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Se i dodici gradi dell'umiltà posti nella Regola di S. Benedetto siano giustificati
Secunda pars secundae partis
Quaestio 161
Articulus 6
[45502] IIª-IIae, q. 161 a. 6 arg. 1 Ad sextum sic proceditur. Videtur quod inconvenienter distinguantur duodecim gradus humilitatis qui in regula beati Benedicti ponuntur, quorum primus est, corde et corpore semper humilitatem ostendere, defixis in terram aspectibus; secundus, ut pauca verba, et rationabilia loquatur aliquis, non clamosa voce; tertius, ut non sit facilis aut promptus in risum; quartus, taciturnitas usque ad interrogationem; quintus, tenere quod habet communis monasterii regula; sextus, credere et pronuntiare se omnibus viliorem; septimus, ad omnia indignum et inutilem se confiteri et credere; octavus, confessio peccatorum; nonus, pro obedientia in duris et asperis patientiam amplecti; decimus, ut cum obedientia se subdat maiori; undecimus, ut voluntatem propriam non delectetur implere; duodecimus, ut Deum timeat, et memor sit omnium quae praecepit. Enumerantur enim hic quaedam quae ad alias virtutes pertinent, sicut obedientia et patientia. Enumerantur etiam aliqua quae ad falsam opinionem pertinere videntur, quae nulli virtuti potest competere, scilicet quod aliquis pronuntiet se omnibus viliorem, quod ad omnia indignum et inutilem se confiteatur et credat. Ergo inconvenienter ista ponuntur inter gradus humilitatis.
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Seconda parte della seconda parte
Questione 161
Articolo 6
[45502] IIª-IIae, q. 161 a. 6 arg. 1
SEMBRA che non siano giustificati i dodici gradi dell'umiltà posti nella Regola di S. Benedetto: il primo dei quali consiste nel "mostrare dovunque l'umiltà con l'animo e col corpo, tenendo gli occhi fissi a terra"; il secondo "nel dire poche parole e giustificate, senza alzare la voce"; il terzo "nel non essere facile né pronto a ridere"; il quarto nel "conservare la taciturnità fino a che non si è interrogati"; il quinto nel "seguire la regola comune del monastero"; il sesto nel "credere e protestare di essere il più vile di tutti"; il settimo nel "protestarsi e nel credersi inutile e incapace di tutto"; l'ottavo consiste nella "confessione delle colpe"; il nono nell'"accettare pazientemente l'obbedienza nelle cose dure e difficili"; il decimo "nel sottomettersi per obbedienza ai superiori"; l'undicesimo "nel non fare volentieri la propria volontà"; il dodicesimo "nel temere Dio e nel ricordare tutto quello che egli ha comandato". Infatti:
1. In questo elenco sono incluse delle cose che riguardano altre virtù, come l'obbedienza e la pazienza. Inoltre ce ne sono altre che non sono tollerabili con nessuna virtù, perché son false: p. es., il "protestare di essere il più vile di tutti", e il "protestarsi e il credersi incapace e inutile in tutto". Perciò non è giusto mettere queste cose tra i gradi dell'umiltà.
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[45503] IIª-IIae, q. 161 a. 6 arg. 2 Praeterea, humilitas ab interioribus ad exteriora procedit, sicut et ceterae virtutes. Inconvenienter igitur praemittuntur in praemissis gradibus illa quae pertinent ad exteriores actus, his quae pertinent ad interiores.
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[45503] IIª-IIae, q. 161 a. 6 arg. 2
2. L'umiltà, come le altre virtù, va dagli atti interni a quelli esterni. Perciò non è giusto metter prima, come nei gradi suddetti, ciò che riguarda gli atti esterni.
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[45504] IIª-IIae, q. 161 a. 6 arg. 3 Praeterea, Anselmus, in libro de similitudinibus, ponit septem humilitatis gradus, quorum primus est, contemptibilem se esse cognoscere; secundus, de hoc dolere; tertius, hoc confiteri; quartus, hoc persuadere, ut scilicet velit hoc credi; quintus, ut patienter sustineat hoc dici; sextus, ut patiatur contemptibiliter se tractari; septimus, ut hoc amet. Ergo videntur praemissi gradus esse superflui.
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[45504] IIª-IIae, q. 161 a. 6 arg. 3
3. S. Anselmo elenca sette gradi di umiltà: il primo dei quali sta nel "riconoscersi degni di disprezzo"; il secondo nell'"addolorarsi di questo"; il terzo "nel confessarlo apertamente"; il quarto "nel convincerne gli altri", cioè nel volere che si creda; il quinto "nel sopportare con pazienza che ciò si dice"; il sesto "nel tollerare di essere trattati con disprezzo"; il settimo "nell'amare tutto questo". Perciò i gradi suddetti sono troppi.
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[45505] IIª-IIae, q. 161 a. 6 arg. 4 Praeterea, Matth. III dicit Glossa, perfecta humilitas tres habet gradus. Primus est subdere se maiori, et non praeferre se aequali, qui est sufficiens. Secundus est subdere se aequali, nec praeferre se minori, et hic dicitur abundans. Tertius gradus est subesse minori, in quo est omnis iustitia. Ergo praemissi gradus videntur esse superflui.
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[45505] IIª-IIae, q. 161 a. 6 arg. 4
4. Nel commentare il Vangelo la Glossa afferma: "La perfetta umiltà ha tre gradi. Il primo sta nel sottomettersi ai superiori, senza preferirsi agli uguali: ed è l'umiltà sufficiente. Il secondo consiste nel sottomettersi agli uguali, senza preferirsi agli inferiori: e questa è abbondante. Il terzo grado sta nel mettersi al di sotto degli inferiori: e allora si ha la totale giustizia". Dunque i gradi suddetti sono superflui.
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[45506] IIª-IIae, q. 161 a. 6 arg. 5 Praeterea, Augustinus dicit, in libro de Virginit., mensura humilitatis cuique ex mensura ipsius magnitudinis data est, cui est periculosa superbia, quae amplius amplioribus insidiatur. Sed mensura magnitudinis humanae non potest sub certo numero graduum determinari. Ergo videtur quod non possint determinati gradus humilitatis assignari.
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[45506] IIª-IIae, q. 161 a. 6 arg. 5
5. S. Agostino ha scritto: "La misura dell'umiltà per ciascuno deve essere la propria grandezza: cioè (dev'essere tanto più grande) quanto è più pericolosa la superbia, che insidia maggiormente i grandi". Ma la misura della grandezza umana non si può fissare in un determinato numero di gradi. Perciò è impossibile stabilire i gradi dell'umiltà.
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[45507] IIª-IIae, q. 161 a. 6 co. Respondeo dicendum quod, sicut ex supra dictis patet, humilitas essentialiter in appetitu consistit, secundum quod aliquis refrenat impetum animi sui, ne inordinate tendat in magna, sed regulam habet in cognitione, ut scilicet aliquis non se existimet esse supra id quod est. Et utriusque principium et radix est reverentia quam quis habet ad Deum. Ex interiori autem dispositione humilitatis procedunt quaedam exteriora signa in verbis et factis et gestibus, quibus id quod interius latet manifestatur, sicut et in ceteris virtutibus accidit, nam ex visu cognoscitur vir, et ab occursu faciei sensatus, ut dicitur Eccli. XIX. Et ideo in praedictis gradibus humilitatis ponitur aliquid quod pertinet ad humilitatis radicem, scilicet duodecimus gradus, qui est, ut homo Deum timeat, et memor sit omnium quae praecepit. Ponitur etiam aliquid pertinens ad appetitum, ne scilicet in propriam excellentiam inordinate tendat. Quod quidem fit tripliciter. Uno modo, ut non sequatur homo propriam voluntatem, quod pertinet ad undecimum gradum. Alio modo, ut regulet eam secundum superioris arbitrium, quod pertinet ad gradum decimum. Tertio modo, ut ab hoc non desistat propter dura et aspera quae occurrunt, et hoc pertinet ad nonum. Ponuntur etiam quaedam pertinentia ad existimationem hominis recognoscentis suum defectum. Et hoc tripliciter. Uno quidem modo, per hoc quod proprios defectus recognoscat et confiteatur, quod pertinet ad octavum gradum. Secundo, ut ex consideratione sui defectus aliquis insufficientem se existimet ad maiora, quod pertinet ad septimum. Tertio, ut quantum ad hoc sibi alios praeferat, quod pertinet ad sextum. Ponuntur etiam quaedam quae pertinent ad exteriora signa. Quorum unum est in factis, ut scilicet homo non recedat in suis operibus a via communi, quod pertinet ad quintum. Alia duo sunt in verbis, ut scilicet homo non praeripiat tempus loquendi, quod pertinet ad quartum; nec excedat modum in loquendo, quod pertinet ad secundum. Alia vero consistunt in exterioribus gestibus, puta in reprimendo extollentiam oculorum, quod pertinet ad primum; et in cohibendo exterius risum et alia ineptae laetitiae signa, quod pertinet ad tertium.
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[45507] IIª-IIae, q. 161 a. 6 co.
RISPONDO: Come sopra abbiamo detto, l'umiltà consiste essenzialmente negli atti del volere, con i quali si tengono a freno gli impulsi disordinati del proprio animo verso le cose grandi: essa però ha la sua regola nella conoscenza, in modo che uno non si stimi più di quello che è. Principio e radice di questi atti (della volontà e della ragione) è la riverenza che si ha verso Dio. Finalmente dall'atteggiamento interiore dell'umiltà derivano dei segni esterni, parole, azioni, gesti, che manifestano l'interno, come avviene per le altre virtù: poiché, come dice la Scrittura, "l'uomo sensato si conosce dall'aspetto e dal modo di presentarsi".
Perciò nei suddetti gradi dell'umiltà si riscontra un elemento che fa parte della radice dell'umiltà: cioè il dodicesimo grado che consiste "nel temere Dio, e nel ricordare tutto quello che ha comandato".
Ci sono poi elementi che riguardano la volontà: affinché non si cerchi disordinatamente la propria eccellenza. Il che si ottiene in tre modi. Primo, non assecondando la propria volontà: il che è ricordato dall'undicesimo grado. - Secondo, regolandola ad arbitrio del superiore: come si ha nel decimo. - Terzo, non desistendo a motivo delle cose dure e difficili che possono capitare: e questo è proprio del grado nono.
Ci sono anche degli elementi relativi alla disistima che uno deve avere di se stesso nel riconoscere i propri difetti. E anche questo si ottiene in tre modi. Primo, riconoscendo e confessando i propri difetti: ottavo grado. - Secondo, stimandosi incapace di cose importanti in considerazione delle proprie deficienze: ed è il grado settimo. - Terzo, non mettendosi per questo al di sopra degli altri: il che è proprio del grado sesto.
Ci sono finalmente dei dati che riguardano i segni esterni. Il primo dei quali si ha negli atti, e consiste nel non discostarsi dalla regola comune: quinto grado. - Ci sono poi due gradi i quali riguardano le parole: che non si parli prima del tempo, ed è il quarto; e che non si passi la misura, come si dice nel secondo. - Gli altri gradi riguardano i gesti: la modestia degli occhi, raccomandata dal primo grado; e la repressione del riso e degli altri segni di gioia spensierata, raccomandata dal terzo.
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[45508] IIª-IIae, q. 161 a. 6 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod aliquis absque falsitate potest se credere et pronuntiare omnibus viliorem, secundum defectus occultos quos in se recognoscit, et dona Dei quae in aliis latent. Unde Augustinus dicit, in libro de Virginit., existimate aliquos in occulto superiores, quibus estis in manifesto meliores. Similiter etiam absque falsitate potest aliquis confiteri et credere ad omnia se inutilem et indignum, secundum proprias vires, ut sufficientiam suam totam in Deum referat, secundum illud II ad Cor. III, non quod sufficientes simus cogitare aliquid a nobis, quasi ex nobis, sed sufficientia nostra ex Deo est. Non est autem inconveniens quod ea quae ad alias virtutes pertinent, humilitati adscribantur. Quia sicut unum vitium oritur ex alio, ita naturali ordine actus unius virtutis procedit ex actu alterius.
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[45508] IIª-IIae, q. 161 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Uno può, senza falsità, "credersi e protestarsi il più vile di tutti" in base ai difetti occulti che riconosce in se stesso, e ai doni di Dio nascosti negli altri. Di qui l'esortazione di S. Agostino: "Stimate a voi nascostamente superiori quelli cui siete migliori all'apparenza".
Parimente uno senza falsità può "protestare e credere di essere incapace ed inutile in tutto", considerando le proprie forze, attribuendo a Dio la propria capacità; come consiglia S. Paolo: "Non che da noi stessi siamo in grado di pensare qualche cosa, come fosse da noi, ma la sufficienza nostra viene da Dio".
E neppure ci sono inconvenienti ad attribuire all'umiltà gli atti propri di altre virtù. Poiché come un vizio può nascere da un altro, così naturalmente l'atto di una virtù deriva dall'atto di un'altra.
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[45509] IIª-IIae, q. 161 a. 6 ad 2 Ad secundum dicendum quod homo ad humilitatem pervenit per duo. Primo quidem et principaliter, per gratiae donum. Et quantum ad hoc, interiora praecedunt exteriora. Aliud autem est humanum studium, per quod homo prius exteriora cohibet, et postmodum pertingit ad extirpandum interiorem radicem. Et secundum hunc ordinem assignantur hic humilitatis gradus.
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[45509] IIª-IIae, q. 161 a. 6 ad 2
2. Due sono le vie per cui l'uomo può raggiungere l'umiltà. La prima e principale è mediante la grazia. E in questo caso le disposizioni interne precedono quelle esterne. - La seconda è lo sforzo personale: e in questo caso l'uomo prima si frena negli atti esterni, e poi arriva a estirparne l'intima radice. Ed è in quest'ordine che ha disposto i suoi gradi S. Benedetto.
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[45510] IIª-IIae, q. 161 a. 6 ad 3 Ad tertium dicendum quod omnes gradus quos Anselmus ponit, reducuntur ad opinionem et manifestationem et voluntatem propriae abiectionis. Nam primus gradus pertinet ad cognitionem proprii defectus. Sed quia vituperabile esset si quis proprium defectum amaret, hoc per secundum gradum excluditur. Sed ad manifestationem sui defectus pertinent tertius et quartus gradus, ut scilicet aliquis non solum simpliciter suum defectum enuntiet, sed etiam persuadeat. Alii autem tres gradus pertinent ad appetitum. Qui excellentiam exteriorem non quaerit, sed exteriorem abiectionem vel aequanimiter patitur, sive in verbis sive in factis, quia, sicut Gregorius dicit, in registro, non grande est his nos esse humiles a quibus honoramur, quia et hoc saeculares quilibet faciunt, sed illis maxime humiles esse debemus a quibus aliqua patimur. Et hoc pertinet ad quintum et sextum gradum. Vel etiam desideranter exteriorem abiectionem amplectitur, quod pertinet ad septimum gradum. Et sic omnes isti gradus continentur sub sexto et septimo superius enumeratis.
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[45510] IIª-IIae, q. 161 a. 6 ad 3
3. Tutti i gradi elencati da S. Anselmo si riducono a riconoscere, a manifestare e a volere la propria abiezione. Infatti il primo grado si riduce alla conoscenza della propria miseria. - Siccome però sarebbe riprovevole amarla, ciò si esclude mediante il secondo grado. - La manifestazione della propria miseria è promossa dal terzo e dal quarto grado; cosicché uno non si limita a denunziarla, ma cerca di renderne persuasi gli altri. - I tre gradi che rimangono riguardano la volontà. Ed è il caso di chi non cerca la propria eccellenza, ma sopporta pazientemente il disprezzo, sia in parole che in atti: poiché come scrive S. Gregorio, "non è gran cosa essere umili di fronte a chi ci onora, poiché lo fanno gli stessi mondani; ma dobbiamo essere umili specialmente con quelli che ci offendono". E abbiamo in questo il quinto e il sesto grado. - C'è finalmente chi abbraccia volentieri l'abiezione: ed è il settimo grado. - Perciò tutti questi sette gradi rientrano nel sesto e nel settimo di S. Benedetto.
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[45511] IIª-IIae, q. 161 a. 6 ad 4 Ad quartum dicendum quod illi gradus accipiuntur non ex parte ipsius rei, idest secundum naturam humilitatis, sed per comparationem ad gradus hominum, qui sunt vel maiores vel minores vel aequales.
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[45511] IIª-IIae, q. 161 a. 6 ad 4
4. Quei tre gradi non derivano dalla natura stessa dell'umiltà; ma dai rapporti con altri uomini, i quali sono o superiori, o inferiori, o uguali.
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[45512] IIª-IIae, q. 161 a. 6 ad 5 Ad quintum dicendum quod etiam illa ratio procedit ex gradibus humilitatis non secundum ipsam naturam rei, secundum quam assignantur praemissi gradus, sed secundum diversas hominum conditiones.
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[45512] IIª-IIae, q. 161 a. 6 ad 5
5. Anche quell'ultima graduatoria non scaturisce dalla natura dell'umiltà, come i gradi di S. Benedetto, ma dalle diverse condizioni umane.
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