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Se l'ubriachezza sia peccato mortale
Secunda pars secundae partis
Quaestio 150
Articulus 2
[44981] IIª-IIae, q. 150 a. 2 arg. 1 Ad secundum sic proceditur. Videtur quod ebrietas non sit peccatum mortale. Augustinus enim, in sermone de Purgatorio, dicit ebrietatem esse peccatum mortale, si sit assidua. Sed assiduitas importat circumstantiam quae non trahit in aliam speciem peccati, et sic non potest in infinitum aggravare, ut de veniali faciat mortale, sicut ex supra dictis patet. Ergo, si alias ebrietas non est peccatum mortale, nec hoc etiam modo erit peccatum mortale.
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Seconda parte della seconda parte
Questione 150
Articolo 2
[44981] IIª-IIae, q. 150 a. 2 arg. 1
SEMBRA che l'ubriachezza non sia peccato mortale. Infatti:
1. S. Agostino dice che l'ubriachezza è peccato mortale, "se è frequente". Ma la frequenza è una circostanza incapace di mutare la specie di un peccato, e quindi non può aggravare infinitamente la colpa, come sopra abbiamo visto, così da trasformarla da veniale a mortale. Perciò, se per altri motivi l'ubriachezza non è peccato mortale, non lo sarà neppure per questo.
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[44982] IIª-IIae, q. 150 a. 2 arg. 2 Praeterea, Augustinus, in eodem sermone, dicit, quoties aliquis in cibo aut potu plus accipit quam necesse est, ad minuta peccata noverit pertinere. Peccata autem minuta dicuntur venialia. Ergo ebrietas, quae causatur ex immoderato potu, est peccatum veniale.
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[44982] IIª-IIae, q. 150 a. 2 arg. 2
2. S. Agostino aggiunge: "Quando uno mangia o beve più del necessario, sappia che si tratta di peccati piccoli". Ma i peccati piccoli sono veniali. Dunque l'ubriachezza, prodotta da un eccesso nel bere, è peccato veniale.
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[44983] IIª-IIae, q. 150 a. 2 arg. 3 Praeterea, nullum peccatum mortale est faciendum propter medicinam. Sed aliqui superflue bibunt secundum consilium medicinae, ut postea per vomitum purgentur; et ex hoc superfluo potu sequitur ebrietas. Ergo ebrietas non est peccatum mortale.
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[44983] IIª-IIae, q. 150 a. 2 arg. 3
3. Nessun peccato mortale può essere consigliato dalla medicina. Invece alcuni bevono esageratamente per consiglio del medico, per provocare un vomito di sollievo; e questi eccessi sono accompagnati dall'ubriachezza. Perciò l'ubriachezza non è peccato mortale.
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[44984] IIª-IIae, q. 150 a. 2 s. c. Sed contra est quod in canonibus apostolorum legitur, episcopus aut presbyter aut diaconus aleae aut ebrietati deserviens, aut desinat aut deponatur. Subdiaconus autem aut lector aut cantor similia faciens, aut desinat aut communione privetur. Similiter et laicus. Sed tales poenae non infliguntur nisi pro peccato mortali. Ergo ebrietas est peccatum mortale.
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[44984] IIª-IIae, q. 150 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Nei Canoni Apostolici si legge: "Il vescovo, il sacerdote o il diacono che si danno al gioco o al vino, se non si correggono, siano deposti. Mentre i suddiaconi, i lettori, o i cantori caduti nello stesso difetto, se non si correggono siano scomunicati. Così pure i laici". Ma tali pene non vengono inflitte che per un peccato mortale. Quindi l'ubriachezza è peccato mortale.
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[44985] IIª-IIae, q. 150 a. 2 co. Respondeo dicendum quod culpa ebrietatis, sicut dictum est, consistit in immoderato usu et concupiscentia vini. Hoc autem contingit esse tripliciter. Uno modo, sic quod nesciat potum esse immoderatum et inebriare potentem. Et sic ebrietas potest accipi sine peccato, ut dictum est. Alio modo, sic quod aliquis percipiat potum esse immoderatum, non tamen aestimet potum esse inebriare potentem. Et sic ebrietas potest esse cum peccato veniali. Tertio modo, potest contingere quod aliquis bene advertat potum esse immoderatum et inebriantem, et tamen magis vult ebrietatem incurrere quam a potu abstinere. Et talis proprie dicitur ebrius, quia moralia recipiunt speciem non ab his quae per accidens eveniunt praeter intentionem, sed ab eo quod est per se intentum. Et sic ebrietas est peccatum mortale. Quia secundum hoc, homo volens et sciens privat se usu rationis, quo secundum virtutem operatur et peccata declinat, et sic peccat mortaliter, periculo peccandi se committens. Dicit enim Ambrosius, in libro de patriarchis, vitandam dicimus ebrietatem, per quam crimina cavere non possumus, nam quae sobrii cavemus, per ebrietatem ignorantes committimus. Unde ebrietas, per se loquendo, est peccatum mortale.
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[44985] IIª-IIae, q. 150 a. 2 co.
RISPONDO: Il peccato di ubriachezza consiste, come abbiamo detto, nell'esagerare nell'uso e nella brama del vino. Ora, questo può accadere in tre modi. Primo, per il fatto che uno ignora che la bevanda è esagerata e capace di ubriacare. E allora l'ubriachezza può essere, come abbiamo visto, senza peccato. - Secondo, per il fatto che uno si accorge che la bevanda è troppa, ma ne ignora il potere inebriante. In questo caso l'ubriachezza può essere peccato veniale. - Terzo, può capitare che uno avverta chiaramente che la bevanda è troppa ed inebriante, e tuttavia preferisca ubriacarsi piuttosto che astenersi dal bere. Tale individuo è propriamente un ubriacone; poiché le azioni morali ricevono le specie non da quello che avviene per caso e involontariamente, ma da ciò che è espressamente voluto. E in questo caso l'ubriachezza è peccato mortale. Poiché con essa uno si priva scientemente e volontariamente dell'uso della ragione, che è il mezzo per agire virtuosamente, scansando il peccato: e così pecca mortalmente, esponendosi al pericolo di peccare. Di qui le parole di S. Ambrogio: "Bisogna evitare l'ubriachezza, che ci toglie la possibilità di evitare le colpe: infatti quello che da persone sobrie evitiamo, siamo capaci di commetterlo da ubriachi per ignoranza". Perciò l'ubriachezza di suo è peccato mortale.
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[44986] IIª-IIae, q. 150 a. 2 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod assiduitas facit ebrietatem esse peccatum mortale, non propter solam iterationem actus, sed quia non potest esse quod homo assidue inebrietur quin sciens et volens ebrietatem incurrat, dum multoties experitur fortitudinem vini, et suam habilitatem ad ebrietatem.
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[44986] IIª-IIae, q. 150 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La frequenza rende peccato mortale l'ubriachezza, non per la sola ripetizione degli atti, ma perché non può essere che uno si ubriachi spesso, senza farlo coscientemente e volontariamente, avendo sperimentato più volte la forza del vino e la propria tendenza a ubriacarsi.
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[44987] IIª-IIae, q. 150 a. 2 ad 2 Ad secundum dicendum quod plus sumere in cibo vel potu quam necesse sit, pertinet ad vitium gulae, quae non semper est peccatum mortale. Sed plus sumere in potu scienter usque ad ebrietatem, hoc est peccatum mortale. Unde Augustinus dicit, in X Confess., ebrietas longe est a me, misereberis ne appropinquet mihi, crapula autem nonnumquam subrepsit servo tuo.
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[44987] IIª-IIae, q. 150 a. 2 ad 2
2. L'esagerazione nel bere e nel mangiare rientra nel vizio della gola, che non sempre è peccato mortale. Ma esagerare scientemente nel bere fino a ubriacarsi è peccato mortale. Così S. Agostino pregava il Signore: "Io sono ben lungi dall'ubriachezza, che tu misericordiosamente mi hai tenuto lontana: invece la crapula talora ha sorpreso il tuo servo".
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[44988] IIª-IIae, q. 150 a. 2 ad 3 Ad tertium dicendum quod, sicut dictum est, cibus et potus est moderandus secundum quod competit corporis valetudini. Et ideo sicut quandoque contingit ut cibus vel potus qui est moderatus sano, sit superfluus infirmo; ita etiam potest e converso contingere ut ille qui est superfluus sano, sit moderatus infirmo. Et hoc modo, cum aliquis multum comedit vel bibit secundum consilium medicinae ad vomitum provocandum, non est reputandus superfluus cibus vel potus. Nec tamen requiritur ad vomitum provocandum quod sit potus inebrians, quia etiam potus aquae tepidae vomitum causat. Et ideo propter hanc causam non excusaretur aliquis ab ebrietate.
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[44988] IIª-IIae, q. 150 a. 2 ad 3
3. Il mangiare e il bere vanno regolati secondo le esigenze della salute fisica. Perciò come capita che il mangiare e il bere moderato per un sano sia invece troppo per un infermo; così può capitare il rovescio, che quanto è troppo per un sano sia moderato per un infermo. Perciò quando uno mangia e beve molto per consiglio del medico, per provocare il vomito, non può considerarsi un'esagerazione nel mangiare e nel bere. Però per provocare il vomito non si richiede che la bevanda sia inebriante: poiché anche l'acqua tiepida provoca il vomito. E quindi questo motivo non scuserebbe dall'ubriachezza.
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