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Se la mollezza si contrapponga alla perseveranza
Secunda pars secundae partis
Quaestio 138
Articulus 1
[44562] IIª-IIae, q. 138 a. 1 arg. 1 Ad primum sic proceditur. Videtur quod mollities non opponatur perseverantiae. Quia super illud I ad Cor. VI, neque adulteri neque molles neque masculorum concubitores, Glossa exponit molles, idest pathici, hoc est muliebria patientes. Sed hoc opponitur castitati. Ergo mollities non est vitium oppositum perseverantiae.
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Seconda parte della seconda parte
Questione 138
Articolo 1
[44562] IIª-IIae, q. 138 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la mollezza non si contrapponga alla perseveranza. Infatti:
1. Nel commentare quel testo paolino: "Né adulteri, né molli, né pederasti, ecc.", la Glossa spiega: "molli, cioè passivi", ossia effeminati. Ma questo si contrappone alla castità. Dunque la mollezza non è un vizio contrario alla perseveranza.
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[44563] IIª-IIae, q. 138 a. 1 arg. 2 Praeterea, philosophus dicit, in VII Ethic., quod delicia mollities quaedam est. Sed esse deliciosum videtur pertinere ad intemperantiam. Ergo mollities non opponitur perseverantiae, sed magis temperantiae.
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[44563] IIª-IIae, q. 138 a. 1 arg. 2
2. Il Filosofo scrive, che "la delicatezza è una specie di mollezza". Ora, la delicatezza rientra piuttosto nell'intemperanza. Perciò la mollezza non si contrappone alla perseveranza, bensì alla temperanza.
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[44564] IIª-IIae, q. 138 a. 1 arg. 3 Praeterea, philosophus, ibidem, dicit quod lusivus est mollis. Sed esse immoderate lusivum opponitur eutrapeliae, quae est virtus circa delectationes ludorum, ut dicitur in IV Ethic. Ergo mollities non opponitur perseverantiae.
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[44564] IIª-IIae, q. 138 a. 1 arg. 3
3. Il Filosofo aggiunge che "è proprio della mollezza la passione per il gioco". Ma tale esagerazione si contrappone all'eutrapelia, virtù che ha per oggetto "i piaceri del gioco". Dunque la mollezza non si contrappone alla perseveranza.
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[44565] IIª-IIae, q. 138 a. 1 s. c. Sed contra est quod philosophus dicit, in VII Ethic., quod molli opponitur perseverativus.
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[44565] IIª-IIae, q. 138 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Aristotele ha scritto, che "al molle si contrappone l'uomo perseverante".
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[44566] IIª-IIae, q. 138 a. 1 co. Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, laus perseverantiae in hoc consistit quod aliquis non recedit a bono propter diuturnam tolerantiam difficilium et laboriosorum. Cui directe opponi videtur quod aliquis de facili recedat a bono propter aliqua difficilia, quae sustinere non potest. Et hoc pertinet ad rationem mollitiei, nam molle dicitur quod facile cedit tangenti. Non autem iudicatur aliquid molle ex hoc quod cedit fortiter impellenti, nam et parietes cedunt machinae percutienti. Et ideo non reputatur aliquis mollis si cedat aliquibus valde graviter impellentibus, unde philosophus dicit, in VII Ethic., quod si quis a fortibus et superexcellentibus delectationibus vincitur vel tristitiis, non est admirabile, sed condonabile, si contra tendat. Manifestum est autem quod gravius impellit metus periculorum quam cupiditas delectationum, unde Tullius dicit, in I de Offic., non est consentaneum qui metu non frangatur, eum frangi cupiditate; nec qui invictum se a labore praestiterit, vinci a voluptate. Ipsa etiam voluptas fortius movet attrahendo quam tristitia de carentia voluptatis retrahendo, quia carentia voluptatis est purus defectus. Et ideo secundum philosophum, proprie mollis dicitur qui recedit a bono propter tristitias causatas ex defectu delectationum, quasi cedens debili moventi.
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[44566] IIª-IIae, q. 138 a. 1 co.
RISPONDO: Come abbiamo detto sopra, il valore della perseveranza consiste nel fatto che non ci si allontana dal bene, nonostante la sopportazione prolungata di cose difficili e faticose. A ciò si contrappone direttamente il fatto che uno facilmente abbandoni il bene per qualche difficoltà, cui non si sente di resistere. E questo costituisce la mollezza: infatti molle è quanto cede facilmente al tatto.
Ora, una cosa non è considerata molle perché cede a un urto violento: infatti anche le muraglie cedono alle macchine da guerra. Perciò chi cede a delle pressioni molto gravi non è considerato un molle: infatti il Filosofo scrive, che "se uno è vinto da piaceri o da dolori forti e violenti non c'è da far meraviglie, bensì da scusare, se tenta di resistere".
D'altra parte è risaputo che il timore dei pericoli è più pressante che la brama dei piaceri; Cicerone infatti afferma: "Non è credibile che sia vinto dal piacere chi non si lascia vincere dal timore; e che sia vinto dalle delizie, chi è rimasto vincitore nei travagli". Però l'attrattiva del piacere è più forte della ripulsa esercitata dalla privazione di esso: poiché la mancanza del piacere è pura negazione. Perciò, secondo il Filosofo, molle propriamente è colui che abbandona il bene per il dolore causato dalla mancanza di qualche soddisfazione, cedendo a un debole impulso.
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[44567] IIª-IIae, q. 138 a. 1 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod praedicta mollities causatur dupliciter. Uno modo, ex consuetudine, cum enim aliquis consuetus est voluptatibus frui, difficilius potest earum absentiam sustinere. Alio modo, ex naturali dispositione, quia videlicet habent animum minus constantem, propter fragilitatem complexionis. Et hoc modo comparantur feminae ad masculos, ut philosophus dicit, in VII Ethic. Et ideo illi qui muliebria patiuntur molles dicuntur, quasi muliebres effecti.
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[44567] IIª-IIae, q. 138 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La mollezza di cui abbiamo parlato può essere prodotta da due cause. Primo, dall'abitudine: infatti quando uno è abituato ai piaceri, difficilmente sa sopportarne la privazione. Secondo, dalle predisposizioni naturali: perché alcuni sono di animo incostante, per la debolezza della loro complessione. Per questo il Filosofo li paragona alle donne. Perciò coloro che sono impressionabili come le donne sono denominati molli, cioè effeminati.
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[44568] IIª-IIae, q. 138 a. 1 ad 2 Ad secundum dicendum quod voluptati corporali opponitur labor, et ideo res laboriosae tantum impediunt voluptates. Deliciosi autem dicuntur qui non possunt sustinere aliquos labores, nec aliquid quod voluptatem diminuat, unde dicitur Deut. XXVIII, tenera mulier et delicata, quae super terram ingredi non valebat, nec pedis vestigium figere, propter mollitiem. Et ideo delicia quaedam mollities est. Sed mollities proprie respicit defectum delectationum, deliciae autem causam impeditivam delectationis, puta laborem vel aliquid huiusmodi.
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[44568] IIª-IIae, q. 138 a. 1 ad 2
2. Al piacere fisico si contrappone la fatica: ecco perché le imprese faticose ostacolano tanto i piaceri. Ebbene quelli che non sanno resistere alla fatica e a quanto può menomare il piacere son detti delicati; si legge infatti nel Deuteronomio: "La donna tenera e delicata che non s'attentava di camminare e di posare il piede in terra, per la sua mollezza". Perciò la delicatezza è una specie di mollezza. Ma propriamente la mollezza teme la mancanza dei piaceri: mentre la delicatezza fugge le cause stesse che impediscono il piacere, cioè la fatica e altre cose del genere.
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[44569] IIª-IIae, q. 138 a. 1 ad 3 Ad tertium dicendum quod in ludo duo est considerare. Uno quidem modo, delectationem, et sic inordinate lusivus opponitur eutrapeliae. Alio modo in ludo consideratur quaedam remissio sive quies, quae opponitur labori. Et ideo sicut non posse sustinere laboriosa pertinet ad mollitiem, ita etiam nimis appetere remissionem ludi, vel quamcumque aliam quietem.
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[44569] IIª-IIae, q. 138 a. 1 ad 3
3. Nel gioco si possono considerare due cose. Primo, il divertimento: e da questo lato la passione del gioco si contrappone all'eutrapelia. Secondo, si può considerare il rilassamento, o lo svago, che si contrappone alla fatica. Perciò come alla mollezza spetta la ripugnanza a sopportare la fatica, così appartiene ad essa la brama eccessiva dello svago dei giochi, e qualunque altro tipo di svago.
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