Secunda pars secundae partis
Quaestio 15
Articulus 2
[39402] IIª-IIae q. 15 a. 2 arg. 1 Ad secundum sic proceditur. Videtur quod hebetudo sensus non sit aliud a caecitate mentis. Unum enim uni est contrarium. Sed dono intellectus opponitur hebetudo, ut patet per Gregorium, in II Moral.; cui etiam opponitur caecitas mentis, eo quod intellectus principium quoddam visivum designat. Ergo hebetudo sensus est idem quod caecitas mentis.
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Seconda parte della seconda parte
Questione 15
Articolo 2
[39402] IIª-IIae q. 15 a. 2 arg. 1
SEMBRA che l'ottusità di senso non sia distinta dalla cecità di mente. Infatti:
1. Ciascuna cosa ha un unico contrario. Ora, il dono dell'intelletto secondo le spiegazioni di S. Gregorio, ha come contrario l'ottusità; e insieme la cecità di mente, in quanto l'intelletto designa un principio conoscitivo. Dunque l'ottusità di senso si identifica con la cecità di mente.
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[39403] IIª-IIae q. 15 a. 2 arg. 2 Praeterea, Gregorius, in XXXI Moral., de hebetudine loquens, nominat eam hebetudinem sensus circa intelligentiam. Sed hebetari sensu circa intelligentiam nihil aliud esse videtur quam intelligendo deficere, quod pertinet ad mentis caecitatem. Ergo hebetudo sensus idem est quod caecitas mentis.
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[39403] IIª-IIae q. 15 a. 2 arg. 2
2. S. Gregorio, parlando dell'ottusità, la denomina "ottusità di sensi in materia d'intelligenza". Ora, diventare ottusi di sensi in materia d'intelligenza non è altro che avere deficienze nell'intellezione, il che appartiene alla cecità di mente. Perciò l'ottusità di senso si confonde con la cecità di mente.
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[39404] IIª-IIae q. 15 a. 2 arg. 3 Praeterea, si in aliquo differunt, maxime videntur in hoc differre quod caecitas mentis est voluntaria, ut supra dictum est, hebetudo autem sensus est naturalis. Sed defectus naturalis non est peccatum. Ergo secundum hoc hebetudo sensus non esset peccatum. Quod est contra Gregorium, qui connumerat eam inter vitia quae ex gula oriuntur.
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[39404] IIª-IIae q. 15 a. 2 arg. 3
3. Se le due cose fossero diverse, dovrebbero differire specialmente nel fatto che, mentre la cecità mentale è volontaria, come sopra abbiamo detto, l'ottusità di senso è naturale. Ma un difetto naturale non è peccato. Quindi l'ottusità di senso non sarebbe peccato. Questo però è contro S. Gregorio, il quale enumera l'ottusità tra i vizi originati dalla gola.
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[39405] IIª-IIae q. 15 a. 2 s. c. Sed contra est quod diversarum causarum sunt diversi effectus. Sed Gregorius, XXXI Moral., dicit quod hebetudo mentis oritur ex gula, caecitas autem mentis ex luxuria. Ergo sunt diversa vitia.
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[39405] IIª-IIae q. 15 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Cause diverse hanno effetti diversi. Ora, S. Gregorio insegna che l'ottusità della mente nasce dalla gola, mentre la sua cecità nasce dalla lussuria. Si tratta, dunque, di vizi differenti.
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[39406] IIª-IIae q. 15 a. 2 co. Respondeo dicendum quod hebes acuto opponitur. Acutum autem dicitur aliquid ex hoc quod est penetrativum. Unde et hebes dicitur aliquid ex hoc quod est obtusum, penetrare non valens. Sensus autem corporalis per quandam similitudinem penetrare dicitur medium inquantum ex aliqua distantia suum obiectum percipit; vel inquantum potest quasi penetrando intima rei percipere. Unde in corporalibus dicitur aliquis esse acuti sensus qui potest percipere sensibile aliquod ex remotis, vel videndo vel audiendo vel olfaciendo; et e contrario dicitur sensu hebetari qui non percipit nisi ex propinquo et magna sensibilia. Ad similitudinem autem corporalis sensus dicitur etiam circa intelligentiam esse aliquis sensus, qui est aliquorum primorum extremorum, ut dicitur in VI Ethic., sicut etiam sensus est cognoscitivus sensibilium quasi quorundam principiorum cognitionis. Hic autem sensus qui est circa intelligentiam non percipit suum obiectum per medium distantiae corporalis, sed per quaedam alia media, sicut cum per proprietatem rei percipit eius essentiam, et per effectus percipit causam. Ille ergo dicitur esse acuti sensus circa intelligentiam qui statim ad apprehensionem proprietatis rei, vel etiam effectus, naturam rei comprehendit, et inquantum usque ad minimas conditiones rei considerandas pertingit. Ille autem dicitur esse hebes circa intelligentiam qui ad cognoscendam veritatem rei pertingere non potest nisi per multa ei exposita, et tunc etiam non potest pertingere ad perfecte considerandum omnia quae pertinent ad rei rationem. Sic igitur hebetudo sensus circa intelligentiam importat quandam debilitatem mentis circa considerationem spiritualium bonorum, caecitas autem mentis importat omnimodam privationem cognitionis ipsorum. Et utrumque opponitur dono intellectus, per quem homo spiritualia bona apprehendendo cognoscit et ad eorum intima subtiliter penetrat. Habet autem hebetudo rationem peccati sicut et caecitas mentis, inquantum scilicet est voluntaria, ut patet in eo qui, affectus circa carnalia, de spiritualibus subtiliter discutere fastidit vel negligit.
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[39406] IIª-IIae q. 15 a. 2 co.
RISPONDO: Ottuso è il contrario di acuto. Ora, si dice che uno strumento è acuto quando è atto a penetrare. Si dice perciò che uno strumento è ottuso per il fatto che è spuntato, e incapace di penetrare. Ebbene, in senso metaforico si dice che i sensi penetrano il mezzo, in quanto percepiscono il loro oggetto da una certa distanza; oppure in quanto possono percepirne le intime qualità quasi penetrando la cosa. Perciò nell'ordine fisico si dice che uno è provvisto di acutezza di sensi, quando è capace di percepire l'oggetto sensibile di lontano, o con la vista, o con l'udito, oppure con l'olfatto; e si dice, al contrario, che uno è ottuso di sensi, quando percepisce solo da vicino, e oggetti molto vistosi.
Ora, per analogia con i sensi corporei, si parla anche di un senso di ordine intellettivo, che, a detta di Aristotele, ha per oggetto alcuni dei "termini primordiali": come il senso ha per oggetto le cose sensibili che sono altrettanti principi di cognizione. Ma questo senso di ordine intellettivo non percepisce il proprio oggetto attraverso un mezzo di ordine fisico, bensì attraverso altri mezzi: attraverso, cioè, le proprietà delle cose ne percepisce l'essenza, e attraverso gli effetti percepisce la causa, e così via. Perciò si dice che ha acutezza di senso nell'ordine intellettivo chi appena ha percepito le proprietà, o gli effetti di una cosa, subito comprende la natura di essa, e in quanto giunge prontamente a considerarne le conseguenze più minute. Invece si dice che è ottuso di intelligenza chi non arriva a conoscere la verità di una cosa, se non attraverso molti chiarimenti; e anche allora è incapace di giungere a considerare perfettamente tutti gli aspetti di essa.
Perciò l'ottusità di senso nell'ordine intellettivo implica una debilitazione della mente rispetto ai beni spirituali: mentre la cecità della mente implica la totale privazione della loro conoscenza. L'uno e l'altro vizio si oppongono al dono dell'intelletto, mediante il quale l'uomo ha la percezione dei beni spirituali, e ne penetra intimamente la natura. Questa ottusità ha l'aspetto di peccato, come la cecità mentale, essendo essa volontaria, com'è evidente in colui che, ingolfato nelle cose della carne, disdegna o trascura di considerare attentamente le cose dello spirito.
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