spes non sit virtus theologica. Virtus enim theologica est quae habet Deum pro obiecto. Sed spes non habet solum Deum pro obiecto, sed etiam alia bona quae a Deo obtinere speramus. Ergo spes non est virtus theologica.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 17
Articolo 5

[39468] IIª-IIae q. 17 a. 5 arg. 1
SEMBRA che la speranza non sia virtù teologale. Infatti:
1. Si dice teologale quella virtù che ha Dio per oggetto. Ora, la speranza non ha per oggetto soltanto Dio, ma anche altri beni che speriamo ottenere da lui. Dunque la speranza non è una virtù teologale.

[39469] IIª-IIae q. 17 a. 5 arg. 2
Praeterea, virtus theologica non consistit in medio duorum vitiorum, ut supra habitum est. Sed spes consistit in medio praesumptionis et desperationis. Ergo spes non est virtus theologica.

 

[39469] IIª-IIae q. 17 a. 5 arg. 2
2. Abbiamo già visto che una virtù teologale non sta come termine intermedio tra due vizi. Invece la speranza sta tra la presunzione e la disperazione. Perciò non è virtù teologale.

[39470] IIª-IIae q. 17 a. 5 arg. 3
Praeterea, expectatio pertinet ad longanimitatem, quae est pars fortitudinis. Cum ergo spes sit quaedam expectatio, videtur quod spes non sit virtus theologica, sed moralis.

 

[39470] IIª-IIae q. 17 a. 5 arg. 3
3. L'attesa appartiene alla longanimità, che è una specie della fortezza. Ora, essendo la speranza una specie di attesa, non sembra che possa essere virtù teologale, ma piuttosto morale.

[39471] IIª-IIae q. 17 a. 5 arg. 4
Praeterea, obiectum spei est arduum. Sed tendere in arduum pertinet ad magnanimitatem, quae est virtus moralis. Ergo spes est virtus moralis, et non theologica.

 

[39471] IIª-IIae q. 17 a. 5 arg. 4
4. Oggetto della speranza sono le cose ardue. Ma tendere alle cose ardue è compito della magnanimità, che è una virtù morale. Quindi la speranza è virtù morale, e non teologale.

[39472] IIª-IIae q. 17 a. 5 s. c.
Sed contra est quod, I ad Cor. XIII, connumeratur fidei et caritati quae sunt virtutes theologicae.

 

[39472] IIª-IIae q. 17 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: S. Paolo enumera la speranza con la fede e la carità, che sono virtù teologali.

[39473] IIª-IIae q. 17 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod, cum differentiae specificae per se dividant genus, oportet attendere unde habeat spes rationem virtutis, ad hoc quod sciamus sub qua differentia virtutis collocetur. Dictum est autem supra quod spes habet rationem virtutis ex hoc quod attingit supremam regulam humanorum actuum; quam attingit et sicut primam causam efficientem, inquantum eius auxilio innititur; et sicut ultimam causam finalem, inquantum in eius fruitione beatitudinem expectat. Et sic patet quod spei, inquantum est virtus, principale obiectum est Deus. Cum igitur in hoc consistat ratio virtutis theologicae quod Deum habeat pro obiecto, sicut supra dictum est, manifestum est quod spes est virtus theologica.

 

[39473] IIª-IIae q. 17 a. 5 co.
RISPONDO: Un genere viene diviso propriamente dalle sue differenze specifiche; perciò bisogna guardare da che cosa la speranza desume la ragione di virtù, per sapere in quale categoria di virtù debba essere collocata. Ora, noi abbiamo visto sopra che la speranza ha natura di virtù per il fatto che si adegua alla suprema regola degli atti umani: considerandola, sia come prima causa efficiente, in quanto si fonda sull'aiuto di essa, sia come causa finale ultima, in quanto attende la beatitudine nella fruizione della medesima. Da ciò è evidente che l'oggetto principale della speranza, in quanto virtù, è Dio stesso. E poiché la nozione di virtù teologale consiste nell'avere Dio per oggetto, come fu spiegato in precedenza, è chiaro che la speranza è una virtù teologale.

[39474] IIª-IIae q. 17 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod quaecumque alia spes adipisci expectat, sperat in ordine ad Deum sicut ad ultimum finem et sicut ad primam causam efficientem, ut dictum est.

 

[39474] IIª-IIae q. 17 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Tutte le altre cose che la speranza conta di raggiungere, spera di farlo, secondo le spiegazioni date, in ordine a Dio come ad ultimo fine e come a prima causa efficiente.

[39475] IIª-IIae q. 17 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod medium accipitur in regulatis et mensuratis secundum quod regula vel mensura attingitur; secundum autem quod exceditur regula, est superfluum; secundum autem defectum a regula, est diminutum. In ipsa autem regula vel mensura non est accipere medium et extrema. Virtus autem moralis est circa ea quae regulantur ratione sicut circa proprium obiectum, et ideo per se convenit ei esse in medio ex parte proprii obiecti. Sed virtus theologica est circa ipsam regulam primam, non regulatam alia regula, sicut circa proprium obiectum. Et ideo per se, et secundum proprium obiectum, non convenit virtuti theologicae esse in medio. Sed potest sibi competere per accidens, ratione eius quod ordinatur ad principale obiectum. Sicut fides non potest habere medium et extrema in hoc quod innitatur primae veritati, cui nullus potest nimis inniti, sed ex parte eorum quae credit, potest habere medium et extrema, sicut unum verum est medium inter duo falsa. Et similiter spes non habet medium et extrema ex parte principalis obiecti, quia divino auxilio nullus potest nimis inniti, sed quantum ad ea quae confidit aliquis se adepturum, potest ibi esse medium et extrema, inquantum vel praesumit ea quae sunt supra suam proportionem, vel desperat de his quae sunt sibi proportionata.

 

[39475] IIª-IIae q. 17 a. 5 ad 2
2. Nelle cose soggette a una regola, o misura, il giusto mezzo consiste nell'adeguarsi alla regola, o misura: se si sorpassa la regola abbiamo il superfluo; e se si sta al di sotto abbiamo una menomazione. Ma nella regola stessa non si può determinare il giusto mezzo e i due estremi. Ora, le virtù morali hanno per oggetto proprio cose regolate dalla ragione: ecco perché è proprio di esse in forza del loro oggetto stare nel giusto mezzo. Ma le virtù teologali hanno per oggetto la regola prima e suprema, non regolata da altre regole. Perciò di suo e in forza del proprio oggetto alle virtù teologali non spetta di stare in un dato intermedio. Questo può loro competere per accidens, in forza di ciò che è subordinato all'oggetto principale. La fede, p. es., non può avere un giusto mezzo e termini estremi nell'aderire alla prima verità, poiché nessuno può eccedere in questa adesione: ma per le cose credute, ci possono essere il giusto mezzo e i due estremi, in quanto una verità sta come termine intermedio tra due errori. Parimente la speranza non ha un termine medio e i due estremi per quanto riguarda l'oggetto principale, poiché nessuno può eccedere nel confidare nell'aiuto di Dio: ma in rapporto alle cose che uno spera di raggiungere ci possono essere il giusto mezzo e gli estremi, o perché uno presume cose superiori alla sua condizione, o perché non spera cose che a lui sono proporzionate.

[39476] IIª-IIae q. 17 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod expectatio quae ponitur in definitione spei non importat dilationem, sicut expectatio quae pertinet ad longanimitatem, sed importat respectum ad auxilium divinum, sive illud quod speratur differatur, sive non differatur.

 

[39476] IIª-IIae q. 17 a. 5 ad 3
3. L'attesa di cui si parla nella definizione della speranza non implica dilazione, come l'attesa che interessa la longanimità: ma implica soltanto un rapporto all'aiuto divino, non solo quando la cosa sperata viene differita, ma anche quando è imminente.

[39477] IIª-IIae q. 17 a. 5 ad 4
Ad quartum dicendum quod magnanimitas tendit in arduum sperans aliquid quod est suae potestatis. Unde proprie respicit operationem aliquorum magnorum. Sed spes, secundum quod est virtus theologica, respicit arduum alterius auxilio assequendum, ut dictum est.

 

[39477] IIª-IIae q. 17 a. 5 ad 4
4. La magnanimità tende alle cose ardue, sperando ciò che è in potere di chi spera. Perciò propriamente riguarda le opere dei grandi. Invece la speranza virtù teologale ha di mira cose ardue da raggiungere, come abbiamo detto, mediante l'aiuto di altri.




Seconda parte > Le azioni umane > La speranza > La speranza come tale > Se la speranza sia una virtù distinta dalle altre virtù teologali


Secunda pars secundae partis
Quaestio 17
Articulus 6

[39478] IIª-IIae q. 17 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod spes non sit virtus distincta ab aliis theologicis. Habitus enim distinguuntur secundum obiecta, ut supra dictum est. Sed idem est obiectum spei et aliarum virtutum theologicarum. Ergo spes non distinguitur ab aliis virtutibus theologicis.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 17
Articolo 6

[39478] IIª-IIae q. 17 a. 6 arg. 1
SEMBRA che la speranza non sia una virtù distinta dalle altre virtù teologali. Infatti:
1. Come sopra abbiamo dimostrato, gli abiti si distinguono tra loro secondo gli oggetti. Ora, l'oggetto della speranza e delle altre virtù teologali è identico. Dunque la speranza non si distingue dalle altre virtù teologali.

[39479] IIª-IIae q. 17 a. 6 arg. 2
Praeterea, in symbolo fidei, in quo fidem profitemur, dicitur, expecto resurrectionem mortuorum et vitam futuri saeculi. Sed expectatio futurae beatitudinis pertinet ad spem, ut supra dictum est. Ergo spes a fide non distinguitur.

 

[39479] IIª-IIae q. 17 a. 6 arg. 2
2. Nel simbolo, col quale professiamo la nostra fede, diciamo: "Attendo la resurrezione dei morti e la vita del secolo futuro". Ora, l'attesa della futura beatitudine appartiene, come si è detto, alla speranza. Perciò la speranza non si distingue dalla fede.

[39480] IIª-IIae q. 17 a. 6 arg. 3
Praeterea, per spem homo tendit in Deum. Sed hoc proprie pertinet ad caritatem. Ergo spes a caritate non distinguitur.

 

[39480] IIª-IIae q. 17 a. 6 arg. 3
3. Con la speranza l'uomo tende a Dio. Ma questo appartiene in proprio alla carità. Dunque la speranza non è distinta dalla carità.

[39481] IIª-IIae q. 17 a. 6 s. c.
Sed contra, ubi non est distinctio ibi non est numerus. Sed spes connumeratur aliis virtutibus theologicis, dicit enim Gregorius, in I Moral., esse tres virtutes, fidem, spem et caritatem. Ergo spes est virtus distincta ab aliis theologicis.

 

[39481] IIª-IIae q. 17 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: Dove non c'è distinzione non c'è pluralità numerica. Ma la speranza viene enumerata con le altre virtù teologali: infatti S. Gregorio insegna che fede, speranza e carità sono tre virtù. Quindi la speranza è una virtù distinta dalle altre virtù teologali.

[39482] IIª-IIae q. 17 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod virtus aliqua dicitur theologica ex hoc quod habet Deum pro obiecto cui inhaeret. Potest autem aliquis alicui rei inhaerere dupliciter, uno modo, propter seipsum; alio modo, inquantum ex eo ad aliud devenitur. Caritas igitur facit hominem Deo inhaerere propter seipsum, mentem hominis uniens Deo per affectum amoris. Spes autem et fides faciunt hominem inhaerere Deo sicut cuidam principio ex quo aliqua nobis proveniunt. De Deo autem provenit nobis et cognitio veritatis et adeptio perfectae bonitatis. Fides ergo facit hominem Deo inhaerere inquantum est nobis principium cognoscendi veritatem, credimus enim ea vera esse quae nobis a Deo dicuntur. Spes autem facit Deo adhaerere prout est nobis principium perfectae bonitatis, inquantum scilicet per spem divino auxilio innitimur ad beatitudinem obtinendam.

 

[39482] IIª-IIae q. 17 a. 6 co.
RISPONDO: Una virtù si dice teologale per il fatto che ha Dio per oggetto cui si volge. Ora, uno può volgersi a un oggetto in due maniere: primo, per l'oggetto medesimo; secondo, per giungere ad altre cose in forza di esso. Ebbene, la carità fa volgere a Dio per se stesso, unendo a lui l'anima con l'affetto dell'amore. Invece la speranza e la fede ci fanno volgere a Dio come a un principio, dal quale ci derivano dei beni.
Da Dio infatti derivano a noi la conoscenza della verità e il conseguimento della perfetta beatitudine. Perciò la fede fa volgere l'uomo a Dio in quanto questi è principio per conoscere la verità: poiché noi crediamo vere le cose che ci sono rivelate da Dio. E la speranza ci fa volgere a Dio in quanto egli è per noi principio della perfetta beatitudine: cioè in quanto mediante la speranza contiamo sull'aiuto divino per raggiungere la perfetta felicità.

[39483] IIª-IIae q. 17 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Deus secundum aliam et aliam rationem est obiectum harum virtutum, ut dictum est. Ad distinctionem autem habituum sufficit diversa ratio obiecti, ut supra habitum est.

 

[39483] IIª-IIae q. 17 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dio è oggetto di codeste virtù secondo ragioni distinte, come abbiamo spiegato. E per una distinzione di abiti basta una diversa ragione oggettiva.

[39484] IIª-IIae q. 17 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod expectatio ponitur in symbolo fidei non quia sit actus proprius fidei, sed inquantum actus spei praesupponit fidem, ut dicetur, et sic actus fidei manifestantur per actus spei.

 

[39484] IIª-IIae q. 17 a. 6 ad 2
2. L'attesa si trova nel simbolo non perché sia un atto proprio della fede; ma perché l'atto della speranza presuppone la fede, come diremo, e a loro volta gli atti della fede vengono manifestati da quelli della speranza.

[39485] IIª-IIae q. 17 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod spes facit tendere in Deum sicut in quoddam bonum finale adipiscendum, et sicut in quoddam adiutorium efficax ad subveniendum. Sed caritas proprie facit tendere in Deum uniendo affectum hominis Deo, ut scilicet homo non sibi vivat sed Deo.

 

[39485] IIª-IIae q. 17 a. 6 ad 3
3. La speranza fa tendere a Dio come a un bene finale da raggiungere, e come a un aiuto atto a soccorrere. Invece la carità fa tendere a Dio unendo a lui l'affetto dell'uomo, sicché questi non viva più per sé ma per Dio.




Seconda parte > Le azioni umane > La speranza > La speranza come tale > Se la speranza preceda la fede


Secunda pars secundae partis
Quaestio 17
Articulus 7

[39486] IIª-IIae q. 17 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod spes praecedat fidem. Quia super illud Psalm., spera in domino, et fac bonitatem, dicit Glossa, spes est introitus fidei, initium salutis. Sed salus est per fidem, per quam iustificamur. Ergo spes praecedit fidem.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 17
Articolo 7

[39486] IIª-IIae q. 17 a. 7 arg. 1
SEMBRA che la speranza preceda la fede. Infatti:
1. Nel commentare quel passo dei Salmi: "Confida nel Signore e fa' il bene", la Glossa afferma, che "la speranza è un'introduzione alla fede, e inizio della salvezza". Ora, la salvezza dipende dalla fede, dalla quale siamo giustificati. Dunque la speranza precede la fede.

[39487] IIª-IIae q. 17 a. 7 arg. 2
Praeterea, illud quod ponitur in definitione alicuius debet esse prius et magis notum. Sed spes ponitur in definitione fidei, ut patet Heb. XI, fides est substantia rerum sperandarum. Ergo spes est prior fide.

 

[39487] IIª-IIae q. 17 a. 7 arg. 2
2. Quanto si trova nella definizione di una cosa dev'essere prima e più noto di essa. Ma la speranza si trova nella definizione della fede data da S. Paolo: "Fede è cominciamento di cose sperate". Perciò la speranza è prima della fede.

[39488] IIª-IIae q. 17 a. 7 arg. 3
Praeterea, spes praecedit actum meritorium, dicit enim apostolus, I ad Cor. IX, quod qui arat debet arare in spe fructus percipiendi. Sed actus fidei est meritorius. Ergo spes praecedit fidem.

 

[39488] IIª-IIae q. 17 a. 7 arg. 3
3. La speranza precede l'atto meritorio: poiché l'Apostolo insegna, che "chi ara deve arare con la speranza di raccogliere i frutti". Ora, l'atto della fede è meritorio. Dunque la speranza precede la fede.

[39489] IIª-IIae q. 17 a. 7 s. c.
Sed contra est quod Matth. I dicitur, Abraham genuit Isaac, idest fides spem, sicut dicit Glossa.

 

[39489] IIª-IIae q. 17 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO: Nel Vangelo si legge: "Abramo generò Isacco", cioè, come spiega la Glossa, "la fede generò la speranza".

[39490] IIª-IIae q. 17 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod fides absolute praecedit spem. Obiectum enim spei est bonum futurum arduum possibile haberi. Ad hoc ergo quod aliquis speret, requiritur quod obiectum spei proponatur ei ut possibile. Sed obiectum spei est uno modo beatitudo aeterna, et alio modo divinum auxilium, ut ex dictis patet. Et utrumque eorum proponitur nobis per fidem, per quam nobis innotescit quod ad vitam aeternam possumus pervenire, et quod ad hoc paratum est nobis divinum auxilium, secundum illud Heb. XI, accedentem ad Deum oportet credere quia est, et quia inquirentibus se remunerator est. Unde manifestum est quod fides praecedit spem.

 

[39490] IIª-IIae q. 17 a. 7 co.
RISPONDO: Assolutamente parlando, la fede precede la speranza. Infatti oggetto della speranza è il bene futuro arduo, possibile a conseguirsi. Quindi perché uno speri, si richiede che l'oggetto della speranza gli sia proposto come raggiungibile. Ora, oggetto della speranza è in un senso la beatitudine eterna, e in altro senso l'aiuto di Dio, come sopra abbiamo visto. E sia l'una che l'altra cosa è a noi proposta dalla fede, la quale ci fa conoscere che possiamo raggiungere la vita eterna, e che è a nostra disposizione l'aiuto di Dio; poiché sta scritto: "Chi si accosta a Dio deve credere che egli esiste, e che è rimuneratore di quelli che lo cercano". Perciò è chiaro che la fede precede la speranza.

[39491] IIª-IIae q. 17 a. 7 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut Glossa ibidem subdit, spes dicitur introitus fidei, idest rei creditae, quia per spem intratur ad videndum illud quod creditur. Vel potest dici quod est introitus fidei quia per eam homo intrat ad hoc quod stabiliatur et perficiatur in fide.

 

[39491] IIª-IIae q. 17 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come la Glossa aggiunge nel passo citato, la speranza si dice introduzione alla fede, cioè alle cose credute, "perché mediante la speranza si giunge a vedere quanto abbiamo creduto". - Oppure si può affermare che è introduzione alla fede in quanto dà stabilità e perfezione alla fede di un uomo.

[39492] IIª-IIae q. 17 a. 7 ad 2
Ad secundum dicendum quod in definitione fidei ponitur res speranda quia proprium obiectum fidei est non apparens secundum seipsum. Unde fuit necessarium ut quadam circumlocutione designaretur per id quod consequitur ad fidem.

 

[39492] IIª-IIae q. 17 a. 7 ad 2
2. Nella definizione della fede troviamo le cose sperate, perché l'oggetto della fede è per se stesso inevidente. Quindi era necessario designarlo, con una circonlocuzione, mediante cose che vengono dopo la fede.

[39493] IIª-IIae q. 17 a. 7 ad 3
Ad tertium dicendum quod non omnis actus meritorius habet spem praecedentem, sed sufficit si habeat concomitantem vel consequentem.

 

[39493] IIª-IIae q. 17 a. 7 ad 3
3. Non è detto che tutti gli atti meritori debbano essere preceduti dalla speranza: ma basta che siano accompagnati o seguiti da essa.




Seconda parte > Le azioni umane > La speranza > La speranza come tale > Se la carità sia prima della speranza


Secunda pars secundae partis
Quaestio 17
Articulus 8

[39494] IIª-IIae q. 17 a. 8 arg. 1
Ad octavum sic proceditur. Videtur quod caritas sit prior spe. Dicit enim Ambrosius, super illud Luc. XVII, si habueritis fidem sicut granum sinapis, etc., ex fide est caritas, ex caritate spes. Sed fides est prior caritate. Ergo caritas est prior spe.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 17
Articolo 8

[39494] IIª-IIae q. 17 a. 8 arg. 1
SEMBRA che la carità sia prima della speranza. Infatti:
1. S. Ambrogio, commentando quel passo evangelico: "Se voi aveste tanta fede quanto un granello di senapa", afferma che "dalla fede viene la carità, e dalla carità la speranza". Ma la fede è prima della carità. Dunque la carità è prima della speranza.

[39495] IIª-IIae q. 17 a. 8 arg. 2
Praeterea, Augustinus dicit, XIV de Civ. Dei, quod boni motus atque affectus ex amore et sancta caritate veniunt. Sed sperare, secundum quod est actus spei, est quidam bonus animi motus. Ergo derivatur a caritate.

 

[39495] IIª-IIae q. 17 a. 8 arg. 2
2. S. Agostino insegna, che "i moti e gli affetti buoni provengono dall'amore e dalla santa carità". Ma sperare, in quanto atto della speranza, è un moto buono dell'animo. Perciò esso deriva dalla carità.

[39496] IIª-IIae q. 17 a. 8 arg. 3
Praeterea, Magister dicit, XXVI dist. III Lib. Sent., quod spes ex meritis provenit, quae praecedunt non solum rem speratam, sed etiam spem, quam natura praeit caritas. Caritas ergo est prior spe.

 

[39496] IIª-IIae q. 17 a. 8 arg. 3
3. Il Maestro delle Sentenze scrive, che "la speranza proviene dai meriti, i quali precedono non soltanto le cose sperate, ma anche la speranza, che per natura è preceduta dalla carità". Dunque la carità precede la speranza.

[39497] IIª-IIae q. 17 a. 8 s. c.
Sed contra est quod apostolus dicit, I ad Tim. I, finis praecepti caritas est de corde puro et conscientia bona, Glossa, idest spe. Ergo spes est prior caritate.

 

[39497] IIª-IIae q. 17 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: L'Apostolo insegna: "Fine del precetto è l'amore che procede da un cuore puro e da una coscienza buona", cioè, come aggiunge la Glossa, "dalla speranza". Dunque la speranza è prima della carità.

[39498] IIª-IIae q. 17 a. 8 co.
Respondeo dicendum quod duplex est ordo. Unus quidem secundum viam generationis et materiae, secundum quem imperfectum prius est perfecto. Alius autem ordo est perfectionis et formae, secundum quem perfectum naturaliter prius est imperfecto. Secundum igitur primum ordinem spes est prior caritate. Quod sic patet. Quia spes, et omnis appetitivus motus, ex amore derivatur, ut supra habitum est, cum de passionibus ageretur. Amor autem quidam est perfectus, quidam imperfectus. Perfectus quidem amor est quo aliquis secundum se amatur, ut puta cui aliquis vult bonum, sicut homo amat amicum. Imperfectus amor est quo quis amat aliquid non secundum ipsum, sed ut illud bonum sibi ipsi proveniat, sicut homo amat rem quam concupiscit. Primus autem amor Dei pertinet ad caritatem, quae inhaeret Deo secundum seipsum, sed spes pertinet ad secundum amorem, quia ille qui sperat aliquid sibi obtinere intendit. Et ideo in via generationis spes est prior caritate. Sicut enim aliquis introducitur ad amandum Deum per hoc quod, timens ab ipso puniri, cessat a peccato, ut Augustinus dicit, super primam canonicam Ioan.; ita etiam et spes introducit ad caritatem, inquantum aliquis, sperans remunerari a Deo, accenditur ad amandum Deum et servandum praecepta eius. Sed secundum ordinem perfectionis caritas naturaliter prior est. Et ideo, adveniente caritate, spes perfectior redditur, quia de amicis maxime speramus. Et hoc modo dicit Ambrosius quod spes est ex caritate.

 

[39498] IIª-IIae q. 17 a. 8 co.
RISPONDO: Esistono due tipi di ordine. Il primo segue la via della generazione e della materia, e va da ciò che è imperfetto al perfetto. Il secondo è l'ordine della perfezione e della forma: e in base ad esso ciò che è perfetto è prima per natura di quanto è imperfetto. Ebbene, stando al primo, la speranza è prima della carità. Ed eccone la dimostrazione. La speranza, come ogni altro moto appetitivo, deriva dall'amore, come abbiamo visto sopra nel trattato delle passioni. Esiste però un amore perfetto e un amore imperfetto. L'amore perfetto è quello col quale uno viene amato per se stesso, ed è colui al quale si vuole del bene: è così appunto che uno ama il suo amico. L'amore imperfetto è quello col quale uno ama una cosa non per se stessa, ma per appropriarsi il bene di essa: ed è così che un uomo ama le cose di cui ha il desiderio o concupiscenza. Ora, amare Dio con quel primo amore è proprio della carità, la quale aderisce a Dio per se stesso: la speranza invece consiste nel secondo, poiché chi spera tende a ottenere qualche cosa per se medesimo. Ecco perché in ordine genetico la speranza precede la carità. Infatti come uno si dispone ad amare Dio, a detta di S. Agostino, per il fatto che cessa dal peccato nel timore di essere da lui punito; così la speranza predispone alla carità, in quanto uno, nella speranza di essere ricompensato da Dio, si infervora ad amarlo, e a osservarne i comandamenti. - Ma in ordine di perfezione la carità è prima per natura. Perciò, al sopraggiungere della carità, la speranza diviene più perfetta: poiché dagli amici speriamo nel modo più assoluto. E in tal senso S. Ambrogio afferma che la speranza viene dalla carità.

[39499] IIª-IIae q. 17 a. 8 ad 1
Unde patet responsio ad primum.

 

[39499] IIª-IIae q. 17 a. 8 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. È così risolta la prima obiezione.

[39500] IIª-IIae q. 17 a. 8 ad 2
Ad secundum dicendum quod spes, et omnis motus appetitivus, ex amore provenit aliquo, quo scilicet aliquis amat bonum expectatum. Sed non omnis spes provenit a caritate, sed solum motus spei formatae, qua scilicet aliquis sperat bonum a Deo ut ab amico.

 

[39500] IIª-IIae q. 17 a. 8 ad 2
2. La speranza, come ogni altro moto appetitivo, deriva da un amore, cioè dal fatto che uno ama il bene che attende. Ma non qualsiasi speranza proviene dalla carità: bensì i soli moti della speranza formata, in forza della quale uno spera il bene da Dio come da un amico.

[39501] IIª-IIae q. 17 a. 8 ad 3
Ad tertium dicendum quod Magister loquitur de spe formata, quam naturaliter praecedit caritas, et merita ex caritate causata.

 

[39501] IIª-IIae q. 17 a. 8 ad 3
3. Il Maestro delle Sentenze parla della speranza formata, che la carità precede in ordine di natura, come precede i meriti da essa causati.

Alla Questione precedente

 

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