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Se il peccato di timore, o di viltà si contrapponga alla fortezza
Secunda pars secundae partis
Quaestio 125
Articulus 2
[44194] IIª-IIae, q. 125 a. 2 arg. 1 Ad secundum sic proceditur. Videtur quod peccatum timoris non opponatur fortitudini. Fortitudo enim est circa pericula mortis, ut supra habitum est. Sed peccatum timoris non semper pertinet ad pericula mortis. Quia super illud Psalmi, beati omnes qui timent dominum, dicit Glossa quod humanus timor est quo timemus pati pericula carnis, vel perdere mundi bona. Et super illud Matth. XXVI, oravit tertio eundem sermonem etc., dicit Glossa quod triplex est malus timor, scilicet timor mortis, timor vilitatis, et timor doloris. Non ergo peccatum timoris opponitur fortitudini.
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Seconda parte della seconda parte
Questione 125
Articolo 2
[44194] IIª-IIae, q. 125 a. 2 arg. 1
SEMBRA che il peccato di timore o di viltà non si contrapponga alla fortezza. Infatti:
1. La fortezza, come abbiamo detto, ha di mira i pericoli di morte. Invece il peccato di timore non sempre riguarda i pericoli di morte. Infatti la Glossa, spiegando quel detto dei Salmi: "Beati tutti coloro che temono il Signore", afferma che, "il timore umano è quello col quale si teme di soffrire nel corpo, o di perdere i beni del mondo". E a commento di quel passo evangelico: "Pregò per la terza volta dicendo le stesse parole, ecc.", si afferma che ci sono tre timori cattivi, e cioè "il timore della morte, dell'abiezione e del dolore". Dunque il peccato di timore o viltà non si contrappone alla fortezza.
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[44195] IIª-IIae, q. 125 a. 2 arg. 2 Praeterea, praecipuum quod commendatur in fortitudine est quod exponit se periculis mortis. Sed quandoque aliquis ex timore servitutis vel ignominiae exponit se morti, sicut Augustinus, in I de Civ. Dei, narrat de Catone, qui, ut non incurreret Caesaris servitutem, morti se tradidit. Ergo peccatum timoris non opponitur fortitudini, sed magis habet similitudinem cum ipsa.
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[44195] IIª-IIae, q. 125 a. 2 arg. 2
2. La cosa che più viene apprezzata nella fortezza è il fatto che uno si espone alla morte. Ma alcuni si espongono alla morte per paura della schiavitù o dell'infamia; come S. Agostino narra di Catone, il quale si diede la morte per non finire sotto il dominio di Cesare. Quindi il peccato di viltà non è contrario alla fortezza, ma ha con esso piuttosto una certa somiglianza.
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[44196] IIª-IIae, q. 125 a. 2 arg. 3 Praeterea, omnis desperatio ex aliquo timore procedit. Sed desperatio non opponitur fortitudini, sed magis spei, ut supra habitum est. Ergo neque timoris peccatum opponitur fortitudini.
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[44196] IIª-IIae, q. 125 a. 2 arg. 3
3. La disperazione nasce sempre da un timore. Ma la disperazione non è in contrasto con la fortezza, bensì con la speranza, come sopra abbiamo visto. Dunque neppure il peccato di timore, o viltà, si contrappone alla fortezza.
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[44197] IIª-IIae, q. 125 a. 2 s. c. Sed contra est quod philosophus, in II et III Ethic., timiditatem ponit fortitudini oppositam.
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[44197] IIª-IIae, q. 125 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo considera la vigliaccheria contraria alla fortezza.
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[44198] IIª-IIae, q. 125 a. 2 co. Respondeo dicendum quod, sicut supra habitum est, omnis timor ex amore procedit, nullus enim timet nisi contrarium eius quod amat. Amor autem non determinatur ad aliquod genus virtutis vel vitii, sed amor ordinatus includitur in qualibet virtute, quilibet enim virtuosus amat proprium bonum virtutis; amor autem inordinatus includitur in quolibet peccato, ex amore enim inordinato procedit inordinata cupiditas. Unde similiter inordinatus timor includitur in quolibet peccato, sicut avarus timet amissionem pecuniae, intemperatus amissionem voluptatis, et sic de aliis. Sed timor praecipuus est periculorum mortis, ut probatur in III Ethic. et ideo talis timoris inordinatio opponitur fortitudini, quae est circa pericula mortis. Et propter hoc antonomastice dicitur timiditas fortitudini opponi.
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[44198] IIª-IIae, q. 125 a. 2 co.
RISPONDO: Come sopra notammo, ogni timore nasce da un amore; infatti non si teme se non il contrario di ciò che si ama. Ora, l'amore non si restringe a un determinato genere di virtù o di vizi, ma l'amore ordinato è implicito in ogni virtù, poiché una persona virtuosa ama le proprie virtù: e l'amore disordinato è implicito in ogni peccato, poiché dall'amore disordinato derivano le disordinate cupidigie. Parimente in qualsiasi peccato è implicito un timore disordinato: l'avaro infatti teme la perdita delle ricchezze, il sensuale teme di perdere il piacere, e così via. Ma il timore più grave è quello dei pericoli di morte. Perciò il disordine di tale timore si contrappone alla fortezza, che ha per oggetto i pericoli di morte. Ecco perché si dice, per antonomasia, che il timore (o vigliaccheria) si contrappone alla fortezza.
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[44199] IIª-IIae, q. 125 a. 2 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod auctoritates illae loquuntur de timore inordinato communiter sumpto, qui diversis virtutibus opponi potest.
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[44199] IIª-IIae, q. 125 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quei testi parlano del timore disordinato comunemente detto, il quale può essere in contrasto con diverse virtù.
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[44200] IIª-IIae, q. 125 a. 2 ad 2 Ad secundum dicendum quod actus humani praecipue diiudicantur ex fine, ut ex supra dictis patet. Ad fortem autem pertinet ut se exponat periculis mortis propter bonum, sed ille qui se periculis mortis exponit ut fugiat servitutem vel aliquid laboriosum, a timore vincitur, quod est fortitudini contrarium. Unde philosophus dicit, in III Ethic., quod mori fugientem inopiam vel cupidinem vel aliquid triste, non est fortis, sed magis timidi, mollities enim est fugere laboriosa.
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[44200] IIª-IIae, q. 125 a. 2 ad 2
2. Gli atti umani, come abbiamo notato sopra, vanno giudicati dal fine. Ora, è proprio del forte, o coraggioso, esporsi ai pericoli di morte per il bene: chi invece si espone alla morte per evitare la schiavitù o altre cose dolorose, si lascia vincere dal timore, che è il contrario della fortezza. Perciò il Filosofo afferma, che "morire per fuggire la miseria, la passione erotica, o altre cose dolorose, non è dei coraggiosi, bensì dei vili: infatti è debolezza fuggire il dolore".
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[44201] IIª-IIae, q. 125 a. 2 ad 3 Ad tertium dicendum quod, sicut supra dictum est, sicut spes est principium audaciae, ita timor est principium desperationis. Unde sicut ad fortem, qui utitur audacia moderate, praeexigitur spes, ita e converso desperatio ex aliquo timore procedit. Non autem oportet quod quaelibet desperatio procedat ex quolibet timore, sed ex eo qui est sui generis. Desperatio autem quae opponitur spei, ad aliud genus refertur, scilicet ad res divinas, quam timor qui opponitur fortitudini, qui pertinet ad pericula mortis. Unde ratio non sequitur.
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[44201] IIª-IIae, q. 125 a. 2 ad 3
3. Notammo già sopra che, come la speranza è causa dell'audacia, così il timore è causa della disperazione. Perciò come nel coraggioso, il quale con moderazione fa uso dell'audacia, si presuppone la speranza, così al contrario nella disperazione si presuppone un timore. Non è detto però che qualsiasi disperazione derivi da qualsiasi timore, ma dal timore corrispettivo. Ora, la disperazione che è l'opposto della virtù della speranza corrisponde alle cose divine, cioè a un genere di cose che non combina col timore il quale si contrappone alla fortezza, la quale ha per oggetto i pericoli di morte. Perciò l'argomento non regge.
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